Il Baratro Educativo, alla ricerca continua del popolo Bue.

La crisi educativa italiana rappresenta oggi un’emergenza sistemica che mina alle fondamenta il futuro stesso del paese.
È ormai evidente che la scuola italiana, così com’è strutturata e amministrata, non è adeguata alla formazione dei giovani, incapace di rispondere alle reali esigenze educative di un mondo in costante e rapida evoluzione.
Uno degli aspetti più critici risiede nella classe politica, tristemente impreparata sui temi educativi, spesso relegati ai margini delle agende politiche o affrontati con superficiale retorica elettorale.
Di tutta evidenza in tal senso l’ultima iniziativa del Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, volta a contrastare il fenomeno dei “diplomifici”, che solleva un necessario dibattito sulla profondità e l’efficacia delle misure adottate.
Il decreto-legge annunciato per il Consiglio dei Ministri del 28 marzo 2025 prevede interventi specifici, tra cui:
Limitazione delle classi terminali collaterali: Ogni scuola paritaria potrà attivare al massimo una classe terminale collaterale per ciascun indirizzo di studi già funzionante, previa autorizzazione dell’Ufficio Scolastico Regionale.
Restrizione sugli esami di idoneità: Gli studenti potranno sostenere, nello stesso anno scolastico, esami di idoneità per non più di due anni di corso successivi a quello per il quale hanno conseguito l’ammissione per effetto di scrutinio finale.
Obbligo di strumenti digitali: Tutte le istituzioni scolastiche, comprese le paritarie, dovranno adottare il registro elettronico e il protocollo informatico per garantire una maggiore trasparenza nella gestione delle presenze e delle valutazioni.
Sebbene queste misure rappresentino un piccolo passo avanti nel tentativo di arginare pratiche discutibili nel sistema educativo, emergono preoccupazioni riguardo alla loro reale incisività.
Sosteniamo che tali interventi siano più palliativi che soluzioni strutturali, paragonabili a svuotare l’acqua da una nave che affonda senza prima riparare le falle.
Un’analisi più approfondita rivela che il problema dei diplomifici è radicato in una serie di carenze sistemiche:
Mancanza di controlli efficaci: Nonostante le ispezioni avviate dal Ministero abbiano portato alla revoca della parità scolastica per 47 istituti, molti di questi hanno ottenuto sospensioni cautelari, continuando le loro attività.
Legislazione insufficiente: Il disegno di legge presentato per contrastare i diplomifici ha subito rallentamenti significativi, evidenziando una certa inerzia politica nel tradurre le intenzioni in azioni concrete.
Persistenza di escamotage legali: La questione degli “studenti lavoratori” continua a rappresentare una scappatoia per molti istituti, permettendo di aggirare le normative vigenti.
Affrontare efficacemente il fenomeno dei diplomifici richiede una riforma strutturale del sistema educativo italiano, che vada oltre interventi emergenziali e abbracci una visione a lungo termine. Questo implica:
Rafforzamento dei controlli: Implementare un sistema di monitoraggio continuo e capillare, con risorse adeguate e personale qualificato, per garantire il rispetto delle normative da parte di tutte le istituzioni scolastiche. E qui subentra la solita ignoranza della politica e dei suoi ministri che prima promette di assumere 600 ispettori, poi 390, poi 250, poi bandisce un concorso per 145 (che forse andrà in porto tra due anni) e non si accorge che con questa operazione lascia a casa una settantina di ispettori già in servizio con anni di preparazione alle spalle; occorre notare che la Francia ha un sistema di 1500 ispettori e la Germania di 2000.
Revisione delle normative: Eliminare le ambiguità legislative che permettono interpretazioni favorevoli a pratiche scorrette, assicurando che le leggi siano chiare, applicabili e prive di scappatoie.
Promozione della qualità educativa: Investire nella formazione dei docenti, nell’aggiornamento dei curricula e nell’infrastruttura scolastica per garantire un’istruzione di qualità accessibile a tutti, riducendo la domanda di percorsi alternativi discutibili.
Resta fondamentale che il governo italiano dimostri una volontà politica concreta nel promuovere riforme profonde e durature nel sistema educativo.
Sarebbe peraltro interessante capire da chi sono possedute le scuole paritarie e a che correnti politiche fanno riferimento i loro esponenti.
Solo attraverso un impegno deciso e una visione lungimirante sarà possibile garantire un futuro solido e promettente per le nuove generazioni, al riparo da soluzioni facili e populiste che rischiano di compromettere l’integrità dell’istruzione nel nostro Paese.
Questa incompetenza generale fa sì che gli interventi adottati siano per lo più insufficienti o, peggio ancora, controproducenti, contribuendo alla lenta ma inesorabile erosione della qualità della formazione.
Il risultato di questa combinazione di fattori negativi è sotto gli occhi di tutti: assistiamo ad un netto abbassamento del livello culturale delle nuove generazioni.
Tale fenomeno non è casuale ma profondamente correlato all’uso smodato e non critico di strumenti digitali e social, che compromettono gravemente lo sviluppo delle capacità deduttive e critiche dei ragazzi, affiancato da una scuola con programmi ormai obsoleti e non centrati sullo sviluppo critico delle coscienze.
Questo problema è aggravato dalla scelta consapevole della politica di sfruttare tali strumenti per mantenere un certo grado di ignoranza diffusa, funzionale al mantenimento del potere e al controllo sociale.
È essenziale che i cittadini comprendano quanto sia drammatica la situazione attuale: il baratro educativo che si apre davanti ai loro figli rischia di compromettere irrimediabilmente il futuro non solo personale, ma anche collettivo.
Occorre una presa di coscienza collettiva che spinga gli elettori a cercare nuovi leader, capaci finalmente di comprendere e affrontare con serietà e competenza le problematiche educative del paese.
Per invertire questa tendenza nefasta, la scuola necessita urgentemente di una categoria di esperti autentici, veri professionisti della pedagogia e dell’educazione, e non di meri “camerieri scolastici” che si limitano a servire passivamente programmi e direttive spesso distanti dalla realtà e dalle necessità formative.
Occorre inoltre recuperare la qualità già presente in molti docenti italiani, liberandoli da eccessivi vincoli burocratici che ne limitano l’azione didattica e incrementandone significativamente la retribuzione, in modo da incentivare e valorizzare competenze spesso sottoutilizzate.
Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere che molti docenti, pur conoscendo profondamente la propria materia, non risultano adeguati all’insegnamento nella complessa realtà sociale attuale: conoscere una materia non vuol dire necessariamente saperla insegnare.
Serve una rivoluzione culturale ed educativa che metta al centro l’educazione critica e il pensiero autonomo come pilastri imprescindibili della formazione delle nuove generazioni.
La questione della scuola e dell’istruzione in Italia non rappresenta soltanto una sfida educativa, ma soprattutto un tema centrale per la qualità democratica del Paese e per il suo futuro civile e sociale.
La provocatoria idea che la politica italiana stia deliberatamente cercando di produrre un “popolo bue” ideale—ignorante, facilmente manipolabile e privo degli strumenti cognitivi necessari a una consapevole partecipazione democratica—può sembrare radicale, ma merita una riflessione attenta, profonda e scevra di retorica.
In primo luogo, l’istruzione, intesa nella sua accezione più alta e completa, non è soltanto apprendimento di nozioni o conseguimento di diplomi: è innanzitutto formazione critica, capacità di decodificare la realtà circostante, autonomia di pensiero e maturità intellettuale.
Ridurre il percorso scolastico a mere scorciatoie amministrative, soluzioni emergenziali o, ancor peggio, a strumenti populisti per catturare consenso immediato significa impoverire drasticamente la funzione primaria della scuola, ossia quella di creare cittadini capaci di pensare autonomamente, interpretare criticamente gli eventi, e agire responsabilmente nella società.
La superficialità con cui viene affrontata la crisi della scuola italiana non è dunque un semplice errore politico o amministrativo, bensì rappresenta, anche inconsciamente, una precisa strategia di controllo.
Educare in modo approssimativo, abbassare costantemente gli standard culturali e scientifici, svilire il ruolo dei docenti e ridurre gli istituti scolastici a “fabbriche di diplomi” non solo genera disuguaglianze strutturali profonde, ma soprattutto depotenzia la capacità di resistenza e di risposta della società civile.
In questo scenario, infatti, emergono due gravi conseguenze: la prima è la marginalizzazione culturale e intellettuale delle nuove generazioni, private di un’istruzione autenticamente emancipante; la seconda, ancora più insidiosa, è la progressiva creazione di masse inconsapevoli, facilmente sedotte da promesse semplicistiche, slogan populisti e soluzioni demagogiche.
Questo “popolo ideale” per una certa classe politica è composto di individui che, incapaci di decifrare criticamente i messaggi che ricevono, finiscono per essere strumentalizzati a fini elettorali e gestiti attraverso una retorica semplificata e impoverita.
Un elemento fondamentale di questa dinamica è il tempo: le politiche populiste si muovono sul breve periodo, guardano all’immediato consenso, senza alcuna visione lungimirante o investimento sul futuro.
Una generazione privata degli strumenti di analisi critica, di conoscenza solida e strutturata, sarà una generazione fragile, vulnerabile, incapace di comprendere e governare processi complessi come la globalizzazione, i cambiamenti climatici, le dinamiche economiche internazionali e la rivoluzione tecnologica in atto.
Il danno arrecato non sarà solo individuale, ma collettivo e sistemico, perché un popolo non educato e non consapevole diviene inevitabilmente preda di derive autoritarie e manipolative.
Pertanto, l’accusa rivolta alla politica italiana, seppur forte, non è priva di fondamento e merita attenzione.
Esiste il rischio reale che la mancanza di investimenti in una scuola di qualità, di un’autentica progettualità educativa, e di una seria riflessione pedagogica e civica favorisca proprio questa deriva: un Paese sempre più debole culturalmente, politicamente facilmente manipolabile, e incapace di difendersi dalla retorica semplificatoria e populista che oggi domina gran parte del dibattito pubblico.
La soluzione, però, non è impossibile.
Richiede coraggio politico, una presa di coscienza collettiva e un impegno civile diffuso.
Serve una società che torni a reclamare con forza il valore autentico della scuola, della cultura e della conoscenza come strumenti di emancipazione, autonomia e resistenza democratica.
Finché questo non avverrà, il rischio rimarrà concreto, e la politica populista troverà terreno fertile per continuare a “prendere per i fondelli”, per usare un’espressione chiara ed efficace, un popolo al quale viene impedito, passo dopo passo, di pensare e agire liberamente.
Imperium in imperita multitudine facilius retinetur
Ogni cittadino deve scuotersi dal suo torpore, dal canto mio, se continuare a dire queste cose mi farà uscire dalla pubblica amministrazione, ben venga, nonostante mobbing, stalking e quant’altro, non smetterò di dirle, ma che ognuno faccia quello che può.
Che ogni cittadino chieda ad alta voce una scuola nuova per i propri figli, lo gridi al proprio politico di riferimento, oppure lo cambi, il suo politico di riferimento, se ciò non avviene.
Lo dobbiamo fare per i nostri figli, i nostri nipoti, il nostro paese..
Soltanto attraverso questa consapevolezza e un rinnovato impegno civico sarà possibile costruire una società consapevole, libera e realmente democratica, in grado di affrontare con responsabilità e competenza le sfide del presente e del futuro.
Italia fanalino di coda sul sistema di valutazione e supporto delle scuole.
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