#iorestoacasa

L’Italia che si sbatte e quella che se ne sbatte…

C’è l’Italia che lotta e quella che boicotta, l’Italia della resistenza e quella della demenza, l’Italia dell’impegno e quella del me ne frego.

E poi ci siamo noi, ognuno di noi, obbligati, ora, a darci una mano, senza stringerci la mano, a stare uniti, seppur isolati.

Ora, davvero, siamo sulla stessa barca.

Ora, caso mai volessimo scappare, ci resta un barcone, quello dei profughi.

Ma stavolta, a Lampedusa, bloccano noi che vogliamo uscire, non gli altri che vogliono entrare.

Eh, sì, caro amico virus, ce ne stai facendo di favori!

Altro che lo scioglimento dei ghiacciai, minacciato da Greta Thunberg, tu ci stai dimostrando che il cambiamento climatico non ci tocca fino a che non ci sentiamo come quegli orsi polari alla ricerca del cibo, che la mascherina dobbiamo metterla proprio adesso che l’inquinamento è diminuito!

Altro che cori razzisti o tifoserie violente negli stadi, adesso, niente pubblico, partite a porte chiuse (mai, prima dell’altro ieri, un derby come Juve-Inter si è svolto così, in un clima di rispetto dell’arbitro e di solidarietà tra i giocatori rivali) e, da ieri, tutto fermo, pure le partite truccate ed il calcio scommesse!

Prima, assurdi rigurgiti xenofobi, con svastiche sui muri ed ingiurie ai sopravvissuti all’olocausto, adesso, siamo noi i segregati, quelli privati di una seppur minima libertà, rispetto a chi, davvero, era stato spogliato di tutto, libertà e dignità, nello scempio dei campi di concentramento!

Fino a poche settimane fa, erano i neri, poveri e sporchi che portavano la scabbia, adesso sono i bianchi, ricchi, potenti e famosi che portano il virus!

Quanto abbiamo detto e pensato che erano gli altri che dovevano starsene nel loro paese, adesso siamo noi che non possiamo uscire dal nostro ed imploriamo aiuti umanitari!

Prima tutti fuori, di casa e di testa, a correre come dei matti, perdendo il senso del tempo, in un delirio di onnipotenza e di onnipresenza, secondo l’assurda logica del produco dunque sono, arrivo dappertutto e consumo a più non posso.

Adesso un fermo immagine, IO RESTO A CASA. E sto fermo.

A misurare un tempo eterno, distillato su gesti quotidiani, scandito da consuetudini domestiche.

Questo tempo ritrovato è quello del prendersi cura di noi, ma, soprattutto, nostro malgrado, di chi è uno di noi, magari di quel nonno dimenticato o di quel figlio trascurato.

Infatti, dove prima c’era una famiglia scoppiata, ognun per sé e Dio per tutti, ciascuno indaffarato, intento a vivere la propria vita, dimenticandosi del proprio ruolo, adesso, c’è una famiglia ricomposta, magari problematica, ma dove, obbligatoriamente, ognuno di noi deve accorgersi che l’altro è lì, vicino a lui.

Ti ringrazio caro virus, perché ci stai dimostrando che nelle relazioni umane, la comunicazione non verbale, la socialità sono fondamentali, che non c’è social network che tenga, che la vera comunicazione non è quella virtuale, ma stare vicino, toccare, abbracciare l’altro.

Ti ringrazio caro virus, perché ci stai dando la prova che l’uomo è un animale sociale, ma è anche un essere dotato di intelligenza e volontà.

Che in questo momento l’aggregazione è pericolo di estinzione.

TOCCA A NOI SCEGLIERE!

Perché, mai come adesso, stare insieme, non significa fare branco o stare in gruppo, ma scegliere consapevolmente di stare da soli e lontano, per proteggerci, l’un l’altro.

Che l’unico modo per uscirne è non uscire, riscoprendo la reciprocità del gesto condiviso, il senso di appartenenza ad una comunità da proteggere, il sentirsi parte di un qualcosa di più grande di noi, riconoscendo che la nostra vita dipende dagli altri, da tutti gli altri.

Il coronavirus ci trascende e ci obbliga a riflettere.

IL coronavirus ci sta urlando in faccia che non siamo più noi l’ombelico del mondo, che non esiste più una linea di confine tra me e te, tra noi e voi, ma che ci sono io negli altri, con gli altri e che tutti insieme dobbiamo ruotare intorno allo stesso asse, quello della sopravvivenza.