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Nella favola di Pinocchio dello scrittore Carlo Lorenzini detto il Collodi, il burattino di legno che vuole trasformarsi in un bambino vero deve divenire responsabile delle proprie azioni evitando le monellerie e le bugie per non arrecare dispiacere alle persone care.

Nella nostra quotidianità Pinocchio è un adulto che manifesta attitudine nel sottrarsi alle responsabilità ed agisce in modo iperattivo sempre proiettato verso nuove esperienze ma, una volta spentasi l’euforia, si trova intrappolato.

Parlando della sindrome di Pinocchio intendiamo fare riferimento ad un soggetto che può essere inquadrato come “bugiardo patologico”.

Lo psichiatra Michele Novellino affronta questa tematica nel testo intitolato “La sindrome di Pinocchio. I forzati della bugia. Come aiutare gli eterni bambini a crescere”. Potremmo supporre, prendendo proprio spunto da questo testo, che chi soffre della sindrome di Pinocchio si presenta come una persona portatrice di un disturbo narcisistico di personalità che si accompagna spesso anche ad una condotta antisociale.

L’adulto che soffre della sindrome di Pinocchio si è fermato ad uno stadio di eterno bambino e sembra proprio non volere crescere. Egli non sopporta le critiche, manifesta senso di grandiosità e ritiene che tutto gli sia dovuto ma nello stesso tempo tende ad isolarsi e non riesce a raggiungere i suoi obiettivi.  È caratterizzato dalla propensione a raccontare bugie ed è privo del senso di rimorso. Si tratta di un Pinocchio di età matura, che ha un vissuto difficoltoso, segnato da una profonda solitudine ma agli occhi delle persone si presenta come un adolescente capriccioso che non vuole crescere. Come in Pinocchio osserviamo l’inaffidabilità spesso accompagnata da una forte impulsività e da una tendenza a non considerare le conseguenze delle proprie azioni per sé e per gli altri.

L’altro viene vissuto come un mezzo per soddisfare i propri bisogni e ciò induce a pensare ad una mancata interiorizzazione dei valori etici.

Pinocchio nonostante i buoni propositi non ce la fa a maturare ma riesce sempre nel suo intento di ingannare gli altri. È spesso convinto di essere il primo ed è insofferente alle situazioni di frustrazione.

Tale sindrome non è rara in quanto il comportamento del raccontare bugie è presente fin dall’infanzia.

Ma se da bambini raccontare alcune bugie è ascrivibile ad un atteggiamento normale, non lo è con il passare degli anni.

L’arte del mentire è rilevabile in tutte le culture e possiamo altresì asserire che si può mentire con modalità diverse.

La psicologa Bella De Paulo ha classificato le menzogne in: assolute, ossia quelle in cui ciò che viene raccontato non corrisponde per nulla alla verità; esagerazioni, nelle quali si assiste ad un’amplificazione o ad una banalizzazione dei fatti; ambiguità, relativamente alle quali ci si trova di fronte a dichiarazioni apparentemente veritiere che però celano un inganno.

Le menzogne più frequenti sono quelle esplicitate per manipolare il comportamento dell’altro e sono principalmente proprie dei bambini che sostengono ad esempio di non aver commesso nulla al fine di evitare una punizione. Queste ultime vengono smascherate con facilità.

Esistono poi le cosiddette “bugie sociali” che sono spesso utilizzate e servono apparentemente a migliorare i rapporti tra le persone.

A nostro avviso le bugie non sono mai costruttive in quanto, anche qualora non vengano smascherate, lasciano nella persona un senso più o meno accentuato di disagio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come le bugie manovrano la nostra vita

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