Lavia è re Lear al Teatro Argentina

Appalusi alla fine dello spettacolo
Lavia è re Lear al Teatro Argentina di Roma
Dal 26 novembre 2024 Gabriele Lavia è in scena al Teatro Argentina.
Il maestro della scena teatrale torna a Roma con il debutto in prima nazionale di Re Lear.
Al Teatro Argentina di Roma è in scena l’eterna tragedia del potere
Re Lear (King Lear) è una tragedia in cinque atti, in versi e prosa, scritta nel 1605-1606 William Shakesperare.
La traduzione è a cura di Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari, la stessa versione di Strehler del 1972.
Nel ruolo di Lear, lo stesso Gabriele Lavia, dopo 40 anni dal debutto del 1972 che lo vide interprete del ruolo di Edgar nello spettacolo diretto da Giorgio Strehler.
- Applausi per Gabriele Lavia alla fine dello spettacolo
Lavia è da tempo acclamato protagonista e regista dell’opera shakespeariana.
È uno dei capolavori della drammaturgia shakespeariana che da oltre quattrocento anni custodisce le molteplici sfaccettature di un tempo ancora attuale.
Non a caso Re Lear è generalmente considerato una delle migliori tragedie di William Shakespeare.
La leggenda di Lear, re della Britannia
Scritto all’inizio del Seicento, il testo si basa sulla leggenda di Lear, re della Britannia, prima che diventasse parte dell’Impero Romano.
Re Lear (originariamente Leir) fu un re della Britannia vissuto nell’VIII secolo a.C., in un periodo poco precedente alla fondazione di Roma. La fonte è costituita dalla Historia Regum Britanniae (ca. 1130) di Goffredo di Monmouth.
La storia del re che rinuncia al suo potere e consegna il regno nelle mani delle figlie, per tornare ad “essere” soltanto un padre, affonda le radici nell’antica mitologia britannica.
La storia era già stata narrata in cronache, poemi e sermoni, ma che Shakespeare ha saputo rendere immortale tramite una pluralità di personaggi di potente drammaticità.
La nuova regia di Lavia ha un nutrito cast di 14 interpreti, tra cui: Giovanni Arezzo, Giuseppe Benvegna, Eleonora Bernazza, e Federica Di Martino.
Re Lear, l’eterna tragedia del potere
Re Lear racconta l’eterna tragedia del potere, dove si consuma la conflittualità del rapporto tra padri e figlie e figli.
Narra di vicende di paternità ed eredità e irrompe sulla scena attraversata dal campionario di passioni, tradimenti e miserie dell’esistenza umana, per questa nuova produzione del Teatro di Roma, realizzata in sinergia con Effimera e LAC Lugano Arte e Cultura.
- Appalusi alla fine dello spettacolo
Re Lear, al Teatro Argentina, una storia di “perdite”.
È un dramma a quadruplo intreccio, schema presente in molte opere dello stesso autore, nel quale la trama secondaria contribuisce a far risaltare e a commentare i vari momenti dell’azione principale.
Oltre alla trama secondaria che riguarda il conte di Gloucester e i suoi figli, la principale innovazione introdotta da Shakespeare nella vicenda è la morte di Cordelia e di Lear nel finale.
Nei secoli XVIII e XIX, la conclusione tragica fu soggetta a molte critiche, e furono scritte e rappresentate versioni alternative, in cui i personaggi principali si salvavano dalla morte e Cordelia sposava Edgar.
Perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità
La rappresentazione teatrale rende bene attraverso la bravura degli attori la tempesta in cui vive re Lear.
Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente.
La tempesta della mente dell’umanità, la morte dell’uomo che ha abbandonato il suo Essere.
Ed ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge.
E tutti sono travolti.
Colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza.
Il rapporto tra re Lear e il Matto
Il Matto è un giullare fedele a Lear e a Cordelia, anche se le sue relazioni con entrambi sono abbastanza complesse.
Benché senta la mancanza di Cordelia, non li vediamo mai insieme.
Ha un rapporto privilegiato con Lear: nessun altro potrebbe permettersi di trattare il Re come fa il Matto.
Quando Lear comincia a riflettere sui sentimenti degli altri e gli effetti delle sue azioni, pensa prima di tutto di aiutare il Matto.
Le parole di Lavia
Scrive Lavia nelle note di regia: “Essere o non essere” sono certamente le parole più importanti di tutto il Teatro Occidentale e, come sanno (quasi) tutti, le dice Amleto. Subito dopo “essere o non essere” Amleto dice: “Questa è la domanda”.
Come se la vita di ogni uomo, non solo di Amleto, che ogni uomo lo sappia o no, non fosse altro che porsi questa domanda.
Re Lear, invece, “nega” questa domanda e decide per il “Non essere”, non essere più Re.
Dare via il proprio “essere” (il proprio regno) è come dare via la propria ombra (come nel famoso romanzo).
Nel momento in cui Re Lear non è più Re è solo “Lear”. E che cos’è Lear se non è “più” Re? Non è che un “uomo”. Uno come tanti che non contano nulla. Non è che “nulla”. “Sono io Lear?” si domanderà disperato.
Il finale
Nel finale, con un colpo di genio, Shakespeare-Lear invoca le grida e il pianto di tutti gli spettatori come se fossero il Coro ideale per l’ultima scena del suo capolavoro.
Le grida e il pianto “dentro” il “silenzio degli spettatori”.
Un silenzio che è urlo di pianto. Forse il finale del Re Lear ci fa comprendere meglio il finale di Amleto: “Il resto è silenzio”».
Un lungo elenco di rappresentazioni e adattamenti
A partire dagli anni Cinquanta, ci sono stati diversi adattamenti di Re Lear, sia a teatro si al cinema. Celebre la prima rappresentazione teatrale nel 1972 con la regia di Giorgio Strehler al piccolo teatro di Milano, quella del 1984 con la regia di Glauco Mauri e del 1995 con la regia di Luca Ronconi a Roma al Teatro Argentina.
Tra le trasposizioni cinematografiche hanno lasciato il segno le magistrali interpretazioni nella parte di Lear di Orson Welles nel 1953 diretto da Andrew McCullough e nel 1983 con Laurence Olivier diretto da Michael Elliott, girato interamente a Stonehenge, in Inghilterra.
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