"Il muro" di Pillino Donati

L'Artista Pillino Donati posa davanti a una sua opera

Gesù come trait d’union fra l’Uomo e il suo Creatore.

Metti una sera a Locarno…

Mercoledì 7 agosto 2024. Locarno è pronta a inaugurare la 77ma Edizione del suo Film Festival, così come lo sono le autorità, i giornalisti, gli attori, i cinefili e i curiosi.

Le vie del centro storico indossano i colori dell’Evento: il giallo e il nero.

In concomitanza con l’Evento, in via alla Motta al civico 10, si accendono le luci di un’amena location ricavata nel seminterrato di un antico edificio: è un centro culturale che, in omaggio alla Città che gli fa da scrigno, prende il nome di “Vecchia Locarno”.

Tutto è Bellezza qui e nulla è lasciato al capriccio del caso: dai tappeti orientali alle luci, l’ambiente sembra modellarsi attorno alle opere d’arte che ospita.

Oggi è il giorno in cui apre i battenti ed è qui che incontro, oltre ad amici di vecchia data, “Pillino” Donati che espone, per l’occasione, alcune delle opere più significative del suo percorso artistico. 

Pillino

Camicia rossa a manica corta, pantalone bianco, accessori in tinta con la camicia. Impossibile non notare la ricercatezza degli accostamenti cromatici. 

“Si veste sempre così, in tinta” dice Maria Grazia, la sua bella e sorridente signora. 

“È attentissimo agli abbinamenti. Sceglie un colore e lo indossa, dalla testa ai piedi.” Pillino ci scherza un po’ su e si lamenta di un maglione inavvertitamente messo in lavatrice e infeltrito. 

“Come o quando non importa, ma quest’intervista s’ha da fare.” Penso, mentre l’Artista gira  il locale illustrando ai visitatori i suoi pezzi d’arte in tre dimensioni.

Gli esordi

Nato a Camogli nel 1948, Pillino esordisce nel 1961 con un’esposizione legata alle celebrazioni dell’Unità d’Italia. 

Dalla fine degli anni settanta, di ritorno dal suo lungo soggiorno parigino nel quartiere di Montmartre, allestisce mostre personali in varie città della sua Liguria. 

Per venticinque anni dipinge paesaggi marini e ombrelloni colorati, ma questo è solo l’inizio di un percorso di ricerca che lo porterà dal mare, al muro.

Ma andiamo per gradi.

I Mentori

Come in ogni Arte che si rispetti, Pillino prende ispirazione dai grandi: Fontana per la tridimensionalità, Burri per la pittura materica, Rotella per il manifesto. 

“Per arrivare a un terreno incolto, bisogna imboccare un sentiero che attraverserà terreni altrui. È comunque l’unico modo per addentrarsi in un qualche cosa che puoi considerare anche tuo.” Dice.

Eppure, pur calcandone le orme, Pillino si distingue dai suoi Maestri per concettualità, ed è già pronto a volare con le proprie ali. 

Oltre il muro, la musica.

Il muro

Pillino proviene da un’esperienza politica piuttosto impegnativa, ribellandosi a ogni forma di corruzione. Un giorno, dopo aver strappato tutte le sue tessere di appartenenza, decide di scrivere sui muri i suoi messaggi di protesta. 

Ma… Anziché dipingere sui muri delle strade, inizia a comporre dei quadri con muri artificiali.

Il muro come pagina di memoria

“Dalle grotte dell’uomo preistorico in avanti, tutto quello che noi conosciamo della nostra storia ci è stato trasmesso attraverso i muri. Il muro è la spugna della memoria della vita dell’uomo. Se non ci fossero stati i muri, noi non avremmo conosciuto nulla del nostro passato. Inoltre, l’uomo ha sempre voluto affidare la memoria delle proprie imprese al muro. Uno degli esempi più eclatanti sono i geroglifici degli antichi egizi, dove tutti i fatti storici venivano rappresentati sui muri. Quando qualcuno compiva un atto malsano e veniva allontanato o ucciso, non c’era peggior disonore che cancellare gli scritti dal muro a suo riguardo, come a cancellarne per sempre l’esistenza. Le targhe poste sui muri in onore delle persone alle quali sono dedicate, hanno la stessa funzione: affidare al muro la memoria della persona cui la targa appesa si riferisce.” Spiega Pillino ai visitatori di una delle sue personali, tenutasi a Castel Dragone, Camogli. 

Il muro delle contraddizioni

L’Artista prosegue: “Il muro parla, molte volte urla in maniera drammatica. Bisogna saperlo leggere e vedere. Nel muro ci sono tutte le contraddizioni dell’Uomo di oggi. Il muro protegge, ma può anche limitare la libertà. C’è un muro che ti impedisce di vedere, ma proprio perché ti impedisce di vedere diventa quella famosa siepe di leopardiana memoria che ti fa andare oltre con la fantasia, facendoti passare dall’immanente al trascendente.”

Il muro come specchio dell’anima

“Si può dipingere non solo quello che si vede, ma anche quello che si sente. Ed ecco che ciascuno può catturare, dell’opera d’arte, ciò che più risuona con il proprio animo.” 

 

Pillino Donati 2015
La locandina di Art Expo New York City 2015

All’improvviso, la spaccatura…

Dal muro, durevole memoria delle gesta dell’Uomo, alla spaccatura: elemento tridimensionale infinito che rompe il muro fittizio del quadro di Pillino per creare un collegamento con il muro reale retrostante al quadro, offrendo alla mente umana mutevoli possibilità di lettura dell’opera pittorica. 

Ed è proprio questa la differenza fra Pillino e Fontana: l’opera di Pillino cambia al mutare del muro reale sul quale viene sovrapposta. 

Di questo essenziale, caratteristico elemento, l’Artista dice: 

“Prima della spaccatura ho lavorato sempre sul muro come pagina della memoria. Poi è arrivata la spaccatura che, nei miei primi quadri, era aperta e lasciava intravedere il muro sottostante. Era interessante far entrare il muro vero nell’opera, che da statica diveniva dinamica, cambiando la sua cromia a seconda del muro sul quale veniva di volta in volta appoggiata. La spaccatura è stata un pretesto per inserire la fantasia. La memoria infatti, essendo una cosa che finisce a oggi, limitava le mie argomentazioni pittoriche nel riprodurre sempre le stesse cose. Con la fantasia invece, elemento di ispirazione illimitato, puoi andare dove vuoi. A un certo punto quindi il muro, attraverso la spaccatura, è diventato un sipario sulla fantasia. Le persone, poi, tendono a riempire quella frattura con la propria immaginazione. Ed ecco che l’opera diventa molto più coinvolgente e interattiva. Nella spaccatura, poi, ho inserito delle immagini prese da manifesti che hanno già vissuto la loro esperienza uomo – muro. In questo modo, le immagini vengono immerse in un’altra contestualità artistica. Poi ho chiuso la spaccatura inserendo nel retro un altro fondo, e questo mi ha permesso di approfondire ulteriormente la mia ricerca.” 

J: Giuseppe Donati, in arte “Pillino”. Inizialmente era Pilino. Come nasce il tuo nome d’arte e quando si è aggiunta la “l” in più?

P: Pillino è nato con me. Quando sono nato, avevo un fratello che cominciava a parlare e anziché dire “fratellino” diceva “pillino”. E così mi hanno sempre chiamato Pillino. Quando sono andato a Parigi, nel 1970, mi chiamavano “pilinó” e con questo soprannome ho firmato alcuni dei miei primi quadri. In seguito avrei firmato i miei quadri “Pilino”, senza accento finale sulla “o”, fino al 2000. Nel 2000 ho aggiunto la seconda “l”. Questo perché io dipingo per periodi, e non metto mai le date sui quadri che faccio. Però ho voluto inserire nelle mie opere degli elementi che possano stabilire il periodo in cui sono state realizzate. Quindi, i quadri firmati “Pilino” sono antecedenti al 2000. Quelli firmati “Pillino” sono posteriori al 2000. 

J: A che età hai cominciato a dipingere e come ti è venuta l’idea di dedicarti a quest’arte per tutta la vita?

P: In realtà ho sempre dipinto. Ho dei ricordi legati alla pittura che molto probabilmente risalgono a quando avevo due anni, due anni e mezzo. Ricordo che mia madre mi dava ancora la manina, io non ero ancora autosufficiente a camminare… Ed era facile imbattersi, a Camogli, in pittori all’opera en plein air. Quando vedevo un pittore che dipingeva, volevo restare accanto a lui e non me ne sarei mai più andato. Mia madre era costretta a portarmi via tra strilli e pianti, perché non voleva che disturbassi. Ti parlo di pittori come Raimondi, pittori scomparsi ormai da decenni… Raimondi era un grande acquerellista. Ricordo Romolo Pergola, con i suoi gessetti… E altri come loro, passati alla storia come pittori molto importanti. 

Nonostante abbia iniziato prestissimo, non ho mai pensato che la pittura potesse diventare un lavoro. Era il mio grande hobby. Quando partivo per le ferie, portavo con me il cavalletto, le tele e i colori.

A un certo punto ho cominciato a fare delle mostre via via sempre più importanti, e la passione per la pittura ha prevalso sul lavoro che svolgevo in ambito finanziario, che mi dava un reddito elevatissimo. Avevo un lavoro splendido, penso che nessuno al posto mio avrebbe avuto il coraggio di abbandonare. Io l’ho fatto per amore della pittura. Oggi sono contento, comunque, di aver fatto questa scelta. Potendo dedicarmi totalmente alla mia arte, mi si sono aperti degli orizzonti… Non sarebbe stato lo stesso, se avessi relegato la pittura al tempo libero, nei fine settimana.

J: Che impronta hanno lasciato in te, mentori come Burri e Fontana? 

P: Burri e Fontana li ho acquisiti naturalmente. Burri ha elevato la materia alla nobiltà dell’arte. E io ho elevato il muro, che è la materia per eccellenza, a questa nobiltà. Fontana, con i suoi tagli, la tridimensionalità e i suoi concetti spaziali, mi ha consentito di andare oltre con la spaccatura, che è un superamento del concetto di Fontana. In effetti quando mi sono trovato, più di una volta, davanti alle opere di Fontana e di Burri in particolare, ho sempre provato delle emozioni fortissime che nessun altro pittore mi ha mai dato. C’è stato questo legame inconsapevole, che ci ha unito. Sai, io penso che un Artista sia un pessimo critico. L’artista vede e apprezza particolarmente le opere degli Artisti che sente a lui vicini, e molto probabilmente non è in grado di valutare con altrettanta obiettività opere d’arte che risultano essere un po’ lontane dal proprio pensiero filosofico e artistico.

J: Nella tua arte, la pittura, i colori sono come le parole per un poeta e le note per un musicista. Esiste, per Pillino artista e uomo, un rapporto fra i colori, le parole e le note?

P: Certo che c’è un rapporto fra colori, parole e note. Per noi che siamo credenti poi, sono cose che elevano il nostro spirito e ci uniscono, proiettandoci verso la dimensione spirituale del Signore. Devo dire che riconosco nella parola e nella nota musicale quell’eternità che non ha il colore. Perché la parola e la nota musicale rimangono inalterate per sempre. La parola è sufficiente che uno prenda il libro e lo legga, e la musica, basta suonarla e ascoltarla, è sempre quella. Mentre invece il quadro col tempo ahimè è destinato a deteriorarsi, non c’è niente da fare… Vediamo come le grandi opere dei grandi maestri sono soggette a continui restauri. Ovviamente questo fa sì che un quadro anche importante restaurato oggi, restaurato domani… Col tempo del lavoro primitivo rimane l’idea… La pennellata che ha fatto Michelangelo nella Cappella Sistina piano piano col tempo non c’è più. Su quelle pennellate si saranno sovrapposte tutte le pennellate dei restauratori che nel tempo avranno agito su quell’opera. Comunque certamente il colore è un elemento importantissimo nella mia pittura, specialmente negli ultimi quadri che sono diventati monocromatici. Qui il colore serve a mettere in risalto la spaccatura, che diventa l’essenza di tutto ciò che il muro rappresenta. 

J: Sarebbe bello vederti esporre in sinergia con poeti e musicisti in un’unica installazione. Ti è mai stata proposta la realizzazione di un’installazione dedicata a queste tre arti armonizzate tra loro su uno specifico argomento? Ti piacerebbe partecipare a un progetto di questo tipo?

P: È un’esperienza che ho già fatto verso la fine degli Anni Ottanta. Ho partecipato per parecchi anni a una manifestazione che si chiamava “Percorsi”, che vedeva l’interazione di diversi artisti, operare negli stessi spazi. Io allora facevo delle installazioni in spazi che sceglievo, e poi questi spazi venivano occupati da altri artisti con altri tipi di performance, come ad esempio la danza. È stata una delle manifestazioni più interessanti alle quali abbia mai partecipato. Era davvero molto emozionante. “Percorsi” è stata ripetuta con successo in varie città d’Italia, arrivando a coinvolgere più di cinquecento artisti a livello nazionale. È interessante vedere l’interazione di più artisti. 

Tanti anni fa ho realizzato dei quadri su Abdulah Sidran (scrittore, poeta e sceneggiatore bosniaco scomparso lo scorso 23 marzo 2024 ndr), considerato il grande poeta di Sarajevo. Sidran ha scritto un libro di poesie meraviglioso, tradotto in Italiano da Silvio Ferrari. Ne ho inserite alcune nei miei quadri, che poi sono stati esposti a Portofino in varie occasioni. In una di queste ha presenziato il Poeta, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere personalmente. Mi ha detto: “Vedi Pillino. Le parole riempiono il vuoto che separa le persone, ma non le uniscono.”

Quando gli artisti si incontrano, nascono grandi cose. E questa credo sia una grandissima verità.

J: Di tutti i temi che hai affrontato nel tuo percorso artistico e che hanno contraddistinto i tuoi “periodi”, ce n’è uno che ti sta particolarmente a cuore?

P: Di argomenti che mi stanno a cuore ce ne sono tanti. Ovviamente io mi esprimo attraverso la pittura… Il lavoro che sto portando avanti tuttora è quello della Parola del Signore. I miei quadri tentano di spiegare come la fede possa modificare l’arte, il pensiero, la vita di una persona. È indubbio che la fede abbia costituito un punto di svolta importantissimo nel mio lavoro, dandomi anche obiettivi diversi. Se prima infatti correvo dietro al successo a ogni costo, adesso il successo per me è già poter fare quello che sto facendo. Se poi sarà riconosciuto e quando, non è una cosa che mi preoccupa più di tanto. 

J: Ti consideri un Artista di successo? 

P: Penso che non siano molti gli artisti che hanno avuto occasione di fare mostre come ho fatto io, spaziando da Hong Kong a New York, da Parigi a Roma, da Milano al Sudafrica. Sono stato un po’ in tutto il mondo. Uno dei miei quadri è in un museo a Bruxelles, altri sono esposti in musei in Sudafrica, così come quello che ho fatto in occasione della liberazione di Nelson Mandela.

Devo dire che nella mia carriera artistica ho avuto notevoli riscontri rispetto al valore del mio lavoro. Ora si tratta di riuscire a entrare nel circuito commerciale che conta… E questo è l’aspetto più difficile, perché tocca l’aspetto speculativo dell’arte, un aspetto che non mi interessa molto. Ed è anche il motivo per il quale solitamente  gli artisti diventano importanti quando muoiono. Quelle gallerie che oggi non fanno proposte a determinati artisti, perché non hanno degli specifici interessi economici a farli crescere, un domani, quando muore un artista, vanno sul mercato e cercano di appropriarsi del maggior numero possibile delle sue opere, così da determinarne anche il valore. Ed ecco che l’artista cresce. 

J: Cosa fa di un’opera una vera opera d’arte, secondo te? 

P: Non esiste nessun critico, nessun giudice che possa stabilire che un’opera è un’opera d’arte. È il tempo, l’unica critica. Il tempo è l’unico vero giudice del lavoro di un artista. Perché quando l’artista sarà morto, quando saranno passati cinquant’anni dalla sua morte, se le opere di quell’artista diranno ancora qualcosa, vorrà dire che sono delle opere d’arte. 

Ho visto le opere di artisti considerati importanti in vita, sparire alla loro morte. Le importazioni dei loro quadri cadere in picchiata. L’importante, per me, è provare la gioia e il piacere di fare quello che faccio. Di questo io sono abbondantemente appagato. 

J: In che modo la tua fede si riflette sulle tue opere d’arte?

P: I quadri che io faccio con la Parola del Signore sono quadri che a mio giudizio rispettano perfettamente la Sua volontà. Non ci sono immagini, non ci sono statue nei miei lavori. I miei quadri mettono in risalto il concetto della Parola. I concetti di quello che il Signore ci ha insegnato. In molti dei miei quadri, addirittura, ci sono i versetti della Bibbia. È quello che conta. Rispettare e fare la volontà del Signore. 

 J: “… Come la nube sospinta dal vento s’avvolge e nera s’addensa e finalmente libera la pioggia a dissetare l’arsa terra, così Mandela libero disseta chi di speranza vive”.  Sei tu l’Autore di questa bellissima poesia, trascritta nell’opera che oggi fa parte di una collezione privata in Sudafrica?

Opera dedicata a Nelson Mandela, in occasione della sua liberazione

P: Sì, sono io che ho scritto questa poesia, in occasione della liberazione di Mandela nel febbraio del 1990. Questo quadro è stato consegnato a Genova, in occasione della visita dell’ambasciatrice del Sudafrica, la Signora Nomatemba Tambo, figlia maggiore di Olivier Tambo, compagno di università e di battaglie politiche di Nelson Mandela. È stato emozionante, perché quando ho consegnato il quadro ho tenuto un discorso e condiviso la mia fede nel Signore. L’ambasciatrice si è commossa alle lacrime, è scesa dal posto dove era seduta ed è venuta ad abbracciarmi. È stata un’esperienza commovente e bellissima. E pensare che non avevo preparato nessun tipo di discorso! Avevo solo chiesto al Signore di darmi le parole giuste. In effetti, le parole che mi ha dato hanno sortito l’effetto che Lui voleva.  

J: Grazie per la nostra chiacchierata, Pillino.

P: Grazie a te, a tutti voi!

L’Artista Pillino Donati posa davanti a una sua opera
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