Pessimismo: il fil rouge tra graffitismo e vandalismo

 

Assistiamo in questi giorni ad atti vandalici nei confronti di statue come ad esempio quelle di Cristoforo Colombo a Richmond e a Minneapolis che sono state abbattute e a Boston e a Miami che sono state danneggiate.

Le proteste negli Stati Uniti sono sempre più intese anche in seguito alla morte di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso a Minneapolis.

A macchia d’olio, come il Covid-19, si diffonde la distruzione.

A Bristol viene gettata in mare la statua del filantropo Edward Colston.

A Londra la statua di Winston Churchill e a Milano quella di Indro Montanelli sono state imbrattate.

Si distrugge forse per costruire?

Ma gli atti vandalici sono l’unica modalità per ricominciare?

Ci troviamo di fronte ad una pandemia che sta contagiando le statue di tutto il  mondo.

La distruzione potrebbe essere simbolo di un grave sofferenza sia fisica che psichica che sta colpendo l’umanità.

Osserviamo il declino di un mondo in conflitto dove l’unica modalità per rinascere è la fine di tutto o di una parte del tutto.

Il fenomeno al quale stiamo assistendo è manifestazione di un’aggressività e di un malessere che si  esprimono attraverso atti distruttivi eterocentrati.

È risaputo che, anche nell’arte, il fenomeno della distruzione è rilevante e in questo  caso espressione di un’aggressività e di un malessere autocentrati e specchio del disagio sociale.

Ne è esempio l’artista Banksy che ha distrutto, tramite un meccanismo inserito nella cornice, la sua opera “Girl with balloon” durante la vendita della stessa alla casa d’asta Sotheby’s.

L’opera distrutta dell’artista di Bristol, ribattezzata “Love is in the bin”, è rinata con questo clamoroso gesto in nuova forma.

Banksy quando realizza i graffiti per cui è noto, oltre a non farsi riconoscere, deve  anche badare a non farsi catturare dalle forze dell’ordine.

Impiega così la maggior parte del suo tempo a ritagliare sagome che poi utilizza solo per pochi minuti quando  dipinge con spray acrilico i muri dei palazzi.

L’atto vandalico in questo caso diviene opera d’arte perché è legittimato dalla società in quanto prodotto artistico.

Naturalmente, se Banksy venisse scoperto, rischierebbe l’arresto come è successo ad artisti come Haring.

Ci chiediamo se il graffito nella sua forma illegale, cioè quando non si hanno i permessi per realizzarlo e quindi danneggia una proprietà, sia espressione di una  denuncia sociale ove prevale un atteggiamento pessimistico nei confronti della società.

Banksy mette in atto un tentativo di rivoluzione contro ciò che è vissuto come ingiusto e riconosce la sofferenza dell’uomo passando da un processo introspettivo  caratterizzato dal pessimismo ad una ribellione, proponendo una forma d’arte peculiare.

Ma distruggere una statua è forse espressione di un vissuto pessimistico dove il  vandalismo prevale come ritorno ad una modalità primitiva di risolvere i conflitti? 

Distruggere le statue di personaggi del passato può servire per ricostruire?

Sono questi gli interrogativi che ci poniamo.

Possiamo sostenere che il fil rouge che unisce coloro i quali compiono un atto vandalico su delle statue a coloro che realizzano un graffito sui muri sia l’atteggiamento pessimistico nei confronti della società.

Tutto ciò ci riporta alla poetica di Leopardi dove prevale il tema centrale della condizione umana. Scrive Leopardi nello Zibaldone:

“La ragione è nemica d’ogni grandezza; la ragione è nemica della natura; la natura è grande, la ragione è piccola”.

Ed è così che Leopardi elabora il concetto di “pessimismo storico”.

Troppo progresso ha permesso alla ragione di prevalere sulla natura e la visione del  mondo che ne consegue è pessimistica.

La fragilità dell’uomo che vive un malessere senza precedenti è esplicativa di ciò che sta succedendo in questo momento.

Ma la visione del mondo di Leopardi segue un mutamento e il pessimismo si addolcisce nella speranza di un recupero della lealtà e  dell’equilibrio.

Solo questi valori possono permettere un recupero della solidarietà umana.