Quando la casa è l’ultima spiaggia

“ L’économie du couple “, è il titolo originario del film “ Dopo l’amore “ del regista belga quarantenne Joachim Lafosse che, arrivato al suo settimo lungometraggio, mette ancora una volta al centro delle sue ricerche, la famiglia, luogo di tragedie maturate quotidianamente.

Il film, presentato nella sezione Quinzaine des réalisateurs dell’ultimo Festival di Cannes, ci racconta la storia, tanto universale quanto banale, di una coppia in crisi dopo 15 anni di vita in comune.

Marie ( Bérénice Béjo ) e Boris ( Cédric Kahn ) si stanno separando, nonostante la nascita di due gemelle. 

La casa è di lei, che ha un lavoro e proviene da una famiglia benestante, mentre lui ha difficoltà economiche, trova solo lavori saltuari, non ha la possibilità di trasferirsi altrove.

L’abitazione è un appartamento open space, a piano terra con giardino, un ambiente luminoso, con parquet di legno chiaro, arredato con mobili antichi e sedie moderne.

Ma proprio questa casa diventa sempre più uno spazio claustrofobico, il luogo in cui si consuma la fine di un amore, l’ambiente in cui si svolge il dramma borghese di una coppia arrivata a fine corsa.

L’abilità del regista emerge qui: nel raccontare la fine di una storia, in cui, i due protagonisti, sono chiusi in un interno che ne amplifica il conflitto.

 Marie e Boris cercano di trovare i propri spazi e di rivendicare i propri diritti in una casa ancora in comune.

Un tempo, questo ambiente era luogo di affetti domestici (che ancora ritornano nei balli e nei canti delle bimbe).

Ora, è diventato solo il domicilio coniugale della coppia, obbligata alla coabitazione, in attesa del divorzio.

E’ uno spazio ristretto (pochi piani sequenza tutti all’interno dell’appartamento), in cui implode il loro amore, giorno dopo giorno.

I due litigano sul valore della casa: la casa è di chi l’ha comprata o di chi l’ha rinnovata raddoppiando il valore?

 Dunque, prima di tutto, si litiga per i soldi.

Troppo spesso, in una coppia, il denaro diventa il mezzo migliore per dominare l’altro, un ricatto economico per controllarlo, per imporgli la propria volontà, ma anche un ricatto psicologico per far pagare all’altro il fallimento della relazione.

 I due, però, pur trovando, ogni giorno, l’argomento casa su cui litigare, sanno bene che la ragione del litigio è altrove.

Infatti, il loro è anche uno scontro sociale: il conflitto di classe tra Marie, donna borghese, benestante che ha comprato la casa con i soldi ricevuti in eredità dal padre e Boris, proletario che ristruttura appartamenti con un lavoro fisico.

Ma, il loro conflitto è pure scontro caratteriale, tra lei, rigida ed antipatica e lui, inaffidabile ed inattendibile.

La loro problematica vita quotidiana è una continua guerra psicologica tra l’autorità di lei, che stabilisce regole, e la trasgressione di lui, che le viola volontariamente per rivendicare la sua libertà.

Lui si sente umiliato dall’incapacità di mantenere la famiglia, lei è sempre di pessimo umore e non sopporta neanche più la vista dell’uomo che aveva tanto amato.

Così, nelle discussioni economiche, i rancori, i fastidi e le intolleranze di Marie si scontrano con la vita meno strutturata di Boris.

Lei non sopporta i comportamenti infantili del marito e lui non perdona alla moglie di averlo lasciato.

Inoltre, il loro collasso coniugale diventa smacco genitoriale, perché nonostante il comune sforzo di salvaguardare le bambine, i due coniugi abdicano al loro ruolo ogni volta che consumano in diretta, dentro quella casa, sotto gli occhi delle figlie, la fine del loro amore.

La rappresentazione dei due protagonisti è sublime e porta lo spettatore in quella zona d’ombra in cui implacabilmente, dopo l’amore, si arriva allo scacco di una relazione, al disamore di una coppia che non sa più accordare i propri sentimenti, regolare i propri conti.

Sulla scena si alternano le responsabilità genitoriali nei confronti delle figlie (che sfidano la mamma ed il papà e li invitano a dimenticarsi per il tempo di una canzone ) con le tenerezze intermittenti di una coppia che fatica a sciogliersi, con i rancori costanti di due individui armati dalle debolezze dell’altro.

Il regista tratteggia i difetti ora dell’uno, ora dell’altra, senza però mai prendere posizione.

Né, altrettanto, lo spettatore riesce a scegliere da che parte stare, perché, in ognuno di noi, abitano sia Marie che Boris. Volutamente, nell’economia della coppia, il bilancio è pari: nessuno dei due ha torto, entrambi hanno ragione. Lei gli rinfaccia di aver dovuto mantenere la famiglia per 15 anni per gli scarsi introiti di lui.

A questo punto, lui le rinfaccia il lavoro, il tempo e più di tutto l’amore, impiegato nella ristrutturazione della casa.

Nessuno dei due vuole cedere, rivendicando il contributo alla creazione di un legame che ormai si è trasformato in rabbia, quella di aver perso tempo con una persona che non si sopporta più.

L’economia di coppia è dunque un sistema complesso, in cui la valutazione delle quote di proprietà della casa, diventa stima dei ruoli rivestiti.

Cedere sulla casa è lasciare all’altro tutto quello che quella casa ha rappresentato per sé.

Così, Lafosse, termina il suo film con un finale aperto e all’aperto, che fa respirare ambiente e personaggi, un accidente che determinerà una presa di coscienza provvidenziale per Marie e Boris.

” Dopo l’amore” infatti si conclude con una memorabile scena di commiato, in cui il “vi vorremo sempre bene” di Marie ed il “ forse non ci separeremo, rimarremo tutti insieme qui “ di Boris, lascia nello spettatore la speranza o, forse l’illusione, che non sia finita del tutto, per sempre.

 

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