Recovery found, il paese che dice ed il paese che c’è.

La proposta relativa al Recovery Fund, il principale strumento di intervento elaborato dei paesi dell’Unione durante l’intera fase pandemica, alle fine è arrivata.

L’iniziativa verrebbe assunta per un ammontare di fondi rilevante: circa 750 miliardi di cui 500 a fondo perduto e 250  sotto forma di prestiti.

 

Al nostro paese andrebbero circa 170 miliardi di cui 81 a fondo perduto e circa 90 miliardi sotto forma di prestiti a lunga scadenza.

Gli aiuti, nella modalità del finanziamento, verranno concessi prevalentemente ad Italia, Spagna  Grecia, Polonia e Portogallo, per gli altri, i “paesi virtuosi”, Germania in testa, ci saranno solo finanziamenti a fondo perduto (grants).

Le misure di sostegno per i paesi membri dell’Europa si articoleranno su un asse principale di aiuti, il Recovery and Resilience Facility, ed altre misure per sostenere le politiche di coesione, la transizione ecologica, le economie rurali, la ricapitalizzazione delle imprese in difficoltà, la sanità e la ricerca.

 

 

Le modalità per accedere alle misure di sostegno dovranno assumere la forma di Piani di recupero e Resilienza (Recovery and Resilience Plans) che gli Stati membri dovranno presentare annualmente per avere accesso alle tranche di contributi messi a disposizione.

I Piani annuali dovranno contenere riferimenti precisi alle riforme che ogni paese dovrà avviare per rinforzare il potenziale di crescita dell’economia attraverso riforme ed investimenti, rinsaldare la coesione dell’Unione ed accelerare la transizione green e digitale.

La Commissione per i  prossimi quattro anni verificherà la coerenza dei Piani di rilancio nazionali con gli obiettivi del bilancio europeo.

Il Recovery fund o meglio il Recovery and Resilience Facility verrà discusso dai paesi aderenti nel prossimo Consiglio del 18 giugno ma non è chiaro quando diventerà operativo.

Si temono gli agguati dei paesi del blocco nordico (Svezia, Finlandia Danimarca, Belgio) ed eventuali impasse amministrative che potrebbero far slittare le decisioni finali dopo la pausa estiva.

Si tratta di un pacchetto di aiuti ridondante che nasconde tuttavia insidie e parziali verità che separano, da mesi, il paese legale da quello reale.

Un gioco delle parti al quale, purtroppo, la comunità civile ha finito per abituarsi.

Il rituale, del resto, è sempre lo stesso: da un lato il problema da gestire, dall’altro la soluzione che arriva sulle ali della ribalta e usa moduli comunicativi da “social media”, quanto più celebrativi tanto meno credibili.

Un rituale andato in scena nei giorni più difficili della pandemia con il varo delle prime misure di contrasto al virus e improntate alla gestione della necessità da un governo goffo che non conosceva minimamente l’esistenza di un Piano nazionale pandemia già operativo dal 2002 la cui attuazione avrebbe evitato inganni ed errori molto gravi.

Un rituale riproposto nei decreti inadeguati emanati a sostegno del nostro paese stretto da una crisi pandemica e da uno shock di liquidità finanziaria senza precedenti che ha investito famiglie, lavoratori ed imprese seminando terrore e povertà.

Un rituale, infine, che i politici al governo hanno rappresentato per mesi in ordine al reale  funzionamento degli aiuti europei attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità “senza condizioni” e più in generale sulle iniziative politiche avviate in ambito comunitario senza  l’ampio coinvolgimento delle assemblee legislative del nostro paese.

Ci troviamo di fronte ad una fase molto complessa del funzionamento democratico delle nostre istituzioni rappresentative perché lo stato d’emergenza

 ha sdoganato definitivamente il valore morale e politico della comunicazione  dando legittimità alle verità confuse, alle ritrattazioni più o meno pubbliche, agli annunci plateali e smentiti il giorno seguente, alluso dell’informazione mediatica per esclusive finalità di bottega.

In questa direzione non ha più importanza affermare chiaramente che il Meccanismo Europeo di Stabilità prevede programmi di aggiustamento economico imposti ai paesi in difficoltà o che il rifinanziamento delle imprese, garantito con i soldi pubblici, sarà principalmente a beneficio dei grandi gruppi con le sedi legali nei paradisi fiscali piuttosto che delle piccole imprese artigiane ed industriali in avanzate condizioni di epossia finanziaria.

Non servirà molto parlare delle complesse misure presentate il 27 maggio scorso dalla Commissione con un titolo ambizioso che evoca un’immagine d’Europa forte e resiliente da consegnare alle prossime generazioni, Next Generation EU, ma che dimenticano di dire che gli interventi non avranno effetti immediati e che non ci sarà un Piano Marshall per imprese e privati in difficoltà.

La stessa idea di un’Italexit brandita come una risposta populista alla crisi delle istituzioni comunitarie e per la quale è in corso la presentazione di un progetto di legge costituzionale d’iniziativa popolare  da parte del Movimento Italia Libera, potrebbe macchiarsi delle stesse asimmetrie comunicative in voga nei salotti del potere rendendo più impervio un percorso di rilancio delle economie periferiche.

La sensazione è che la Politica stia tradendo la sua stessa natura e che dietro ogni parola si annidino duplici obiettivi lasciati volutamente aperti al malinteso ed alle interpretazioni parziali.

Il Piano Recovery and Recilience Facility presentato, così come il Mes, sarà accompagnato da condizioni e da programmi di condizionamento e di indirizzo delle riforme dei paesi membri che dovranno essere in linea con le ipotesi e le proiezioni della Commissione e delle istituzioni europee, Consiglio e Parlamento.

L’immagine di un Europa a doppia velocità, diversa da quella raccontata e rappresentata, ritorna prepotente e questa volta porta con sé la complicità della classe dirigente e di parte dell’opinione pubblica.

Del resto la società civile è distratta dalla complessità della fase 2 dove la paura dei nuovi focolai infettivi, le bollette da pagare, gli avvisi bonari di Equitalia, la macchinosità delle riaperture, il grave shock di liquidità e  l’assenza di politiche concrete di sostegno agiscono da potente narcotico civile e sociale.

La gente non ha più tempo per arrabbiarsi e protestare, non ha più voglia di decifrare il politichese ed il senso recondito dei twitter che hanno sostituito l’informazione politica ufficiale e democratica.

Non stupisca in questo contesto che la frattura tra lo Stato di diritto ed il paese reale diventi sempre più profonda.

Non stupisca che in questa dimensione “sospesa” la democrazia lasci scoperto il fianco liberale a rigurgiti di un populismo estremo che porterà alla nascita di nuovi movimenti di contestazione o peggio ad iniziative politiche inopportune e premature.

La pandemia ha dato risalto alle contraddizioni da tempo esistenti nella società parallela, evidenziando i limiti della Politica, dei Partiti Politici, del sistema pubblico e  dello Stato.

E’ in crisi l’apparato pubblico con le sue istituzioni prese d’assalto e saccheggiate per anni dalle classi al potere.

Per questo motivo prima di pensare ad un nuovo assetto politico in Italia ed in Europa è   necessario riscoprire le costituenti di una coscienza individuale e collettiva per dare vita ad un Nuovo Contratto Sociale che aggiorni i diritti ed i doveri del principio di cittadinanza nella società, nell’economia, nell’amministrazione pubblica, nel mondo del lavoro e della formazione, nella sanità e nella giustizia.

La “next generation”, in italia in Europa e nel Mondo,  non può nascere con il peccato originale dell’inganno: merita decisamente di più.

Per questa responsabilità collettiva, al di là delle divisioni, si dovrà ricominciare a dare senso e contenuti alle “parole”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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