Aspetterò la notte, se potrò vivere ancora

(…) Aspetterò la notte, se potrò vivere ancora, per andarmene un po’ a piedi sulla strada maestra che attraversa il nostro villaggio, avvolto nella mia dorata solitudine, allo scopo di capire perchè devo morire.(…)

“Pilota di guerra”- Antoine de Saint-Exupéry

Anna ha soltanto otto anni ed è una bambina molto bella, il suo corpo è esile, il viso ha lineamenti delicati, i capelli neri sono raccolti in lunghe trecce.

Quella mattina di primavera Anna non sta giocando con le amiche, i suoi genitori non hanno voluto che si allontanasse da casa, eppure sembrava una domenica come tante altre.

Nell’atteggiamento degli adulti traspare tuttavia un pò di nervosismo, parlano con tono grave e preoccupato, talvolta alzano lo sguardo al cielo voltandosi in direzione di Palermo, dalle colline la città appare nel suo lungo dispiegarsi di abitazioni fino al mare.

Improvvisamente tutto cambia: dapprima il prolungato avvertimento delle sirene antiaeree, seguito dal rumore assordante dell’incursione aerea e immediatamente dopo da quello terribile delle bombe, innumerevoli bombe, per un tempo che sembra non finire mai. Scappano tutti disordinatamente, si barricano impauriti dentro casa, le donne pregano sommessamente mentre gli uomini lo fanno in silenzio. 

Anna trema, abbracciata alla mamma tiene gli occhi chiusi, si tappa le orecchie con le mani nel tentativo di non sentire quello che accade fuori ma le esplosioni delle bombe, seppur distanti, fanno ugualmente paura. 

E’ il mese di maggio del 1943 e le truppe alleate stanno decidendo le sorti della Seconda guerra mondiale: sbarcate in Africa hanno postazioni in Marocco e in Algeria, per cui la Sicilia ed il porto di Palermo assumono un’importanza primaria ai fini strategici. 

Al comando della VII Armata vi è il generale George Smith Patton, figura fondamentale nella campagna di Sicilia che decide di sferrare sulla città l’attacco aereo finale, dopo quelli devastanti cominciati a febbraio e proseguiti in maniera sistematica fino ad aprile. 

Tra le tante sarà ricordata a lungo l’incursione aerea del 22 marzo quando alle 15,35 i bombardieri americani attaccarono il porto, fu l’ultima incursione di quel mese ma per le devastazioni subite rimase a lungo nella memoria di chi vi assistette: l’attacco vide impiegati nella missione 24 bombardieri di stanza in Algeria carichi di bombe da 500 libbre, ovvero 227 Kg di tritolo. Tutto ciò che era presente in quella zona per un’area di 13 ettari fu distrutto, dalle navi ai magazzini. La nave Volta, ovvero la santabarbara, era carica di munizioni ed esplose provocando una colonna di fumo alta 4.500 metri. Il fuso di una delle sue ancore verrà proiettato ad 800 metri di distanza finendo nel luogo dove si trova,oggi come allora, la Banca d’Italia. L’acqua sollevata dall’esplosione allagherà anche un rifugio antiaereo sito sul molo per i 24 operai portuali, che proprio li avevano sperato di trovare protezione, non vi sarà scampo.

Toccherà la stessa sorte anche agli sventurati che il 17 del mese di aprile durante l’ennesima incursione dal cielo avevano cercato scampo nel riparo aereo dietro la Cattedrale, a piazza Sett’Angeli: una delle bombe infatti riesce a penetrare nel rifugio uccidendo tutti coloro che vi si trovavano, in gran parte donne e bambini. Il numero ufficiale delle vittime di quel giorno è di trenta persone e data la difficoltà di recupero dei corpi ben presto tutto verrà ricoperto da un manto di cemento che fa ancora oggi fa sudario.

E se i numeri spesso aiutano a focalizzare meglio un concetto si pensi che nel solo mese di aprile verranno sganciate su Palermo ben 484 tonnellate di bombe.

A maggio si cambia drammaticamente strategia, l’operazione militare pianificata per quel mese è diversa dalle precedenti sia per dinamica sia per potenza, si decide infatti di sferrare sulla città un “bombardamento di saturazione” conosciuto meglio come “bombardamento a tappeto”.

 Questa micidiale tecnica doveva avere tra l’altro lo scopo non solo di terrorizzare la popolazione, creare panico e distruzione totale, ma di fiaccare il morale dei civili colpendoli anche nei luoghi simbolo della propria identità culturale e religiosa quali i monumenti e le chiese. In ultimo si sperava così di spingere la popolazione a  ribellarsi e fare pressione sul governo per la resa; il capoluogo siciliano ha questo triste primato, fu proprio Palermo la  prima città in Italia a sperimentare tutto questo.

È la mattina del 9 maggio e il comando americano decide che Palermo deve cadere: l’Apocalisse può avere inizio. 

Quella giornata Radio Londra aveva invitato la popolazione a disertare una cerimonia pubblica che era stata organizzata dalle autorità nell’attuale piazza Bologni, all’epoca piazza Italo Balbo. Si trattava di una ricorrenza particolare che non era di certo sfuggita agli americani, e cioè la “Giornata  dell’Esercito e dell’Impero”,  la scelta del 9 maggio per l’incursione aerea quindi non è certamente casuale, inoltre lo stesso giorno si sarebbe consegnata alla città una medaglia al valore di città mutilata dai bombardamenti.

L’attacco aereo arriva dall’Algeria da dove partono i caccia bimotore P38 a bassissima quota così da eludere i radar e la contraerea nemica, evitano di passare da Capo Zafferano scegliendo invece i cieli di Termini Imerese. Si dirigono quindi sull’aeroporto militare di Boccadifalco distruggendo in breve gli aerei in sosta sulla pista impedendo di conseguenza qualsiasi tentativo di reazione e di difesa aerea, sono soltanto le 11 del mattino. 

Alle 12,35  il cielo sulla città si oscura, l’urlo cupo e lamentoso di allarme delle sirene non ha tregua, sono arrivati i bombardieri americani B17 le cosiddette “Fortezze volanti” armati di bombe da 500 libbre. La prima formazione vede 222 bombardieri scortati da 118 caccia pesanti P38, è solo la prima di ben dodici ondate di incursioni, per contrastare l’attacco ben poco può la pur temibile contraerea dell’Asse poiché i bombardieri volano troppo in alto.

Alle 13,15 l’operazione è terminata, finite le bombe vengono lanciati sulla città 15.000 volantini che invitavano i palermitani a chiedere la resa dopo che su Palermo in soli 40 minuti erano state sganciate 1.570 bombe di vario calibro per un totale di 469 tonnellate di tritolo.

La stessa notte, a partire dalle 23,00 e fino alla mezzanotte, è la volta dei bimotori Wellington della RAF che finiranno il “lavoro” con ben 74 bombe e come se non bastasse verranno sganciate anche le Blockbuster, cosiddette “spianaquartieri”, bombe HC (High capacity) ovvero due ordigni da 4000 libbre (1.814 Kg) di potenza devastante. 

Ufficialmente il triste bilancio delle vittime tra i civili di quel 9 maggio 1943  sarà di 373 morti e di 421 feriti, un numero che forse può non sembrare proporzionato rispetto alla potenza di fuoco, ma bisogna tenere conto che dall’inizio dei bombardamenti la città si era lentamente svuotata dagli abitanti che avevano trovato riparo ed alloggi provvisori nei paesi limitrofi.

Per quanto riguarda il tessuto urbano nulla è stato risparmiato: abitazioni civili, caserme ma anche chiese, palazzi nobiliari ed antichi, monumenti per non parlare dei diversi  rifugi antiaerei, colpiti e distrutti, in cui trovarono la morte circa un centinaio di palermitani, e come se non bastasse i vigili del fuoco stentano a spegnere gli incendi probabilmente per l’uso di bombe incendiarie al fosforo.

Il colpo di teatro.

Il bombardamento di quel giorno su Palermo è stato definito un “colpo di teatro”, forse più che una reale esigenza dal punto di vista tattico militare questa mossa appagava il desiderio di conquista da parte degli americani della città più importante e grande dell’isola.

L’alba del giorno dopo quel 9 maggio restituisce ai palermitani una città tremendamente devastata, il centro storico con i suoi 250 ettari di estensione è quasi irriconoscibile, macerie e morti dappertutto. Il 42,3% della città secondo fonti della Prefettura è andato distrutto, centodiciannove monumenti compromessi per non parlare delle abitazioni civili, ben 60.000 persone nel solo centro storico non hanno più una casa.

 Per avere un’idea si pensi che successivamente per sgomberare la città dalle macerie  si decise di riversarle lungo il tratto di mare che la  delimita a nord ricoprendo così un’area di oltre 40.000 metri quadrati di detriti, quel tratto di città chiamato Foro Italico è divenuto oggi luogo di passeggiate e sport all’aperto.

Il 22 luglio fanno il loro ingresso a Palermo gli americani tra ali di folla festante ed incuriosita, ma le bombe non cesseranno di funestare la città e stavolta saranno quelle della Luftwaffe e della Regia aeronautica, facendo della città il bersaglio di buona parte delle forze aeronautiche impegnate nel conflitto per un totale, dall’inizio delle ostilità, di ben settanta bombardamenti.

A guerra finita nella sola Palermo tra i civili si contavano 30.000 feriti e 2.123 morti. 

Sono questi i numeri di una tragedia dalle proporzioni bibliche che non risparmiò nessuno tra uomini e donne, vecchi e bambini, vittime senza colpa se non quella di trovarsi nel posto sbagliato quando l’Europa sembrava impazzita. 

 Anna non ha mai lasciato il posto in cui è nata, non si è mai sposata ma ha avuto una famiglia che le ha voluto bene, di cui  ha sempre fatto parte integrante ed un nipote su cui riversare, ricambiata, tutto l’affetto di cui è stata capace.

 Si svolge nei primi giorni di maggio la festa religiosa più importante di quel paese che come da tradizione si conclude a notte inoltrata con lo spettacolo dei  fuochi d’artificio.

A casa di Anna assistervi dal terrazzo era una tradizione che si ripeteva ogni anno: uno spettacolo affascinante, rumoroso e suggestivo, un susseguirsi di scoppi e di boati che generavano nel cielo notturno geometrie di luci di incredibile bellezza e più aumentava il fragore più il cielo si rischiarava con colori luminosi. Tante e continue esplosioni assordanti e  tutti con il naso in su a riempirsi gli occhi di quella meraviglia. 

Ma ad ogni festa tutti gli anni in quella terrazza mancava una persona, sempre la stessa, che invece preferiva rimanere in casa.

 Quando iniziavano a sparare i fuochi, puntualmente, Anna veniva cercata dal nipote che voleva non si perdesse lo spettacolo di luci e colori, lei a quel punto della serata era sempre dentro casa e malgrado i ripetuti inviti dolcemente diceva che  avrebbe raggiunto tutti a breve, che stava per farlo, ma non era vero e non accadeva mai.

 Anna rimaneva da sola seduta in un angolo, i capelli candidi, col fare di una bimba che se ne sta in disparte come fosse in castigo, con gli occhi chiusi e le dita affusolate delle sue mani a coprire le orecchie. 

Aspettava così che la festa dei botti e dei fuochi finisse, composta e in un certo senso rassegnata, se ne stava immobile ed in silenzio immersa nei suoi ricordi, sul volto l’accenno di un malinconico sorriso. 

 




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