Attori e mimi nell’antica Roma

E’ iniziata a Roma il 21 maggio 2024 presso il museo dell’Ara Pacis l’attesa mostra TEATRO. Autori e pubblico nell’antica Roma.

La mostra offre un percorso espositivo sugli spettacoli teatrali nell’antica Roma.

Ci sono pezzi unici e rari, come la maschera più antica, oppure il grande cratere di Promono, raffigurante attori mentre studiano le posture, il primo reperto teatrale esistente arrivato ai nostri giorni.

Ci sarà tempo fino al 3 novembre per ammirare le oltre 240 opere provenienti da 25 diversi prestatori da tutto il mondo.

Il museo dell’Ara Pacis racconta gli spettacoli teatrali dell’antica Roma

Dal 21 maggio al 3 novembre 2024 il Museo dellAra Pacis di Roma ospita la mostra “TEATRO. Autori e pubblico nell’antica Roma”.

L’esposizione illustra in maniera esaustiva e minuziosa la nascita e l’evoluzione del teatro con particolare attenzione agli spettacoli nellantica Roma.

Il racconto della mostra inizia dalle radici greche, siciliane, magno-greche, etrusche e italiche del teatro romano.

Si esplorano l’origine religiosa ed il passaggio dai primi palcoscenici in legno a quelli in muratura, attraverso ben 240 opere provenienti da tutto il mondo.

Si prosegue fino a giungere allo splendore dei grandi teatri romani che potevano ospitare decine di migliaia di spettatori.

Essi diventano, insieme a fori e templi, elementi distintivi della forma urbis dell’impero romano.

È curioso come la parola greca théatronin origine designi l’insieme del pubblico di spettatori piuttosto che lo spazio scenico.

I reperti rari esposti in mostra

Il percorso espositivo è ricco di pezzi unici e rari.

Primo fra tutti una preziosissima maschera, proveniente dal Museo Paolo Orsi di Siracusa.

Si tratta di una delle più antiche maschere teatrali a noi pervenute.

L’uso teatrale è avvalorato dalla presenza di un foro dietro il padiglione auricolare, che doveva servire ad agganciare la parrucca.

Maschera teatrale
Terracotta. Ricomposta da frammenti.
Inizi del V sec. a.C.
Da Megara Hyblaea, nel riempimento di un pozzo
Siracusa, Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”, inv. 84822

Esposto anche il famoso “vaso di Pronomo” dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, del V-IV secolo A.c., probabilmente il più importante reperto teatrale esistente arrivato ai nostri giorni.

Il grande cratere a volute raffigura un’evocazione del mondo teatrale caratterizzata da un forte realismo.

Prende il nome dal flautista Pronomo, seduto al centro della composizione.

Nella scena sono raffigurati attori mentre studiano atteggiamenti teatrali e posture, in una chiara evocazione del mondo dionisiaco.

Cratere a volute attico (c.d. Vaso di Pronomos) Ceramica a figure rosse 400 a.C. circa (Pittore di Pronomos) Da Ruvo di Puglia Attic volute krater (so-called Pronomos Vase) Ceramic with red figures 400 BCE circa (Pronomos painter) From Ruvo di Puglia Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 81673
Cratere a volute attico (c.d. Vaso di Pronomo)
Ceramica a figure rosse
400 a.C. circa (Pittore di Pronomo)
Da Ruvo di Puglia
Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 81673

L’ambiente teatrale dell’antica Roma

La ricostruzione della mostra permette di esplorare l’ambiente teatrale dell’antica Roma, anche attraverso interventi multimediali.

Il visitatore pscoprire l’origine antichissima di molti personaggi del teatro moderno, come il vecchio misantropo, il giovane seduttore, il servo scaltro e i giovani amanti ostacolati dalle differenze sociali.

Ed altresì è possibile ammirare le statuine di attori, danzatori, mimi, acrobati e giocolieri del mondo magnogreco.

Danzatrici in terracotta
Acrobata femminile
Terracotta realizzata a matrice
Cast terracotta
Fine IV sec, a.C.
Da Taranto, contrada Tesoro, proprietà Lo lucco,
tomba 5
Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4090
2.
Acrobata femminile
Terracotta realizzata a matrice; tracce di colore
Fine IV sec. a.C.
Da Taranto
Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4059

Le maschere teatrali di Tarquinia

La mostra include anche una serie di miniature teatrali, molte delle quali mai esposte prima, provenienti da contesti tarquiniesi.

4. Maschera comica di schiavo Comic mask of slave Collezione Bruschi, inv. CB 1359. Museo nazionale archeologico di Tarquinia
4. Maschera comica di schiavo
Collezione Bruschi, inv. CB 1359. Museo nazionale archeologico di Tarquinia.

Per tutta l’epoca ellenistica, tra il IV e il Il secolo a.C., in area tarquiniese sono state infatti rinvenute maschere in terracotta di piccolo formato provenienti da diversi contesti funerari e votivi.

Questi volti testimoniano, con le loro caratterizzazioni, quanto il culto dionisiaco e la tradizione del grande teatro greco fossero penetrati a fondo in Etruria e quanto l’ambito tarquiniese sia stato importante come tramite per la successiva produzione romana.

laschere raffiguranti personaggi a carattere dionisiaco e teatrale erracotta dipinta o con tracce di policromia /- III secolo a. C. a Tarquinia Vasks depicting dyonisian and theatrical characters Painted terracotta or with polychrome traces 4th - 3d century BCE From Tarquinia Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia 1. Maschera di Pan Mask of Pan Collezione Bruschi, inv. CB 1356b 2. Maschera di Pan Mask of Pan Collezione Bruschi, inv. CB 1356a 3. Maschera di Dioniso Mask of Dionysus Collezione Bruschi, inv. CB 1356c 4. Maschera comica di schiavo Comic mask of slave Collezione Bruschi, inv. CB 1359 5. Maschera comica di anziana Comic mask of elderly woman Collezione Bruschi, inv. CB 1361a 6. Maschera comica maschile Comic mask of male character Collezione Bruschi, inv. CB 1361b 7. Maschera comica di anziana Comic mask of elderly woman Collezione Bruschi, inv. CB 1361c 8. Maschera di sileno Mask of silenus Collezione Bruschi, inv. CB 1364 9. Maschera di sileno Mask of silenus Collezione Bruschi, inv. CB 1364b 10. Maschera di satiro Mask of satyr Collezione Bruschi, inv. CB 1365a
9. Maschera di sileno
Collezione Bruschi, inv. CB 1364
Maschere raffiguranti personaggi a carattere dionisiaco e teatrale
Terracotta dipinta o con tracce di policromia
II- III secolo a. C. a Tarquinia
Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia

Le origini del teatro nell’antica Grecia: Tragedia e Commedia

Il teatro occidentale affonda le sue radici nella drammaturgia e nella commedia sorte in Grecia a partire dal VI secolo a.C.

Dalla tragedia e dalla commedia greche nonchè da apporti italici deriva il teatro romano, che si presenta, fin dai suoi esordi, come unoperazione di adattamento di quello greco al nuovo contesto sociale.

La mostra racconta come la tradizione greco-romana del teatro si è evoluta e trasformata nel corso di quasi un millennio.

Purtroppo sono pochi i testi che sono stati tramandati fino a noi: per la commedia Plauto e Terenzio, per la tragedia soltanto Seneca.

Le origini religiose del teatro. Le celebrazioni in onore di Dioniso

La tradizione greco-romana del teatro ha origini religiose.

È molto probabile che dalle feste celebrate in onore di Dioniso, una delle grandi divinità dell’Olimpo greco, figlio di Zeus e di Semele, nacquero sia la Tragedia sia la Commedia.

Dioniso, Bacco per i romani, è il dio greco della vite, del vino, del delirio mistico.

Esposto in mostra una coppa di produzione attica dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

La coppa mostra una delle rarissime rappresentazioni di una processione in onore di Dioniso, dio del teatro (falloforia).

Il teatro dell’antica Roma

Il teatro, derivato dalla tradizione greca, ma permeato anche di costanti influssi di componenti etrusche e italiche, giocò un ruolo centrale nella vita quotidiana e nell’identità culturale dell’antica Roma.

Le rappresentazioni teatrali erano spesso parte di festival religiosi e celebrazioni pubbliche.

Offrivano anche una grande opportunità per i cittadini romani di riunirsi e condividere un’esperienza culturale comune.

Il teatro si rivelò ben presto anche un potente strumento di propaganda politica.

Ricoperse un ruolo centrale nella vita quotidiana e nell’identità culturale dell’antica Roma.

Non fu solo un mezzo di intrattenimento, ma anche di riflessione critica e soprattutto di coesione sociale.

Le maschere

Un esemplare unico esposto in mostra è l’antica maschera in terracotta del Museo Archeologico Regionale ‘Paolo Orsi’ di Siracusa (vedi Foto sopra).

Le maschere fungono da filo conduttore del percorso espositivo.

Si parte dalle più antiche, risalenti al V secolo a.C., passando per quelle ellenistiche del III-II secolo a.C., fino ad arrivare alle spettacolari maschere di epoca romana.

Le maschere rappresentano anche caratteri scenici di lunga durata, tragici, comici e grotteschi.

La mostra offre anche un “campionario” di modelli di maschere mai esposti a Roma, provenienti dalla bottega di un artigiano di Pompei.

Tra i reperti selezionati, sono notevoli le maschere miniaturistiche della tragedia e commedia greca provenienti dall’isola di Lipari.

Ed inoltre e i grandi affreschi parietali di un “camerino” per la compagnia teatrale, provenienti dal teatro romano di Nemi.

Vi è anche una serie di dodici gemme di epoca romana a soggetto teatrale.

4. Maschera colossale comica: "la falsa vergine" Marmo lunense Fine I sec. a.C. Dal teatro di Marcello, scavi del Governatorato (1926-1932) Collocata originariamente sulle chiavi degli archi del primo o secondo ordine del teatro Teatro Argentina, Roma; Area del Teatro di Marcello, inv. TM 16904
4.
Maschera colossale comica:
“la falsa vergine”
Marmo lunense
Fine I sec. a.C.
Dal teatro di Marcello, scavi del
Governatorato (1926-1932)
Collocata originariamente sulle chiavi degli archi del primo o secondo ordine del teatro
Teatro Argentina, Roma;
Area del Teatro di Marcello, inv. TM 16904

E inoltre il ritratto di Marcello con la maschera in bronzo di Papposileno, appartenente alla collezione Fondazione Sorgente Group.

Il percorso espositivo strutturato in sette sezioni

Il percorso espositivo si sviluppa in sette sezioni, seguendo un senso cronologico.

Ogni sezione è arricchita da installazioni multimediali, quali riprese aeree, videomapping, postazioni interattive, interventi recitati da attori che danno voce agli autori e ai i protagonisti del teatro antico.

Fin dagli albori, in età antichissima, si svilupparono la tragedia e la commedia.

Prima sezione: le origini religiose nell’antica Grecia

La prima sezione, dal titolo Genesi, racconta l’importanza del culto dionisiaco alle radici della tradizione teatrale greca e il valore del teatro per la vita democratica ad Atene.

Secondo Aristotele la commedia nasce dai cortei di festa (Komodia: da komoi, cortei di festa e odé, canto) inseriti nelle Falloforie, ossia le feste dedicate a Demetra e Dioniso, con chiara funzione scaramantica (apotropaica).

Le radici italiche e magnogreche

Il teatro prende origini dalla tradizione greca con influssi di componenti etrusche e italiche.

La seconda sezione, dal titolo Radici italiche e magnogreche, mette in risalto proprio il contributo che l’Etruria, la Magna Grecia e i popoli italici fornirono al sorgere del teatro latino.

Nel 240 a.C. per la prima volta a Roma viene portato sulle scene un dramma composto in lingua latina ad opera di un poeta di origine greca, Livio Andronico.

Si trattò di un evento di grande rilevanza storica e culturale, poiché listituzione di quello spettacolo segnò il vero e proprio atto di nascita della letteratura latina.

Il primo teatro italico. Il teatro comico in Sicilia e in Magna Grecia

La commedia invece nasce nella Sicilia dorica.

Secondo Aristotele, la commedia attica fu preceduta da una ricca produzione comica che si sviluppò in Sicilia e in Magna Grecia in forme diverse.

Epicarmo e Sofrone, entrambi di Siracusa, e Rintone di Taranto, nel V secolo furono molto popolari.

Essi diedero origine a forme particolari di commedia, come la Parodia mitologica (farsa fliacica o ilarotragedia) e la mimografia, drammi buffi scritti in dialetto dorico.

Vengono presentate scene di vita quotidiana e bozzetti di personaggi popolari.

Le vicende mitiche cantate dai tragici venivano parodiate dagli attori, che recitavano questi drammi buffi con vistose imbottiture.

Statuetta di attore seduto Marmo italico con tracce di colore Metà del Il sec. d.C. Già Collezione Mattei Statuette of seated actor Italic marble with traces of colour Middle of the 2nd century CE Formerly in the Mattei Collection Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Clementino, Galleria dei Candelabri, inv. 2661
Statuetta di attore seduto
Marmo italico con tracce di colore
Metà del Il sec. d.C.
Già Collezione Mattei
Città del Vaticano, Musei Vaticani,
Museo Pio Clementino, Galleria dei Candelabri, inv. 2661

La commedia a Roma

La terza sezione della mostra è intitolata La commedia a Roma.

Nella Roma repubblicana fioriscono autori geniali come Plauto e Terenzio.

In questa sala si esplora la tradizione comica romana, dalla costruzione dei personaggi di Plauto, vere e proprie maschere di tipi umani, fino allo spirito riflessivo e introspettivo dei personaggi di Terenzio.

Essi introducono con enorme successo le forme della commedia greca, riprendendo le opere di Aristofane e Menandro.

Attore con maschera tragica Intonaco dipinto Isec. d.C. (5 -79 CC) Da Ercolano Actor with tragic mask Painted plaster Ist century CE (45 - 79 CE) From Ercolano Museo Archeologico Nationale di Napoll in. 903
Attore con maschera tragica
Intonaco dipinto
Isec. d.C. (5 -79 CC)
Da Ercolano
Actor with tragic mask
Painted plaster
Ist century CE (45 – 79 CE)
From Ercolano
Museo Archeologico Nationale di Napoll in. 903

Aristofane e la commedia antica

Aristofane è reputato il massimo esponente della commedia politica e proponeva temi politici e culturali.

Opera durante le guerre del Peloponneso (sconfitta di Atene), nell’Atene del V secolo a.C., quando il regime è democratico.

Possediamo 11 commedie complete delle 40 attribuite ad Aristofane: esse lo consacrano come uno dei più grandi commediografi del passato, nonché uno dei più attuali.

Nato ad Atene intorno al 450 a.C. partecipò attivamente alla vita politica della sua città e, facendo ampio uso della libertà di parola ammessa ai suoi tempi nei tribunali e a teatro, attaccò sulla scena i mali della democrazia ateniese. Scrisse godibili satire anche sugli intellettuali del suo tempo, citati per nome: Socrate (Le nuvole) e Euripide (Le rane, Tesmoforiazuse) tra gli altri.

Nel XV secolo l’arrivo di codici greci in Italia garantì la fortuna di Aristofane presso gli umanisti.

L’edizione delle sue commedie qui presentata è in assoluto il primo testo teatrale mai dato alle stampe, custodito presso la Biblioteca Casanatense a Roma.

Prima edizione a stampa di un’opera teatrale “Nove commedie di Aristofane”, volume a stampa, Venezia 1498, Roma, Biblioteca Casanatense

L’attualità delle Commedie di Aristofane

Celebri sono le opere maggiori arrivate sino a noi.

Innanzi tutto l’ Acarnesi, la cosiddetta commedia dell’utopia, ambientata durante la guerra tra Atene e Sparta.

Poi i Cavalieri, che critica le istituzioni ed è la satira politica più feroce mai trasmessa dalla letteratura antica.

Il bersaglio è Cleone, demagogo fautore della guerra ad oltranza contro Sparta.

Inoltre, sempre nel solco della satira politica Le Nuvole, commedia che prende di mira le nuove correnti di pensiero, in particolari quella sofista, incarnata da Socrate.

Emerge anche il tema del degrado sociale e della decadenza, anche attraverso la condanna della figura del Sicofante, che denuncia un cittadino dietro pagamento.

Menandro e la Commedia nuova

Menandro nasce ad Atene nel IV secolo a.C.

E’ allievo di Teofrasto (coetaneo di Epicuro).

Vive sotto il protettorato macedone di Demetrio Falereo, in una epoca in cui Atene ha perso la sua libertà.

Delle 100 commedie che ha scritto, ne rimangono purtroppo pochi frammenti.

la caratteristica dell’uomo di Menandro è quella di risolvere i problemi familiari.

I caratteri della commedia di Menandro sono il lieto fine e la sorte (tuke).

La tuke è la regista della commedia.

La tuke infatti fa cadere i personaggi nell’errore e li induce ad allontanarsi, ma è sempre lei che consente il lieto fine, spesso tramite il meccanismo del riconoscimento.
I temi ricorrenti della filantropia e della solidarietà, rispecchiano una visione ottimistica dell’essere umano.

Rilievo con Menandro e Talia Marmo greco 20 - 40 d.C. Già collezione Rondinini; acquistato nelle Collezioni Vaticane nel 1838 Relief with Menander and Thalia Greek marble 20 - 40 CE Formerly in the Rondinini collection; purchased for the Collezioni Vaticane in 1838 Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Profano, inv. 9985
Rilievo con Menandro e Talia
Marmo greco
20 – 40 d.C.
Già collezione Rondinini; acquistato nelle Collezioni
Vaticane nel 1838
Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Profano,
inv. 9985

Menandro è convinto che l’uomo sia capace di imparare dai propri errori e che i contrasti generazionali possano essere risolti in nome di una comune umanità di cui tutti sono compartecipi.

Le opere maggiori di Menandro sono “Il bisbetico e “L’arbitrato.

La tragedia a Roma

La quarta sezione, La tragedia a Roma, presenta i principali protagonisti della produzione tragica del periodo repubblicano, di cui resta poco, e si concentra su due figure di grande rilievo come Seneca e Nerone.

Di tanti altri testi, di interi generi letterari, quali la tragedia di età repubblicana, conosciamo solo i titoli e, talvolta, un buon numero di frammenti, grazie alle citazioni di eruditi, grammatici, lessicografi.

Melpomene con maschera tragica Intonaco dipinto I sec. d.C. (15 - 45 d.C.) Da Pompei Melpomene with tragic mask Painted plaster 1st century CE (15 - 45 CE) From Pompei Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 8847
Melpomene, la Musa del teatro, con maschera tragica
Intonaco dipinto
I sec. d.C. (15 – 45 d.C.)
Da Pompei
Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 8847

Musicisti, mimi, giocolieri e acrobati nell’antica Roma

La quinta sezione, I protagonisti e la musica, si focalizza sulle vite, spesso rocambolesche, di attori, danzatori, acrobati, musicisti e mimi.

Uno spazio specifico è dedicato al fenomeno degli spettacoli di mimi e pantomimi in età imperiale.

L’esposizione racconta anche le difficili vite degli attori e degli altri grandi protagonisti del mondo teatrale.

Acrobata in terracotta
Acrobata su colonna
Terracotta realizzata a matrice
Fine VI – inizi V secolo a.C.
Da Taranto, contrada Vaccarella, piazza Messapia,
tomba 1
Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 52190

Dal teatro recitato al teatro del corpo

Dal teatro recitato al teatro “del corpo” il passo è breve.

Lo spettacolo si affida alla gestualità più che al testo per comunicare con un pubblico vasto e multietnico come quello imperiale.

È lepoca dei mimi e dei pantomimi, ma anche di forme singolari di divertimento come le danze acquatiche, realizzate allagando l’orchestra del teatro (tetimimi).

Statuetta di giocoliere o mimo Statuette of juggler or mime Terracotta realizzata a matrice Cast terracotta Ill sec. a.C. 3d century BCE Da Taranto, via Crispi, da una tomba From Taranto, via Crispi, from a tomb Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4077
Statuetta di giocoliere o mimo
Terracotta realizzata a matrice
Ill sec. a.C.
Da Taranto, via Crispi, da una tomba From Taranto, via Crispi, Museo Archeologico Nazionale di Taranto, inv. 4077

Contemporaneamente i teatri si aprono a manifestazioni loro estranee, come assemblee, trionfi e giochi di ogni genere.
La musica nell’antica Roma 

Sempre in epoca imperiale si diffonde la tipologia dell’odeon (gr. odèion, lat. odeum), edificio in genere più piccolo di un teatro e con un tetto di copertura, destinato alla declamazione.

Nel settore della musica di scena, la mostra espone rari strumenti musicali originali come tibie, resti di cetre, crotali e sistri, molti dei quali sono stati fedelmente riprodotti per consentire ai visitatori di sperimentarne il suono.

L’eredità architettonica del teatro antico

La sesta sezioneL’architettura, riflette sull’eredità monumentale lasciata dal teatro antico, attraverso rovine architettoniche spesso maestose e ancora funzionanti.

La transizione dalla Roma repubblicana al regime imperiale nel I secolo a.C. vede la costruzione dei primi teatri stabili a Roma e elaborazione della loro forma.

In pochi decenni sorgono i tre grandi teatri romani in muratura: il teatro di Pompeo (61-55 a.C.), con circa 20.000 posti, circondato da portici e giardini, di cui rimane poco se non nella topografia di Roma; il teatro di Cornelio Balbo (dedicato nel 13 a.C.), anch’esso perduto, e il teatro di Marcello, quasi contemporaneo, intitolato da Augusto alla memoria del nipote amato.

La collaborazione con la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma ha permesso la realizzazione di un intervento video sul teatro di Pompeo, che dopo la mostra resterà patrimonio delle Istituzioni curatrici.

Maschera di Pan
Maschera di Pan
Marmo bianco a grana fine e peduccio in rosso antico
Seconda metà del I sec. d.C.
Dono di papa Benedetto XIV (1748)
Mask of Pan
Roma, Musei Capitolini, Palazzo Nuovo, inv. MC S 716

Attualità del teatro antico

La settima sezione della mostra riguarda il teatro contemporaneo

L’attraversamento dell’antico si apre alla contemporaneità nell’ultima sezione della mostra, dal titolo “Attualità del classico”, realizzata in collaborazione e con il contributo del Dipartimento di Lettere e Culture Moderne dell’Università di Roma ‘Sapienza’ e dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico).

Ricca la selezione di locandine storiche di spettacoli realizzati al teatro greco di Siracusa, nonché di montaggi video di messe in scena contemporanee.

Numerose le testimonianze materiali e fotografiche, riferite in particolare all’esperienza del ‘Vantone’ di Pasolini.

Il percorso espositivo si chiude offrendo una panoramica sulla vitalità del teatro classico, dal primo Novecento ai nostri giorni.

Ancora oggi riconosciamo in Edipo e negli altri protagonisti del dramma antico i nostri stessi istinti e contraddizioni.

Immergersi nel teatro classico è dunque un’operazione attuale, che questa mostra propone privilegiando il filo della continuità




“Tutte per Donna Sufì”

Sophia Loren a sedici anni.
Ritratto di Sophia Loren, attrice italiana dall’aspetto glamour. Indossa un abito senza spalline, una collana e orecchini di diamanti. Su sfondo bianco, scattato intorno al 1950. (Photo by Silver Screen Collection/Getty Images)

Tutte le strade portano alla realizzazione di un Sogno

Chi non ha avuto almeno un sogno da bambino? 

Poi, strada facendo, c’è chi se ne è scordato, chi lo ha perso fra i grovigli dei più urgenti impegni quotidiani, chi ne ha fatto un hobby preferendogli un lavoro “vero”, chi invece lo ha inseguito fino a raggiungere la vetta del successo e da lì, brillando, illumina il sentiero di chi è ancora in viaggio.

La storia che sto per raccontarvi vede per protagoniste cinque donne, ciascuna nel proprio ruolo, tutte impegnate nello stesso bellissimo progetto: celebrare in un radiodramma lo splendore di una stella di prima grandezza del migliore cinema italiano e internazionale: Sophia Loren. 

Lei, che il suo Sogno lo vive da decenni, può ispirare i sognatori che ambiscano a distinguersi nell’arte cinematografica.

Ed ecco i nomi dei personaggi coinvolti in quest’opera, in ordine di apparizione.

Francesca Giorzi: Responsabile della fiction radiofonica della RSI, la Radio della Svizzera Italiana con sede a Lugano.

Jasmine Laurenti: (la scrivente) giornalista culturale per betapress.it, scrittrice nonché “voce” di Nunziatina, cameriera dell’attrice Sophia Loren nella sua residenza ginevrina.

Francesca Quattromini: attrice amatoriale napoletana, mia provvidenziale “coach” in accento partenopeo.

Margherita Coldesina: Attrice e scrittrice di poesie nonché autrice, regista e coprotagonista del radiodramma dedicato all’intramontabile figura di Sophia Loren.

Mariangela D’Abbraccio: nota e pluripremiata attrice italiana di cinema e teatro, “voce” della Signora Loren.

La cosa che più amo del mestiere di attrice è il suo sorprendermi in modi sempre nuovi e arricchenti.

Questo radiodramma, scritto, diretto e interpretato per la Radio Svizzera Italiana dall’artista ticinese Margherita Coldesina, ne è un esempio. Intorno al suo bellissimo lavoro dedicato a Sophia Loren, ci siamo riunite nello studio otto, presso la sede di Lugano Besso, il 23 aprile scorso; ciascuna con il proprio bagaglio esperienziale, ciascuna in cammino verso la realizzazione del proprio Sogno.

La Chiamata

Ma andiamo per ordine. 

Tutto comincia, per la sottoscritta, il 19 marzo, quando ricevo una chiamata da Francesca Giorzi, responsabile della fiction radiofonica della RSI a Lugano.

“Jasmine, c’è questo personaggio carino, una cameriera napoletana… Come sei messa con l’accento partenopeo?”

“Grazie per aver pensato a me! Sai Francesca, il dialetto napoletano non rientra fra le mie specialità. Temo di non potervi aiutare, stavolta…” 

“Le battute non sono tante, e poi hai più di un mese per prepararti…”

“Vabbè, dai, ci provo.” E mentre lo dico, mi vedo lanciarmi fra le braccia di un tanghero argentino, io, che del tango ignoro pure i passi base. 

Il Mentore

Comincio a passare in rassegna le donne di Napoli che conosco. Mi viene in mente Chiara Sparacio, vicedirettore di Betapress.it, che è di origine siciliana ma vive a Napoli. È lei a mettermi in contatto con la giovane attrice Francesca Quattromini. Quest’ultima si presta gentilmente ad aiutarmi. Le propongo di lasciarmi un vocale su whatsapp, mentre legge le mie battute con accento partenopeo. Il gioco è fatto. Ho la sua traccia. Mi metto subito a “studiare”. Tanto, ho tutto il tempo che mi serve. 

Le Compagne di Viaggio

E arriva il grande giorno, alla radio.

Nella grande sala dove si registrano i radiodrammi, Margherita Coldesina è in postazione nelle vesti di autrice dell’opera, regista e attrice coprotagonista nella parte di… Se stessa!

Sin dalla più tenera età, lei scrive e recita. Il suo sogno è realizzarsi come attrice nel grande cinema. Come chi mira all’eccellenza, prende ispirazione da un’icona del cinema internazionale: Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, in arte Sophia Loren.

Ha appena sedici anni quando, sullo scaffale più alto di una videoteca, “incontra” la sua ignara mentore. Consuma, letteralmente, il nastro delle videocassette di novantatré su centoundici film, che vedono la sua stella polare brillare sul set accanto ad altri astri di fama mondiale.

Accanto a lei c’è Mariangela D’Abbraccio: stimata attrice napoletana, figlia e nipote d’arte, ha lavorato coi migliori in ambito cinematografico e teatrale. È lei che darà voce a “Donna Sufì”.

Da parte mia, Nunziatina, ce l’ho messa tutta per calcare le intonazioni suggeritemi da Francesca Quattromini nel suo vocale. Mi sento abbastanza pronta, ma l’incognita è grande. Margherita ha avi partenopei, Mariangela è un’attrice napoletana verace, Francesca pure… In “scova l’intruso” individuarmi è un gioco da ragazzi. 

E va bene, lo confesso: sono un’infiltrata, veneta da parte di padre e di madre. Non ho scampo, ma farò del mio meglio. Sudo freddo. 

La trama del radiodramma

Il radiodramma, che ha il sapore di un sogno lucido, profuma di caffè e ragù come si fanno a Napoli. Si svolge a Ginevra, nell’abitazione della mitica Sophia. Accanto a lei c’è la cameriera, “Nunziatina Esposito nata a Pozzuoli di anni sessantasette”, intenta a preparare il pranzo. 

A un certo punto suona il campanello e, per andare ad aprire, lascia il ragù sul fuoco. Trova una ragazza riversa sul pianerottolo, a “quatt’e bastune”: Margherita, appunto, nei panni della fan della celebre attrice. Le è bastato suonare il campanello e sentire la voce della domestica in arrivo per svenire, letteralmente, per la troppa emozione. Svenimento provvidenziale, il suo: la Loren, per consentire alla giovane donna di riprendersi, non solo decide di accoglierla in casa, ma anche di invitarla a pranzo.

Segue un divertente dialogo fra Sophia e Nunziatina la quale, scocciata per l’imprevisto che l’ha costretta a lasciare incustodito il suo ragù, se ne ritorna in cucina. 

Quindi serve a tavola e lascia le due donne a conversare, gustando il loro piatto di pasta. Tra una forchettata e un sorso di buon vino, Sophia e Margherita si scambiano memorie e aneddoti, via via arricchiti da dettagli inediti rivelati dalla Loren alla sua sempre più entusiasta ammiratrice.

Alla ricerca della Verità

Prima di registrare si fa una prova.

In sala nello studio otto siamo in tre: Margherita nei panni di se stessa, Mariangela nel ruolo di Sophia e la sottoscritta come Nunziatina. 

No, non va: il mio accento suona eccessivo, caricaturale. Ed è così che accade con i non nativi: per fingere di esserlo, si sforzano. Del resto, è quello a cui ci siamo abituati nel teatro goldoniano. Se gli attori non sono veneti, fingono di esserlo e si sente. Insomma: dobbiamo escogitare qualcos’altro. Un lieve accento francese? Un po’ mi dispiace, lo ammetto, per l’impegno che ci ho messo e anche per l’attrice di Napoli, Francesca Quattromini, che tanto gentilmente mi aveva aiutata. Del resto, comprendo che l’obiettivo è la naturalezza, non l’accento napoletano a tutti i costi. Così, si arriva alla conclusione che è meglio accennarlo appena. Interiorizzarlo, addirittura. Il risultato è più che dignitoso. Margherita è felice. Mariangela, sorridente e rilassata, annuisce. Francesca Giorzi entra in sala e ci scatta delle foto, immortalando la nostra avventura.

Funziona. Tiro un sospiro di sollievo. 

Mentre torno col pensiero a quei momenti, realizzo che noi donne eravamo spettatrici del graduale manifestarsi del sogno di Margherita.

L’Autrice infatti, come nelle migliori favole, aveva posto le premesse per avverare ben tre desideri: scrivere per la radio, incontrare di persona il suo Mito e, calcandone le orme, imporsi all’attenzione del grande cinema. 

Le auguro di cuore di seguire il brillìo della sua Stella fino a prenderne il testimone, sulla Vetta riservata a pochi eletti.

Mentre il suo viaggio è in corso, la raggiungo per un’intervista. 

 

L'attrice e scrittrice ticinese Margherita Coldesina

Il Sogno di Margherita Coldesina: “Non c’è nessuna porta”

J.L.: Chi è Margherita, oltre le parole che scrive e interpreta?

M.C.: È quella persona che la sta aspettando alla fermata successiva a quella in cui scende sempre.

J.L.: Qual era il suo sogno da bambina?

M.C.: Fare l’attrice oppure il falegname.

J.L.: A che punto è della sua realizzazione?

M.C.: Il falegname dell’anima sta scolpendo tutte le facce dell’attrice, compresa quella vera, incorruttibile anche dall’arte o dalle richieste di interpretare questo e l’altro personaggio.

J.L.: Aldilà del fatto che sia la leggenda vivente del cinema italiano e internazionale, perché proprio Sophia?

M.C.: Mi ha scelto lei, lei intesa come parte del tutto. Sophia è il frammento di un universo che ho conosciuto intimamente in altre vite, è un espediente incaricato di ricordarmi chi sono e perché sono qui sulla Terra con questa brama di calarmi in ruoli senza cinture di sicurezza allacciate. Quando entro in qualcosa, io ci entro del tutto, mi sporgo da me stessa e rischio tutto.

J.L.: Nella fiaba a lieto fine della tua icona, quali sono i momenti della sua vita privata e professionale che più ti ispirano nei momenti più sfidanti del tuo percorso?

M.C.: È nata sbagliata, con un padre che non l’ha riconosciuta. E invece di subire gli eventi conseguenti a un’infanzia fatta di miseria e fame, ha imbrigliato la sua sofferenza con le redini della disciplina e ha liberato il purosangue che sentiva intuitivamente di essere. E prima o poi, se sei un purosangue, corri talmente veloce che cambi il mondo e chi assiste alla tua corsa. Il coraggio, quando è incarnato, sconvolge, cambia le persone.

J.L.: So che, per poter scrivere di lei, hai passato in rassegna circa tremila tra giornali dell’epoca, riviste, rotocalchi e documenti d’archivio. E poi, le ore che hai trascorso a guardare novantotto dei suoi più che cento film e non una, ma più volte. Infine, ti ci sono voluti due anni per trovare il suo indirizzo di casa a Ginevra. Quanto è importante la perseveranza, nella realizzazione di un sogno?

M.C.: Direi che è l’unico requisito. Ma prima viene il talento. E la cosa bella è che ognuno ne ha uno. Una cosa in cui brilli ce l’hai tu, lui, la barista, quel bambino che gioca a calcio, la signora imbronciata qui vicino che beve un Martini. E col talento, se lo addestri, diventi un supereroe.

J.L.: E se il radiodramma fosse un modo per profetizzare il tuo incontro con Sophia nella vita reale? 

M.C.: Ne sono convinta. Ma, come dicono i saggi: “Tua è l’azione, ma non il frutto dell’azione.” Vedremo.

J.L.: Nell’opera riveli, di Sophia, l’aver vissuto il trauma del non riconoscimento da parte del padre. Se, come ipotizzi, è stato il dolore per quel rifiuto primordiale a spingerla sulla scala di un Successo planetario… Cos’è a spingere te a raggiungere la vetta del tuo successo?

M.C.: Anche io ho un Edipo consistente, mettiamola così. È sempre tutta una faccenda d’amore impastata con la tragedia, la vita. È come venire al mondo: funesto ed epifanico, no?

J.L.: A un certo punto, mentre si rivolge alla cameriera che minaccia di buttare il ragù rimasto a cuocere troppo a lungo, attribuisci alla Loren la frase: “Non l’hai patita tu la fame come me e mia sorella… E zia Dora, e mamma che cercava disperatamente tutto il giorno qualcosa da mangiare per noi, e mica si arrendeva.” E ancora: “Non un mito, ma una diva, sì. Coi piedi bene a terra, perché ho conosciuto la povertà, quella vera, ma ho anche vissuto un mondo dello star system che oggi ve lo sognate.” Sono parole che rendono l’idea di un’infanzia così umile e dura, che sembrerebbe impossibile poter soltanto immaginare, per la protagonista, un radioso futuro. Quanto può incidere e in che modo, secondo te, un critico esordio, sul buon esito di un destino? 

M.C.: Se non hai fame, non seminerai la terra, e non raccoglierai; se ti arrendi a soggiornare nella parte di te più diurna e ti rifiuti di sbirciare cosa c’è nascosto nel precipizio che ogni giorno ti sussurra all’orecchio le emozioni più violente, e le paure, e ciò che è inammissibile per te confessare, allora la vetta che ti è dato conquistare sarà rassicurante come una collinetta, al massimo un monte. Io punto alle stelle: quando arriverò in cima all’Everest cercherò una scala per il cielo e mi appenderò alla coda di un astro.

J.L.: Ecco, come vedi la tua ascesa nello Star System? Ritieni che al giorno d’oggi sia ancora possibile, per un’attrice, cogliere delle Opportunità, pur rimanendo fedele a se stessa e ai propri valori?  

M.C.: Credo che non esistano le epoche, esistono le proprie oscurità dalle quali emanciparsi; e non esistono le opportunità, esiste l’autolegittimazione a illuminare col proprio talento il mondo.

J.L.: Se il primo giro di boa artistico Sophia l’ha fatto grazie al sodalizio con il regista Vittorio De Sica, qual è il regista con cui stringeresti il tuo sodalizio artistico, per il tuo giro di boa?

M.C.: Se fossero vivi: Cassavetes e Visconti. Amo Woody Allen e Carlo Verdone, per restare sulla Terra. Ma anche centinaia di altri. Non è questione di registi, è questione di missione: so che mi verrà incontro chi favorirà l’esercizio di questo mandato che sento di avere.

J.L.: Quanto è importante, per te, il riconoscimento pubblico, come lasciare l’impronta delle proprie mani sulla Walk of Fame o l’assegnazione di un prestigioso premio? 

M.C.: Il mio piccolo io dice tantissimo, non vedo l’ora; il mio sé evoluto sorride. Indovina quale dei due è lecito ascoltare? Quale dei due ti rende più grande (e, di conseguenza, magicamente, artisticamente una bomba)?

J.L.: Sai, ho un debole per la mia bimba interiore. L’ho trascurata troppi anni per non tifare per lei. Oggi è a lei che dò la precedenza. E alla voce del Creatore, che tuona quando serve. Ma torniamo a Margherita. Riusciresti a conservare la tua semplicità, nonostante il Successo? 

M.C.: Chi mi conosce dice di sì. Vedremo, magari comprerò quattro limousine e girerò malvestita purché griffata, diventerò arrogante e smetterò di leggere i grandi maestri d’Oriente. Ma sospetto di no…

J.L.: La scena madre de “La Ciociara”, quella in cui Sophia, nei panni di Cesira, inveisce contro gli stupratori della figlia, è stata girata una volta sola. Com’è immedesimarsi in un ruolo al punto da viverne le emozioni in modo così vero, da non dover ripetere la scena una seconda volta? Come si fa a interpretare un ruolo in modo così autentico?  

M.C.: La bravura di un attore non è frutto di magia: è, banalmente, direttamente proporzionale al suo progresso spirituale in quanto essere umano, tutto lì.

J.L.: Nel tuo radiodramma Sophia dice: “Niente rende una donna più bella della convinzione di essere bella. Te lo devi sentire dentro, qui, nel petto.” Sono parole effettivamente sue, o gliele hai attribuite tu e se sì, in che modo rispecchiano il tuo approccio nei confronti dell’aspetto esteriore di una donna?

M.C.: Sono parole che le ho messo in bocca io, perché Sophia – se la guardi nelle interviste in TV appare in maniera eclatante – è così luminosa e ammantata di fascino perché dentro di sé ha costruito un edificio virtuoso. Una donna bella è bella solo perché è bella dentro, “sennò non ti innamori”. A dispetto di ciò che appare in superficie, la bellezza è meritocratica.

J.L.: Sophia, per te, non è soltanto il trionfo di curve e istinto: è l’emblema dell’incontro fra intelligenza e cuore: lì dove si incontrano il talento e l’opportunità. Come si fa a mettere d’accordo intelligenza e cuore?

M.C.: Avendo coraggio.

J.L.: E come si fa a riconoscere l’Opportunità della vita, quando si presenta?

M.C.: È ineludibile, suppongo. Io di sicuro la riconoscerò come riconoscerei un figlio.

J.L.: Per Sophia il coraggio è – parlando di Picasso – “Sapere di poter corrispondere perfettamente a ciò che vuole il costume dell’epoca – nel suo caso il realismo, e lui disegnava perfettamente – e decidere di spingersi oltre.” Cos’è il coraggio per Margherita?

M.C.: Avere una fede incrollabile nella missione che sento albergare in me. Esserne all’altezza. Proseguire, qualsiasi cosa (non) accada.

J.L.: Alla Loren fai dire: “Il cinema, cosa credi? Non è mica una passeggiata. Il cinema pretende; dà tanto, ma pretende.” A che cosa Margherita è disposta a rinunciare, per amore del suo Sogno?

M.C.: Alla versione di me che ha un minimo dubbio.

J.L.: Prima di lasciarci, vorrei tu dedicassi un pensiero a tutte le donne che stanno avanzando verso la realizzazione del proprio Sogno. 

M.C.: “La chiave è che non c’è nessuna porta.” È una delle mie ultime poesie, sicuramente una fra le mie preferite, ed è anche la frase-guida di un progetto di danza che sto sviluppando insieme a mia sorella Alessia, meravigliosa ballerina, donna e mamma.

J.L.: Ecco, appunto! Stai lavorando a nuovi progetti dietro le quinte? Ti va di anticiparci qualcosa?

M.C.: Quanto tempo abbiamo??!

J.L.: Eh, mi sa che è ora che raggiunga Francesca! (Saltando sul treno per Napoli) Ne parliamo la prossima volta, se ti va! (Esclamo, con voce portata, dal finestrino del treno in corsa).

 

Margherita Coldesina: Attrice, Scrittrice e Autrice di Radiodrammi per la Radio Svizzera Italiana

Il Sogno di Francesca Quattromini: “Illuminare il mondo”

Come già detto, a Francesca ho affidato le battute di Nunziatina, affinché le leggesse con accento napoletano in un vocale da inviarmi su whatsapp.

Riascoltando il suo messaggio più volte, sono riuscita – proprio io, veneta dal paleolitico da parte di padre e di madre – a interpretare il ruolo di una nativa di Pozzuoli che, in Svizzera da decenni, conserva ancora un’ombra delle proprie origini, nel modo di parlare spiccio e ironico.  

Attrice “non professionista” come tiene a precisare, recita da quando aveva tredici anni. Oggi va per i trentotto, ed è sempre attiva nel teatro amatoriale e nella produzione di audio fiction. Per lei la gavetta è quasi più importante del raggiungimento della… Vetta. 

La raggiungo per una breve chiacchierata e, visto che ci sono, le chiedo se ha un Sogno nel cassetto. Tutto quello che so, al momento, è che il 9 giugno prossimo, al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (Napoli), sarà protagonista della commedia in due atti di Salvatore Barruffo “Un mistero al cimitero”. 

J.L.: A tredici anni hai preso parte a un laboratorio teatrale e da lì, non hai più smesso di recitare…

F.Q.: A undici anni, con le mie amiche, giocavo a interpretare i personaggi di alcuni film. È da lì che è nata, in me, la voglia di recitare. Poi un giorno mia madre venne a sapere che, vicino a dove abitavamo, si svolgeva un laboratorio teatrale. È lì che si è accesa in me la passione per il teatro, che amo con tutta me stessa.

J.L.: Hai preso parte a delle audio fiction con Yuri Salvatore (figlio dello scomparso artista napoletano Federico Salvatore, famoso per la sua canzone “Sulla Porta” ndr). Cosa ti ha lasciato questa esperienza come “voce”? Ti ha aiutata a crescere anche come attrice teatrale e se sì, in che modo?

F.Q.: Sono contentissima di aver preso parte a due audio fiction di Yuri Salvatore. Ha fondato la compagnia “Le Voci di Dentro”, di cui fanno parte attori di tutta Italia. Ogni attore manda a Yuri la registrazione della propria voce, così che possa essere aggiunta alle altre nella creazione dell’audio fiction. Aver potuto collaborare con lui mi ha arricchita tantissimo. Per noi attori, infatti, abituati ad avvalerci della gestualità e della mimica facciale per esprimere emozioni, riuscire a farlo con la voce soltanto è cosa non da poco. E poi, tieni conto che “Le Voci di Dentro” è nato proprio nel 2020, nel periodo più difficile per noi artisti, che non potevamo fare praticamente niente. Il suo è stato un modo per non far morire l’arte.

J.L.: Che consiglio daresti a chi volesse fare l’attore teatrale?

F.Q.: Il consiglio che gli darei è di non correre e fare la gavetta. Purtroppo i giovani d’oggi, anche per colpa dei talent, vogliono tutto e subito. Ma non funziona così. Se vuoi fare teatro, ad esempio, devi cominciare da zero e, magari, portare il caffè agli attori bravi cercando di carpire loro, dietro le quinte, i segreti del mestiere. Poi, pian pianino, iniziare con parti piccole e andare avanti, un passo alla volta, fino ad arrivare in cima. Se parti dalla vetta non impari nulla e “ti bruci”.

J.L.: So che sei stata scelta come protagonista di “Un Mistero al Cimitero”, commedia in due atti scritta e diretta da Salvatore Barruffo, in cartellone il prossimo 9 giugno al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (NA).

F.Q.: Sì, reciterò il 9 giugno nella commedia “Un Mistero al Cimitero” del maestro Salvatore Barruffo, che recita da oltre quarant’anni – ha preso parte a “Un Posto al Sole” e a “La Squadra” – ha scritto moltissime commedie ed è autore di libri come “Cercasi cuore disperatamente” e “Tre casi per casa”.

J.L.: È la prima volta che reciti da protagonista?

F.Q.: No, non è la prima volta, ho interpretato il ruolo di Lisetta nella versione di Gianfranco Gallo della Lisistrata, “Quartieri Spagnoli”. Stavolta però è diverso, il personaggio di Lucia in “Un Mistero al Cimitero” è più importante… 

J.L.: Importante al punto di farti cambiare idea riguardo al tuo futuro come attrice di professione?

F.Q.: No, non cambio idea su questo. Non mi interessa né guadagnarci, né partire per le tournée. Sono felice della mia vita privata e disposta a tutto pur di proteggerla. A maggior ragione, ringrazio il maestro Salvatore Barruffo per avermi dato questa opportunità: lui ha visto e vede in me tante qualità. Lo ringrazio dal profondo del mio cuore, ma sto bene così. 

J.L.: Prendendo a pretesto il radiodramma scritto e diretto per la Radio Svizzera dall’attrice Margherita Coldesina, abbiamo parlato di sogni e del nostro viaggio verso la loro realizzazione. Qual è il tuo Sogno?

F.Q.: Il mio sogno è mantenere accesa, in me, la luce del mio amore per il teatro, che amo immensamente ed è una parte di me, e un’altra luce più grande: l’amore che sento per le persone che mi circondano e per la mia famiglia, mio figlio e mio marito. Il mio sogno è rimanere una fonte di positività per chi mi sta accanto e, per grazia di Dio, essere una brava persona. Mi auguro di riuscirci. 

J.L.: Grazie ancora Francesca, per avermi aiutata ad acquisire una prosodia partenopea! 

F.Q.: Grazie a te Jasmine ♥