“Carneade, chi era costui?!?!?” Quando l’abito non fa il monaco…

Non sempre gli uomini di fede sono persone rispettabili, ma spesso sono anche dei codardi e certamente lontani dai loro giuramenti. (NdD)

 

Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole” (San Francesco D’Assisi)

Se non fosse per la serietà dei fattori contingenti in cui, giocoforza, mi sono venuta a trovare, l’avventura che sto per raccontarti avrebbe, anzi ha, del divertente. 

I PERSONAGGI DELLA STORIA

I protagonisti sono due: la sottoscritta e uno sconosciuto, incontrato durante una tappa forzata del mio percorso abituale, dal Sentiero di Gandria alle pendici del monte Brè.

I FATTI

Ruvigliana, Ticino, 27 agosto 2024, ore 19:15. Temperatura: 29 gradi. Umidità: 76% circa. Esco per la mia consueta camminata, contando sulla fresca brezza che precede il tramonto e un cielo che non sembra presagire importanti cambiamenti. 

La discesa verso il Sentiero di Gandria è piacevole: sono un’esperta, ormai, conosco molti sentieri alternativi, ma scelgo il più rapido e così, raggiungo Via Cortivo. Da lì, imbocco il Sentiero che porta a Gandria.

Al ritorno, più o meno all’altezza dell’Hotel Elvezia al Lago, il cielo si fa sempre più scuro, fino a coprirsi del tutto.

E qui, la giornalista che abita in me fa spazio alla follower di uno degli influencer più controversi mai apparsi nella storia dell’umanità: un tale chiamato Gesù Cristo.

Alzo gli occhi al cielo e Gli chiedo, come è mia abitudine, di trattenere la pioggia fino al mio rientro. 

Raggiungo a grandi passi l’ex Municipio di Castagnola e da lì, prendo una rampa di scale che giunge alla Strada di Gandria, dove imbocco un’altra scalinata.

Mi affretto perché la mia preghiera, ahimè, non sta sortendo l’effetto desiderato e infatti, cadono gocce sempre più grosse e frequenti. Mentre salgo un gradino alla volta rapidamente, le cateratte del cielo si spalancano, riversando su di me abbondanza d’acqua e di… ghiaccio!

Oltrepasso il civico 25 sulla destra, e sono alla rampa successiva. Sono una grondaia semovente. La mia maglietta, ormai, è una seconda pelle. I pantaloni sono sempre più pesanti. Le scarpe, alla pressione del piede sul terreno, a ogni passo, spruzzano zampilli che è una meraviglia. 

Un pensiero mi conforta: sono giunta alla salita che conduce alla Parrocchia di San Giorgio, una chicca storica del Cinquecento, la chiesetta di pietra con il campanile che rintocca la mezz’ora e l’ora intera.

Un ultimo sforzo, e troverò riparo sotto un piccolo portico. 

… E DILUVIO FU!

Chicchi di grandine continuano a colpirmi su dorso, collo, nuca, testa e braccia.

Coraggio. Una scalinata ancora e sono al sicuro.

Ed eccomi, finalmente, sotto il portico affrescato che si affaccia sul sagrato che non vedo, offuscato com’è dalla pioggia torrenziale d’acqua e ghiaccio.

È vero: sono al coperto finalmente, ma fradicia, come se mi fossi tuffata in piscina tutta vestita! La temperatura è scesa di colpo a undici gradi (l’ho verificato a casa, controllando il meteo ora per ora). In più, si è levato un forte vento che raffredda i miei indumenti intrisi d’acqua e incollati su di me.

Il cellulare è a mollo nella tasca destra e sono uscita senza un soldo. Di chiamare un taxi, quindi, non se ne parla. Devo trovare una soluzione alternativa. Mi affaccio sul sagrato della chiesa. C’è un’auto scura, parcheggiata. Di chi potrà mai essere? Chi sarà mai il visitatore di un luogo ameno, sì, ma in un tale momento di tregenda?

Esco dal portico e, rasentando il muro verso destra, passo davanti a una finestra dove un uomo, in penombra, si è affacciato. 

UNO STRANO INCONTRO

“Buonasera…” Saluto. “Mi scusi… Mi sono trovata sotto il temporale.”

Dico, con le braccia incrociate sul petto per proteggermi dal freddo e dal suo sguardo. L’uomo mugugna qualcosa. Non comprendo ciò che dice. 

“È sua la macchina parcheggiata qui?” Gli chiedo, con tutto il coraggio che trovo. Mi gioco l’ultima carta che il Destino sembra volermi offrire per tornare a casa. Abito a 1200 metri di distanza.

Tre minuti in macchina, tredici a piedi. Date le circostanze, sarebbe poco saggio da parte mia non chiedergli: “Potrebbe, per favore, accompagnarmi a casa?”

Un attimo di esitazione e, con lo sguardo rivolto al cielo, risponde: “Con questo tempo? No.” Quindi sorride, richiudendo la finestra. 

“Che simpatico!” Penso. “Starà andando a prendere un asciugamani… Tra poco mi aprirà la porta, offrendomi riparo giusto il tempo che sballi…” 

Intanto, arriva il mio buon senso a suggerirmi che quell’auto era già esposta al finimondo e quindi, non si sarebbe rovinata di più, dandomi un passaggio… A meno che i sedili non fossero di stoffa, ma in un’ora di sole, il giorno dopo, si sarebbero asciugati e… Voilà! Tutto sarebbe tornato come prima.

Per un momento, immagino di vivere la stessa situazione al contrario e concludo che certo, avrei fatto un favore a chiunque me l’avesse chiesto. Ora che ci penso mi è successo a Milano e a Lugano.

L’ultima volta, davanti al supermercato, c’era una signora anziana che, carica di borse della spesa, aspettava il figlio per tornare a casa in auto.

La pioggia l’aveva colta di sorpresa e, priva di ombrello, si riparava nell’ingresso coperto. Beh… Il figlio non arrivò e così, le offrii un passaggio. Niente di eccezionale, sia ben chiaro: per un atto di cortesia, non mi aspetto di certo una medaglia al valore civile. Credo sia qualcosa che ti viene naturale…

Un giorno potrebbe capitare a te e allora, visto che è dando che si riceve…

Decido di rimanere ferma dove sono. Sotto la soglia di questa casa antica, a differenza che sotto il porticato, l’acqua e le raffiche di vento non arrivano. E poi, che fastidio posso dare qui? Appena smette, me ne vado…

IL BUON SAMARITANO

Dopo qualche minuto, si apre la porta alle mie spalle. Sussulto. È lui. Accenno un sorriso di gratitudine. “Ero sicura che sarebbe tornato!” Penso. Immersa nelle mie serene considerazioni, la sua frase arriva come un fulmine a ciel sereno: “Ancora qui!? Non può spostarsi davanti alla chiesa?” 

“Davanti alla chiesa dove!?” Penso, guardando verso il portico da cui si accede al luogo sacro, dietro le inferriate di un cancello chiuso. Non comprendo il senso di una tale richiesta e non ho voglia di spiegare perché mi trovi proprio lì, e non altrove.

Mi basta aspettare che smetta di piovere. Nelle mie condizioni, poi, non sarà facile affrontare un quarto d’ora di cammino, in salita.

“Calma”, mi dico. “Una cosa alla volta.”

Ancora basita, ricevo un’intuizione. 

“Lei è un uomo di Dio?” Gli chiedo. Annuisce.

“Io sono figlia di Dio!” Un tuono arriva, tempestivo, a mo’ di conferma.

“Siamo tutti figli di Dio”. Decreta, contraddicendo l’evangelista Giovanni al capitolo 1, versetti 12 e 13 del mio libro d’amore preferito.

Segue una reiterata serie di: “Si vergogni…” da parte mia, in risposta al tormentone di lui: “Lei è qui solo per portare confusione!”

E richiude la porta, definitivamente.

EPILOGO

“Tu hai visto e sentito!” Esclamo, rivolgendomi all’Inquilino di Attico Paradiso. “Del resto, non ci sono altri testimoni, ad aver assistito alla nostra brillante conversazione. Sai che c’è? Me ne torno a casa lo stesso. Tanto, più di così non posso bagnarmi e se mi prenderò un raffreddore, pazienza.” Brontolo, ad alta voce.

Ciò che succede poi, ha dell’incredibile: mentre muovo i primi passi sul sagrato della chiesa, la pioggia comincia a scemare. Il tempo di arrivare a casa, girare un video mentre strizzo i miei indumenti sul piatto della doccia, e il cielo si riapre. Come se nulla fosse accaduto. Una notte serena mi attende, dal punto di vista meteorologico. Non riesco a dormire, però. Un pensiero mi arrovella, anzi, un paio di domande: “Se è vero che il caso non esiste, che senso ha l’avventura che ho appena vissuto? Qual è l’insegnamento che posso trarne?” 

Nel buio e nel silenzio, la risposta arriva in un sussurro: “Luca 10:25-37”.

FORZA ADAM!

Adam, è il nome del “mio” Parroco. L’ho trovato su Facebook, nel profilo della Parrocchia di San Giorgio di Castagnola.

Mi dispiace che non abbia superato il test del Buon Samaritano. Spero tanto che la prossima volta si faccia trovare pronto. Basterebbe prendesse ispirazione dal tau che indossa: il simbolo di San Francesco D’Assisi, che esortava i suoi discepoli a predicare il Vangelo con le proprie azioni e, se fosse necessario, anche con le parole.

Detto tra noi, Don Adam ricorda tanto Don Abbondio ne “I Promessi Sposi”.