I Conte non tornano… sapevamo già tutto dal 2006.

Facile criticare, in questo momento è fin troppo facile muovere critiche al governo ed a chi lo presiede, sono d’accordo, ma sarebbe anche un momento pericolosamente antidemocratico non farlo.

Facile adesso fare dietrologia, ma è difficile dimenticare la grave sottovalutazione fatta dal governo del fenomeno covid19, e la spavalderia con cui si sono dichiarate eccellenze sanitarie e preparazioni intoccabili giusto solo a fine gennaio 2020.

Difficile dimenticare come questo governo nei sui vertici bollava come semplice malattia, meno pericolosa dell’influenza, questa ormai pandemia mondiale, difficile in ogni caso non valutare come tutti i governi abbiano distrutto la sanità negli ultimi anni, sull’altare del pareggio di bilancio europeo.

Giusto? sbagliato? ad oggi sembrerebbe sbagliato!

Certo chi immaginava una pandemia mondiale?

Ebbene meraviglia delle meraviglie, Noi!

Proprio così, Noi avevamo, abbiamo, un piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale, già dal lontano 2006.

Infatti nel 2006 a pagina 6 si diceva:

L’obbiettivo del piano e rafforzare la preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale, in modo da:
1. identificare, confermare e descrivere rapidamente casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali, in modo da riconoscere tempestivamente l’inizio della pandemia.
2. Minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la mortalità dovute alla pandemia.
3. Ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali e assicurare il mantenimento dei servizi essenziali.
4. Assicurare una adeguata formazione del personale coinvolto nella risposta alla pandemia.
5. Garantire informazioni aggiornate e tempestive per i decisori, gli operatori sanitari, i media e il pubblico.
6. Monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi.
Le azioni chiave per raggiungere gli obiettivi del Piano sono:
1. migliorare la sorveglianza epidemiologica e virologica.
2. Attuare misure di prevenzione e controllo dell’infezione (misure di sanità pubblica, profilassi con antivirali, vaccinazione).
3. Garantire il trattamento e l’assistenza dei casi.
4. Mettere a punto piani di emergenza per mantenere la funzionalità dei servizi sanitari e altri servizi essenziali.
5. Mettere a punto un piano di formazione.
6. Mettere a punto adeguate strategie di comunicazione.
7. Monitorare l’attuazione delle azioni pianificate per fase di rischio, le capacità/risorse esistenti per la risposta, le risorse aggiuntive necessarie, l’efficacia degli interventi intrapresi; il  monitoraggio deve avvenire in maniera continuativa e trasversale, integrando e analizzando i dati provenienti dai diversi sistemi informativi.
L’operatività del Piano sarà valutata con esercitazioni nazionali e regionali, cui parteciperanno tutte le istituzioni coinvolte in caso di pandemia.
Il presente Piano è suscettibile di periodiche revisioni, al cambiamento della situazione epidemiologica.

Quindi lo sapevamo benissimo che poteva succedere!!!

ed addirittura dicevamo:

1] Attuare misure di prevenzione e controllo dell’infezione

Per contenere gli iniziali focolai nazionali attribuibili a virus pandemico e ridurre il rischio di trasmissione vanno adottate:
– misure di sanità pubblica quali la limitazione degli spostamenti, l’isolamento e la quarantena dei casi e dei contatti
– strategie di utilizzo di farmaci antivirali sia come profilassi che come terapia
– strategie di vaccinazione.

 

2] Misure di sanità pubblica

Gli interventi di sanità pubblica che possono risultare efficaci per limitare e/o ritardare la diffusione dell’infezione sono basati sulla riduzione dei contatti tra persone infette e persone non infette, e/o sulla minimizzazione della probabilità di trasmissione dell’infezione in caso di contatto attraverso comuni norme igieniche e misure di barriera (per esempio dispositivi di protezione individuale, DPI).

Fasi interpandemiche (fasi 1-2) ovvero non appena si viene a conoscenza dell’individuazione di casi infetti:
1) informazione sanitaria della popolazione per promuovere l’adozione delle comuni norme igieniche, che includono:
lavarsi spesso le mani
pulire le superfici domestiche con
normali prodotti detergenti
coprirsi la bocca e il naso quando si
tossisce o starnutisce
2) adozione di misure per limitare la trasmissione delle infezioni in comunità (scuole, case di riposo, luoghi di ritrovo), quali evitare l’eccessivo affollamento e dotare gli ambienti di adeguati sistemi di ventilazione
3) preparazione di appropriate misure di controllo della trasmissione dell’influenza pandemica in ambito ospedaliero:

a) approvvigionamento dei DPI per il personale sanitario

b) controllo del funzionamento dei sistemi di sanificazione e disinfezione
c) individuazione di appropriati percorsi per i malati o sospetti tali

d)censimento delle disponibilità di posti letto in isolamento e di stanze in pressione negativa (terapia intensiva, camere ad ossigeno etc.)
e) censimento delle disponibilità di dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti (respiratori).

Quindi, pur sapendo già cosa e come sarebbe successo, non abbiamo limitato subito gli spostamenti, non abbiamo innalzato i controlli alle frontiere, non abbiamo dotato le strutture di dispositivi di protezione individuali (mascherine, guanti, camici) non abbiamo ampliato le terapie intensive, non abbiamo predisposto opportuni piani per l’acquisizione di strumenti per l’assistenza ai pazienti, ma in compenso dal 2006 ad oggi abbiamo tolto più di 40.000 tra medici ed infermieri e fatto tagli per oltre trenta miliardi alla sanità pubblica.

Certo tutto questo non è colpa dell’attuale governo ma di tutte le forze politiche che si sono succedute in quel posto, e di cui oggi Conte eredita tutte le colpe.

Certo tutto questo è frutto dell’ottuso modo di essere in Europa che abbiamo tenuto negli anni.

Per cui sicuramente non per dolo ma per ruolo il nostro premier deve essere criticato.

Una critica che ci deve far riflettere su tutti gli errori del passato che oggi sono palesi, e non dobbiamo cantar vittoria perchè sono stati tolti i limiti del patto di stabilità, perchè questo ci permetterà solo di far sprofondare il paese in un rosso finanziario ancora più profondo, inoltre il tutto avrà un qualche valore solo se la BCE interverrà acquistando titoli di stato.

Si salverà forse qualche impresa, ma non certo l’Italia.

Oggi più che mai i Conte europei non tornano, ma davvero pensiamo che la Germania non ha i suoi piccoli falsi in bilancio che le cambiano i ratios? Ma tutti i finanziamenti alle imprese tedesche non “dichiarati” in bilancio all’europa?

E di fronte ad una Pandemia mondiale perchè l’Europa ha così paura ad esporsi? forse che salteranno fuori altarini che hanno coperto altri piani? forse che l’Italia si è svegliata dal quel sogno da principessa e si accorge pian pianino che in realtà era la cenerentola senza principe azzurro, o comunque il principe azzuro promesso in realtà era il cacciatore che doveva ucciderla strappandole il cuore?

Non è che tutto questo rincorrere un pareggio di bilancio con inflazione sotto il 2% altro non era che il modo di gestire masse di capitali a favore dei soliti ignoti?

Stiamo esagerando, pensando male? forse si ma a pensar male si pecca, ma la si azzecca.

 

 

 

 

 

 

Alleghiamo per una vostra lettura il piano pandemico, ad oggi molto attuale.

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Covid19, un nuovo futuro.

Piano Marshall oggi più che mai!!

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

Coronavirus: andrà tutto bene?

 




Il primo bene di un popolo è la sua dignità

“Per manipolare efficacemente il popolo, è necessario convincere tutti che nessuno li sta manipolando.” J.K. Galbraith

 

Come milioni di italiani, inchiodati davanti alla tele, ho appena ascoltato le ultime, ennesime, restrizioni alla nostra libertà, in nome del rispetto e della tutela del bene più prezioso, la vita, la vita di ognuno di noi.

Sempre più avanza la morsa del controllo e della punizione.

Tutto giusto, quasi lecito sul piano etico e legale sul piano giuridico, anche considerando che chi fa le leggi oggi sono loro.

Io, però, non ci credo più che andrà tutto bene.

E men che meno, da domani, canterò l’inno d’Italia.

Perché non solo sta andando sempre più tutto peggio, ma perché insieme ai morti, stiamo portando via la verità.

Le file di camion militari piene di salme dei miei concittadini bergamaschi, ci sfilano davanti agli occhi e gridano, nel silenzio attonito di una città in ginocchio, gridano vendetta.

Ma urlano anche, dentro ognuno di noi, se ancora abbiamo una coscienza personale e collettiva.

Ogni nuovo morto ci obbliga a prendere atto che stiamo morendo tutti, indistintamente, diventando, sempre più, un popolo bue.

Non posso sopportare che quegli uomini e donne che hanno fatto da cavia in questa emergenza, finiscano in un pugno di cenere.

Quel pugno di cenere, che giorno dopo giorno, ci viene lanciato negli occhi, attraverso i media per avanzare a tentoni.

E per scatenarci, l’uno contro l’altro, nella caccia alle streghe o nella guerra agli untori.

La strategia applicata è quella di colpevolizzarci per dominarci.

Anche adesso, ci dicono “il problema lo stai provocando tu, sempre di più, ogni volta che non rispetti le regole”.

É una strategia che sta funzionando anche in questo periodo, nella fase più critica dell’epidemia prodotta dal coronavirus.

L’epidemia ha un’unica verità: questi morti sono sì deceduti per covid 19, ma la loro vera condanna a morte risale a tutti gli inganni della dottrina liberista.

Un esempio per tutti? Il nostro sistema sanitario.

Un sistema sanitario come quello italiano, fino a un decennio fa, era tra i migliori al mondo.

Poi è stato fatto precipitare sull’altare del patto di stabilità: tagli da 37 miliardi complessivi e una drastica riduzione del personale (-46.500 fra medici e infermieri), con il brillante risultato di aver perso più di 70.000 posti letto.

Solo per quanto riguarda la terapia intensiva, così drammaticamente attuale, siamo passati dai 922 posti letto, ogni 100mila abitanti nel 1980, ai 275 nel 2015.

Tutto questo dentro un sistema sanitario progressivamente privatizzato e, quando anche pubblico, sottoposto ad una torsione aziendalista con l’ossessione del pareggio di bilancio.

La prova inconfutabile è data dalla Lombardia, considerata l’eccellenza sanitaria italiana e ora crocifissa da un’epidemia che, nella drammaticità di queste settimane, ha dimostrato l’intrinseca fragilità di un modello economico-sociale interamente fondato sulla priorità dei profitti d’impresa e sulla preminenza dell’iniziativa privata.

Può un popolo mettere in discussione questo modello, con il rischio che, con effetto domino, l’intero sistema della dottrina liberista crolli?

Dal punto di vista dei poteri forti, è inaccettabile.

Meglio che il popolo resti bue e vada nella direzione voluta dal potere e dai media.

Ed ecco scattare la fase della colpevolizzazione dei cittadini.

Sono i cittadini che sbagliano, che non rispettano le regole, che propagano il contagio.

Forza, facciamo scendere in campo l’esercito, puniamo con pene esemplari.

A nessuno viene il dubbio che le pene esemplari dovrebbero essere inflisse a chi ci ha portato a questo sfacelo?!?

Perché, di sicuro, i primi untori, sono stati coloro che hanno voluto questo nostro sistema sanitario italiano.

Questa nostra sanità, de-finanziata e privatizzata, che non può funzionare senza risorse umane e mezzi tecnici adeguati.

E cosa dire di quei folli decreti che, fino a stasera hanno tenute aperte le fabbriche (e addirittura hanno incentivato la produzione con un bonus per la presenza sul lavoro), ma, al contempo, hanno ridotto i trasporti congestionando di più le presenze fisiche sugli stessi?!?

Così, per settimane, le aziende ed i trasporti hanno continuato a fare propagare il virus.

Ma evidentemente, la colpa è del cittadino irresponsabile che si comporta male, uscendo a passeggiare o a fare una corsa al parco.

Ogni giorno il messaggio che passa è LA COLPA E’ TUA .

Sei tu, cittadino vergognoso che continui a boicottare un sistema di per sé efficiente.

Questo attuale, ma antichissimo, meccanismo di colpevolizzazione è molto potente.

Paradossalmente, c’è da sperare che funzioni, almeno quello!

E dovrebbe funzionare perché si intreccia con il bisogno di ognuno di noi di dare un volto ad un nemico invisibile.

Ecco perché indicare un colpevole, L’IRRESPONSABILE, costruendogli intorno una campagna mediatica che non risponde ad alcuna realtà evidente, almeno nei numeri.

Anche se c’è stata la fuga dalla Lombardia, ma chi è stato il folle che ha diffuso la bozza del decreto, come è possibile che una superficialità del genere in un momento del genere sia avvenuta?????

Non era ovvio che dopo un bombardamento mediatico così aggressivo e terrorizzante potesse succedere una fuga dall’epidemia???

Scarichiamo proprio tutte le responsabilità sul popolo, perché così, il popolo bue non si ribella, o per lo meno, scarica sull’untore la rabbia crescente per il prolungamento delle misure di restrizione.

Un popolo libero, intelligente e consapevole potrebbe davvero rivoltarsi sul piano politico.

Potrebbe davvero scatenarsi con una rabbia furiosa contro quel modello che ci ha costretto a competere fino allo sfinimento senza garantire protezione ad alcuno di noi.

Ed allora io resto a casa.

E mi comporto bene.

Ma se lo faccio è solo per onorare la morte di chi ha dato la vita, e per rispettare chi è in prima linea.

Andrà tutto bene non esiste, continuerà comunque ad andare tutto peggio.

A meno che, non guardiamo in faccia la realtà.

E pur continuando a seppellire i morti, prendiamo coscienza di quello che sta succedendo, di quello che ci hanno fatto e che ci stanno ancora facendo.

E quando avremo toccato il fondo, teniamocelo ben stampato in fronte e marchiato nel cuore.

MAI PIU’ POPOLO BUE, e nemmeno complice…

“I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, ma sono i governi che devono aver paura dei propri popoli.” T. Jefferson

 




Lista dei contagiati per proteggere il paese

Lista dei contagiati: la richiesta al capo del governo di due avvocati siciliani.

“oggetto: riflessioni tecniche sulla necessità di una banca dati COVID-19, di ampio accesso”
così si intitola una lettera inviata da due avvocati Siciliani al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

 

Loro sono Andrea Caristi e Francesco Savasta e da avvocati dei cittadini cercano un dialogo con l’avvocato degli italiani.

La richiesta ha a che fare con la creazione di una banca dati che riporti l’elenco aggiornato dei positivi al virus.

“una banca dati COVID-19, nella quale possa essere accessibile, con le dovute cautele, l’elenco dei soggetti contagiati o potenzialmente contagiati, articolato secondo le ASL di competenza, su tutto il territorio nazionale”.

Le cause

I due avvocati si fanno portavoce di una esigenza popolare: la percezione dal pericolo indotto da positivi sprovveduti che infrangono i dettami ministeriali rischiando così di espandere il contagio con la complicità involontaria di chi, inconsapevolmente, interagisce con essi.

Il periodo del contagio è una emergenza reale e dare a tutti la possibilità di essere coscienti del contesto in cui ci si muove, è un gesto civile volto al benessere comune.

Si legge infatti nella lettera

“Immaginiamo che un soggetto possa avere avuto contatti con una persona affetta dal COVID-19, che ella si sia ammalata, ma abbia omesso di informare (anche per mera dimenticanza) tutti coloro che abbiano avuto con lui contatti diretti, e nessuno del personale medico o paramedico lo abbia fatto, nell’ambito delle indagini susseguenti. Tutte le relazioni interumane, come noto, sono fonte di potenziale contagio. Essere ignari rende la cosa di una certa gravità”.

Essere ignari rende la cosa di una certa gravità.

Ovviamente molte persone riconosciute positive, spinte da giusta civiltà, si sono preoccupate di informare i conoscenti in modo da spingerli naturalmente verso maggiore attenzione.

Antefatto.

Alcune di esse, però, per dimenticanza o malafede non lo hanno fatto.

A questo proposito viene preso ad esempio il noto caso avvenuto presso il comune di  Santa Marinella (ROMA) ove un soggetto positivo e in quarantena ha informato del contagio dopo più di 10 giorni un amico che aveva incontrato e sicuramente contagiato,.

“Il soggetto positivo e in quarantena ha diffuso per caso l’informazione all’altro (di essere positivo al coronavirus) soltanto nella tarda serata dell’8 marzo u.s., durante una telefonata di cortesia, fatta per altri motivi. Alla domanda: da quanto lo sapevi? Egli ha risposto: dal 26 febbraio u.s., appena 4 giorni dopo l’incontro, ma 16 dal dies a quo”.

Ciò vuol dire che l’amico avrà sua volta rischiato di contagiare decine di persone incontrate durante quel periodo.

Se l’amico avesse potuto avere accesso a una lista dei contagiati, avrebbe potuto verificare tempestivamente a sua volta il proprio stato di salute.

Estremi giuridici

La decisione è molto delicata e richiede una riflessione attenta.

Si potrebbe dire, leggendo la lettera, che la creazione di una lista pubblica di contagiati non potrebbe essere accettabile per via della legge sulla privacy.

L’avvocato Caristi, esperto dell’argomento, assieme al collega Savasta sottolineano come L’art. 9, lettera I), del Regolamento UE 679/16 consenta che i dati personali dei cittadini vengano trattati  e comunicati in caso di “motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica quali la protezione da gravi minacce per la salute”. 

L’intento di questa proposta, si legge nella lettera, è 

“Contribuire al contenimento del contagio, in qualunque modo o forma”.

Conclusione

La lettera di conclude con la dichiarazione di vantaggio dell’operazione

“La banca dati-COVID 19, a nostro giudizio, solleciterebbe già di per sé, comportamenti virtuosi andando nella direzione di un rafforzamento delle responsabilità personali e approdando, in definitiva, alla vie auspicate dall’O.M.S.: estensione dei monitoraggi e prevenzione generale.

In questo senso, essa potrebbe inoltre costituire un valido ausilio a livello territoriale per monitorare il mancato rispetto dei divieti imposti alle persone sospette o malate in quarantena nonché, in ultimo, per monitorare i soggetti guariti, per via del potenziale riaffacciarsi del virus (ove lo stato della tecnica non escluda con certezza la recidiva)”.

Pro e contro

Purtroppo l’istituzione di una lista di questo genere ha tanti pro quanti contro:

Se da un punto di vista giuridico non fa una piega, dal punto di vista sociologico potrebbe riservare dei problemi.

Volendo fare una prima lista di pro e contro vengono fuori le seguenti idee

pro: 

  • chi ha contrato il virus non dovrà preoccuparsi di avvisare tutte le persone con cui è entrato in contatto.
  • Con l’esistenza della lista nessuno potrà seguire comportamenti irresponsabili.
  • Sapere esattamente chi ha il virus e chi no, stronca le dicerie da pianerottolo.
  • Controllo di eventuali recidivi.
  • Ausilio nel monitoraggio dei divieti.

Contro:

  • una lista del genere potrebbe generare una sorta di odio sociale all’interno della comunità generando oltre alle consigliate e doverose cautele della quarantena una ulteriore ostilità che peggiorerebbe la vita della comunità.
  • Un ulteriore sforzo burocratico su un sistema già saturo: l’elenco dei contagiati, dovrebbe essere costantemente aggiornato inserendo i nuovi contagiati e togliendo i guariti o i deceduti
  • Il panico nella gestione di eventuali errori.
  • Rischio di una moderna caccia all’untore.
  • Precedente che distruggerebbe irrimediabilmente la già debole garanzia di privacy.

E chi legge è pro o contro e perché?

 




sdidatticamente parlando e non solo

Prendo spunto dall’articolo che abbiamo pubblicato qualche giorno fa, sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza, della nostra cronista Antonella Ferrari professoressa in una secondaria di primo grado per fare alcune riflessioni con la calma necessaria.

La didattica digitale ha dimostrato chiaramente che non eravamo preparati, inutile alzare muri di orgoglio nazionale o locale, non lo eravamo ed ancora non lo siamo.

Il Paese non era preparato, le infrastrutture sono comunque non all’altezza, in alcuni territori non esiste fibra ottica, le connessioni non reggono, il wifi è scarso, le linee telefoniche sono inadeguate, in altre zone invece tutto bene tutto funziona.

In alcune zone esistono scuole che da anni hanno sperimentato sistemi di didattica digitale in altre è già bello se ci sono i computer o i tablet, alcune scuole hanno avuto i soldi per potersi adeguare altre no, in alcune zone i comuni e le regioni o provincie hanno fatto investimenti in altre no.

Ci sono professori che sanno di cosa parlano altri no, ci sono i maghetti superfighi e quelli che “ma manco se me pagano”, ci sono professori che sanno cos’è edmondo e professori che pensano che sia un attore argentino (che peraltro è un nome di origine anglosassone).

Non fraintendetemi, hanno ragione i professori, nessuno gli aveva detto prima che dovevano imparare perfettamente la didattica digitale  e le piattaforme collegate, nessuno ha impostato un progetto nazionale di trasformazione della didattica verso un impianto digitale.

Non mi dite che non è vero perché altrimenti non saremmo in questa situazione, al limite se c’era è clamorosamente fallito, alla prova dei fatti.

Nemmeno le scuole hanno avuto negli anni i soldi per poter avviare progetti in tal senso (alcune si ma molto poche) e non parlatemi dei PON, perché con quelli si sono utilizzati soldi per i progetti più disparati ma a pioggia e senza costrutto nazionale.

Un progetto di didattica nazionale a distanza, non la giungla che troviamo adesso, richiede alcuni elementi minimi:

la scelta di una piattaforma di riferimento (assurdamente il ministero ne ha consigliate tre o quattro)

un processo organizzativo uguale per tutti (oggi i professori sono tutti volontari)

la formazione dei docenti sulle tecnologie (mai avvenuta se non per volontà del singolo)

la riscrittura del patrimonio didattico in chiave digitale (i set informativi digitali non sono la stessa cosa di quelli utilizzati per la didattica frontale)

Nessuno di questi punti è presente oggi.

La didattica digitale non è mandare i pdf via skype o fare la lezione frontale tradizionale in video conferenza, queste sono grandi falsi ideologici, al limite strumenti dell’emergenza, ma non servono nemmeno come palliativo alla mancanza della scuola intesa come dimensione educante.

La Scuola è una dimensione insostituibile perché contiene un elemento che il virtuale non può sostituire contiene la gestione relazionale uno a molti, dimensione che non può essere demandata ad uno switch di videocamera.

Non solo, la Scuola contiene moltitudini, comportamenti, autonomie, responsabilità, immediatezza, praticità, contatto, che nessun mondo virtuale può sostituire.

Ma anche comprendendo l’emergenza, non possiamo perdere questo punto di vista, che riporta la scuola oggi al centro più che mai nella formazione delle nuove generazioni.

Nonostante tutto la didattica a distanza oggi è l’unica soluzione per cercare di mantenere legati gli alunni alla scuola.

Ma non ha funzionato benissimo, molti alunni sono persi e molti altri sono avatar del loro genitori, che sono stati buttati nel pozzo del digitale.

Quindi abbiamo scuole e didattiche a strati, chi riesce benissimo, chi riesce benino, chi non ci riesce, chi attua forme di trasferimento pdf, chi invia compiti via sms.

Questa è la tragedia vera come Stato, non stiamo dando a tutti i ragazzi le stesse opportunità.

Chi ha il professore maghetto o la scuola attrezzata usa piattaforme fantascientifiche, chi invece no deve stampare i compiti pdf che riceve, fotografarli e mandarli via telegram al docente.

Non è colpa di nessuno (magari invece sì), ma la situazione è questa.

La stessa idea del bonus docenti, che si e rivelata anch’essa fallimentare, poteva essere veicolata verso un progetto serio di didattica innovativa dando i soldi alle scuole con indicazioni chiare.

Situazione che inevitabilmente sta allontanando i genitori dalla scuola, perché cari professori, i genitori non fanno il mestiere di professori, sono a casa e devono seguire i loro ragazzi, vero, ma magari devono anche lavorare al computer, fare la cena ed il pranzo, gestire una situazione che spaventa un poco tutti.

Non pensate che il vostro mestiere sia mandare quintali di compiti o di videolezioni con l’idea che tanto sono a casa, probabilmente oggi serve più un contatto umano, qualche domanda simpatica in video, di certo non è utile esasperare i genitori, perché alla fine temo che l’esame di fine anno lo dovrete fare a loro.

Ritengo che questo momento del paese abbia alcune considerazioni fondamentali da tenere come punti fermi:

abbiamo bloccato in casa famiglie intere che prima si vedevano tre, quattro ore al giorno.

c’è una pressione psicologica dei mass media, giustificata dall’emergenza, ma che non può essere sottovalutata.

stiamo costringendo gli individui a vivere in pochi metri quadri, la frase leone in gabbia dovrebbe farci pensare.

la paura è un compagno continuo del popolo, ed un popolo che ha paura non sempre è razionale.

Tutto questo è dentro nella rabbia dei genitori che ulteriormente esplode quando non riescono a capire cosa fare per i loro figli.

Analizziamo inoltre un pochino il fine anno.

I sistemi on line che si stanno utilizzando non possono permettere una valutazione effettiva dei risultati in quanto non sono certificati, quindi quest’anno sarà impossibile valutare gli alunni sull’ultimo quadrimestre, forse è opportuno pensare di cristallizzare i risultati al primo ed avviare corsi intensivi a settembre per tutti.

Sarà obbligatorio il sei politico, perché qualsiasi bravo avvocato in questa situazione sarà in grado di far riammettere qualsiasi bocciato.

Ma soprattutto a settembre, speriamo, la scuola dovrà riaccogliere i suoi pulcini spaventati, sbandati e sicuramente un poco più ignoranti di prima e ridare la sensazione di essere parte di un paese vero, non virtuale, sicuro non infetto, dovrà garantire alle famiglie che ci sarà ancora un futuro per tutti.

La scuola avrà, come sempre, un ruolo importantissimo.

E forse finalmente avremo capito che dobbiamo cambiare come popolo, dobbiamo capire meglio chi siamo e con chi siamo, gli errori fatti nel passato, le quantità pazzesche di soldi buttati dalla finestra e riavviare progetti in linea con il futuro, che, come abbiamo visto, non è mai certo.

Quando usciremo da questa crisi non saremo più gli stessi, non avremo più lo stesso benessere, non avremo più la stessa fiducia, quasi spavalda, dei nostri mezzi, ma certamente saremo più italiani di prima, e questo è sicuramente un grande vantaggio.

 

 




Piano Marshall oggi più che mai!!

Ci vuole un Nuovo Piano Marshall a trazione europea.

Il Piano di aiuti di 12 miliardi di dollari che nel 1947 fu varato dagli Stati Uniti in soccorso dell’Europa distrutta dalla guerra molti di noi ricordano di averlo studiato come Piano Marshall (nella foto George Marshall, segretario di stato americano da cui prese il nome il piano di aiuti per l’Europa).

Marshall nel suo discorso di avvio del piano disse che: ” l’Europa avrebbe avuto bisogno, almeno per altri 3-4 anni, di ingenti aiuti da parte statunitense e che, senza di essi, la gran parte del vecchio continente avrebbe conosciuto un gravissimo deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali”

In realtà, il vero nome del programma di aiuti suona oggi profetico: European Recovery Program.

Una definizione che fa rima con le tante formule che in questi giorni sentiamo snocciolare da politici ed economisti in ambito domestico ed europeo.

L’European Recovery Program erogò alla sola Italia, nei tre bienni successivi, la cifra astronomica, per i tempi, di circa un miliardo e duecento milioni di dollari di aiuti.

Ai valori di oggi ammonterebbe ad un piano di circa 10 miliardi di dollari, solo per l’Italia.

L’iniziativa non aveva finalità solidali.

Gli Usa volevano garantire la ricostruzione dell’Europa sotto la propria egida e ricostruire rapidamente un mercato di sbocco strategico per le proprie merci.

Al di là della complessa analisi e revisione storica devono interessare i tre perni dell’iniziativa: la gratuità, la tempestività e la dimensione dell’intervento varato.

Gli effetti non furono immediatamente evidenti in termini di crescita del Pil, ma l’intervento ebbe una straordinaria capacità, quella di conferire fiducia ai consumatori e di dare nuovo impulso alla propensione al consumo.

È proprio la propensione al consumo la variabile da emancipare nei momenti di recessione.

In un’economia recessiva gli aiuti rischiano di venire tesaurizzati, ovvero convertiti in riaparmi e non in spesa, da famiglie ed imprese e non immesse appunto nel circuito dei consumi e quindi del reddito.

È questo il limite della politica europea in dibattito in questi giorni.

L’iniezione di liquidità annunciato dalla Bce dovrà essere ampliato e non essere assistito da clausole contrattuali capestro.

Purtroppo, la politica del governo si sta muovendo all’interno della strategia già condivisa in sede europea e imperniata intorno alla messa in opera del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes, Esm in inglese).

Il MES è un’entità intergovernativa, istituita nel 2012, con lo scopo di proteggere il sistema economico e garantire un agevole accesso al credito a disposizione dei paesi dell’Unione Europa in condizioni di difficoltà finanziaria.

Il Mes, istituito come fondo, è venuto ad assumere, ben presto, la forma di organizzazione intergovernativa con la possibilità di esercitare il potere di imporre scelte di politica economica ai paesi aderenti.

Tra gli strumenti di intervento il Mes ci sono l’emissione di prestiti per assistere i paesi in difficoltà e l’acquisto di titoli sul mercato primario.

Non solo buone notizie, tuttavia.

Il Mes, infatti, impone nei confronti del paese per il quale sono stati decisi interventi di sostegno, programmi di correzione macroeconomica e sanzioni fino a sospendere i diritti di voto del paese stesso in caso di ritardi nei tempi di rimborso degli aiuti ricevuti

Un paese in difficoltà che avesse aderito alle misure previste dal Mes potrebbe vedersi imposti provvedimenti draconiani per il riequilibrio dei conti pubblici, quindi imposte patrimoniali, tagli verticali ed orizzontali alla spesa pubblica, tagli a pensioni ed a stipendi pubblici.

È evidente che la partita deve giocarsi sul rispetto della sovranità del nostro paese che è e che resta un paese solido e per questo appetibile.

L’Italia, infatti, ha un sistema privato molto forte scarsamente indebitato e molto patrimonializzato, caratteristiche alle quali Francia e Germania non possono ambire.

La votazione sul Mes era in agenda a fine Aprile, ma di colpo lo avevamo ritrovato nell’ordine del giorno della riunione di Bruxelles del 16 marzo.

Misteriosamente derubricato nelle “varie ed eventuali” nelle recenti ore ne è stata rilanciata l’importanza dal Premier Conte in un’intervista rilasciata al Financial Times.

È evidente che il Governo vuole arrivare quanto prima ad una ratifica definitiva del Mes, alla quale Germania e Francia hanno, probabilmente, subordinato il varo della liquidità immessa sul mercato.

Il mondo è entrato in una profonda recessione aggravata dallo scoppio di una crisi pandemica e sanitaria senza precedenti.

La ricetta economica deve fare leva su un nuovo Piano Marshall capace di immettere risorse aggiuntive a difesa di lavoro, salari, pensioni ed imprese.

Un programma di aiuti per l’Italia e per gli altri paesi che miri a infondere fiducia verso il futuro e voglia di consumare.

Soluzioni politicanti, volte a dare con un mano e a prendere il doppio con l’altra, non soltanto lasceranno il paese alla deriva economica e sociale, ma allontaneranno, per sempre, la Politica dal paese reale.

 

 




Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

Didattica a distanza?!? Ma, per favore, non prendiamo in giro…

Premesso che sono nella scuola da 30 anni e che sono pure bergamasca, aggravante di questi tempi, lasciatemi dire perché la didattica a distanza non funziona, e men che meno, non funzionano le prime indicazioni operative del Miur.

Sul piano normativo, i sindacati (tutti, incredibilmente concordi) chiedono l’immediato ritiro della circolare, sottolineando che in questo momento straordinario in cui il Governo ha decretato la sospensione delle attività didattiche, l’attivazione della didattica a distanza non può limitarsi a replicare contenuti e modalità tipiche di una situazione di normalità”.

Io, mi limito a dire che non è menzionato, nel contratto nazionale, il fatto che io debba firmare il registro elettronico, men che meno, se non entro, materialmente, in classe.
Non tutti i miei alunni sono provvisti di connessione valida per la didattica a distanza.
L’adesione degli alunni è volontaria, il loro patto formativo non prevede attività a distanza e valutazioni a distanza obbligatorie.

Le valutazioni fatte al di fuori dall’aula scolastica ed in orari in cui non è prevista didattica sono illegali, come lo certificano innumerevoli sentenze del TAR.

E poi, la privacy, dove la mettiamo? L’impiego di video lezioni o comunque di strumenti che facciano uso dell’immagine fisica del docente e dei suoi studenti, non rispettano la privacy.

Se gli studenti, attraverso i genitori, possono fornire delle liberatorie in merito all’uso di immagini e filmati, come fa, invece, un docente a garantire la propria privacy? Come fa un docente ad essere certo che, mentre sta svolgendo una video lezione, non venga filmato da qualcuno e che questo video non finisca pure su you tube?

E poi, lasciando fare ai sindacati la loro parte, sul piano dell’esperienza, la didattica a distanza esaspera due mali della scuola italiana: il protagonismo ed il parassitismo.

Dal momento in cui hanno sospeso le lezioni, alcuni di noi si sono fiondati in una gara di competenze tecnologiche digitali trascinando con sé gli alunni e le loro famiglie in un vortice infernale di link, password, piattaforme digitali ed allegati virtuali.

Altri, dall’oggi al domani, sono spariti, su quel treno che li ha riportati a casa, oppure si sono defilati con la scusa dei problemi di connessione, o, magari, si sono dimenticati di essere gli animatori digitali tanto invocati dalla scuola che si fingeva d’avanguardia…

Ma, c’è anche chi, come la sottoscritta, in coscienza, sa di non appartenere a nessuna delle due categorie precedenti. Non mi sento né protagonista, né parassita.

Non mi sento più niente. Questa scuola non mi appartiene.
Per me, la didattica a distanza è una fatica immane.

Io da sempre vivo (e non semplicemente faccio) una didattica in presenza, una didattica di relazione e non di prestazione.

Io non offro un prodotto, ma stimolo un processo.

Io, quando entro in classe, scendo in campo. E la lezione reale è un gioco di squadra, per tutti.

La didattica digitale non è così, è altamente esclusiva. Sia per i docenti che per i discenti.
Lo sperimento ogni giorno.

Più il tempo passa più ci stiamo perdendo, tra di noi, docenti, ma, soprattutto perdiamo i nostri studenti.

È una catastrofe.

Non parlo della mancata presa visione dei compiti da parte delle famiglie.

Non parlo delle difficoltà nell’invio degli elaborati agli insegnanti.

Ci può stare…
Parlo dell’assurda pretesa di valutare i risultati dei nostri alunni, perché, ditemi voi, che senso ha valutare dei compiti svolti a distanza, senza nessun controllo?!?

Che senso ha chiedere loro delle competenze strumentali da nativi digitali che primo non esistono, e qualora ci fossero, confermano la mancanza di giudizio critico, di capacità di riflessione, di formulazione di ipotesi?

(Manco sanno costruirti una mappa concettuale in presenza, figurati on line?!?)

Lasciamo stare poi, i programmi, o meglio la programmazione didattica, come dicono loro, quelli del Miur.

La programmazione didattica va rimodulata, ci suggeriscono…

Bene, la programmazione didattica è saltata in aria, vi dico io, come le nostre vite.

Se mai, per grazia di Dio, dovessimo ritornare a scuola, giusto in tempo per fare gli esami, non penso proprio che chiederò ai miei alunni di parlarmi di un argomento di civiltà…

Perché la scuola è altro.

È il luogo dello stare.

Dove devono stare i ragazzi per imparare.

E’ il luogo dell’emozione e della relazione.

Dove si apprende insieme, costruendo la lezione non per gli alunni, ma con gli alunni.

La scuola è cura, è luogo di accoglienza, di incontro, di costruzione del sapere.

È un luogo pubblico in più. Gratuito o quasi.

È il LUOGO per eccellenza a fronte di tanti NON LUOGHI.

E poi, come se non bastasse tutto questo, guardiamo i fatti.

Cosa sta succedendo in questi giorni di lezioni on line e di classroom?

Spariscono gli alunni.

La didattica a distanza uccide la scuola, perché incrementa il suo abbandono.

Con le lezioni virtuali perdiamo gli studenti più fragili, quelli meno motivati, spesso già trascurati in famiglia.

Da che non sono più entrata in classe, di almeno 20, anche 25 studenti, io ho perso traccia.

E non parlo solo di stranieri, anche di ragazzi seguiti dai servizi sociali, di ragazzi borderline per gli addetti ai lavori… 25 alunni persi, scomparsi.

Il 10- 15% sul totale delle mie classi.
E mi direte voi… chi se ne frega!

E no! È il mio mandato istituzionale tenerli a scuola!

Non funziona così!

Ti mando i compiti.

Magari! Non funziona.
Non si tratta di compiti, fosse solo quello il problema!

E comunque chi ho perso: fra i tanti deboli, quelli ancora più deboli, per mille motivi; famiglia assente, nessun controllo, nessun strumento digitale, niente soldi per i giga, niente supporto di educatori comunali…

DSA, BES, stranieri, tutti quelli che arrancavano ora si sono persi.

Ed io con loro.

Ed allora, alla sera, quando non dormo, penso all’immunità di gregge, quella della scuola italiana del 2020, quella che vogliono quelli del ministero, quando ci parlano di didattica a distanza.

A loro, proprio a loro, vorrei dire “non vantatevi più tanto delle vostre scuole super tecnologiche, che tanto in Italia, non esistono.

Non inventate dei sondaggi docimologici per farci credere che siamo tutti bravi.

Voi che pensate di aprire le danze e di trovare noi che balliamo a tempo…

Io non ci sto, io continuo a pensare a chi resta indietro. A chi arranca, a chi brancola nel buio”.

Forse perché, mai come in questi giorni, mi sento una di loro…

 




Coronavirus: andrà tutto bene, parte seconda.

Andrà tutto bene? Ciak, si gira…

Altro giro, altro regalo…

Continuiamo il nostro viaggio nell’ universo lavorativo italiano,alla ricerca dell’effetto domino provocato dal covid 19 nell’economia del nostro paese.

Come detto ieri, noi di beta press, vogliamo sondare il disagio collettivo (senza filtri) delle diverse categorie di lavoratori coinvolti (e sconvolti!) dall’ impatto del coronavirussull’economia.

Oggi, passiamo al mondo dell’edilizia e dell’architettura. In particolare in due regioni, Piemonte e Lombardia.

Le stesse domande di ieri, le abbiamo poste ad un notoimpresario edile novarese.

E poi ad un altrettanto noto architetto libero professionistabergamasco.

In entrambi i casi, non mettiamo i loro nomi, perché, giustamente, in un momento in cui tutti fanno a gara ad apparire, i professionisti da noi intervistati, preferiscono parlare a nome della loro categoria, sapendo di farsi portavoce di opinioni condivise.

Betapress-Criticità specifiche del proprio lavoro in generale e, soprattutto adesso.

Impatto economico e problemi fiscali.

Decreto di marzo efficace o inadeguato?

Cosa è impellente in questo momento e nei prossimi mesi?

Soluzioni possibili o propaganda elettorale?

Focus sul mondo dell’edilizia.

“Le imprese edili come la mia, hanno a che fare con i privati che,chiaramente, al momento, preferiscono sospendere i lavori. E’tutto bloccato, non possiamo svolgere nessun lavoro, non solo all’interno, per legge è vietato, ma anche all’esterno, perché i clienti preferiscono non avere operai che transitano nel cortile.

Dunque, l’impatto economico è rilevante, se non lavori, nonporti a casa i soldi, non guadagni.

Stanno prorogando i pagamenti, buona cosa, ma poi dovranno essere effettuati, anzi, sappiamo benissimo che dovremo pagare a prescindere dai guadagni, questo è il vero problema.

Il decreto di marzo è parziale, perché in una società come la mia, agli impresari non danno nulla.

Danno ai liberi professionisti, cioè architetti, ingegneri…

Alle società non danno nulla, l’unico aspetto positivo è l’aver riconosciuto la cassa integrazione agli operai, ma ripeto, a noi impresari non danno nulla.

Capisco che a livello politico si stiano cercando delle soluzioni, sinceramente, non penso che sia propaganda politica, in questo momento non c’è tempo per quella, ma la situazione è davvero grave…”

Beta press- In che tempi prevedete una ripresa della vs attività?

L’accesso al credito e quindi un ulteriore indebitamento potrebbe risolvere?

E nel medio lungo periodo? Un finanziamento in quota capitale da parte dello stato potrebbe essere utile?

“Speriamo di riprendere l’attività entro una quindicina di giorni, un mese al massimo.

Tutto dipende dall’emergenza, fino a che la curva del contagio non inizia a decrescere è impensabile una ripresa delle attivitàedilizie.

Accesso al credito?!? No, non ho mai voluto dipendere dalle banche, ho sempre lavorato con i soldi della mia impresa. Non ho mai voluto indebitarmi con le banche e chiedere dei finanziamenti, dei prestiti proprio adesso sarebbe ancora più pericoloso, vorrebbe dire rischiare di chiudere del tutto.

E poi, non è solo un problema di soldi, ma di atteggiamento delle persone. Le imprese hanno il problema della committenza, dunque, bisognerà vedere, concretamente, come e quanto le persone risentiranno di tutta questa emergenza.

Bisognerà confrontarsi con la ricaduta economica, ma ancor piùcon il contraccolpo psicologico del coronavirus, bisognerà vedere se le persone avranno i soldi, ma ancor più la voglia di costruire,di restaurare, di progettare.

Focus sul mondo degli architetti, liberi professionistibergamaschi.

“È un decreto di emergenza che risolve la contingenza immediata, ma non propone soluzioni a medio ed a lungo termine.

Perché non è solo quando, ma anche come riprenderanno le attività. Chi ha già dei cantieri aperti, potrebbe anche riprendere, tra un mese. Ma, tutt’altra situazione si prospetta per chi è alla ricerca di nuovi clienti…

La crisi, la vera crisi economica, sarà visibile nei prossimi mesie allora sì che bisognerà investire su misure che possano dare carburante al paese.

Ci sarà una selezione naturale, un’immunità di gregge economica, dopo quella virale.

Le piccole imprese ed i liberi professionisti sono, come sempre,i più penalizzati e senza garanzie di liquidità a fine mese, saranno destinati a soccombere.

Non ci sentiamo tutelati, ci troviamo di fronte ad enormi difficoltà.

L’accesso al credito non è un problema ma, paradossalmente,andrebbe ad aumentare i costi già molto alti che un detentore di P.IVA deve adempiere …

Così come un finanziamento in quota capitale sarebbe sicuramente una soluzione tampone per un breve periodo di inattività.

Una soluzione concreta sarebbe, finalmente, valorizzare il made in Italy, rallentare (se non sospendere) la delocalizzazione spaziale della produzione all’estero, riportare in Italia la filiera produttiva dei nostri migliori marchi, incentivare le nostre esportazioni, e, viceversa, disincentivare le importazioni.

Tenere in casa i nostri talenti, tutelare i nostri giovani, altro che obbligarli a fuggire all’ estero per avere un po’ di riconoscimento del loro lavoro.

E poi, me lo lasci dire, dov’è la salvaguardia del merito se, in Italia, un clandestino vale 39 euro al giorno, un nullafacente 26 ed un libero professionista 19?!?”

Che dire? Pragmatismo, competenza e consapevolezza della propria forza lavoro, ma anche della miopia politica.

Noi di betapress non aggiungiamo altro, se non, ironicamente, chi vivrà, vedrà!

 

 




Covidisaster 2020

Il Virus fa paura.

Fanno paura i morti.

Fanno paura i contagiati e persino gli amici che distrattamente ci tendono la mano per salutarci infrangendo i divieti e le regole di sicurezza.

La verità è che siamo di fronte ai nostri peggiori fantasmi quelli evocati, finora, soltanto dalle pellicole di Hollywood.

La Pandemia tocca da vicino la sopravvivenza di ognuno di noi, la sopravvivenza della specie umana.

Dalla fine della seconda guerra mondiale in rarissime occasioni si sono sfiorate catastrofi di dimensione globali e tali da mettere l’intera umanità in pericolo.

In questi giorni, però, assistiamo a rappresentazioni della paura e dell’orgoglio di specie tra le più disparate.

Solidarietà e appelli all’unità nazionale fanno da contraltare al nascere di provocazioni e conflitti tra gli stati nazionali in ambito europeo e mondiale.

Esiste, allora, un naturale “orgoglio di specie” capace di salvare l’intera specie umana quando si approssimano eventi tali da metterne a rischio la stessa esistenza?

Negli ultimi anni i colossal cinematografici hanno prodotto molto materiale sul tema rendendo il filone “disaster” o “doomsday” uno dei più redditizi per l’intera industria.

Grazie a molti film del genere ci siamo confrontati con scenari ritenuti improbabili ma che hanno fornito una chiave di lettura della natura umana alle prese con le più disparate minacce di estinzione di ogni organismo vivente.

Nella pellicola “Io sono Leggenda” del 2007, per la regia di Francis Lawrence, il mondo, nel 2012, viene colpito da una pandemia che uccide il genere umano trasformando tutti in vampiri. L’unico sopravvissuto è il medico Rovert Neville, interpretato da Will Smith.

Rimasto solo in compagnia del suo cane, in una New York, deserta, si prodiga per sopravvivere e scoprire un vaccino per curare la terribile pandemia.

Fanno venire i brividi le sue parole alla ricerca disperata di umani ancora in vita:

“Mi chiamo Robert Neville”.

“Sono un sopravvissuto che vive a New York. Sto diffondendo messaggi radio in modulazione di frequenza. Sarò al molo di South Street Seaport ogni giorno, a mezzogiorno, quando il sole è più alto nel cielo.

Se siete lì fuori, se qualcuno di voi è lì fuori, posso darvi da mangiare, posso darvi un tetto, posso proteggervi.

Se c’è qualcuno lì fuori, qualcuno… per favore. Voi non siete soli.”

Voi non siete soli.

Finisce con queste parole la quotidiana ricerca dei sopravvissuti da parte del protagonista del film.

L’orgoglio di specie che irrompe nelle nostre coscienze, da queste immagini, è forte ed infonde negli animi paura e solitudine.

Paura e solitudine che ci ricordano di essere umani e ci spingono a lottare gli uni con gli altri contro il nemico comune.

Purtroppo, “Io sono Leggenda” non é l’unico film che abbiamo visto sul tema.

Ce ne sono stati molti altri negli ultimi 20 anni.

Nel 2009 esce in tutte le sale il Film dal titolo “2012” per la regia di Roland Emmerich.

La pellicola immagina un Mondo, anche in questo caso siamo nel 2012, destinato a scomparire a causa di tempeste solari che provocheranno disastri naturali fino alla completa estinzione della razza umana.

Nella sceneggiatura, tuttavia, gli scienziati delle superpotenze scoprono il tragico destino dell’umanità con due anni di anticipo ma i politici, al comando dei potentati economici, decidono di tenere segreta la notizia per tutto il tempo necessario a programmare un piano di salvataggio.

Il Piano consisterà nel costruire delle Arche che, in un mondo alle prese con l’innalzamento dei mari, consentiranno di salvare non più di tre milioni di individui selezionati sulla base delle classi sociali di appartenenza e sulla ricchezza personale.

Alla fine solo una piccola parte dell’umanità sembrerà salvarsi, quella a bordo delle Arche, quella appartenente alle classi dominanti o capace di pagare la cifra di un miliardo di dollari per il prezzo del biglietto.

Sul finire del film, il fortunato equipaggio delle Arche si rende conto che, nonostante il mondo abbia una nuova morfologia, ci sono altri sopravvissuti. La razza umana non si estinguerà nonostante gli egoismi e le prevaricazioni dei più forti.

L’approssimarsi della fine del genere umano, nel film, spinge gli uomini gli uni contro gli altri, i ricchi contro i poveri, i potenti contro i deboli.

Ritornano le conclusioni del filosofo Hobbes con la sua teoria su l’istinto di sopraffazione e l’istinto di sopravvivenza per un mondo dominato dalla massima Homo homini lupus, l’Uomo, cioè, è un lupo per l’Uomo.

Il film di Lawrence, ci dà un segno di speranza.

Il dottor Neville parla con le parole di Gesù che ai suoi discepoli dice “come io vi amato, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34) e con quelle del Principe Siddharta, il Buddha che presenta nei Tre Segni dell’Esistenza alla base del buddismo, il concetto del “non sé”, l’idea, cioè di un genere umano composto da miliardi di individui ma da un unico “sé” e da un unico cuore.

In questi giorni la paura, l’isolamento ed il bombardamento mediatico che uniscono in un’unica trama narrativa solidarietà ed egoismi, ci pongono di fronte agli stessi scenari: quegli dell’amore compassionevole e quegli dominati dai peggiori istinti di conservazione.

Non é questa la sede per andare oltre negli oscuri sentieri delle ragioni del bene e del male.

La Politica avrà la responsabilità di non lasciarci soli con le nostre paure e di trovare la strada per uscire da questo momento difficile.

Quando tutto sarà finito, però, ognuno di noi dovrà ricordare che esistiamo da milioni di anni e che all’approssimarsi della fine l’orgoglio di specie ha sempre prevalso sugli egoismi e le prevaricazioni.

Quando tutto sarà finito non dovremo dimenticare il tempo delle mascherine ed impegnarci ad essere migliori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Covid19, un nuovo futuro.

Immaginare il futuro non è semplice.

Il Covid19 sarà vinto, morirà di solitudine o verrà sconfitto da qualche vaccino in via di sperimentazione o dall’innalzamento delle temperature proprie della bella stagione.

In questa situazione, l’opinione pubblica cerca di proiettarsi all’interno di un modello sociale ed economico che vorrebbe immaginarsi impermeabile alla pandemia che stiamo vivendo.

Non si spiegherebbero, altrimenti, gli inviti provenienti da molti settori a vedere nella crisi  un’opportunità di investimento.

La realtà potrebbe essere un’altra e dipanarsi nell’ambito di nuove dimensioni di sviluppo.

Come immaginare, allora, il Futuro?

Il punto di partenza, è a ben guardare, non già il futuro ma il presente.

Comprendere il presente non è soltanto utile ma indispensabile per orientarsi nel Mondo post virus.

Il divieto imposto agli spostamenti con milioni di persone costrette a rimanere nelle proprie case se da un lato risponde ai dettami di una lotta estrema contro il virus, dall’altro impone nuove forme adattive e fa nascere nuove modalità acquisitive.

Il commercio “on line”, l’offerta di servizi attraverso forme “esclusivamente” virtuali finirà per decretare la fine dei canali fisici che già prima della pandemia, avevano minato le basi del commercio di prossimità e delle piccole realtà distributive.

Il lavoro da casa, lo “smart working” con il quale hanno dovuto fare i conti tutte le aziende anche quelle meno attrezzate, ha creato un’ulteriore discontinuità nei processi di digitalizzazione.

Una discontinuità che ha riguardato il lavoro nelle sue diverse proiezioni, quindi quella amministrativa, ma anche gli ambiti direzionali, l’insegnamento, l’amministrazione pubblica, la consulenza, le prestazioni sanitarie e così via.

Il ritorno ad una fase di normalità potrebbe svilupparsi in un mondo diventato di colpo digitale e capace di disintermediare i principali servizi e tutti i bisogni dei consumatori.

Un modello di virtualità che modificherebbe in modo sensibile il sistema di consumi esistente.

L’accelerazione dei processi di digitalizzazione non è l’unica conseguenza degli scenari post pandemici.

La ridefinizione dei contesti geopolitici sarà un totem con il quale fare i conti.

Le tecnologie “cloud” unitamente alla intelligenza artificiale consolideranno condivisioni di esperienze in tempo reale annullando di colpo il presupposto di viaggi e missioni all’estero.

In queste ore stiamo assistendo alla chiusura delle frontiere.

Gli accordi di Shengen sembrano un antico ricordo.

I programmi Eramus, con i quali migliaia di studenti universitari hanno svolto sessioni di studio all’estero, sembrano appartenere ad un mondo che non esiste più.

Il rischio di un isolamento prolungato ed un ritorno ai confini nazionali potrebbe far divampare fervori nazionalisti e mettere in crisi la stessa idea di economia aperta e globale costruita negli ultimi 20 anni.

La stessa Unione Europea sembra cedere sotto le pressioni sovraniste e reagire, ai programmi di sostegno agli stati aderenti, in modo scomposto.

Il futuro da immaginare, in sintesi, rischia di rappresentare una sfida di valore epocale alla quale guardare dal presente e dalle scelte politiche che la comunità mondiale sarà in grado di assumere nelle settimane che ci separano dal post-Covid19 augurandoci, nel frattempo, che la sopravvivenza della specie umana si declini con le cifre della solidarietà e del rispetto.

 




Coronavirustory

Di fronte ad un’itera Nazione coinvolta nella lotta contro il “nemico invisibile”, non si può non avvertire il senso di silenzio attorno a noi.

Uffici vuoti, bar e ristoranti costretti alla chiusura, scuole deserte. Per le strade non si odono le risate dei bambini, dei loro rumorosi ma meravigliosi giochi, non ci sono gruppi di ragazzi nei locali, e i super market sono i soli ad aver subito l’assalto delle folli compere di quanti più alimenti in vista di un isolamento obbligato a data da destinare.

Forse con debito ritardo, forse dopo mille raccomandazioni, inizialmente andate a vuoto, l’italiano ha compreso non solo la gravità della situazione attuale ma che il nemico si debella lasciandolo da solo. Forse con qualche ingiustificato ritardo ma alla fine abbiamo compreso che la nostra Nazione ci chiama ad un invito comune e non possiamo fingerci sordi alla sua chiamata.

In mezzo a tutto il caos quotidiano c’è chi ancora si affanna a ricercare le cause di questo contagio, a puntare il dito contro la Cina, per aver omesso quello che da subito era tenuta a rivelare al modo, chi invece inveisce contro gli Stati Uniti, per essere quest’ultimi i soli responsabili di aver creato un virus studiato a tavolino (per ragioni comunque sconosciute visto che proprio in America si stanno registrando contagi ed anche decessi).

Sempre in mezzo a questo delicato momento c’è anche un altra categoria, forse la più dura da mettere a tacere, riguarda i mostri da tastiera, i tanti improvvisati tuttologi che costantemente accusano i capi del Governo, per non aver chiuso in tempo le frontiere, per non aver fatto abbastanza, per non essere in grado di far fronte a questa emergenza per non saper dire e nemmeno fare.

Costoro continuano il loro atto di accusa incessante restando comodamente nelle loro case a scrivere attraverso un pc non curandosi del coraggio che serve per annunciare ad un’intera Nazione l’obbligo di fermarsi, per comunicare alla nostra Italia che la situazione è grave ma che nonostante tutto, seppur piegata, troverà la forza per potersi rialzare con il nostro aiuto.

L’italiano ha compreso, ed ha reagito, lo ha fatto stando a casa, lanciando messaggi di speranza attraverso il web, attraverso le migliaia di foto di bambini con in mano gli ormai noti e sempre emozionanti striscioni riportante la frase: “andrà tutto bene”.

Tutto si è fermato, ma non la forza che contraddistingue la nostra Nazione, che barcolla in questo istante ma che non ha intenzione alcuna di mollare.

In questo isolamento tutto è cambiato, noi siamo cambiati, la nostra visione del mondo, degli affetti, del ritrovarsi e del proteggere chi amiamo.

L’eroe non è più soltanto un uomo che calcia una palla di fronte a milioni di spettatori, fra applausi e milioni di euro; nuovi eroi ci rappresentano ed indossano un camice, una divisa, svolgono il loro dovere fino in fondo, in silenzio, non firmano autografi, non finiscono nelle prime pagine; adesso in questa Nazione ferma eroi sono coloro i quali dall’inizio di questa emergenza mai hanno fatto un passo indietro ma hanno combattono in prima linea.

Smettiamola di improvvisarci immunologi, politici, nell’arduo e vano tentativo di additare un colpevole, di condividere consigli su cosa si poteva fare od ancora cosa sarebbe meglio attuare.

Lasciamo che ognuno abbia il suo ruolo, imparando a dire grazie a chi dall’alto delle vostre prediche nelle corsie lotta con i fatti, non solo con le parole.

Si poteva, si doveva ma adesso siamo qui, nolente e dolente, tutto questo ci riguarda ma la speranza resta e quando tutto questo sarà finito, quando tra tanti anni ci chiederanno di raccontare i tempi del covid-19, mi piace pensare che potremo rispondere: “ siamo rimasti tanto tempo a casa tra la paura e le preghiere.

Il mondo intero si era fermato.

Alla fine la gente si era responsabilizzata, non usciva più, aveva lasciato il nemico a marcire nella sua solitudine.

Quando si poté uscire di nuovo osservavamo il mondo con altri occhi, con quelli di un bambino; e il caffè che abbiamo bevuto nei bar, che per molto tempo furono chiusi, seppur fatto con lo stesso chicco era buonissimo.

Sapete perché? perché in quel momento aveva il gusto di libertà, il gusto di un paese che aveva vinto”.