Servillo e i modi per non morire

A Bologna all’Arena del sole dal 10 al 14 gennaio 2024 il pubblico bolognese ha assistito alla rappresentazione teatrale “Tre modi per non morire, Baudelaire, Dante e i classici greci”.
Protagonista Tony Servillo per la produzione del Teatro Piccolo di Milano.
Un viaggio teatrale attraverso i testi di Giuseppe Montesano, autore napoletano contemporaneo.
Toni Servillo ha guidato il pubblico in un viaggio teatrale in tre tappe  attraverso i testi di Giuseppe Montesano.
Il tema è la consapevolezza di essere vivi.
Ecco quali sono i modi per non morire.

Servillo a Bologna al teatro Arena del Sole

A Bologna all’Arena del sole dal 10 al 14 gennaio 2024 il pubblico bolognese ha assistito alla rappresentazione teatrale “Tre modi per non morire, Baudelaire, Dante e i classici greci”.
Protagonista Tony Servillo per la produzione del Teatro Piccolo di Milano.

I modi per sopravvivere alla frenesia dei nostri giorni

Toni Servillo ha guidato il pubblico in un viaggio teatrale in tre tappe  attraverso i testi di Giuseppe Montesano.

Il tema è la consapevolezza di essere vivi e come sopravvivere alla frenesia dei nostri giorni, al fine di evitare “la disidratazione dell’anima”.

Tony Servillo all’Arena del Sole di Bologna

L’autore, Giuseppe Montesano

Giuseppe Montesano è autore napoletano dei nostri tempi (nasce nel 1965 a Napoli).
Ha scritto numerosi libri tra cui “Come diventare vivi” e “Tre modi per non morire”.
Da quest’ultima opera è tratta la pièce teatrale recitata dal noto attore napoletano Tony Servillo.
I  testi di Montesano sono una vivida indagine che mescola riflessioni personali al pensiero e alle parole dei classici.  Lo scopo è quello di uscire dal limbo dei nostri giorni e raggiungere la consapevolezza di essere vivi, perché non morire è un’ arte.

Il parallelo con i classici e l’arte di non morire

Attraverso il testo composto dallo scrittore napoletano Giuseppe Montesano, Toni Servillo accompagna il pubblico in un coinvolgente viaggio in tre tappe.
Il percorso vuole essere un antidoto alla paralisi del pensiero, alla depressione, alla non-vita che tenta di imprigionarci.
Compagni di questo itinerario alcuni autori che, ancora oggi, sanno mostrarci quell’arte di non morire da loro stessi messa in pratica. Baudelaire, Dante e i classici greci sono gli autori individuati quali modelli di quell’arte di non morire che s’impara coltivando la nostra interiorità.

Come ridiventare vivi nonostante la tecnologia

Le riflessioni di Montesano partono da un assunto: viviamo in una epoca in cui la tecnologia viene celebrata ed osannata.
Assistiamo ad applicazioni sbalorditive, con grandi potenzialità e aspettative di un miglioramento delle nostre vite.
Tuttavia mai come in questi anni si è fatta evanescente l’idea di progresso.
La riflessione di Montesano sviluppo ed articola il pensiero  già espresso nel suo precedente libro “Come diventare vivi”.
Il pessimismo sulla evoluzione tecnologica si fa sempre più stringente.

Il lamento dell’autore e l’era digitale

L’ infelicità ci assedia.
Siamo nell’epoca dello strapotere digitale.
Ci dicono in continuazione che potremmo essere liberati dai lavori più faticosi e noiosi.
Purtroppo questo non accade.
Sembrerebbe che la nostra evoluzione sia bloccata, prosegue Montesano.
Ed ecco che l’antidoto al pessimismo e all’analfabetismo emotivo e mentale è “toccare” le persone con parole di senso e di bellezza.
L’autore ci esorta di alimentare la fiamma che un verso di Dante o di Baudelaire, un frammento di Eraclito o Platone fa divampare.

Ecco quali sono i modi per non morire.

Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte?

Il monologo di Servillo inizia con Monsieur Baudelaire.
La domanda è: quando finirà la notte?
“Monsieur Baudelaire, le vite degli altri mi attirano, perché nello specchio delle vite altrui…spero sempre di trovare una risposta alla mia vita…”
Il monologo prosegue: “Charles, che confusione, di notte i tempi e i luoghi si inabissano, si confondono.Molti non torneranno più a cercare la minestra profumata, vicino al fuoco, la sera, accanto a un’anima amata… E i più non hanno mai conosciuto la dolcezza del focolare e non hanno mai vissuto!”

Servillo e i modi per non morire
Tony Servillo in un momento dello spettacolo

La metafora dell’alba dopo la notte

Il testo recitato da Servillo prosegue con un inno alla bellezza come arma per vincere ingiustizia e depressione. “Non hanno mai vissuto…Chi sono, Charles, questi fantasmi?
Hanno forse le nostre facce impallidite dalla paura di vivere?
O forse per loro e per noi la notte finirà, e verrà il mattino?

E quando sarà finita questa notte, quale alba ci aspetta, Monsieur Baudelaire?”

Servillo solo in mezzo al pubblico

E’ interessante notare che Servillo recita, non a caso, da solo, in mezzo al pubblico,
Il teatro di “Tre modi per non morire” è una via per ritrovare quelle parole che un attore dice con tutto il suo corpo e la sua mente per nutrire la sua e la nostra interiorità.
L’interprete non parla dall’alto del palcoscenico, ma è lì in mezzo al pubblico, senza scene, né decori, come in una antica agorà.
Lo spazio comune, dove tutti insieme, attore e noi spettatori, siamo radunati per svegliare le nostre coscienze, grazie alla forza, alla verità di una parola evocatrice.

Le voci di Dante. Otto secoli di lingua italiana per non morire

Si prosegue con Le voci di Dante, in cui prendono la parola alcuni celebri personaggi della Commedia.

“Otto secoli fa nella lingua italiana si aprì un gorgo, soffiò un vento mentale che sollevò mare e onde in spume e spruzzi…
Accadde qualcosa di così straordinario che non ha paragoni con nessun’altra epoca.……quella lingua si formò attraverso le opere di scrittori diversissimi: ….Erano imperatori, predicatori, trattatisti, storici, fabulatori, cronisti, poeti di corte e poeti vagabondi.

L’inno alla lingua italiana

il monologo di Servillo prosegue con un inno alla lingua italiana.

La lingua italiana viene definita come un’orchestra capace di suonare la musica della mente.

Il sogno della lingua italiana è un sogno che è “la trasmutazione alchemica della mente nel corpo e del corpo nella mente, una forma in cui l’emozione genera i concetti”.
Il pensiero razionale diventa intuitivo come una cosa viva, e la cosa viva si riempie di pensiero razionale: qualcosa che prima della Commedia non esisteva.

Quella lingua che chiamiamo italiana è ancora qui dopo otto secoli e molte metamorfosi, prosegue Servillo/ Montesano.
È la lingua scolpita e forgiata dall’uomo che chiamiamo Dante Alighieri.

Il cammin di nostra vita e il desiderio di salvezza di Dante

Il desiderio di salvezza non basta mai, non resta che ricominciare, nel mezzo del cammin di nostra vita, recita Servillo.
Una vita che è spesso miserabile e smarrita in un mondo miserabile e smarrito.
Ma è solo attraverso questo mondo, è solo amando questo mondo di sorrisi e di lacrime che possiamo ritrovare la via.   L’amore infinito che muove ogni cosa non può cessare di muoversi e chiamare.
La vita è la partenza, la morte è la vita, la foresta oscura della notte è qui.   
Ma sono qui anche le stelle che risplendono e ci indicano la strada, e ci aspettano.
Ora, e in ogni momento, il cammino può ricominciare.

I greci e il teatro come antidoto contro la morte

Il viaggio teatrale per non morire si conclude con “Il fuoco sapiente”, la poesia e la filosofia greche per immaginare un futuro diverso.
L’autore ci invita a seguire la saggezza dei greci e tornare a vivere il teatro e la letteratura nel senso più pieno.
Facciamo dell’arte l’occasione di incontro con gli amici, per condividere di nuovo ciò per cui vale davvero vivere: poesia, emozione e verità. Il bello è anche buono (kalòs kai agathòn), ecco l’ideale di perfezione umana per gli Elleni.
Il bello e il bene inseparabili, che spuntano luminosi dalle parole mentre si beve e si ride inseguendo la verità in un gioco serio tra amici veri. I nostri simposi sono cimiteri di pensiero dove ripetiamo “lo dico lo penso lo faccio Io sono lo so”, denuncia Montesano.
“Ci ingozziamo” di lavoro vacanze soldi nemici domani senza mai vivere l’attimo felice.

La metafora della caverna di Platone

Siamo ormai alla conclusione dello spettacolo. L’apoteosi finale viene affidata al famoso mito della caverna di Platone.
La recita nella caverna ci imprigiona tutti. Platone, uno dei più grandi pensatori dell’antica Grecia, viene esaltato.
Il mito della caverna di Platone è una delle pietre miliari in assoluto della filosofia greca antica.

La nostra vita è una caverna?

La caverna oscura simboleggia il nostro mondo.
Gli schiavi incatenati sono gli uomini.
Le catene sono l’ignoranza e le passioni che ci inchiodano a questa vita.
Le ombre delle statuette sono le cose del mondo sensibile corrispondenti al grado della credenza.
La caverna è l’ allegoria della conoscenza.  Noi stiamo dimenticando la scintilla che dalla bellezza ci conduce al bene attraverso il pensiero che vive in un corpo e in un’anima.
Dalla nostra caverna non siamo usciti.
Oggi la caverna è dovunque: “si nutre dei nostri cervelli digitali e delle nostre pulsioni animali e cresce come una velenosa rete invisibile”.

Le catene virtuali del nostro mondo 

Servillo prosegue: “Non abbiamo più catene ai piedi e alle mani, non servono per tenerci in schiavitù – non servono più, le catene siamo noi stessi”.
I greci hanno inventato il pensiero che dà forma al mondo e alla nostra anima nel mondo.
Noi invece sacrifichiamo l’anima e il pensiero al totem elettronico che strangola noi e il mondo.
Siamo espropriati, derubati della nostra vita. Vivere? Lo faranno per noi le nostre memorie esterne, i nostri avatar digitali.
Loro vivranno della nostra morte.

Servillo durante un momento della recitazione

 

E la caverna cresce, cresce lo spettacolo delle ombre e la rete si stringe.
Eppure, forse, là fuori, la luce splende ancora, là, fuori dalla caverna, là dove nascono nuovi mattini.

Servillo è ottimista:
“C’è qualcuno tra noi che ha ancora voglia di accendere una scintilla nel buio, e dire che le ombre sugli schermi della nostra caverna sono solo ombre? Chiudiamo gli occhi davanti alle ombre – e ascoltiamo la voce di Amore: il fuoco sapiente divamperà”.

Il grido di Servillo

Servillo prosegue, quasi come fosse un grido.
Noi siamo infatti inquieti, impoveriti, spaventati, e tutti sentiamo che ci manca qualcosa di cui avremmo un disperato bisogno: ci manca l’amore, ci manca la vita.

Come ri-diventare vivi

E allora? E allora non ci resta altro da fare che cercare di (ri)diventare vivi.
Un cambiamento a portata di mano perché già dentro di noi.
Questa è la speranza che emerge prepotentemente e, nonostante tutto, dalla recita teatrale.

Gli spettatori attenti ha applaudito lungamente e affettuosamente Tony Servillo.
L’attore napoletano ha così incassato un ennesimo successo di pubblico e di critica.




Canzoni vicine canzoni distanti

Due artisti di altri tempi: Cristina Ferrari e Simone Gambini

Abito Floreale e cappello di paglia legato al foulard lei; giacca, cravatta e stile un po’ steampunk lui.

 

Cristina Ferrari e Simone Gambini hanno preso parte all’ultimo video del regista avanguardista Claudio Bernieri, che con i suoi effetti speciali, e la sua passione per il retrò e il Vintage, li ha letteralmente catapultati nel passato, al tempo in cui, per le dichiarazioni d’amore, non si mandavano vacui sms, noiose emoticon, o messaggi privi di pathos, ma si regalavano fiori, si intrecciavano sguardi, si sfioravano sorrisi.

Il testo e la musica di Raffaele Pistone ci accompagnano con la magica voce di Cristina in una “CANZONE D’ALTRI TEMPI” dedicata a tutte le Mamme, anche a quelle “distanti”:

(https://youtu.be/5aYV6MRkAfQ)

Pur provenendo da esperienze artistiche diverse, Cristina e Simone, hanno un recente passato in comune: entrambi hanno partecipato a rielaborazioni musicali della Commedia Dantesca: Cristina fa risuonare nel nostro cuore la bellezza dei versi con la sua voce dolce e potente.

Dante, dopo aver attraversato l’Inferno e il Purgatorio alla ricerca della salvezza, ché la diritta via era smarrita, guidato prima da Virgilio e poi da Beatrice, ha raggiunto l’ Empireo.

È ormai arrivato alla fine del suo viaggio, in Paradiso, e si prepara ad affrontare l’ esperienza ineffabile per eccellenza, l’ excessus mentis in deum, la contemplazione di Dio nel mistero della Trinità.

Per uscire dai confini della sua mente umana e tuffarsi nella visione ultima ha bisogno di una grazia sovrabbondante, che può derivargli solo da Maria, colei che per prima, vedendolo smarrito nella selva oscura, è venuta in suo soccorso. Il cerchio si chiude. E allora San Bernardo, che accompagna il poeta all’ ultimo passo, innalza la sua preghiera alla Vergine, perché interceda per Dante presso Dio, sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, /

termine fisso d’ etterno consiglio …  inizia così il canto XXXIII del

Paradiso, l’ultimo della Divina Commedia, il più bello e complesso per l’

altezza dei contenuti e dello stile.

Claudio Fanton con le sue note eseguite al duduk, l’oboe armeno, è riuscito a sottolineare e ad accompagnare la musicalità degli endecasillabi danteschi, creando un’ atmosfera sacra, sospesa, resa ancor più coinvolgente dalla straordinaria interpretazione di Cristina.

Antico e moderno si fondono per celebrare il Sommo Poeta.

Il suono melodioso e malinconico del duduk, un omaggio al martoriato popolo dell’ Armenia, accompagnando la preghiera, ci aiuta a vivere la bellezza eterna della Poesia, sublime musica per l’ anima.

(https://youtu.be/4arG33ZHnWo)

Simone interpretando Casella nel secondo canto del Purgatorio, (https://www.youtube.com/watch?v=myjYpQ9wV5M) in una versione musicale, capace di trasportare gli uditori nei tre mondi Danteschi, facendo rivivere tanto i terrori infernali, quanto le soavi beatitudini dell’Empireo, grazie alle musiche e ai disegni del suono del DJ e produttore discografico Dance, House, Soulful House-Deep, Joseph B (Joseph Brittanni), e del pianista Alex JB Martin, alla voce narrante di Kronos (all’anagrafe Gianluca Cellai, prof. di Lettere) e a personaggi del mondo Televisivo e teatrale, che coll’anima, la mente e il cuore, hanno realizzato questo colossale lavoro.




DANTE

Oggi parliamo tanto di fan, di influencer, tifosi, di popolo dei social, ma nulla di tutto questo è paragonabile alla grandezza, all’assoluta impronta nella storia, alla innegabile e sconfinata bellezza intellettuale di Dante.

Boccaccio, forse il primo vero fan della storia, colui che, credo pochi sanno, aggiunse l’aggettivo divina all’opera di Dante, che inizialmente si chiamava solo Commedia.

Firenze, la città intellettuale per eccellenza, la culla della cultura rinascimentale, una sorta di brodo culturale primordiale che favorì la nascita dell’italico idioma e fu asilo delle più grandi opere rinascimentali.

Questi sono i tre personaggi in cerca di autore che Pupi Avati ha voluto fare suoi per raccontare quel Dante che pochi di noi hanno nel cuore.

Il film Dante è bello, ottimo, con qualche libertà nella regia, ma forte, di impatto, ma allora, direte voi, corriamo a vederlo; ed invece qui si apre una prima nota critica, che non vuol essere una colpa, ma piuttosto una riflessione.

Il film è, a nostro avviso, una favola letteraria raccontata magistralmente, ma richiede allo spettatore una buona conoscenza delle basi del mondo che racconta.

Ma è Dante, direte voi, tutti lo conoscono!

E no cari amici, non basta citare “nel mezzo di cammin di nostra vita” per poter dire di conoscere le basi per apprezzare questo lavoro.

Questo è un film a strati e si resta affascinati solo quando si arriva al quinto strato, o meglio, quando si riesce ad arrivare al quinto strato, in quel momento il film diventa una sorta di dimensione poetica che ci avvolge, ci culla, richiama alla nostra mente emozioni scritte nel nostro DNA culturale, ci riporta nella nostra identità culturale facendoci attraversare una foresta endecasillaba, ebbra di ricordi intellettuali del nostro passato e carica di ombre della nostra attuale cultura, persa nella giovanile piattezza aritmica.

Chi vedrà questo film lo apprezzerà, qualcuno lo boccerà, ma sicuramente chi lo capirà non potrà non amarlo, profondamente, pienamente consapevole che la ricchezza della nostra storia culturale è il più grande patrimonio italiano.

Boccaccio, nel suo viaggio per ritrovare la figlia dell’Alighieri e darle una sorta di ricompensa per l’esilio da Firenze del Padre, ripercorre le tappe salienti della vita di Dante, come frammenti di ricordi delle persone che lo hanno incontrato, lasciando allo spettatore il compito di ricucire il vuoto tra un quadro e l’altro, come se ci fosse un filo tra un ricordo ed un altro che lo spettatore deve tenere perché suo, perché implicito nell’essere italiano.

IO mi sono identificato in quel Boccaccio sullo schermo che ricercava lo sguardo puro, la bellezza di quella figura che “sapeva i nomi di tutte le stelle”, mi sono ritrovato in quella necessaria completezza della poesia e della lingua, in quel grande sapere, IO mi sono ritrovato nel sentimento più puro che in poche parole semplici DANTE ha reso immortale “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio”, amicizia, amore, lealtà, patria, tutto in un solo incipit “Guido, i’vorrei…”.

Dante si strugge per la sua Firenze, centro fermo dei mille disii, a cui assegna un valore simbolico, universale, a cui sembra voler dedicare la sua opera, come se tutto da lui fosse stato scritto per poter tornare nel grembo materno dalla sua città.

Chi lo capirà trarrà da questo film un’esperienza profonda, emotiva, insuperabile.

IO sono rimasto in sala dieci minuti dopo la fine, quasi a non volermi staccare da quel momento, e ricordavo continuamente mio nonno che nel suo studio mi raccontava di Dante, Petrarca, Boccaccio, Cavalcanti,  Guinizzelli, e di molti altri che, ora mi rendo conto, sono il mio DNA culturale da italiano.