“Cosa ti piace davvero?”

Se lo sai, hai un Destino!

Un “destino” di nome Roberta

“Din!” Tintinna la notifica di whatsapp all’arrivo di un nuovo messaggio. È un aggiornamento di Roberta Callegari, titolare della libreria Wälti e organizzatrice di eventi culturali a Lugano. Ho un tuffo al cuore. Le rispondo prontamente che ci sarò, e che mi piacerebbe intervistare lo Scrittore. Presto fatto. In pochi minuti mi conferma l’appuntamento per il giorno dopo. 

Igor Sibaldi ritorna in Città per presentare uno dei suoi ultimi libri, pubblicato a maggio di quest’anno per Mondadori: “Ribellarsi al destino – Impara a non rassegnarti e prendi sul serio i tuoi desideri”. Sono queste parole a risuonare in me, come accade fra diapason tarati alla stessa frequenza. Un “destino” di nome Roberta ci permette di incontrarci in una saletta del LAC, affacciata sul chiostro della Chiesa Santa Maria degli Angioli.

È la prima volta che lo incontro di persona e, seduta accanto a lui, non posso non notare il colore cangiante e rarissimo dei suoi occhi. 

“Perché Suor Soubrette?” Mi chiede con un sorriso. 

Gli rispondo porgendogli una copia del mio libro, che avevo portato con me completo di dedica personalizzata. “Igor”, così mi fa sapere di voler essere chiamato, è un uomo “down to earth”. Semplice e schietto. Mi sento a mio agio. Gli anticipo cosa ho pensato di scrivere a mo’ di introduzione all’articolo. È d’accordo. Ed ecco, in sintesi, di cosa parleremo. 

Sommario

Cos’è il Destino? Nel Sibaldi pensiero è una sorta di gabbia dorata – l’immagine è mia, nel tentativo di esprimervi il suo messaggio in metafora – posata su certezze assolute imposte da famiglia, società, sistema educativo, psicologia, morale, progresso… Le sbarre sono costituite da limitazioni sia interiori, sia collettive. Chiusi lì dentro, ci si è assuefatti a un linguaggio intriso di “Devi… Non devi… Puoi… Non puoi…” e il tremendissimo “bisogna”, con cui non ce la si può prendere perché non c’è nessuno con cui confrontarsi. Bisogna e basta. Ecco. Nella prigione dorata del Destino, definito dall’Autore come “sensazione che una qualche forza sconosciuta stia limitando la mia libertà”, vivono, anzi, sopravvivono gli “adeguati”. Questi ultimi sono, purtroppo, la maggioranza silenziosa di chi non osa farsi domande, né mettere alcunché in discussione.

Ed ecco che Igor porge una chiave a chiunque desideri rispondere al suo appello: “Puoi uscire di lì, a patto che tu risponda alla domanda: ‘Cosa ti piace DAVVERO?’”. 

E qui, la massa si divide in due gruppi: quelli che rispondono con certezza, in pochi secondi, hanno un destino, cioè avvertono una sensazione di limitatezza, accorgendosi di desiderare qualcosa che ancora non sono, non fanno, non hanno… Gli altri, quelli che ci pensano troppo, si chiedono se possano o non possano, debbano o non debbano, desiderare alcunché al di fuori della gabbia dei puoi, devi e bisogna.

La chiave comunque è stata offerta a chiunque voglia trovare, al di fuori del sistema, un’autentica libertà.

Ma c’è un prezzo da pagare: per intraprendere il suo viaggio dell’Eroe alla conquista del vero Sé e dei propri Desideri, il “disadeguante” deve trovare la forza per mollare tutto e, se necessario, ripartire da zero. E dove può ricavare questa energia? Secondo Igor nei suoi “difetti”, che assurgono al ruolo di Mentori.

Gli avversari invece sono sempre i suoi limiti, auto o etero imposti che siano.

Il premio finale, il “successus”, è dell’Eroe che rinuncia a chi era ed è, per lasciar posto a chi sarà. L’importante è che, durante il suo non facile percorso, impari a fidarsi di ciò che gli può accadere. E qui, Igor mette in evidenza come il verbo inglese “happen”, accadere appunto, condivida la sua radice con il sostantivo “happiness”, felicità. Come a dire: sei felice se non ti accontenti e ti fidi di ciò che ti può succedere.

Incontro con Igor Sibaldi

J.L.: Cosa vuol dire “desiderare”?

I.S.: Il contrario di “considerare”. Considerare vuol dire “tener conto delle autorità”. Desiderare vuol dire “non mi importano le autorità”. Le autorità possono essere i governi, la massa, la tradizione, i genitori. Considerare vuol dire “Io considero tutto, sono una persona prudente e attenta.” De-sidero, De-siderare: “Me ne vado via, ignoro le autorità e ragiono con la mia testa.” 

J.L.: Da dove vengono i desideri?

I.S.: Dal futuro. 

J.L.: Possiamo considerarli indizi di chi siamo realmente?

I.S.:. No. Di chi saremo. 

J.L.: In che modo hanno a che vedere con la nostra chiamata?

I.S.: La nostra chiamata è il futuro nostro che comincia a battere un po’ i piedi: “Insomma, arrivi o non arrivi?” Tutti pensano che il futuro non ci sia, ma il futuro c’è eccome! Ci sono tanti futuri. E il futuro più importante è quello che si chiama di solito “chiamata”, che ispira i desideri. 

J.L.: Che cosa intendi qui per difetti?

I.S.: I difetti sono, secondo me, le proteste all’adeguamento. La massa dice: “Bisogna fare questo e quest’altro sennò non vai bene, sennò non sei normale.” Difetto è dire: “No, io non sono normale e neppure voglio esserlo.”

J.L.: Chi ha stabilito siano difetti? 

I.S.:  La tradizione. E la morale. Morale nel senso: usi e costumi di una determinata epoca… Che naturalmente sono diversi dagli usi e costumi dell’epoca precedente e di un’epoca futura. 

J.L.: In base a quali parametri di riferimento?

I.S.: In base al criterio di adattamento. Quella che si chiama “pressione selettiva”. O sei così, o non ti prendo in considerazione. Se hai ancora il Nokia, non ti guardo neanche. È un difetto avere un Nokia, naturalmente. 

J.L.: (in un sospiro gli confido di averne uno, appena acquistato)

I.S.: (sorride)

J.L.: C’è chi ha fatto dei difetti un pretesto per inseguire un ideale di perfezione… Un’altra prigione?

I.S.: Purtroppo sì. Perché l’ideale di perfezione, se uno lo precisa prima di raggiungerlo, è ancora passato. C’è un passo bello della Bibbia, Genesi capitolo 12, in cui Dio si rivolge ad Abramo che è già anziano, e gli dice: “Cambia vita”. Gli dice: “Vieni e ti porterò in un paese che io ti indicherò quando sarai partito. Cioè, non partire per un programma già pronto, altrimenti non mi interessi.” Il problema degli ideali è che sono basati su quello che uno sa adesso, e sono delle preclusioni a tutte le possibilità future. 

J.L.: Chi e cosa sono gli avversari interiori?

I.S.: Sono numerosissimi. Tutti quelli che popolano il nostro passato. Quasi tutti, naturalmente. Possiamo benissimo elencare ai primi posti i nostri genitori. Gli amici, i fidanzati, gli insegnanti… E così via… Poi, naturalmente, tutte le persone che gli altri rispettano e che noi pensiamo di dover rispettare. Il peggiore di tutti, il più cattivo, non è una persona, non è una figura umana, ma è il senso di colpa. 

J.L.: Conviene affrontarli, combatterli e vincerli o conviene piuttosto ignorarli? 

I.S.: Ignorarli è impossibile. Bisogna per forza venirne a capo. Tanto per citare ancora la Bibbia, c’è questa interpretazione consueta della storia di Caino e Abele, che vuole che Caino sia un contadino e che Abele sia un pastore. Nel testo originale non è scritto così. Nel testo originale Caino è un esploratore, e Abele è un costruttore di recinti. E sono fratelli. E Caino non sopporta di avere come punto di riferimento, come personalità critica che lo giudica, un costruttore di recinti. E l’unica possibilità di disfarsene è, secondo la Bibbia, eliminarlo. Tanto non si elimina mai Abele. Ritorna sempre. La cosa curiosa è che, dopo l’assassinio di Abele, Caino non chiede scusa. (Ride) E Dio non lo punisce. 

J.L.: Non lo punisce?

I.S.: No. Anzi. “Vai via da qua”, gli dice. Caino ha preso dalla mamma, che è Eva. Che è quella che ha disobbedito. E quella volta Yahveh dice: “Fuori di qui.” E loro (Adamo ed Eva ndr) han detto: “Va bene. Non vedevamo l’ora di uscire. Non ne potevamo più di stare qui dentro, in questo giardino sbarrato…” E con Caino fa lo stesso, lo manda via. E poi Yahveh ci pensa e dice: “Speriamo che nessuno lo superi, Caino, perché se incontra uno più forte di lui, quello lì sarà ancora peggiore.” Allora spara un incantesimo su Caino, che nessuno può superare la disobbedienza di Caino perché sennò, diventa troppo preoccupante. “Che nessuno tocchi Caino!” Di solito si pensa che voglia dire: “Nessuno se la prenda con il criminale!” Non è questo, è un’altra cosa. La Bibbia è piena di sorprese. 

J.L.: Potremmo fare dei nostri avversari interiori dei mentori? Degli alleati, invece che dei nemici?

I.S.: No. Sono draghi. I draghi sono animali interessantissimi, nella mitologia. Talmente interessanti che sono gli unici animali fantastici che compaiono nelle leggende dei santi. Vedi San Giorgio… Non ci sono unicorni, non ci sono fate, non ci sono gnomi, elfi… I draghi ci sono. Sono veramente una grande scoperta dell’umanità, i draghi. Inspiegabile. La paleontologia è del diciottesimo, diciannovesimo secolo. Cioè fino a fine Settecento e inizio Ottocento non sapevamo come fossero i dinosauri. La paleontologia è recentissima, come scienza. I draghi, nel Medioevo, addirittura nell’età greca, erano già “dinosauri”. Li avevan già visti! Ma come han fatto gli antichi a immaginare un dinosauro se i dinosauri sono scomparsi decine di milioni di anni prima che comparisse l’uomo? Questo è un bel problema che nessuno ha risolto… Interessante dal punto di vista mitologico è che il drago rappresenta sempre il passato. Il passato che non vuole passare. L’eroe a un certo punto deve uccidere questo drago. E quando uccide il drago, trova i tesori. Un tesoro lo trova Sigfrido, subito, nell’invulnerabilità. Uccide il drago e diventa invulnerabile. Il drago di Tolkien è seduto su un tesoro. Se uno riesce a eliminare il passato, trova un tesoro. È difficilissimo d’altra parte…

J.L.: Quali sono gli avversari collettivi e come possiamo riconoscere, combattere e vincere anche loro? 

I.S.: I peggiori di tutti – è una cosa che nessuno conosce – ne parlo tanto, ma vedo che non prende, questo argomento, anche se secondo me è appassionantissimo – è il conscio collettivo. Si parla tanto di inconscio collettivo. In Svizzera c’era Jung, che scopre l’inconscio collettivo. Il conscio collettivo è peggio. Il conscio collettivo è quello che si pensa di solito. È quello che è bene sapere per essere presenti, contemporanei. Non solo sapere ma anche pensare, ragionare, considerare… Questo è il conscio collettivo. Il conscio collettivo è un nemico potentissimo. Il conscio collettivo è fatto di “noi”. Il noi ha una caratteristica come pronome culturale: ha un nemico che non può tollerare, un nemico mortale del noi, mortale nel senso che il noi lo fa sempre fuori, che è l’io. Cioè il noi non tollera l’io. Il conscio collettivo è un noi. E l’io deve fare i conti con questo noi. Di solito resiste un pochino durante l’adolescenza, e poi cede e diventa un noi. L’io diventa come loro. Cioè io non sono più io, ma io divento una parte di un noi, che può essere tradizionalista, contestatario, innovatore, ribelle, però è sempre un noi. È una mentalità plurale, in cui l’io non è sopportabile. Il noi è quello che fa le guerre… Ci sono grandi esempi. L’esempio principale è nei Vangeli di Gesù, che continua a ribadire l’importanza dell’io… I Vangeli sono un romanzo di lotta fra l’io e il voi. Gesù ha sempre qualcuno che chiama “voi”. Voi, voi, voi, voi… Poi è venuto San Paolo che è molto più politico: “Sì, ‘io’ fino a un certo punto, l’io deve formare una bella rete di ‘noi’, che io dirigo…” (ride)

J.L.: … E ha posto le basi della chiesa, come la conosciamo oggi.  

I.S.: “Trasumanar significar per verba non si poria” – dice Igor, citando Dante nel primo canto del Paradiso – “Trasumanare” non si può dire per parole. Ma se uno l’ha provato, capisce quello che sto dicendo. È bello quel passo del Paradiso. Dice: “Io non te lo posso spiegare. Ti dò l’idea. Però se non l’hai provato lasciamo stare, fai finta di niente. Se l’hai provato però, ci capiamo bene. Quello che non ti posso spiegare neanche tu puoi spiegarlo, ma se l’hai provato ci capiamo.” Si comunica sempre nonostante le parole. Prima speravo che si comunicasse attraverso le parole, adesso si comunica nonostante le parole. Si comunica sempre per una forma di telepatia. Durante le conferenze… In tutte le forme d’arte è così. Se uno legge un libro, sono una serie di parole messe su una pagina. Se non c’è un pochino di telepatia, se non c’è un contatto che passa non attraverso le parole, ma nonostante le parole, non c’è dialogo. 

J.L.: “Adeguàti”. Si nasce con questa predisposizione all’adeguamento, o ci si adegua nel tempo? 

I.S.: Nooo… Cinque anni di elementari. Tre anni di medie… Cinque anni di superiori… Sono tredici anni di addestramento. Nessun animale ha un addestramento così lungo. Il gatto dopo un anno sa già tutto quello che c’è da sapere. L’uomo ha bisogno di tredici anni di ammaestramento. Tredici anni, per farlo diventare “adeguato”. Evidentemente c’è una resistenza terribile. Altrimenti le scuole durerebbero due anni, tre anni al massimo…

J.L.: E ribelli, si nasce o si impara a esserlo?

I.S.: Si nasce, come dimostra qualsiasi conversazione con un bambino che abbia meno di tre anni, basata sul “perché”. L’adulto fa resistenza. Una persona ribelle o rivoltosa è una persona che chiede perché. Quelli che non chiedono, si sono adeguati. Un bambino chiede perché. Poi comincia ad adeguarsi quando si accorge che l’adulto non è che non risponde perché non sa, non risponde perché non capisce. Prima grande delusione verso i tre, quattro anni. Poi verso i cinque, sei anni un’altra scoperta triste è che le parole del linguaggio comune non sono sufficienti. Non sono sufficienti a dire tutto quello che si potrebbe dire. Il vocabolario attivo di una certa epoca, specialmente della nostra, è scarso. Quindi per descrivere certe sfumature di sentimento, certe sfumature di percezione, non basta. È una scoperta molto rattristante, molto triste, che vuol dire che non potrò mai esprimermi… A meno che non diventi un artista. Però non tutti sanno che c’è questa scappatoia. Dopo comincia l’addestramento della scuola, e tutto il resto.  

J.L.: Come possiamo imparare a ribellarci al nostro destino?

I.S.: Si tratta di imparare, perché nessuno dei corsi attualmente immaginabili, scolastici, universitari e così via, tratta di questo argomento. Sono tutti corsi che si basano sull’adeguamento a qualcosa. Il destino può essere il destino collettivo, che è quello della maggioranza delle persone, o può essere il destino personale. Ci sono sempre i limiti. Limiti condivisi o limiti non condivisi. Le persone per bene, le persone non disturbate diciamo, tendono ad adeguarsi, all’inizio, per evitare problemi. Poi bisogna per forza reimparare, da adulti, quello che si sapeva già da bambini. Che si può chiedere perché. E i perché più utili sono quelli che non hanno risposta. Il grosso problema sono le domande che hanno già risposta… A scuola ti fanno domande che hanno la risposta pronta, e lo stesso quando sei tu a fare domande. Questo, dal punto di vista intellettuale, è una sciagura… Uno vince, fa punti, quando trova domande che non hanno risposta. Per ora. E ci vuole qualche settimana, qualche mese… E durante qualche settimana, qualche mese uno cresce tantissimo, grazie al fatto che ha trovato la domanda che finalmente non ha risposta. I cosiddetti “ribelli” al proprio destino e al destino collettivo, sono quelli che trovano le domande migliori. Naturalmente hanno una trappola, che è una qualche ideologia già pronta, che strumentalizza i ribelli. Cioè, c’è gente che fa domande domande domande, e c’è chi dice: “Ti dò io le risposte… Ma tu devi votare me. Devi seguire me, comperare i miei libri e i miei gadget.”

J.L. Come possiamo imparare a fidarci di ciò che ci può succedere?

I.S.:  Difficilissimo. Fidarci di quello che i latini chiamavano “successus”, quello che gli Inglesi chiamano “happiness”: essere in buoni rapporti col verbo “happen”, il verbo succedere. Difficilissimo. Tutti gli animali lo sanno fare. Gli animali, avendo una memoria molto spaziosa e non facilmente offendibile, si fidano di quello che può succedere. Devono cacciare, non hanno il supermercato… L’uomo, l’umanità, specialmente oggi, teme tantissimo quello che può succedere. Solo che è bene sapere che la parola “fortuna” viene dal vocabolo “forse”, che è lasciare un’incertezza sul futuro. Se uno non lascia e non ama questa incertezza, di fortuna non ne ha. E poi naturalmente se non si fida di quello che può succedere gliene capitano di tutti i colori. Perché deve dimostrare a se stesso che ha ragione a non fidarsi. E allora mi fido, ed ecco che mi dimentico le chiavi della macchina da qualche parte. Mi sono fidato, ed ecco che mi fidanzo con quella là. Ma porca miseria, se non mi fossi fidato… E sono tutte strategie di auto delusione per dimostrarci che è vero il modo di dire che chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che perde, non sa quello che trova. 

J.L.: Come facciamo a capire se siamo autenticamente liberi?

I.S.: Se sorridiamo. Naturalmente, non per cortesia. C’è una contrazione dei muscoli involontari dei muscoli delle guance, che porta al sorriso. Quello lì è un riflesso fisiologico, un sintomo di libertà. 

J.L.: Successo e essere felici vanno di pari passo o può anche essere che la felicità non sia, necessariamente, inclusa nel pacchetto “successo”?

I.S.: Ma… Dipende, perché in Italiano essere felici è una forma di contentezza. La felicità non è contentezza. Filologicamente non c’entra niente. Contento è uno che decide di farsi contenere, nella sua situazione. E tanti si rassegnano a essere contenti e pensano di essere felici. Invece felice sarebbe una persona che non si rassegna, che non si lascia contenere, che vuole sempre molto, molto di più ed è entusiasta di volere questo molto di più. 

J.L.:  Qual è il ruolo della mente, in questo viaggio eroico di uscita dalla morsa del Destino?

I.S.: Consigliera. 

J.L.: Qual è il ruolo giocato dalla fede?

I.S.: Grande freno. 

J.L.: Ok. Mettiamola su questo piano. A me piace molto e mi ispira distinguere sempre la spiritualità dalla religiosità. La spiritualità, perlomeno nella mia sensazione, è qualcosa che puoi sperimentare se non ti sei adeguato. La religiosità, invece, è qualcosa alla quale ti attieni magari per non sentirti in colpa o per mille altri motivi, quando ti adegui. Quindi, parlando di fede spirituale e non religiosa, dici lo stesso che è un grande freno?

I.S.: Sì. La differenza tra spiritualità e religiosità è una differenza di concretezza. La religione è chiara. La parola è chiara. Il verbo “religare” vuol dire “legare” la vite al sostegno. Che cresca lì e non cresca altrove. Chiaro. Spiritualità è molto vago. Spiritualità è vaghissimo, come termine. Perché si basa sulla parola spirito e nessuno che io conosca conosce il significato della parola spirito, nessuno per esempio sa definire la differenza tra spirito e anima. Dire “spiritualità” è come dire “nuvolette”. Il termine è volutamente modesto per motivi editoriali. Perché dire “spiritualità” è più evocativo. In realtà quello che sarebbe spiritualità, sarebbe filosofia. Solo che se uno dice filosofia come genere letterario, i lettori si scoraggiano. E allora si chiama “spiritualità”. Spiritualità è un po’ più disimpegnato di religione, bisogna vedere che cosa intendono le persone per spiritualità. Spiritualità vuol dire, penso, interesse per realtà che una persona può sperimentare da sola, per conto suo, senza maestri o con maestri temporanei. Allora questo va bene. Naturalmente la fede diventa un’ancora, l’ancora è utile quando si vuole stare in porto. Quando uno vuole stare in porto la fede è utilissima. Quando una persona si stufa di stare in porto, allora la fede diventa un intralcio. 

J.L.: Quali sono, secondo te, i valori più importanti con i quali equipaggiarci per uscire dalla morsa del destino… Se credi che possano esserci d’aiuto… 

I.S.: Ce n’è uno solo. La scoperta.

J.L.: E il ruolo del coraggio e della paura, nel risvegliarsi e rendersi conto che qualcosa andrebbe cambiato? 

I.S.: Coraggio è una parola molto sopravvalutata. È un epifenomeno. La paura scatta quando uno si trattiene. Basta non trattenersi e non c’è neanche bisogno di coraggio. 

J.L.: Come possiamo trovare la forza – uso questo termine per evitare la parola “coraggio”, che mi hai appena smontato – di mollare tutto? Su cosa si può fare leva se si vuole offrire a un essere umano l’opportunità di conquistare questa autentica libertà di cui si è parlato all’inizio? 

I.S.: Una volta avevo un amico molto caro, che era un pittore, anziano. È molto interessante parlare coi pittori mentre dipingono. Sono intelligentissimi in quel momento. Così come sono ispirati nel pennello, sono ispirati nelle parole. E gli chiedo: “Ennio – si chiama Ennio Toniolo – perché non ho il coraggio di guardare le nuvole? A me piacciono tantissimo le nuvole, però se le guardo dopo qualche secondo abbasso lo sguardo. Come mai..?” “Perché non sei abbastanza. Nuvole sono, tu non sei abbastanza…Ovvio.” Mi dice. “E come si fa a essere?” Lui mi dice, dipingendo: “Non si fa. Si è.” (Ride). 

J.L.: E questo essere è in continuo divenire…”

I.S.: Sì, essere vuol dire sentire che ti manca qualcosa. Quando una persona “è”, qualsiasi cosa sia, non c’è dubbio che appena accetta l’idea di essere qualcosa, si accorge che è troppo poco. E quindi comincia a divenire. 

J.L.: Come sei riuscito tu, a ribellarti al tuo destino? Sei nato in un contesto che ti ha permesso più libertà in questo senso? 

I.S.: Un po’ sicuramente il contesto. Perché metà famiglia russa, metà famiglia italiana… Avere due patrie vuol dire non averne nessuna, per essere fatalmente diversi. E poi la noia. La grande amica. Appena arriva la noia, è un regalo. Se una persona è sensibile alla noia, è salva. 

 




“Una famiglia di stelle”

“Ballando, cantando e sfilando con le stelle”

In “Suor Soubrette”, la mia autobiografia, racconto di come sia riuscita, nonostante e grazie agli impedimenti di varia natura, a realizzarmi nelle mie sacrosante aspirazioni.

Ad alcune di queste ho dovuto rinunciare perché meno “urgenti”, ma non per questo meno importanti. E comunque, finché c’è vita, c’è speranza. 

Il mio messaggio ai ragazzi di ogni età è “Fregatene e risplendi!”: un incoraggiamento ad affrontare e vincere le sfide che la vita ci offre – sotto forma di pareri non richiesti, per quanto autorevoli, tutt’altro che costruttivi – sul non sempre facile sentiero dell’auto realizzazione. 

“Campioni si nasce o si diventa? O tutte e due?”

 In che misura l’ambiente familiare è determinante, affinché un figlio possa realizzarsi pienamente nelle proprie aspirazioni? Esiste un’isola felice, una famiglia ideale, naturalmente imperfetta, dove si respiri un clima di rispetto reciproco e i figli vengano educati all’amore per l’Arte e la Bellezza? 

Per rispondere a questa e ad altre domande ho raggiunto Pinuccia Matta e Raffaello Lucchese, titolari di una prestigiosa realtà dell’antiquariato luxury giunta ormai alla quarta generazione e soprattutto genitori di due splendidi virgulti di diciotto e tredici anni rispettivamente: Simone ed Eleonora. 

 “Un vivaio di stelle”

Al loro arrivo sul pianeta, i due fratellini hanno trovato ad accoglierli il clima ideale per poter fiorire in accordo con la loro natura. Mamma e papà, infatti, li hanno sempre lasciati liberi di seguire le loro inclinazioni e, si sa, un fiume scorre sempre in direzione della propria foce. Così, giorno dopo giorno, i due ragazzi lavorano in vista della realizzazione dei loro sogni, desideri e aspirazioni. 

La famiglia Matta Lucchese, a quanto pare, ha adottato un approccio educativo dal quale prendere ispirazione, come genitori, per educare i propri figli alla consapevolezza del loro intrinseco valore. Raggiungo quindi la mamma e i ragazzi per un’intervista che ha per tema il “come” incoraggiare giovani visionari a fregarsene delle nubi grigie – leggi: critiche non costruttive, profezie non felici, opinioni non richieste all’insegna di un’incredula prudenza –  e a risplendere come stelle, costi quello che costi.

“Intervista a mamma Pinuccia”

J: “Pinuccia, come siete riusciti a riconoscere i doni e i talenti dei vostri ragazzi?” 

P: “Per quanto riguarda nostro figlio Simone l’abbiamo capito subito: aveva solo sei mesi quando durante i nostri viaggi in auto, nel suo seggiolino, si muoveva a ritmo di musica per tutto il tempo. Era così divertente guardarlo. Mio marito e io ci dicevamo che sarebbe diventato un ballerino. Stupendo! Eleonora invece cantava con la sua vocina sottile, da usignolo. E poi, si muoveva con una tale grazia… Poi, a cinque anni, Simone ci fece capire in modo inequivocabile che il ballo avrebbe avuto il primo posto nella sua vita. La sua trasmissione preferita era ‘Ballando con le stelle’. Caso vuole che Alessandra Mason e Dima Pakhomov, entrambi formatori degli ospiti del programma, avessero aperto la loro scuola a Chivasso, a due passi da noi. Portammo nostro figlio a incontrarli e da lì, sarebbe cominciato tutto. Comunque, è una gioia per noi genitori scoprire e assecondare i talenti dei nostri figli!”

J: “La danza e il canto sono talenti già presenti nella vostra famiglia, o prerogativa dei vostri ragazzi?”

P: “Credo abbiano preso da me. Avevo doti canore ed ero brava anche nella danza. E poi, nella mia famiglia c’è chi suona la tromba, chi la chitarra, chi la fisarmonica: insomma, la vena musicale è sempre stata presente. Ora che ci penso, anche la mia nonna amava danzare. Decisamente, i miei figli hanno preso dalla mamma.” 

J: “Simone ed Eleonora hanno entrambi intrapreso carriere nel mondo dello spettacolo. Simone come ballerino, Eleonora come cantante e indossatrice. Come vi sentite rispetto alla scelta dei vostri figli di non seguire le vostre orme?”

P: “Crediamo che la felicità sia nell’essere se stessi e amare ciò che si fa a prescindere da quello che un genitore  fa. Devono scegliere liberamente.”

J: “C’è qualcosa a cui avete dovuto rinunciare, per amore del successo dei vostri figli?”

P: “Certo, ci sono sacrifici da fare, ma si fanno insieme e se si fanno, comunque, è sempre per amore.”

J: “Come vi ponete rispetto alla concreta possibilità che debbano viaggiare e magari, un giorno, trasferirsi altrove, per potersi realizzare appieno nelle rispettive professioni?”

P: “Ne saremmo ben felici. Magari li seguiamo.”

J: “Il mondo dello spettacolo è tutt’altro che semplice. La concorrenza è molta e a volte, il talento da solo non basta. Sono necessarie preparazione e perseveranza, per essere pronti a cogliere l’Occasione buona. Quali sono, a vostro parere, le sfide che i vostri ragazzi dovranno affrontare?”

P: “Le sfide nella vita ci sono sempre, in ogni ambiente lavorativo. L’importante è che i nostri  figli imparino a riconoscerle e ad affrontarle.”

J: “Eleonora, a soli tredici anni, sta ottenendo attenzione e riconoscimenti bellissimi…”

P: “Eleonora ha ricevuto dei premi prestigiosi, uno dei quali dal Maestro Meozzi – già mentore di Andrea Bocelli – che l’ha notata a Sanremo durante il talent. Anche il Maestro Vincenzo Capasso, autore di canzoni per Mina, l’ha premiata con un brano scritto appositamente per lei, che uscirà a breve. Comunque, ha già pubblicato il suo primo inedito, scritto da Alex De Vito e Claudio David.”

J: “Quale consiglio dareste, tu e tuo marito, ai genitori che desiderassero riconoscere, valorizzare e assecondare i talenti dei loro figli, accompagnandoli a trasformare le loro passioni in carriere vere e proprie?”

P: “Direi loro: ‘Assecondate le passioni dei vostri figli, date loro sempre forza e coraggio; fate loro capire che con la fede si vola in alto.'”

 

“Un usignolo in passerella”

Raggiungo quindi Eleonora, che sta facendo le sue prove di portamento davanti allo specchio. Ha indossato un vestito della sua mamma e ora sta sfilando come se indossasse una corona regale. 

Prima di intervistarla, vi racconto un po’ della sua storia. Breve, vista la sua tenera età.

Ad appena dodici anni, interpretando “Le tasche piene di sassi” di Giorgia, Eleonora si è aggiudicata due prestigiose vittorie: la Finalissima del Talent Vision 2024, Speciale Sanremo, del Patron Domenico Trotta e il Premio Battiato Sezione Junior, del Patron Daniele Morelli. 

In vetta alle classifiche degli eventi collaterali al Festival della Canzone Italiana a Sanremo, Eleonora ha ricevuto, come già anticipatoci dalla mamma, attestazioni di stima e incoraggiamento da illustri personaggi della musica leggera italiana.

Nel frattempo sfila, sicura di sé, sulle passerelle, confermandosi promessa non solo della musica, ma anche della moda italiana.

“Intervista ad Eleonora”

J: “Eleonora, come ci si sente ad aver vinto tanti premi e riconoscimenti a soli tredici anni?”

E: “Mi sento molto orgogliosa di me stessa e ovviamente molto felice.” 

J: “Indossatrice e cantante. Sono due carriere bellissime! Erano questi i tuoi sogni da bambina? O ne hai altri da realizzare?”

E: “Fin da bambina mi è sempre piaciuto cantare e sfilare, indossando i vestiti di mamma. Quando canto e sfilo, mi sento bene con me stessa. Oltre a questo amo recitare e quindi, vorrei fare anche l’attrice.” 

J: “Quale delle due passioni hai scoperto per prima? La canzone o la moda?”

E: “Fin da quando avevo quattro anni amavo sfilare, poi è venuto il canto. All’inizio, riguardando i video che giravo, non mi sembravo molto portata. Poi però, col tempo, sono migliorata sempre di più. Infine si è aggiunta la recitazione.” 

J: “Capita a volte di seguire le orme del nostro personaggio famoso preferito. Nell’ambito della canzone italiana, chi è l’artista che ti piace di più, al punto da ispirarti a intraprendere la stessa carriera?”

E: “Non ho personaggi preferiti in assoluto. Mi piacciono e mi ispirano Giorgia e Mina. Delle cantanti più recenti scelgo invece Annalisa, Elodie e Gaia. Mi piacerebbe diventare come la Carrà. So che è difficile, perché è un mito.” 

J: “Qual è il tuo messaggio per le ragazze della tua età che vogliano realizzare il sogno della loro vita?” 

E: “Non mollare mai e non avere paura degli ostacoli. A volte si cade nella vita, ma è proprio questo a insegnarci a rialzarci più forti di prima, così da poterli superare.” 

J: “… E un consiglio che daresti loro?”

E: “Di non dare retta a chiunque cerchi di scoraggiarli dicendo che non ce la possono fare. Anzi. Di considerare questi ‘attacchi’ come spinte per fare ancora di più e raggiungere i loro traguardi.”

“Galeotto fu Ballando con le stelle” 

Come già anticipato Simone, che ha appena raggiunto la maggiore età, è campione di danza sportiva assieme all’inseparabile partner Isabel Rossotto. La coppia ha trionfato ai Campionati mondiali che si sono tenuti a Malmedy, in Belgio, a novembre dello scorso anno, laureandosi vicecampione mondiale di danza latinoamericana nella categoria “Latin Youth”. Un plauso è dovuto ai maestri che li hanno accompagnati a conseguire la prestigiosa vittoria: i già citati Alessandra Mason e Dima Pakhomov, reduci entrambi dall’esperienza televisiva “Ballando con le stelle”.

“Intervista a Simone”

J: “Ad appena diciotto anni, sei vicecampione del mondo di danza sportiva. Com’è cambiata la tua vita, se è cambiata, dopo la conquista di un premio così ambito?”  

S: “Nella mia vita non è avvenuto un grandissimo cambiamento. Più che altro, successo dopo successo, gara dopo gara, piano piano ho sempre ottenuto risultati migliori. In tredici anni di ballo, gli sforzi e i sacrifici fatti mi hanno permesso di ottenere questo bellissimo risultato.” 

J: “Com’è iniziato il tuo amore per la danza?”

S: “Il mio amore per la danza è iniziato all’età di cinque anni. La mia famiglia era solita guardare il programma televisivo ‘Ballando con le stelle’. A me piaceva tantissimo! Fortuna vuole che due insegnanti di ‘Ballando con le stelle’ abbiano aperto una scuola di ballo vicino a casa mia. Hanno quindi fatto un’esibizione a Verolengo, dove abitiamo, e siamo andati a vederli. Il giorno stesso abbiamo chiesto informazioni per poter iniziare.” 

J: “Quali sfide hai dovuto affrontare e quali sacrifici hai dovuto fare, per arrivare a essere vicecampione mondiale di danza sportiva latinoamericana?”

S: “Il mio sacrificio è stato non arrendermi mai. Rinunciare, a volte, a partire per le vacanze… Allenarmi tutti i giorni con un unico pensiero: raggiungere il risultato.” 

J: “A cosa hai dovuto rinunciare, rispetto ai tuoi compagni di classe?”

S: “Un ragazzo che non abbia intrapreso una carriera agonistica o comunque sportiva avrà sicuramente più tempo libero nel pomeriggio. Non solo, secondo me una persona che non ha intrapreso una carriera del genere può essere meno organizzata. Io per gestire quello che faccio devo farmi un piano, organizzare le mie giornate in modo da conciliare gli allenamenti con lo studio… Sento comunque di non aver perso nulla. Anzi. Mi sento fortunato, in quello che ho fatto.  Sarei forse uscito qualche volta in più con i miei amici, ma non cambierei le mie scelte.” 

J: “Di tutte le discipline in cui eccelli, qual è quella che ti appassiona di più? Jive, Samba, Cha cha cha…?”

S: “Il mio preferito è il cha cha cha. Di questo ballo mi piace il ritmo, e poi è allegro.”

J: “Tu e Isabel siete una coppia affiatatissima. Come vi siete conosciuti e com’è nata l’idea di danzare insieme?”

S: “Il primo anno ballavo con un’altra ballerina, con cui ho fatto una competizione. Poi, nella mia scuola di ballo, è arrivata Isabel. I miei maestri hanno subito notato la sua bravura e ci hanno proposto di fare una prova. Ci siamo trovati bene e abbiamo subito avuto successo. Dopo meno di un anno abbiamo vinto i campionati italiani insieme. Abbiamo continuato e balliamo insieme ormai da dodici anni.” 

J: “Recentemente hai vissuto una bella avventura newyorchese. Ce ne vuoi parlare?” 

S: “Fuori dall’ambito del ballo ho avuto la fortuna di accedere a un bando scolastico: una simulazione diplomatica per studenti universitari alla quale ho potuto accedere nonostante io sia  ancora uno studente liceale. Mi sono divertito tantissimo! Ho avuto modo di capire come funziona l’ambiente diplomatico e come si comporta un ambasciatore… Mi è stata data una nazione, avevo un compagno di delegazione che ho conosciuto lì, un ragazzo fiorentino molto simpatico.  Insieme abbiamo fatto amicizia anche con altri ragazzi italiani, americani e di altre nazionalità. Sono certo che saremo amici per lungo tempo.”

J: “Cos’è per te il successo?” 

S: “Per me è qualcosa di soggettivo. Può essere il raggiungimento di un obiettivo giornaliero, come ad esempio riuscire a fare qualcosa che non si riusciva a fare… O di un obiettivo il cui raggiungimento richiede più tempo… Il risultato di una gara di ballo, nel mio caso, o il successo con una ragazza, un buon voto a scuola. Dipende da tanti fattori. Secondo me, il successo può essere raggiunto da chiunque, in ogni momento.” 

J: “Che consiglio daresti ai ragazzi che, come te, abbiano un sogno da realizzare?” 

S: “Il consiglio che posso dare è di credere in se stessi, non arrendersi mai, e soprattutto non farsi influenzare dagli altri. Ciò che più mi ha dato forza è proprio il credere in me stesso. Più credi in te stesso, più riesci a ‘vedere’ il raggiungimento del tuo Obiettivo.” 

Morale…

Per concludere, lascerei la parola finale alla mamma delle due stelle.

“Crescere i figli non è facile. Penso che sia il mestiere più difficile del mondo.” Ammette Pinuccia. E prosegue: “Vederli esprimersi in questo modo, è bello. Ti fa sentire contenta di ciò che hai fatto finora, anche se con tanti sacrifici, che sono stati comunque ripagati con la loro dolcezza, il loro affetto, la loro tenacia, il loro modo di affrontare la vita.”

 

 




“San Francesco Marathon 2023”

Nella foto, da sinistra a destra: il Patron dell’Evento Padre Federico Claure e il Brand Ambassador Christian Gaston Illan.

È alla sua prima edizione, all’insegna del motto “I Bless You Life!”, la “San Francesco Marathon”.

“Maratona” come metafora della vita.

In un mondo in cui ciascuno di noi corre dietro ai propri impegni quotidiani c’è chi, fin dal 2017, lavora dietro le quinte per dar vita a un gioioso pretesto per correre insieme: la “San Francesco Marathon”. 

È un Evento di respiro internazionale quello che ci attende domenica 5 novembre 2023 ad Assisi, in cui si incontrano e fondono Sport, Cultura, Valori, Spiritualità e Solidarietà.

Motto dell’Iniziativa è  “I Bless You Life”, “Ti Benedico Vita”.

L’Organizzazione

Alla sua prima edizione, la Corsa è rappresentata da Padre Federico Claure e organizzata dalla SSD Life Running Assisi, società sportiva dilettantistica no profit affiliata al Coni e alla Fidal.

L’Evento è realizzato in collaborazione con la Città di Assisi e Athletica Vaticana, sotto il patrocinio della Diocesi Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, della Conferenza Episcopale Italiana e dell’Università degli Studi di Perugia.

Sport, Valori, Spiritualità e Solidarietà

L’Iniziativa mira a promuovere i valori che ispirano la vita del “runner” che c’è in ognuno di noi: impegno, costanza, disciplina.

Allo stesso tempo, la corsa è uno sport che va al di là della dimensione fisica per abbracciare quella spirituale.

Ed ecco che ai valori francescani dell’amicizia e della fraternità si unisce un gesto solidale nei confronti dei più vulnerabili. Le quote di iscrizione, infatti, verranno devolute alla realizzazione di progetti di valore sociale della Diocesi di Assisi e delle Istituzioni civili del territorio. Le opere di solidarietà verranno via via rese note nel sito ufficiale della manifestazione.

 

Il Messaggio

“La maratona è metafora della vita”, recita il messaggio diramato dagli Organizzatori. “A volte ci sono momenti di avversità, e ci sono anche momenti di bellezza. La bellezza ha la forza di guarire l’anima, di consolarla, accarezzarla, rigenerarla …”

Prosegue: “La San Francesco Marathon è uno spazio di ricerca, incontro e dialogo aperto a credenti e non credenti, a tutti, sulla base della comune umanità, alla ricerca di quello che ci rende umani, alla ricerca di quello che ci mantiene umani.”

E conclude:  “Se le persone tornassero dopo la maratona con un “Che bello”! nel cuore, avremmo adempiuto la nostra missione.”

Il sigillo di Qualità

Madrina della manifestazione è la cantautrice, atleta paraolimpica e modella italiana Annalisa Minetti che, assieme ad altri atleti, parteciperà alla staffetta di solidarietà in seno alla maratona.

Brand Ambassador dell’Iniziativa è l’avvocato e imprenditore di origine argentina naturalizzato a Milano Christian Gaston Illan, appassionato di sociologia e noto al grande pubblico come opinionista calcistico televisivo. 

“È un luogo speciale, la corsa, nella sua capacità umana, formativa e culturale, unita alla bellezza di questa terra” rivela. “Non può che essere un’esperienza indimenticabile per ogni persona che verrà a correre …” 

Padre Federico Claure, patron dell’Evento, parlando di Christian dichiara: “Siamo molto contenti e grati per il suo entusiasmo e presenza nel Progetto. L’incontro con Christian è legato al nome di Francesco in quanto si deve ad un incontro che lui ebbe con Papa Francesco per donargli un poncho argentino. La sua professionalità, serietà e passione sono valori importanti per questo progetto di solidarietà. Vi aspettiamo con gioia ad Assisi!”

 

I tre percorsi

La maratona, che si rivolge a chiunque desideri conciliare l’attività sportiva con il suo profondo significato spirituale, è aperta a dilettanti, amatori e professionisti. 

Tre infatti sono le attività previste: 

• il percorso “famiglia” denominato “Vieni con me!”, lungo 5 km; 

• quello competitivo di 10,2 km; 

• la maratona vera e propria di 42,195 km. 

Quest’ultima si snoderà fra i luoghi più cari a San Francesco d’Assisi: Spenno, Cannara, fino allo scrigno della Porziuncola, la Basilica di Santa Maria degli Angeli.

Ed è proprio qui che nascerà “Il Village”: punto di riferimento per eventi e sponsor, all’insegna dei valori sportivi ed etici che ispirano l’Evento. 

Informazioni e modalità di iscrizione

La partenza è prevista per le 09:15 circa di domenica 5 novembre 2023 dalla piazza della Basilica di Assisi, che custodisce la tomba del Santo.

Per iscrizioni e ulteriori dettagli, c’è la pagina web dedicata all’evento.