Eresia

L’Eresia è una dottrina considerata come deviante da un’ortodossia alla cui tradizione si collega.

Il termine – peraltro – viene utilizzato anche fuori dall’ambito religioso, in senso figurato, per indicare un’opinione o una dottrina filosofica, politica, scientifica o persino artistica in disaccordo con quelle generalmente accettate.

E qui le cose iniziano subito a complicarsi: spesso la neutralità di questa voce è stata messa in dubbio, presentando – per sua stessa essenza di definizione – seri problemi contestuali di discussione.

Anche perché, dal punto di vista etimologico, “Eresia” deriva dal greco αἵρεσις, haìresis, derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, “afferrare”, “prendere” ma anche “scegliere” o “eleggere”).

Sia in greco antico sia in ebraico ellenizzato questo termine non possedeva dunque, originariamente, alcuna caratteristica denigratoria.

Con le Lettere del Nuovo Testamento la neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19, Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la “separazione”, la “divisione” e la corrispettiva condanna.

Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di haìresis procede con l’analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.

In ambito ebraico avviene qualcosa di analogo: sempre nel I secolo e.v. (in corrispondenza con l’emergere dell’ebraismo rabbinico ortodosso) il termine ebraico min (מִין, pl. מִינִים, minim; corrispettivo del greco haìresis) assume dei connotati dispregiativi e viene utilizzato per indicare sia i cristiani sia gli gnostici.

Il termine da un significato neutro assume in un secondo momento un valore negativo e passa a indicare una dottrina o un’affermazione contraria ai dogmi e ai princìpi di una determinata religione, o potere di stato, ed è sovente oggetto di “condanna” o scomunica da parte dei rappresentanti di tale potere.

Non è il caso, qui, di ricordare tutti i sinodi volti a stabilire quali fossero le deviazioni dall’ortodossia e chi fossero veramente coloro che venivano considerati “colpevoli di eresia” (ovvero gli eretici).

Se eretico è dunque chi proclama con forza una propria scelta definitiva, “eresia” equivale pertanto a una scelta sia di credo sia di appartenenza, tra posizioni contrapposte, o spesso anche solo discordanti.

Un’altra possibile interpretazione, legata al significato di “scelta”, richiama il fatto che l’eretico è colui che “sceglie”, cioè accetta, solo una parte della dottrina “ortodossa”, rimanendo in disaccordo su altre parti.

In termini formali, il termine viene comunque usato per indicare un’opinione gravemente errata o comunque discordante dalla tesi più accreditata riguardo ad un certo argomento.

Naturalmente, a questo punto del ragionamento, nell’accezione negativa, il termine eresia è reciproco: pochi sarebbero disposti a definire le proprie credenze come eretiche, tendendo piuttosto a presentarle come l’interpretazione corretta di una determinata dottrina, e quindi come la visione ortodossa giudicata eretica da altri.

E, tra i due fronti opposti, statisticamente parlando, mediamente l’accusa più gentile che gli ortodossi rivolgono agli eretici è quella dell’ambiguità.

In sostanza, ciò che costituisce eresia è un giudizio, dato in funzione dei propri valori; si tratta dell’espressione di un punto di vista, relativo a una consolidata struttura di credenze, convinzioni, acquisizioni morali.

Blaise Pascal in Pensieri si sofferma più volte sul tema delle eresie.

Nel frammento 862 scrive:

[…] Dunque esiste un gran numero di verità, sia di fede sia di morale, che sembrano incompatibili e che sussistono tutte in un ordine meraviglioso. La sorgente di tutte le eresie è l’esclusione di alcune di queste verità, e la sorgente di tutte le obiezioni che ci fanno gli eretici è l’ignoranza di alcune delle nostre verità.

E di solito accade che, non potendo concepire il rapporto tra due verità opposte e credendo che l’accettazione di una comporti l’esclusione dell’altra, essi si attaccano all’una ed escludono l’altra, e pensano che noi facciamo il contrario. […]

Un altro esempio di verità e di contro verità è dato dalle tentazioni di Gesù descritte da Luca evangelista, quando Satana:

«Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano;

e anche:

Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”.

Gesù gli rispose: “È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Tuttavia, altrove, il lemma acquisisce un significato ben più ampio, configurandosi come, in una dogmatica universalmente o ufficialmente riconosciuta, la dottrina basata su interpretazioni personali in contrasto con la tradizione. Con buona pace degli enfatici e dei fanatici di ambo le parti.

Vi auguro di essere eretici, ha scritto Don Luigi Ciotti, …

Siate eretici perché eretico è colui che sceglie. …

Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa… Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze…

Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza… Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione…

E qui l’idea dell’eresia come scelta e la scelta stessa della verità (ma quale?) unitamente alle “virtù” dell’eresia, costituisce un ossimoro che già di per sé dovrebbe spaventare. 

Sull’altro fronte, gli fa eco opposto Gilbert Keith Chesterton: «Le eresie consistono sempre nell’indebita concentrazione su di una singola verità o mezza verità…».

E prosegue: «L’eretico (che è sempre anche fanatico) non è colui che ama troppo la verità; nessuno può amare troppo la verità…

Non gli piace veder finire il suo piccolo, prezioso paradosso, che si regge solo con l’appoggio di una ventina di truismi, nel mucchio della sapienza di tutto il mondo…».

Tutto ciò fa riflettere sulle opportunità infinite che abbiamo per esprimere il nostro sentire. 

E allora essere eretico, oggi, potrebbe voler dire amare la propria ombra, il femminile e l’ombra del pianeta, accoglierle come parti di noi, donando ciò che di più prezioso abbiamo: il nostro essere unici.

Essere eretico dunque significa non avere paura della propria ombra e non avere paura delle proprie idee, delle proprie azioni, significa anche vivere profondamente radicati nelle radici, rappresentate dai nostri antenati.

Dante, nel Decimo Canto dell’Inferno, incontra gli “eretici”, coloro che – nella sua visione – hanno perso il legame con la propria anima e, andando contro il dogma della religione, giacciono in sepolcri infuocati (il fuoco, secondo la consuetudine del tempo, rappresenta la purificazione) e sono condannati a morire costantemente nel torrido inferno.

Eppure anche Dante, cattolico che, se pur con alcune incertezze, condivideva il lavoro di Tommaso d’Aquino e di Sant’Agostino, esprimeva pericolose simpatie verso ipotesi filosofiche e religiose che in quel lontano periodo potevano odorare di eresia. 

Anche Dante si dovette presentare davanti al Tribunale dell’Inquisizione e fu più volte accusato di eresia. I suoi amici settari del Dolce stil novo, i Fedeli d’amore, ebbero anch’essi problemi con l’Inquisizione (come anche Petrarca, il cantore de’ casti amori), e fecero l’esperienza del rogo (come Cecco d’Ascoli il 26 settembre 1327).

Dante ghibellino, pur riconoscendo la Chiesa, voleva delimitarne il potere nel campo spirituale e lasciare all’Imperatore quello politico.

Se la chiave di lettura della Commedia (che è lo scritto più violento che il Medio Evo e anche la post Riforma abbiano prodotto nei confronti di Roma) non fosse andata perduta,  coloro che volevano sapere avrebbero probabilmente evitato di essere accusati di eresia.

Questa drammatica disconnessione dell’anima, spesso destrutturata, è presente anche oggi ma, con un segno contrario a quello dantesco, connota invece il malessere sociale di chi lamenta la perdita del legame con la spiritualità e con il divino.

Chi sono gli eretici oggi? Sono “condannabili” come eretici quanti cercano quel divino che è in ognuno di noi, quanti ricercano il legame con la natura e con le relazioni, anche tra uomini, certo, ma anche tra la materia e il cosmo?

Nuovi “roghi” vengono accesi, nuovi “tribunali” vengono istituiti, ma se essere eretici significa non aver perso lo stupore, la meraviglia dei bambini, se significa guardare il mondo con gli occhi dell’anima e lasciarsi ammaliare dalla bellezza, allora possiamo vivere come eretici guardando la nostra interiorità e il mondo con occhi nuovi.

Possiamo espandere la nostra coscienza, per portare nel mondo quell’autenticità che è propria della natura e quindi dell’uomo. Possiamo vivere ereticamente, concedendoci la libertà di essere e non di apparire.

Perché eretico è il suono dissonante, è la pausa che va celebrata e rispettata perché vi sia una melodia.

E così si naviga a vista, tra modelli negativi e icone positive, conflitti e ambiguità, riconoscimenti e sillogi dei principali modelli di relazione dall’una e dall’altra parte – con la speranza di una migliore comprensione della specificità dell’una e dell’altra, al fine di una comune assunzione di responsabilità reciproca, e di un contributo etico e spirituale nei confronti del mondo. 

Giordano Bruno, su cui si potrebbe riflettere all’infinito, nel suo Sigillus, in lingua latina, introduce le tematiche decisive del suo pensiero, quali l’unità dei processi cognitivi; l’amore come legame universale; l’unicità e l’infinità di una forma universale che si esplica nelle infinite figure della materia, e il “furore” inteso come senso di slancio verso il divino.

A Oxford non gradirono quelle novità, come testimoniò venti anni dopo, nel 1604, l’arcivescovo di Canterbury George Abbot, che fu presente alle lezioni di Giordano Bruno: «Quell’omiciattolo italiano […] intraprese il tentativo, tra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in realtà era la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo».

Giordano Bruno sostiene l’infinità dell’universo poiché effetto di una causa infinita e – sapendo ovviamente che le scritture sostenevano tutt’altro – e cioè finitezza dell’universo e centralità della Terra, rispondeva alle accuse ne La cena de le ceneri: «Se gli dei si fossero degnati di insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e propriisentimenti».

E ancora, in Spaccio de la bestia trionfante: «Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar della forfantescapoltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante».

Occorreva tornare alla semplicità, alla verità e all’operosità, ribaltando le concezioni morali che si erano ormai imposte nel mondo, secondo le quali le opere e gli affetti eroici erano privi di valore, dove credere senza riflettere era sapienza, dove le imposture umane erano fatte passare per consigli divini, la perversione della legge naturale era considerata pietà religiosa, studiare era follia, l’onore era posto nelle ricchezze, la dignità nell’eleganza, la prudenza nella malizia, l’accortezza nel tradimento, il saper vivere nella finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.

Insomma, di tutto un po’, per rendersi sgradito a tutti o quasi…

«Li nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei, o dei vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di que’ medesimi». In Cabala del Cavallo Pegaso ad un vescovo.

Ma anche, nel De minimo: i composti «non rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di essi, per lo scambio vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta continuamente e ovunque in tutte le parti». 

E: «Chi potrà ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il fluire delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene mai alla stessa distanza dall’altro?».

 

Alla fine Giovanni Mocenigo presentò all’Inquisizione una denuncia scritta, accusando Giordano Bruno di blasfemia, di disprezzare la religione, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere nell’eternità del mondo e nell’esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine.

 

Quel giorno stesso, la sera del 23 maggio del 1592, Giordano Bruno fu arrestato e condotto nelle carceri dell’Inquisizione di Venezia. Sappiamo come si svolse il tutto e con queste parole, alla fine, Giordano Bruno si rivolse ai giudici:

 

«Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam».

«Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla».

Ma la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all’abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero Giordano Bruno è quindi ritenuto un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverso; per la sua morte, è considerato un martire del libero pensiero.

Chi ha paura oggi degli eretici? Molti.

Perché i nuovi eretici possono dare tanto nel campo della politica, della letteratura, dell’arte in genere, della filosofia, della scienza, sono curiosi, non irreggimentati, liberi mentalmente, diffidano delle classificazioni, sono “intempestivi”, oppure, chissà, troppo tempestivi.

Scrive l’immunologo, oncologo, etno farmacologo Maurizio Grandi di Torino, Responsabile del Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile, citando il filosofo Arthur Schopenhauer: «Tutte le verità passano attraverso tre stadi. Prima vengono ridicolizzate, poi vengono violentemente contestate e infine vengono accettate dandole come evidenti».

 

E ancora: gli eretici di oggi lavorano «per tutelare e promuovere la libertà umana, in tutte le sue espressioni, per esplorare i territori di confine, per mischiare le carte, richiamando l’esperienza del passato ma aprendo nuovi orizzonti per il futuro, per incuriosire, per cogliere nessi per argomenti apparentemente distanti…

… Come avviene nelle fiabe più belle, guardando con la scoperta della fisica oltre l’orizzonte conosciuto, è più semplice credere nell’impossibile che nell’improbabile…

… E Arte e Scienza mettono in comune la Creatività, che ha spinto Bernini a sapere dell’ellisse di Keplero, Galileo a sapere di musica, Bergson a conoscere le idee di Einstein, i futuristi a indurre la forza del movimento, per uscire da una dimensione geometrica euclidea…

… Con le intuizioni che fecero vedere a Pasteur i microbi prima di averli scoperti, a Marconi le onde prima di avere fatto il telegrafo senza fili, ai coniugi Curie l’energia nucleare…

E in ogni scoperta il mondo, come in un granello di sabbia. E la curiosità di porsi domande, di indagare, con inquietudine e impegno. 

Con stupore e, poi, quasi con riconoscenza, e con lo stimolo a proseguire».

Gli eretici, insomma, sono ostinatamente “irregolari”, nel “tempo della malafede”. 

 

Barbara de Munari




Lo spot di Esselunga: siamo alla frutta!

Con lo spot di Esselunga possiamo ormai dire che siamo alla frutta, sia come società che come mistificazione del messaggio.

Lo spot in se stesso è bello, ben realizzato ma certamente apre ad alcune riflessioni.

La prima è cosa vuole Esselunga?

Di certo il suo obiettivo non era vendere pesche!

Nemmeno convincere il consumatore della bontà dei suoi prodotti.

In ultima analisi nemmeno accattivarsi la simpatia dell’opinione pubblica visto il contenuto amaro dello spot.

Esselunga voleva far capire agli italiani il degrado sociale e familiare del paese?

Non c’era bisogno di Esselunga, ma di certo lo spot ha dato un messaggio di consapevolezza verso una situazione ormai alla deriva da anni, ovvero il disagio minorile e la disgregazione della famiglia tradizionale.

Di certo se ne parla, e molto, ma non ritengo che Esselunga avesse bisogno di questo tipo di “basta che se ne parli“.

Quindi Esselunga voleva porsi come nuovo predicatore della morale Italiana? e che gli viene??

Ma soprattutto chi ha dato ad Esselunga il ruolo di giudice della morale italiana?

Sutor, ne ultra crepidam!

Quindi riassumendo messaggio non coerente con le attività dell’azienda, giunto da un pulpito inadatto e con confusione di intenti.

A parte questo ritengo che lo scalpore mosso dal messaggio implicito nello spot di Esselunga sia proprio dovuto a tutti questi fattori che abbiamo appena detto, oltre che al fatto che tutti noi sappiamo benissimo che è tutto vero.

La disgregazione della famiglia è sicuramente un elemento di forte distonia del benessere dei minori.

Normalmente questo fenomeno avviene nella fascia di età del minore più delicata, ovvero dagli otto ai 15 anni, dove il minore non ha gli strumenti per potersi difendere da un così repentino cambio di equilibri negli affetti.

Quelle due persone che fino ad un attimo prima erano felici ora non lo sono più, e spesso nella loro infelicità usano anche i minori come merce di scambio.

La dinamica di utilizzare il bambino come “scudo” nel contesto di una separazione tra i genitori è un fenomeno complesso che può avere implicazioni significative per tutti i membri della famiglia.

Il bambino può essere coinvolto in vari modi, sia emotivamente che comportamentalmente, in strategie di manipolazione, controllo o vendetta tra gli adulti.

In questi casi, la tutela e il benessere del bambino possono essere trascurati, poiché l’attenzione è focalizzata sul conflitto tra i genitori.

Dal punto di vista psicologico, utilizzare un bambino come scudo o come mezzo per raggiungere obiettivi egoistici può essere considerato una forma di abuso emotivo.

Questo genere di abuso può avere effetti duraturi sullo sviluppo emotivo e psicologico del bambino.

In termini pedagogici, l’ambiente familiare è un contesto formativo cruciale per il bambino, che può essere negativamente influenzato da dinamiche familiari disfunzionali.

Le teorie dell’attaccamento, ad esempio, mettono in evidenza come relazioni di base sicure siano fondamentali per lo sviluppo sano di un individuo.

Dal punto di vista legale, le autorità e i tribunali pongono particolare enfasi sulla tutela dei minori. Se viene dimostrato che un genitore sta utilizzando il bambino come scudo in un contesto di separazione, questo potrebbe influenzare decisioni relative alla custodia, ai diritti di visita e ad altre questioni legali. In alcuni casi, può essere necessario l’intervento di servizi sociali o di altri professionisti per valutare la situazione e proporre soluzioni.

Vi sono diverse strategie di intervento, tra cui la mediazione familiare e la terapia, che possono aiutare a ridurre l’impatto negativo di tali dinamiche sui bambini.

Gli interventi mirano a ripristinare un clima di cooperazione e rispetto tra i genitori e a mettere il benessere del bambino al centro del processo decisionale.

Da un punto di vista etico e sociale, utilizzare un bambino come mezzo in una disputa tra adulti è considerato inaccettabile.

La società, rappresentata da vari organismi come le scuole, i servizi sociali e la comunità più ampia, ha una responsabilità collettiva di proteggere il benessere dei bambini e di intervenire quando si verificano situazioni di questo tipo.

In conclusione, l’utilizzo del bambino come “scudo” in un contesto di separazione è una dinamica problematica che richiede un’attenzione multidisciplinare, coinvolgendo professionisti del diritto, della psicologia, della pedagogia e dei servizi sociali.

La priorità deve sempre essere la tutela del benessere e dello sviluppo sano del bambino.




Siddartha-Buddha, svegliaci!

 

Roma, non è avara di eventi: ma quello del prossimo 7 Ottobre è certamente di elevata e particolare attrattiva; sia per la Gent.ma Protagonista – la G.D. Anna Maria Petrova-Ghiuselev – che per la presentazione della sua ultima raccolta poetica, dall’accattivante titolo “Siddartha-Buddha, svegliaci!” – organizzata dalla Biennale Artemidia dell’Arte e la Cultura, di Roma, in collaborazione con la Scuola Bulgara Assen e Ilija Pejkov -, ma anche per la cornice a tutto tondo: la Galleria d’Arte della e nella prestigiosa Temple University.

Chi scrive, ha l’onore di conoscere personalmente l’Autrice: bulgara di nascita e romana di adozione, con un autentico amore per le Arti: è giornalista, attrice, coreografa e produttrice cinematografica oltre che organizzatrice di eventi molto apprezzati per l’alto profilo, tanto nella sua amata Patria che all’estero e in Italia, in particolare. Per Anna Maria Petrova – vedova del celebre cantante lirico Nicola Ghiuselev, per celebrare il quale ha creato una Fondazione e anche un premio internazionale che portano il suo nome, che è anche prezioso bacino di coltura di eccellenti talenti lirici e musicisti – innumerevoli sono i successi: citiamo solo gli ultimi, in ordine cronologico. 

A Maggio, tra gli altri eventi che l’hanno vista protagonista, ha presentato la sua raccolta antologica di poesie in bulgaro, che ha fatto séguito a quella in lingua italiana.               

Ma grande è stata la sua soddisfazione nel ricevere due importanti e ambiti riconoscimenti, conferiti per i successi e meriti nella promozione della cultura sia in Bulgaria che in Italia.

Le è stato assegnato il Premio Nazionale per la Cultura di Bulgaria “Il Secolo d’Oro/Zlaten Vek” del Ministero della Cultura della Bulgaria, che le è stato consegnato personalmente dal Ministro della Cultura della Bulgaria M° Nayden Todorov, con il distintivo d’onore ” Il Secolo d’Oro ” – Sigillo di Zar Simeone I° il Grande – “per il contributo allo sviluppo e al rafforzamento della cultura e dell’identità nazionale bulgara”; nelle ricorrenze del 24 maggio – Giornata dei Santi Fratelli Cirillo e Metodio, dell’alfabeto bulgaro, dell’istruzione, della cultura bulgara e della letteratura slava –  è stato assegnato ad Anna Maria Petrova – Ghiuseleva, attrice, coreografa e poetessa,  fondatore e Presidente della “Fondazione Nicola Ghiuselev“, attiva nello sviluppo della musica lirica e dell’arte canora bulgara. Motivazione nel Diploma: “Il Ministero della Cultura della Repubblica di Bulgaria conferisce ad Anna Maria Petrova-Ghiuseleva il Diploma per il suo contributo allo sviluppo e al rafforzamento della cultura e dell’identità nazionale bulgara in occasione del 24 maggio, festa dei Santi Fratelli Cirillo e Metodio, dell’alfabeto bulgaro, dell’istruzione, della cultura bulgara e della letteratura slava“.

Nell’altro appuntamento in Italia, il 27 maggio a Venezia,  Anna Maria Petrova-Ghiuselev  è stata insignita dal Prof. Luca Filipponi del “Premio Internazionale Menotti Festival Art di Spoleto”, Speciale Biennale Venezia 2023, per il suo libro antologico di poesie in italiano, Annabelle e Nuvole sotto il sole, edito da FNG Art in Life Editore; libro dedicato alla Bulgaria per l’anniversario della Liberazione e per celebrare l’esordio artistico su schermo e palcoscenico di Anna Maria Petrova, nonché per il suo impegno a sostegno della Cultura e dell’Arte attraverso la Biennale Artemidia di Roma.

Per il rispetto, la stima e l’amicizia che ci legano alla N.D. Anna Maria Petrova-Ghiuselev, auguriamo ogni migliore riuscita della significativa presentazione della sua raccolta poetica, “Siddartha-Buddha, svegliaci!”.                  

Percezioni, energie positive, che qui si rinnovano porgendo voti similmente fausti anche per conto della Presidenza dell’Accademia Progetto Uomo (A.P.U.) con la quale abbiamo dato luogo alla creazione di una ‘piattaforma’ comune nella cultura, nell’arte, nelle scienze e nell’istruzione, nonché del Magnifico Rettore dell’Accademia Templare-Templar Academy.                            

Auspicando in un prossimo evento che ci possa vedere impegnati in uno alla Spett.le Biennale Artemidia dell’Arte e la Cultura, porgiamo i nostri migliori saluti.

Roma, 2 Ottobre 2023                                             Accademia di Alta Cultura                                                                                                           Il Presidente                          

                                                                                                                       (f.to Giuseppe Bellantonio)

Accademia di Alta Cultura – Associazione Culturale – Via Marino Mazzacurati, 767 – 00148 Roma (RM) || C.F.: 96024880583 || Registrata AA.EE. di Roma ||  http://accademiadialtacultura.blogspot.com  || Facebook: Accademia di Alta Cultura – Italia 1948  || Contatti e corrispondenza, e-mail: accademiadialtacultura@gmail.com




GRAFFI: E SE L’ITALIA?

Immigrazione clandestina.

La Germania non accetterà più immigrati clandestini provenienti dall’Italia.

La Francia blinda i propri confini.

E l’Italia?

Possibile che la malavita organizzata sfrutti i drammi di Marocco e Libia per favorire sbarchi in massa sulle coste italiane?

E l’Italia?

Le crisi non partono mai da lontano e ignorarne i segnali, fare finta di non ascoltare i campanelli d’allarme o di non vedere le anomalie, non porta lontano.

Il governo Meloni ha avuto in lascito un’eredità pesantissima, per amministrare la quale era chiaro fin da subito che non sarebbe stato sufficiente l’esercizio della pur massima “buona volontà”.

Le situazioni geopolitiche, le dinamiche particolari – globali e particolari – dell’economia e della finanza (estremamente fluide e imprevedibili, in quanto ricchissime di variabili), il modificarsi del conflitto instaurato nell’area ukraina da ‘bellico’ a ‘economico’ (per la non soccombenza del dollaro nel primato di “valuta di riferimento”), hanno determinato disallineamenti importantissimi.

Ossia, la situazione che il subentrato governo Meloni Ha ereditato, è ora profondamente mutata: e per affrontarla non sono sufficienti alleanze strumentali.

Occorre avviare radicali misure strutturali.

A un claudicante non basta unirsi a un gruppo di zoppi, per sperare di non zoppicare più.

A queste variabili si sommano imprevisti in alcune aree del mondo, tali da suscitare ripercussioni dagli sviluppi non prevedibili.

In modo imprevisto, si sta assistendo a fenomeni di portata straordinaria che – i solerti cronisti di una storia malata e corrotta – attribuiscono a presunti mutamenti climatici innescati base da inquinamenti vari.

Terremoti devastanti, inondazioni straordinarie, tempeste violentissime, incendi diffusi e irrefrenabili, piogge e grandinate eccezionali, persino la minaccia di possibili eruzioni vulcaniche, scuotono la superficie terrestre provocando migliaia e migliaia di morti oltre che danni inimmaginabili e incalcolabili.

Tali fatti, sommati al perdurare di anomale epidemie, scuotono il mondo dalle fondamenta.

Ma hanno certamente un risvolto immediato: la malavita organizzata entra subito in azione.

Prevedere che dalla Libia e dal Marocco ci possano essere masse imponenti di potenziali clandestini verso l’Europa, verso l’Italia in primis, prevedere quindi l’acuirsi di una crisi già pesantissima, è esercizio agevole.

Meno , le misure per fronteggiare la situazione.

E l’Italia?

Blocco terrestre e navale, quindi?

Forse sarà inevitabile, o saremo invasi da una massa ingovernabile di “clandestini” e forsanche “finti profughi”.

In situazioni di emergenza, non si deve e non si può ragionare in termini “normali”.

Ma l’Italia, saprà reagire e quindi agire?




La bellezza può davvero salvare il mondo?

È possibile spiegare la bellezza attraverso le parole?

No, perché la bellezza è ineffabile: non può essere descritta attraverso le parole.

Le parole, però, possono aiutarci a capire la bellezza mostrando cosa i popoli intendevano per bellezza quando usano una parola piuttosto che un’altra.

Questo è stato il tema dell’intervento di Chiara Sparacio, caporedattore di Betapress.it all’interno dell’VIII edizione dell’Ischia e Napoli festival internazionale di filosofia: la Filosofia, il Castello e la Torre.

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Il festival, ideato e diretto da Raffaele Mirelli, è uno straordinario evento culturale che ogni anno, sempre più, coinvolge realtà importanti del panorama nazionale ed estero.

Lo scopo del festival internazionale della filosofia di Ischia

Lo scopo del festival, ci spiega Mirelli, è

“far uscire il filosofo dalle sue roccaforti, dalle Torri e di metterlo in dialogo con il pubblico.

La filosofia dovrebbe iniziare a ripensare sé stessa in modo sostanziale: smettendo di essere uno studio a sé stante ma accompagnando tutte le altre discipline universitarie.

La filosofia, la sua istituzione, ha bisogno di rimodellarsi per restare nel presente e creare reali possibilità di lavoro per chi la sceglie”.

Il festival è un evento grande e articolato che ogni anno, da otto anni a questa parte, dona nuova luce alla già bellissima isola di Ischia proponendo per ogni edizione un tema diverso e coinvolgendo realtà culturali sempre più ampie.

Ad oggi sono state intessute relazioni l’università di Toronto, l’Università di Bonn, l’Università degli studi di Palermo e tantissimi altri poli culturali che seguono e sostengono il progetto con lo scopo di modellare quello che sarà l’approccio disciplinare nel futuro.

Se quest’anno si è parlato della Bellezza e ci si è chiesti se davvero può salvare il mondo, nel corso delle precedenti edizioni si è parlato de gli Universi, il tempo, dio, la natura umana, i Valori, l’utilità della Filosofia…

Il tema del 2023

Il tema del 2023 sarà il desiderio:

“Un tema di rilievo per le nuove generazioni che del desiderio esperiscono una mancanza tenace e duratura. Sarà un modo per riflettere sull’impatto che i social media operano sul nostro essere umani”

ci dice Mirelli.

Chi vorrà partecipare alla prossima edizione potrà visitare il sito del festival e seguire le indicazioni.

Cosa è il festival internazionale di filosofia La Filosofia, il Castello, la Torre

Nel corso delle edizioni, il festival ha preso sempre più spazio fisico e temporale arrivando ad un intero mese di eventi suddivisi per intenzione e pubblico ecco come oggi è il festival internazionale di filosofia di Ischia

Come è articolato il festival.

Ecco le sezioni del festival

Young Thinkers festival: Il festival dei giovani.

È la parte il festival che mette a confronto filosofi junior e senior: si tratta di un evento nell’evento che vede la partecipazione di diverse scuole italiane in cui i ragazzi sono chiamati in prima persona a tenere conferenze.

Quest’anno sono arrivati ad Ischia circa 1500 studenti da tutta Italia.

Summer school of humanities:

tre giorni di formazione e scambio critico per un approfondimento teorico assieme a studiosi affermati.

Eticit(t)à:

una serie di campagne di carattere etico volte alla sensibilizzazione sociale che, dice Raffaele Mirelli è “un modo di vedere un’isola differente che per noi assurge a filosofia pratica, a una rivolta verso il consumismo odierno”.

Un esempio è il mese del senso civico all’interno del quale sono state organizzate le domeniche di stop motori che trasformano le vie principali in vere e proprie piazze di interazione dove tantissime persone si riversano per partecipare alle numerose attività proposte dalle associazioni del terzo settore coinvolte.

Oppure la mostra Il Corpo del reato che espone le opere vincitrici del contest fotografico che ha coinvolto i ragazzi dei licei facendoli riflettere sul rapporto col corpo imparando ad amarsi al di là delle apparenze.

Serate al castello:

un ciclo di lectiones magistrales che quest’anno ha ospitato Benedetta Barzini docente presso l’università di Urbino; Stefano Zecchi, filosofo e scrittore; Milovan Farronato docente presso l’università di Urbino.

Talk:

conversazioni e relazioni di più di 150 studiosi tra professori, filosofi, linguisti, fisici, architetti, esperti in comunicazione, artisti, storici, psicologi e psicanalisti dall’Italia e dall’estero.

Mostre e concerti:

attività che rendono palpitanti i luoghi più suggestivi dell’isola come il Castello Aragonese, i Giardini La Mortella, Torre Guevara, la biblioteca antoniana, la chiesa di santo spirito…

Ricordiamo tra le mostre Matateli di Marco Cecchi e tra i concerti quello del duo façade Jole Barbarini e Antonio Coiana e del Coro polifonico della Pietrasanta

 

Le persone che rendono possibile il festival

Ideatore e direttore Scientifico: Raffaele Mirelli

Condirettore: Andrea Le Moli

Direzione in loco evento: Sara Trani, Marco Ciarlone

Direttori di sessione: Francesco Impagliazzo, Ramon Rispoli, Giulia Castagliuolo, Graziano Petrucci, Giorgio Espugnatore

Interviste: Mariafrancesca De Martino

Fotografe: Melania Buonomano, Caterina Castaldi, Livia Pacera

Assistenti in loco: Carmine Stornaiuolo, Angelica Lo Gatto, Angela Mazzella, Marianna Castaldi

Direzione mese del senso civico: Adriano Mattera

Accoglienza; Felicetta Ammirati

Video: Eleonora Sarracino, Emanuele Rontino – the Motherfactory

Ufficio Stampa: Pasquale Raicaldo




Diario di Eva sul set di “Sola Nina” – Seconda Parte

Il Viaggio

Questa è la parte che preferisco di un’esperienza: il viaggio, ovvero l’uscita dalla zona di comfort, l'”andare verso” qualcosa di nuovo, l’avventura nell’avventura.

Destinazione: la Grande Mela. Ho un vivido ricordo dei giorni trascorsi in Union Square, nella storica sede della New York Film Academy, e di quei lunghi dopocena consumati nel grazioso loft di Brooklyn, a preparare scene e monologhi per il giorno seguente. Verso mezzanotte rientrava Lisa, la mia compagna di viaggio. Prima di andare a dormire, mi porgeva le battute dei vari personaggi affinché potessi memorizzare le mie.

Mi è sembrato più che naturale invitarla ad accompagnarmi sul set del primo lungometraggio del regista veneto Massimo Libero Michieletto. Il film, dal titolo provvisorio “Sola Nina”, è stato girato nell’alta marca Trevigiana, nella zona del Prosecco di Valdobbiadene e dintorni.

 

Sola Nina o solanina?

È un gioco di parole che ha più di un livello di lettura.

Nina, la protagonista della storia, è una giovane donna lasciata dal marito per un’altra. La sua è la solitudine dolorosa di chi ha sofferto penuria di accoglienza, riconoscimento e amore sia in ambito familiare, sia coniugale. Una solitudine che, se non vista e affrontata a cuore aperto e mente lucida può diventare, nel tempo, un subdolo veleno.

E qui entra in gioco “Solanum Tuberosum”, nome latino della patata che, assieme ai pomodori e alle melanzane, fa parte di una famiglia di vegetali che, per difendersi da predatori vari, producono un glicoalcaloide fortemente tossico per l’Uomo: la “solanina”, appunto.

Ma alla radice di Solanum c’è “solanem”, parola latina che sta per “consolazione”, “conforto”, da cui deriva “cum solare”, “consolare”.

La natura è perfetta e nel veleno nasconde la medicina.

 

Eva

È il personaggio da me interpretato. Sorella maggiore di Nina e madre di Evita, il suo scopo è portarci alla radice da cui trae nutrimento il corpo di dolore della protagonista. Attorno a una tavola spoglia su cui viene servito un imbarazzante pranzo, la radice malata di una pianta sterile e secca viene, finalmente, portata alla luce e offerta all’empatico, misericordioso sguardo dello spettatore.

Nell’egocentrismo di Eva infatti, nell’aridità affettiva, nel suo malcelato rancore verso la sorella minore – considerata a torto la più fortunata – il pubblico può riconoscere la ferita nascosta di una bambina ignorata, destinata a diventare una donna irrisolta, narcisista e invidiosa.

Non ci è dato sapere se Eva intraprenderà il viaggio interiore alla scoperta dell’antidoto al veleno che ancora distorce la percezione che ha di se stessa e della vita. Il focus è su Nina e sulla sua personale “Chiamata dell’Eroe” che, come vuole la migliore tradizione narrativa, si cela in un evento in apparenza disastroso: il tradimento e l’abbandono da parte del marito che credeva di amare così tanto.

 

Sceneggiatura e dialoghi: la cifra stilistica di un geniale regista

Ho trovato geniale e coraggiosa la scelta registica riguardo a sceneggiatura e dialoghi: una vera e propria sfida per attori come noi abituati a storie e battute preconfezionate, da mandare a memoria e “agire”.

Per apprezzare la cifra stilistica di Michieletto è fondamentale innanzitutto comprendere che la sua non è una rinuncia alla sceneggiatura e alla partizione dei dialoghi, per affidarsi all’improvvisazione degli attori.

In lui si è affermata, nel corso del tempo, l’idea che la realizzazione di un film sia un processo costante e non una successione organizzata per fasi. In questo processo la scelta degli attori è il presupposto determinante, anzi, è l’unica fase che precede il processo. Prima viene la comprensione dell’attore, della persona, nelle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche. Poi viene la costruzione del personaggio. La fiducia è totale. Ci vuole fede.

La sceneggiatura, qui, è contemplata come ars aruspicina*. Raccontare una storia per successione di immagini, infatti, è un processo induttivo, non logico deduttivo.

La sceneggiatura sembra non esserci ma esiste. Anzi, solo in questo modo può esistere. Non c’è interpretazione ma azione diretta da parte degli attori, ai quali il regista offre stimoli come frasi, immagini, simboli, musiche, suggestioni di qualsivoglia forma.

Per Michieletto fare un film è un crescente abbandono rabdomantico: il suo unico compito è rimanere fedele alla storia che vuole raccontare, alla più intima aspirazione e ispirazione di sé e degli attori. La sua parola d’ordine è “immaginare”, non sapere.

Per quanto riguarda i dialoghi il Regista li percepisce, in quasi tutti i film, forzati, macchinosi e falsi. Ecco perché la “realtà”, la verità, va costruita ben prima che si parli! La verità non recita: parla! E la scelta delle parole è fondamentale. La sensazione finale è di leggerezza, e ottenerla richiede fatica.

La scelta di Massimo, condivisa con gli attori in un messaggio alcune settimane prima di andare sul set, ha sortito in me l’effetto di un fresco gavettone che, dietro l’angolo, ti piove dall’alto. Con tremore ho accolto la sfida e interrotto la mia rilettura di “How to stop acting”, manuale dell’acting coach Harold Guskin dedicato all’attore che desidera liberarsi della tentazione a “recitare”.

Non ho più avvertito il bisogno di ricercare la verità con tutte le mie forze e a tutti i costi (che poi è sempre stato il mio obiettivo come doppiatrice). All’improvviso ero Eva, e come Eva avrei vissuto ogni singolo giorno della mia avventura, sin da prima di arrivare sul set.

 

“Stop showing: just be!”

“Smetti di mostrare, semplicemente sii chi sei”. Questo è il mio mantra. Serve a ricordarmi che non ho nulla da mostrare o dimostrare. Tutto quello che faccio è conseguenza di chi sono.

Ho abbracciato il Progetto di Massimo Libero Michieletto con l’entusiasmo bambino di chi grida al miracolo.

Venerdì 22 luglio, al nostro arrivo, Lisa – Lisa Mazzotti: la mia amica attrice, doppiatrice e direttrice di doppiaggio ndr – e io siamo state accolte come Thelma e Louise, sopravvissute ai quaranta gradi di temperatura in autostrada. Una doccia rinfrescante e via, tutti a cena in uno dei migliori ristoranti di Valdobbiadene.

Il giorno dopo l’abbiamo dedicato a … boh: qualsiasi espressione io scelga per descrivere il meraviglioso tempo trascorso insieme, non renderebbe giustizia a ciò che abbiamo vissuto.

Un appartamento in centro città, dotato di ogni comfort e ampio terrazzo, ha ospitato noi attori, il regista e la segretaria di edizione per un giorno intero, da mattina a sera inoltrata. Obiettivo: familiarizzare e conoscerci come individui al tempo stesso “reali” e immaginari.

Con sorpresa ho realizzato di avere in comune con Eva, il mio personaggio, molti elementi del mio background personale e familiare. Questo avrebbe sicuramente giocato a mio vantaggio. D’altra parte mi sono sentita … “sgamata”, esposta, vulnerabile. Meno male che per tutto il tempo ho avuto, attorno a me, persone belle e disponibili a un confronto costruttivo.

Adagio adagio i nostri personaggi, interagendo fra loro, hanno preso forma e vita. Questa magia è avvenuta sotto i nostri occhi in modo del tutto spontaneo e naturale.

 

Grazie

Ringrazio Dio e la Vita per aver avuto questa preziosa opportunità di crescita spirituale e personale.

Muovermi sul set come Eva, respirare al ritmo del suo respiro, attraversare le turbolenze dei suoi stati d’animo e il suo antico dolore, mi ha permesso di gettare uno sguardo sul mio passato e di apprezzare il lungo percorso fatto, per diventare oggi la donna che sono.

Ringrazio Massimo Libero Michieletto per la “massima libertà” di cui si è reso responsabile messaggero e fautore. Grazie a lui ho sperimentato il brivido della vita “vera” portata sul set.

Una vita che ha richiesto da parte degli attori ore di conversazione, scherzi, confessioni, sorrisi e abbracci, condividendo tempo, energie, cibo e calici di ottimo Prosecco.

Grazie a Carlotta Piraino (Nina mia sorella), Selene Demaria (mia figlia Evita), David Ponzi (tatuato, misterioso amico) e a tutti gli altri attori del cast di “Sola Nina”.

Grazie a Eliana, segretaria di edizione, il nostro angelo custode sul set.

Il mio ultimo grazie va a Lisa Mazzotti, mia compagna di viaggio.

Cara Lisa, sono passati sette anni dalla nostra ultima esperienza newyorkese. Eppure, condividere con te quest’avventura è stata la cosa più semplice e naturale. Grazie per il tuo sostegno, incoraggiamento e affetto.

 

Prossima tappa: Festival del Cinema di Venezia

Come già preannunciato, Massimo avrà un tempo – circa venti minuti – per presentare la sua Opera a settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il film non sarà ancora pronto, ma il regista potrà disporre di un trailer e di alcuni significativi spezzoni. L’uscita è prevista per gennaio 2023.

Auguro di cuore a Massimo tutto il successo che merita per il coraggio e la generosità (professionale e umana) con cui ci ha accompagnati a vivere questa incredibile esperienza.

A settembre, dunque, per aggiornamenti!

LOve,

Eva … Oooops! Jasmine

 

*L’aruspicina (da ar che significa fegato e spicio che significa guardare) era l’arte divinatoria che consisteva nell’esame delle viscere (soprattutto fegato ed intestino) di animali sacrificati per trarne segni divini e norme di condotta. Chi esercitava l’aruspicina era chiamato aruspice. (Fonte: Wikipedia)

 

Un rapido check, prima di rifare la scena …

 

Quando mi sono sorpresa a chiamare mia figlia Selene (vero nome dell’attrice) invece di Evita.

 

Il pranzo più imbarazzante della mia vita …

 

 

 

 

 

 

 

 




“Tutta colpa di una moka”

Approda in Ticino il “Moka People Festival”: l’installazione multisensoriale dei “Moka People”

Dal 23 giugno al 3 luglio, nella magica location dell’ex-cementificio Saceba – situato nella parte bassa del Parco delle Gole della Breggia – si terrà il “Moka People Festival”.

All’interno della “Torre dei Forni”, dal pianterreno al quarto piano, si snoderà la mostra – una multisensoriale installazione – con 18 artisti fra pittori, scultori, illustratori, disegnatori …

Nell’area circostante, decine di performer – attori, musicisti e ballerini – doneranno agli Ospiti momenti di Bellezza ad altissima frequenza. Ci saranno anche workshop e momenti di relax.

 

Galeotta fu la moka …

È la moka l’oggetto da cui parte tutto.

Gli Artisti Monica Rush, Brianna Ruland e Roberto Fridel si sono presi il tempo per osservarla da vicino. I preziosi spunti che ne traggono li ispireranno, più avanti, nella scelta del nome di un Progetto.

Ma torniamo alla moka e alle sue molteplici implicazioni.

Per chi fa del caffè il pretesto per incontrarsi e condividere pensieri, idee ed emozioni, la moka è molto più di un semplice “ferraccio” ottagonale: è un album di fotografie, uno scrigno di opportunità, ricordi, immagini, conversazioni …

È tutto questo che di lei ci portiamo dentro sempre e ovunque andiamo.

Il fuoco moderato di cui necessita è come l’amore nella sua espressione più sana: non una fiamma che divampa e si spegne ma un sereno, costante, rassicurante amore.

Quando la moka è pronta lo fa sapere e si autocelebra, spandendo il suo profumo tutt’intorno. Come chi, consapevole del proprio contributo di valore, lo annuncia apertamente e senza falsa modestia.

Come ogni Artista della propria vita, la moka è consapevole del suo Scopo: creare energia positiva che catalizzi energie simili.  

E poi è libera, come lo è ogni essere umano che non nutre aspettative di essere ricambiato.

“Se riusciamo a stare nella vibrazione alta creando attorno a noi felicità, tutto si ferma qui. Ed è tutto più semplice. Non c’è sforzo.” dice Monica.

 

I “Moka People”

In una nuvolosa giornata di maggio, passo a trovare Monica nella sua splendida casa. Mi dice che un giorno Brianna Ruland le racconta di come in certi parchi, in America, la gente si ritrovi munita di moka e fornellino.

Il caffè, ovviamente, è un pretesto, si può anche non bere. L’idea è semplicemente quella di riunire un gruppo di persone con la scusa del caffè e andare oltre i convenevoli del “Come stai?”, oltre la convenzionale chiacchiera su fatti d’attualità e di cronaca: deve essere, per tutti, un momento di scambio dove sentirsi liberi di essere ciò che si è, fare nuovi incontri, arricchirsi.

Nel 2019 – alla vigilia del periodo di emergenza sanitaria – Monica, Brianna e Roberto proseguono l’esplorazione del “mondo moka” alla ricerca del nome ideale da dare a questo progetto. Si passano in rassegna le parole “caffettiera”, “caffè”, “moka” … Nasce “Moka People”: semplice, spontaneo, positivo.

Inizia la pandemia. Il Progetto viene lasciato decantare, e forse grazie al rallentamento della vita Brianna e Monica hanno la possibilità di interagire con altre donne artiste e passare del tempo chiacchierando e condividendo desideri. Nasce proprio in uno di questi incontri, grazie al contributo di tutti, l’idea di prendere in affitto l’ex-cementificio della Saceba per esporre le proprie opere e invitare gli amici.

Un’idea corale che doveva durare solo due giorni e che in poco tempo invece si amplia e diventa Festival. Che nome dargli?  Ecco riapparire “Moka People”: forse perché in fondo parla della stessa cosa, ora il nome trova la sua collocazione. 

 

“Il Moka People Festival”

Gli Artisti prendono in affitto la Saceba, magica location situata nella parte bassa del Parco delle Gole della Breggia.

La scelta dell’ex-cementificio ha il suo perché: il grigio della costruzione e i grandi spazi da riempire sono l’ideale per realizzare una multisensoriale installazione. Al pianoterra e sui quattro piani, i sensi dei visitatori sono stimolati da forme, colori, suoni, immagini, movimento, musica. Nel frattempo, nel suggestivo spazio circostante, attori, musicisti e ballerini si esibiscono in live performance.

Il Progetto conquista ogni giorno più persone: mentre scrivo, gli artisti e i performer hanno superato i cinquanta elementi.

A questi si aggiungono tre stiliste “artigiane” e una quarantina di figuranti, pronti a indossare le loro creazioni.

E poi ci sono i musicisti dell’orchestra della Svizzera Italiana, i poeti, gli attori di fama a recitare, di notte, avvolti dalla morbida luce di bracieri accesi … I ballerini di danza contemporanea, i suonatori di cornamusa in mezzo ai sassi …

Questo è il “Moka People Festival”: una celebrazione non dell’Arte ma della collettiva Creazione di qualcosa di sensoriale, con la speranza che possa arrivare agli altri. A questo servono il suono, le luci, gli odori: oltre che a stimolare i sensi, aiutano i visitatori ad “assorbire” energia buona e a non rimuginare su se stessi e sulla propria rigidità.

Il desiderio è quello di innalzare l’energia degli Ospiti – in un luogo che è già di per sé energetico. Il tutto diffondendo il messaggio che non è Artista chi impara a dipingere, scolpire, recitare, danzare, suonare uno strumento musicale. Ognuno di noi è Artista nell’arte di creare la propria gioia, l’Arte più sofisticata e importante che l’Uomo ha. Basta poco. Il contatto con la natura. L’amicizia. La collaborazione. Tutte le altre forme d’arte sono secondarie.

 

Save the date and the event

Il “Moka People Festival” si svolge nei giorni dal 23 giugno al 3 luglio in Ticino, Svizzera.

Ogni giorno c’è un programma diverso. Il biglietto d’ingresso all’esposizione si acquista all’entrata della Torre mentre le performance all’esterno sono gratuite. Dalle 17.30 si può trovare ristoro al bar con cibo e vino buono.

E poi, nei pressi della Saceba c’è una vallata protetta, ci sono delle rocce scavate dall’acqua che sono diventate gole e offrono una panoramica che è la stessa di duecento milioni di anni fa! Si può entrare nelle cave prenotando il tour con il Parco delle Gole della Breggia: un’esperienza incredibile, da fare preferibilmente in silenzio. C’è il fiume per andare a fare il bagno, se fa troppo caldo.

Ci sono anche i “caffè con l’artista”: momenti interattivi fra gli espositori e il pubblico. Durante il weekend, inoltre, si possono raggiungere gli Artisti alle otto del mattino, per fare colazione insieme. Chi lo volesse può portare la propria moka da casa. Loro ci mettono il fornellino. Quindi ci si siede tutti insieme e si parla di Arte o si ascoltano le campane tibetane. Questo è fare “Moka People”!

E una volta finito l’evento? Beh … di moka eventi se ne possono organizzare tanti e “Moka People” è un modo bellissimo per darsi un obiettivo e condividere il percorso per raggiungerlo.

Alla fin fine … siamo tutti Moka People!

Per saperne di più sull’evento e i suoi protagonisti, visita il loro sito.

Vuoi un’anteprima in immagini e video? Visita il gruppo Facebook “Moka People Festival” .

 

Ex-cementificio Saceba
L’ex-cementificio Saceba, oggi chiamato “Torre dei Forni”




Un incredibile Pass … Over.

Alla vigilia di Pasqua, all’improvviso …

“Passover” è l’Inglese per “Pasqua” e sta per “passaggio”.

Mentre gli Ebrei la celebrano per ricordare l’attraversamento del Mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla libertà, i Cristiani festeggiano il passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo.

Alla vigilia di un weekend così significativo, simbolo e metafora di luce, rinascita e libertà, mentre gli Italiani si accingono a trascorrere l’ennesimo weekend tra le mura domestiche, accontentandosi di guardare il cielo dalle finestre, arriva un’improvvisa ventata d’aria fresca e pura.

 

… per colpa di Clubhouse!

Stavo piacevolmente chiacchierando con la mia cara amica Laura Merli Lavagna, doppiatrice e psicoterapeuta, al termine di un’intervista sul mio Canale YouTube. O forse era un live reading, ma poco importa. A un certo punto mi offre un invito per entrare su Clubhouse. “È l’app che va tanto di moda adesso: si aprono delle ‘room’, ogni ‘room’ un argomento di conversazione, e tu entri ed esci a piacimento: puoi parlare o ascoltare”. “No, grazie!” rispondo. “Ho già il mio daffare, ci manca solo questa…”

Le ultime parole famose. Nei giorni successivi, altre due persone mi fanno lo stesso invito. “L’Universo mi sta parlando!” mi dico. Entro.

Il ragazzo che cambiava foto profilo ogni cinque minuti.

Finché una notte, durante la mia room “Il Giardino Incantato degli Eroi”, non si presenta Fabio.

Ogni volta che apre il microfono per dire la sua, c’è un sottofondo musicale di quelli adatti alla meditazione.

Il tono di voce calmo e l’eloquio lento, ispirano tranquillità e pace. Ogni tanto lo perdo di vista: poi scopro che cambia la foto profilo adattandola, di volta in volta, al fluire delle nostre parole. Bene. Dovrò aguzzare la vista.

Nel frattempo vado a visitare la sua bio e … sorpresa, scopro che è un cantante di professione: “Fabio Gómez”.

In un nanosecondo sono su YouTube ad ascoltare “Over” nella versione newyorkese (la prima delle tre).

Ok. Questo “Soul Talk” s’ha da fare. Azzardo l’invito. Accetta. Si va.

 

Una chiacchierata tra anime.

Il “Soul Talk”, l’appuntamento del venerdì incastonato nel Progetto di Ondina, è un incontro fra anime.

L’anima di Fabio ha l’iridescenza dell’opale: a seconda di come la guardi, ti rivela di sé un colore diverso, una diversa emozione.

Ha solamente otto anni, quando il cielo notturno gli regala una stella cadente: occasione preziosa, per il piccolo Fabio, per pronunciare il desiderio del suo cuore: “Io voglio fare questo!”. Il cielo lo accontenta.

Il suo Viaggio dell’Eroe inizia a Lugano nel coro gospel “Amazing Grace”. Prosegue quindi i suoi studi in Germania, in Svizzera e a Chicago (U.S.A.).

Il resto è storia. Una storia costellata di momenti gloriosi, raccolti nella bio del suo sito.

Ma torniamo all’anima bellissima di questo Artista che ha scelto di cantare Se Stesso, i suoi Valori e la Fiducia nella Vita.

 

Over, Oltre, Siempre: Un inno alla Rinascita e alla Libertà emotiva.

Il suo ultimo successo, “Over” (“Oltre”), è uscito in tre versioni nell’arco del 2020: l’anno più “incredibile” che il mondo abbia vissuto nei decenni successivi ai due “eventi” mondiali (mi diverto a usare sinonimi High Vibes).

La prima versione, quella newyorchese, è dedicata alla chiamata dell’Eroe alla scoperta di Se Stesso e del suo vero Scopo.

Oltre il perbenismo di facciata, oltre la maschera sociale, oltre al quotidiano correr dietro a falsi valori …

Oltre alla paura, all’insicurezza, alla frustrazione, c’è la libertà emotiva di chi impara a dirigere le proprie emozioni come strumenti musicali di una grande orchestra. Ed ecco che l’anima può brillare, in tutto il suo splendore.

…Una canzone che è un inno alla rinascita, un messaggio di positività, un brano che vuole motivare l’ascoltatore a riprendere in mano la propria vita, spingendolo ad andare OLTRE …  soprattutto ad avere fiducia in se stessi, in questo duro momento storico, abbattendo le paure interiori e le catene che ci ancorano nel preservare la vita … (F. Gómez)

La seconda versione si ispira all'”Arcobaleno” come ponte fra terra e cielo; soprattutto, in questo particolare momento, simbolo di pace e di speranza dopo gli inevitabili temporali che la vita ci riserva.

Per questa versione Fabio si è ispirato all’immagine mistica dell’arcobaleno che simboleggia vita, speranza, trasformazione, e collegandosi a concetti come la coesione spirituale, rappresenta l’unione tra terra e cielo.

“L’arcobaleno funge infatti da ponte tra due dimensioni: quella materiale e quella spirituale. Al suo stadio metafisico è una combinazione di colori in armonia perfetta che produce un simbolo naturale di straordinaria bellezza, una promessa di pace e illuminazione.”  (F. Gómez)

La terza versione è “Montecarlo” che, nel suo mood elegante, acquista la potenza di un sogno che ciascuno di noi è chiamato a realizzare.
“Un messaggio motivazionale pieno d’amore puro … che simboleggia l’amore come un bellissimo fiore, una rosa. Con gli occhi pieni di immenso splendore, cerchiamo tutti i momenti passati e condivisi: attimi tristi, di stupore, di felicità, con la sola consapevolezza che nulla ci può accadere se ci aggrappiamo a questo sentimento, amore puro, che ci insegna a essere migliori.
Vorremmo non svegliarci da questo sogno che ci regala l’eternità mentre i colori si fondono per crearne di nuovi.
Noi persone comuni continuiamo ad amarci per scoprirne i contenuti, per creare un nuovo “Over”, oltre. (Fabio Gómez)
… ora voglio che sia Fabio a raccontarsi, portandoci  con lui tra giochi d’acqua, fiori di loto, profumi d’incenso, musica e candele accese qui e lì. Perlomeno, questo è ciò che “vedo” mentre continua a parlare di Sé, ‘sto ragazzone dal cuore grande!

 

Fabio ama Ondina!

Una cosa è certa: Fabio ama il Progetto ed è proprio la piccola Ondina ad averlo attratto nella sua prima room su Clubhouse: “Il Giardino incantato degli Eroi”!

Ogni lunedì, mercoledì e mercoledì alle 23:00, il Giardino della Buonanotte apre i suoi cancelli a visitatori occasionali e, soprattutto, a Eroi dei nostri giorni che, consapevoli del potere creativo delle loro Parole, condividono le loro storie dando vita a nuovi mondi.

Per approfondimenti sul suo curriculum artistico, vi rimando sempre al sito.

Ed ecco, per la vostra gioia, le clip delle tre versioni di “Over”:

la prima interamente girata a New York e dedicata al Cambiamento come Rinascita interiore;

la seconda, “Rainbow”, girata all’interno dell’affascinante Palazzo Malacrida di Morbegno, in Valtellina;

la terza, “Monte Carlo Mix”, realizzata nelle ville settecentesche tra l’esclusiva location di Villa Geno sul Lago di Como e Palazzo Malacrida a Morbegno.

L’intervista – “Soul Talk” – è qui.

Per concludere in Bellezza questa Pagina di Diario ho scelto un aforisma coniato dal papà di Fabio: “L’amore non si cerca: ti trova”.

… e due frasi di Fabio: “È necessario far tesoro di questo particolare periodo storico per concentrarci sui nostri sogni e creare un circolo virtuoso di persone alle quali vogliamo bene.”

“Ciascuno deve rimanere in ascolto del proprio cuore, della propria anima, e così facendo rimanere sintonizzato sui propri sogni.”

I Valori che riemergono con lui, alla fine della storia, sono: l’Amore, la Fede e la Libertà di sognare.

Alla prossima, Eroi!

Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti)




“La mia passione è dare i numeri” con Luca Carli

Un mondo fatto di numeri.

 

Ero in prima Ragioneria. Durante la lezione di non ricordo quale materia, bussarono alla porta della classe.

Si affacciò uno studente di seconda che, timidamente, chiese di me. A mandarlo era il Prof di matematica, che mi chiedeva di raggiungerlo nell’aula attigua.

Mi tremavano le gambe, mentre seguivo quel ragazzo in corridoio.

Il prof di matematica era bravissimo nella sua materia, e altrettanto esigente con noi studenti.

Avevo più di una ragione per tremare: un cinque in matematica, un quattro in fisica – le sue materie – un quattro in geografia astronomica e un’altra insufficienza non ricordo dove. Insomma: quattro buoni motivi per essere bocciata.

Nonostante le insufficienze e le “bigiate” – fu proprio lui a beccarmi alla stazione dei treni, chitarra in spalla, in partenza per andare a fare una “visita specialistica” – non andò come previsto.

Il prof di matematica mi prese in disparte e, sorridendo bonariamente, mi disse: “Non me la racconti giusta, signorina: tu sei troppo intelligente. Hai due opzioni. La prima è augurarci buone vacanze e rivederci un’altra volta in prima. La seconda è che ti dia un sei in matematica. Ma … mi devi portare a settembre fisica e geografia. Cosa facciamo?”

Secondo voi, quale delle due opzioni scelsi?

Fu in assoluto l’estate più lunga e calda della mia vita. Mi feci una promessa: mai più, sarei stata rimandata a settembre!

Ne ebbi come premio l’ammissione al secondo anno e, con mia grande sorpresa, mi innamorai dell’Universo, dei pianeti e del loro sincronico movimento, delle maestose distanze che li separano, delle misteriose forze che ne regolano il funzionamento.

Mi innamorai della divina perfezione di un Cosmo, composto da misteriose cifre: codici che racchiudono – lo avrei scoperto decenni dopo – significati profondi, svelati soltanto a chi oltrepassa la soglia della distrazione, del sonno ipnotico che ci avvolge, privandoci – se non ci destiamo in tempo – del Piacere di Scoprire nuovi mondi.

Mi innamorai dei numeri.

 

I Numeri: le Chiavi d’accesso a Chi noi siamo e al nostro Scopo.

 

E poi c’è Paola e la sua passione di tradurre date significative, orari di eventi sincronici, targhe automobilistiche, lettere di parole e nomi … in Messaggi con cui l’Universo le parla e la guida.

Sostiene che ciascuno di noi dovrebbe prestare attenzione ai simboli, ai colori, alle metafore con cui la Vita ci ispira a seguire il suo eterno, gioioso fluire.

A ogni numero che si presenta, lei consulta il Manuale “1001 Messaggi dall’Universo”: 1001 numeri, convertiti in preziosi Suggerimenti per vivere al meglio il nostro personale Viaggio dell’Eroe.

Autore del magico libro è il suo carissimo amico Luca Carli. Le ho chiesto di presentarmelo: ne è nata una bella intervista, trasmessa in live streaming, in occasione del settimanale appuntamento del “Soul Talk”.

 

“1001 Messaggi dall’Universo”

 

A venticinque anni Luca si laurea in ingegneria. Non importa in quale ramo: è ovvio che abbia avuto a che fare con la matematica e i numeri! Sta di fatto che, chiuso il cerchio della formazione scolastica, abbia deciso di seguire la strada del Cuore.

E il Cuore, com’è facile intuire, lo ha portato altrove: a innamorarsi dei numeri come ponti tra la mente razionale e l’Anima, viadotti sospesi tra l’Anima e la Saggezza dell’Universo.

Scrittore e Poeta di rara sensibilità; Divulgatore di Psicologia del Profondo, Crescita Personale, Spiritualità; operatore olistico ed esperto numerologo, Luca Carli è conosciuto soprattutto per “1001 Messaggi dall’Universo”: il suo primo libro, cui seguiranno “Viaggio nell’Universo Interiore” e “Discorso con il Fauno, Dio e la Luce”.

Ma torniamo ai numeri, che Luca ama così tanto. Ne cito testualmente le parole.

“Come in uno specchio, possiamo rifletterci nei numeri per capire chi noi siamo … (Questo libro) è un’avventura che ti condurrà, pagina dopo pagina, a scoprire chi sei davvero, oltre a tutte le ipotesi, oltre a quello che ti hanno detto gli altri e oltre a ciò che, per qualche motivo, preferisci ancora non sapere.

La verità si è sempre nascosta dietro l’illusione del mondo, dove ciò che appare così reale non lo è affatto. Voglio allora darti un suggerimento: inizia a guardare le cose che ti circondano come fossero messaggi dall’universo. 

I numeri possono aiutarti in molte situazioni, se li riconosci come simboli antichi che si rivolgono proprio a te.

In fondo hai sempre saputo di essere protagonista del gioco della vita.

Andiamo a scoprire i ‘1001 messaggi dall’universo’, dove i numeri sono i codici con cui l’universo comunica con noi.

Questo libro ne svela i messaggi fornendoti le chiavi per entrare nel tuo universo interiore e agire concretamente sulla tua realtà.”

E ancora:

“La Numerologia è una porta per entrare nel fondamento dell’esistenza, creare la propria realtà e godere appieno della vita, in armonia con le Leggi Universali. 

I numeri ci accompagnano da sempre e sono come una carta d’identità del nostro essere.

Ce li portiamo appresso da quando siamo nati, principalmente attraverso la data di nascita, il nostro nome e il cognome. Possiamo interpretarli come una guida interiore che presiede ad ogni stadio del nostro viaggio esistenziale, determinando in ciascuno le coordinate fondamentali che controllano l’affettività, il lavoro, i rapporti umani e le aspirazioni più profonde e intime. 

Individuare i nostri numeri e la loro influenza significa finalmente comprenderci più a fondo.

Così, possiamo essere protagonisti della nostra vita, collaborando con il nostro destino per non esserne soltanto vittime inconsapevoli.”

 

Soul Talk

 

È stato un bellissimo Soul Talk, quello con Luca.

Abbiamo parlato di cosa siano la “Realtà”, la “Verità”, di come possiamo scoprire chi davvero noi siamo e il nostro Scopo, della limitatezza della nostra percezione di “Quello che (davvero) c’è” …

… dei “problemi”, come “confini creati da noi stessi per metterci alla prova e poterli superare … perché solo in questo modo, ci è dato di conoscere noi stessi per davvero e continuare a crescere!”

Il Messaggio di Luca è potentissimo e riguarda la necessità di liberarci della nostra presunzione di sapere, per abbracciare la vastità del nostro mondo interiore, riflesso nella vita di ogni giorno.

Non mi resta che lasciarvi alla nostra chiacchierata.

Buona Visione e alla prossima!

Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“La Vita è una Scultura” con Sergio Grasso.

Aperitivo in trattoria …

Sono passati trentatré anni dalla sera in cui, in quella trattoria nel trevigiano, aspettando che si liberasse un tavolo, Sergio propose di farci un “cicchetto” al bancone.

Non dimenticherò mai il suo sguardo, quando mi azzardai a chiedere una cola: a distanza di più di tre decenni, al solo ricordarglielo, sgrana gli occhi come alla vista di uno spettro. Divertito però.

Ma torniamo indietro di trentatré e una manciata d’anni.

 

… nella ridente Marca Trevigiana.

Correva l’anno 1976. Le prime Radio private spuntavano qui e lì, come funghi dopo una bella piovuta.

Un giorno mamma portò a casa una bianca Brionvega.

Non mi ci volle molto a scoprire il paradiso, selezionando la modalità “fm”.

Fu subito amore: abbandonai la Barbie e Ken per Radio Marca, un crogiuòlo di talenti vocali tra i quali spiccava, per spessore e autorevolezza, lo speaker Sergio Grasso, allora poco più che ventenne.

Ci sono cose che la ragione non può spiegare. L’istinto invece sì: è “lui” a dirti che qualcuno è lì soltanto di passaggio, che il suo Destino è altrove, e la sua voce sarà udita (quasi) ovunque.

Così è stato.

Trentatré e una manciata d’anni dopo …

… mentre il resto d’Italia è davanti alla tv per godersi la finale del Festival di San Remo, incontro il mitico “Sergione” per una chiacchierata.

Nato a Venezia l’undici dell’undici del cinquantacinque alle ventidue e ventidue – quale esperto numerologo non vorrebbe tracciare il suo profilo? – la vita di Sergio si snoda in cicli della durata di undici anni: giusto il tempo di farsi venire nuove Idee, intraprendere nuove avventure, portare a compimento nuove imprese.

La prima di una serie di tappe che lo avrebbero portato, negli anni successivi, a esplorare il variegato mondo dei media come “voce” e non solo, fu la Radio.

Interviene e puntualizza: “Si dice ‘mèdia’, non ‘mìdia’, visto che deriva dal latino”.

In vena di confidenze, Sergio ammette di aver sempre odiato la sua voce fin da quando, appena undicenne, prendeva lezioni di canto lirico da Mario Del Monaco. Come baritono.

Prosegue raccontando che, quando gli capitava di chiamare l’amichetta per chiederle di uscire … se rispondeva lei, tutto bene. Se invece rispondeva il suo papà, Sergio si spacciava per suo padre e a quel punto, cominciava la commedia degli equivoci.

Alla fine, malgrado i paradossi, ad averla vinta è l’Esistenza: ovunque Sergio ha messo piede – alla radio, in studio di registrazione, in sala di doppiaggio, alla tv e in teatro – rimane l’eco del suo “vocione”, le emozioni che ha trasmesso, il piacevole ricordo di chi lo ha apprezzato come Speaker, Doppiatore, Autore, Attore, Regista Teatrale …

 

Una Voce, una Penna e un’ardente Passione per la Cultura del Cibo.

Ecco i tre ingredienti della magica Ricetta di una Vita che è sempre un work-in-progress! O, per dirla all’italiana, un “lavori in corso”!

Di Sergio ho sempre ammirato il coraggio di superare i limiti imposti da ogni “ruolo”, da lui già incarnato con successo.

Di persone eccellenti in ciò che fanno ne incontriamo, nella vita. E non importa se, nel tempo, si appassioneranno ad altro: la tentazione, per l’attore, è continuare a crogiolarsi sugli allori del passato. Lo spettatore invece si addormenta, certo che il proprio beniamino sia “quel che ha già  fatto” e più nient’altro.

Ma torniamo a Sergio.

Nei primi Anni Novanta, la sua vena artistica incontra e si fonde con quella di Alchimista dell’Arte Culinaria, Filosofo del Gusto e della sua Storia, Antropologo alimentare, Amante dei prodotti tipici e della Cultura che li ha generati – Storia, Geografia, Usi e Costumi, Tradizioni, Arte, addirittura Archeologia – cogliendone i significati rituali e sociali.

Ed ecco entrare in gioco l’esperienza, fino a quel momento maturata in teatro: il carisma dell’attore, la colta creatività dell’autore e la leadership del regista, fanno di lui l’ospite televisivo perfetto, il giudice imparziale disposto a giocarsi l’approvazione dell’audience, pur di non scendere a compromessi con i “Cuochi d’Artificio” (i personaggi costruiti a tavolino dal “sistema”: più divi e “influencer”, che veri cuochi).

Nel frattempo, la sua fama di esperto di storia sociale del cibo e dei costumi alimentari, varca i confini d’Italia e si spande per il mondo, come profumo di pane appena sfornato.

Per lui, infatti, gli alimenti sono più che “nutrienti”: sono “marcatori culturali”!

In altre parole: il cibo di un Popolo ne rappresenta l’Identità, la Cultura, la Civiltà. Non rimane che metterci a tavola e assaggiarlo, per conoscere davvero la Nazione che ci ospita!

 

Un Curriculum lungo una vita.

Come è facilmente intuibile, le sue aree di interesse più importanti sono: Cibo, Cultura, Civiltà antiche e moderne, Arte, Storia, Geografia, Viaggi, Archeologia, Antropologia alimentare …

Dal suo profilo – aggiornato con cura dall’Ufficio Stampa – estraggo i ruoli da lui rivestiti nei momenti più salienti della sua carriera, ancora in pieno svolgimento.

Il mio elenco, sommario e incompleto, rende l’idea di chi sia il professionista “Sergio Grasso”: speaker radiofonico e pubblicitario; doppiatore cine televisivo; autore e conduttore televisivo; autore e interprete di monologhi legati all’arte, alla storia e all’alimentazione; regista e attore teatrale; documentarista; food-writer; docente universitario; ricercatore e membro di commissioni scientifiche e tecniche; antropologo e consulente alimentare; esperto di gastronomia e merceologia; giudice tecnico e “mentore” del programma “La Prova del Cuoco”; autore e coordinatore dei contenuti antropologici e agronomici del reality “La Fattoria 1870”; animatore di manifestazioni enogastronomiche; curatore della progettazione e realizzazione di eventi gastronomici legati alle rappresentazioni del cibo nell’arte; scrittore, editore, pubblicista …

L’elenco potrebbe continuare, ma mi fermo qui.

Come una lista della spesa non può esprimere un pranzo preparato con amore, da gustare con gli affetti a noi più cari … un curriculum da solo non basta a raccontare la bellezza e il valore di un Essere Umano.

È stata una piacevole chiacchierata, quella di venerdì 5 marzo con Sergio Grasso, perché si è parlato un po’ di tutto.

Ne è uscito il ritratto di un Uomo coerente con se stesso e con i propri Valori; un uomo che, piuttosto che tradire ciò in cui crede, ringrazia con garbo, saluta e se ne va per la sua strada.

Il suo Viaggio dell’Eroe è tuttora in corso.

Verso la fine del nostro incontro, Sergio accenna a interessanti novità delle quali, “per scaramanzia”, preferisce non parlare.

Prima di accomiatarci, mi mostra con fierezza i “santini digitali”: le foto di Shanti, la sua adorata nipotina.

Di lui, questa bellissima bambina ricorderà che “… se l’ha avuto, un nonno, è già una fortuna; che il nonno scherza, ride e la fa ridere, le morde il sederino …”

La sua eredità per lei, la frase-mantra è: “Aspettati poco dagli altri: quel che ti serve nella vita, è già dentro di te”.  

E ancora: “La vita è una scultura, non una pittura: la pittura si fa aggiungendo delle cose su una tela bianca; la scultura, invece, si fa togliendo della materia per tirar fuori quel che c’è ‘dentro'”. La nostra vera Essenza!

Questa intervista è un’altra gemma preziosa incastonata nel Progetto di valore sociale “Ondina Wavelet World”, il Progetto multimediale che ha per Scopo la creazione di una Cultura basata sulla consapevolezza del Potere creativo delle nostre Parole.

E quando le Parole che pensiamo, diciamo e agiamo in coerenza, coincidono con i veri Valori dell’Uomo, possiamo dar vita, tutti insieme, a un mondo bellissimo.

Per partecipare iscriviti al Canale YouTube “Jasmine Laurenti” e, se i contenuti risuonano con te, fai del Progetto il “tuo” Progetto, abbonandoti al Canale stesso.

Ecco il video e il podcast della stupenda chiacchierata con “Sergione”.

Alla prossima!

Con Amore,

la vostra Eroina acquatica Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti).