Dialogo interiore tra un gesù e un giuda

La volontà della trasformazione – dialogo interiore tra un gesù e un giuda

Io sono Gesù.

Vivo nel futuro e ve lo porto.

Non voglio né nomi né appellativi perché si trasformeranno in lacci.

Quando lo farete, io me ne andrò.

Prendetevi quello che vi dò perché sono solo di passaggio.

Io sono Giuda

e sono mansueto.

Obbedisco e me ne pento.

Il mio più grande difetto, ciò che mi porterà alla morte, è che non reggo i sensi di colpa.

Non capisco che le mie azioni non hanno a che fare con ciò che sono ma con ciò che faccio.

Gesù ha cercato di spiegarmi questa cosa, io gli voglio bene ma non riesco a farla mia.

Lo seguo sperando che cambi qualcosa in me lui, perché io da solo non riesco.

Lui mi dice che per lui sono importante.

L’altra sera mi ha chiesto una cosa strana.

Mi ha detto che devo tradirlo, che devo permettergli di liberarsi dai lacci del suo nome e cambiarlo in Cristo.

Io non lo voglio… ma la mia volontà è labile, io non ho posizioni, se le avessi, le terrei anziché scappare…

“Giuda, se non mi tradisci, io non potrò mai essere il prossimo me stesso.

Qui c’è troppa gente che ha bisogno di questo me, mi chiama con quel nome e gli dice chi sono;

se resto così non potrò mai essere il mio prossimo me stesso”

“Signore, allontana da me questo calice, ma non sia fatta la mia ma la tua volontà”

——

Tutti noi ci siamo chiamati Gesù e tutti noi abbiamo bisogno di Giuda.

Gesù è la parte di noi che più ci piace, quella che piace agli altri, che viene riconosciuta e ha il suo valore nella vita quotidiana.

Gesù influenza anche la vita degli altri che, quindi, ci tengono che resti il più possibile.

Ma Gesù non è una persona intera, è solo uno stato di passaggio,

non può restare per sempre perché non è un sasso e, in cuor suo, lo sa.

Quando Gesù si rende conto che tutti ormai gli hanno dato un nome e un ruolo, capisce che è arrivato il momento di andare, perché lui è più grande di quel vestito che gli è stato dato.

Lo stato Gesù, deve quindi andar via e per far questo deve smettere di essere quello che è.

Deve tradirsi, slegarsi dalla folla e trovarsi solo.

Trasformare il suo ruolo da chi aiuta in chi viene aiutato.

Lo stato Gesù ha bisogno dello stato Giuda.

Dentro di noi ci sono lo stato Gesù, lo stato Giuda e l’aspirazione ad essere Cristo.

Per passare allo stato Cristo, quello nuovo, abbiamo bisogno di tradirci, trasfigurarci e morire allo stato precedente.

A volte siamo talmente innamorati di noi, del nostro modo di essere, del modo in cui ci vedono gli altri, che smettiamo di cercare di essere davvero noi stessi, di seguire il nostro mutamento, la nostra evoluzione.

Non lo facciamo perché pensiamo di essere una specie di esempio, perfetti e indispensabili, pensiamo di sapere tutto e ci piace essere cristallizzati così.

Ma l’evoluzione non vuole staticità.

Essere Gesù è solo una tappa, in quella dopo c’è Cristo.

E quando si sarà Cristo, ad un certo punto, si tornerà ad essere Gesù e avremo ancora bisogno di Giuda: dovremo ancora tradirci, disobbedire a noi stessi, consegnarci al giudizio, non essere compresi, scontrarci con leggi che non sono le nostre e ci sembra non abbiano senso…

E in tutto questo ci sarà Giuda… che ha trasformato il suo ruolo in una persona e non ha ancora capito questa cosa morendo a causa dei sensi di colpa.




Il perdono di Giuda

Quando Giuda contò i suoi trenta denari e capì che né quelli né mille volte quelli potevano comprare quello che cercava, si sentì perso.

Giuda aveva fatto il più grande sbaglio della sua vita,

aveva preso tutto quello per cui aveva vissuto e lo aveva venduto 

e quel che era peggio, era che in mano si trovava delle monete senza valore,

delle monete che non erano buone neppure per essere donate ai poveri perché erano macchiate dell’errore.

Agli occhi di Giuda e di chi lo giudicava, nulla di quello che aveva fatto, era buono o poteva diventarlo.

Giuda aveva fatto una azione per distinguersi e si è trovato con nulla in mano e una infinità di sensi di colpa.

A me Giuda fa pena.

Giuda siamo noi quando sbagliamo,

quando facciamo gli errori grandi,

quelli veramente grandi.

Giuda siamo noi quando facciamo del male e compiamo una di quelle azioni che cambiano tutto, 

una di quelle azioni dopo le quali nulla sarà più come prima.

Giuda siamo noi quando quella azione è una azione che fa del male.

Giuda siamo noi quando agiamo male.

Giuda però, DOVEVA farlo.

A pensarci bene, senza Giuda gli uomini non avrebbero trovato salvezza.

Se Giuda non avesse tradito, Gesù non sarebbe diventato Cristo.

Il tradimento di Giuda era una tappa obbligatoria per la salvezza del mondo.

E allora dov’è il peccato di Giuda?

Il peccato di Giuda è sempre lo stesso.

L’unico e solo peccato riconosciuto ufficialmente come tale dal Concilio Vaticano II ad oggi (giuro: l’unico).

Il peccato di Giuda è stato non accettare l’amore di Dio, 

non accettare il perdono di Dio.

Giuda è stato talmente tanto male da non credere di meritare il perdono,

perché l’aveva fatta davvero grossa,

perché tutti ce l’avevano con lui,

perché lui stesso, per primo, si vergognava.

Si vergognava talmente tanto da non riuscire a pentirsi 

e, così, non riuscendo a perdonarsi, si è condannato.

Dio, da contratto, lo avrebbe perdonato ma lui non ha perdonato sé stesso.

E fu così che Giuda si allontanò, scelse un albero e si impiccò

e morì strozzato dai suoi sensi di colpa.

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Noi lo facciamo di continuo.

Sbagliamo,

non ci perdoniamo,

e facciamo una serie sistematica di piccoli gesti che, negli anni, ci portano alla morte.

Pensiamo di non meritare amore e scegliamo persone che non ci amano,

pensiamo di non meritare dignità e intraprendiamo strade che ci mortificano,

pensiamo di non meritare successo e intraprendiamo strade che ci portano al baratro.

Lo vediamo ogni giorno nelle persone che soffrono senza perdonarsi,

in chi ha scelto di vivere per strada perché fugge da una sua vecchia vita,

in chi non vuole chiarire un malinteso perché non crede di meritare perdono.

I primi che devono perdonare i propri errori siamo noi stessi,

Giuda non doveva morire.