“Una famiglia di stelle”

“Ballando, cantando e sfilando con le stelle”

In “Suor Soubrette”, la mia autobiografia, racconto di come sia riuscita, nonostante e grazie agli impedimenti di varia natura, a realizzarmi nelle mie sacrosante aspirazioni.

Ad alcune di queste ho dovuto rinunciare perché meno “urgenti”, ma non per questo meno importanti. E comunque, finché c’è vita, c’è speranza. 

Il mio messaggio ai ragazzi di ogni età è “Fregatene e risplendi!”: un incoraggiamento ad affrontare e vincere le sfide che la vita ci offre – sotto forma di pareri non richiesti, per quanto autorevoli, tutt’altro che costruttivi – sul non sempre facile sentiero dell’auto realizzazione. 

“Campioni si nasce o si diventa? O tutte e due?”

 In che misura l’ambiente familiare è determinante, affinché un figlio possa realizzarsi pienamente nelle proprie aspirazioni? Esiste un’isola felice, una famiglia ideale, naturalmente imperfetta, dove si respiri un clima di rispetto reciproco e i figli vengano educati all’amore per l’Arte e la Bellezza? 

Per rispondere a questa e ad altre domande ho raggiunto Pinuccia Matta e Raffaello Lucchese, titolari di una prestigiosa realtà dell’antiquariato luxury giunta ormai alla quarta generazione e soprattutto genitori di due splendidi virgulti di diciotto e tredici anni rispettivamente: Simone ed Eleonora. 

 “Un vivaio di stelle”

Al loro arrivo sul pianeta, i due fratellini hanno trovato ad accoglierli il clima ideale per poter fiorire in accordo con la loro natura. Mamma e papà, infatti, li hanno sempre lasciati liberi di seguire le loro inclinazioni e, si sa, un fiume scorre sempre in direzione della propria foce. Così, giorno dopo giorno, i due ragazzi lavorano in vista della realizzazione dei loro sogni, desideri e aspirazioni. 

La famiglia Matta Lucchese, a quanto pare, ha adottato un approccio educativo dal quale prendere ispirazione, come genitori, per educare i propri figli alla consapevolezza del loro intrinseco valore. Raggiungo quindi la mamma e i ragazzi per un’intervista che ha per tema il “come” incoraggiare giovani visionari a fregarsene delle nubi grigie – leggi: critiche non costruttive, profezie non felici, opinioni non richieste all’insegna di un’incredula prudenza –  e a risplendere come stelle, costi quello che costi.

“Intervista a mamma Pinuccia”

J: “Pinuccia, come siete riusciti a riconoscere i doni e i talenti dei vostri ragazzi?” 

P: “Per quanto riguarda nostro figlio Simone l’abbiamo capito subito: aveva solo sei mesi quando durante i nostri viaggi in auto, nel suo seggiolino, si muoveva a ritmo di musica per tutto il tempo. Era così divertente guardarlo. Mio marito e io ci dicevamo che sarebbe diventato un ballerino. Stupendo! Eleonora invece cantava con la sua vocina sottile, da usignolo. E poi, si muoveva con una tale grazia… Poi, a cinque anni, Simone ci fece capire in modo inequivocabile che il ballo avrebbe avuto il primo posto nella sua vita. La sua trasmissione preferita era ‘Ballando con le stelle’. Caso vuole che Alessandra Mason e Dima Pakhomov, entrambi formatori degli ospiti del programma, avessero aperto la loro scuola a Chivasso, a due passi da noi. Portammo nostro figlio a incontrarli e da lì, sarebbe cominciato tutto. Comunque, è una gioia per noi genitori scoprire e assecondare i talenti dei nostri figli!”

J: “La danza e il canto sono talenti già presenti nella vostra famiglia, o prerogativa dei vostri ragazzi?”

P: “Credo abbiano preso da me. Avevo doti canore ed ero brava anche nella danza. E poi, nella mia famiglia c’è chi suona la tromba, chi la chitarra, chi la fisarmonica: insomma, la vena musicale è sempre stata presente. Ora che ci penso, anche la mia nonna amava danzare. Decisamente, i miei figli hanno preso dalla mamma.” 

J: “Simone ed Eleonora hanno entrambi intrapreso carriere nel mondo dello spettacolo. Simone come ballerino, Eleonora come cantante e indossatrice. Come vi sentite rispetto alla scelta dei vostri figli di non seguire le vostre orme?”

P: “Crediamo che la felicità sia nell’essere se stessi e amare ciò che si fa a prescindere da quello che un genitore  fa. Devono scegliere liberamente.”

J: “C’è qualcosa a cui avete dovuto rinunciare, per amore del successo dei vostri figli?”

P: “Certo, ci sono sacrifici da fare, ma si fanno insieme e se si fanno, comunque, è sempre per amore.”

J: “Come vi ponete rispetto alla concreta possibilità che debbano viaggiare e magari, un giorno, trasferirsi altrove, per potersi realizzare appieno nelle rispettive professioni?”

P: “Ne saremmo ben felici. Magari li seguiamo.”

J: “Il mondo dello spettacolo è tutt’altro che semplice. La concorrenza è molta e a volte, il talento da solo non basta. Sono necessarie preparazione e perseveranza, per essere pronti a cogliere l’Occasione buona. Quali sono, a vostro parere, le sfide che i vostri ragazzi dovranno affrontare?”

P: “Le sfide nella vita ci sono sempre, in ogni ambiente lavorativo. L’importante è che i nostri  figli imparino a riconoscerle e ad affrontarle.”

J: “Eleonora, a soli tredici anni, sta ottenendo attenzione e riconoscimenti bellissimi…”

P: “Eleonora ha ricevuto dei premi prestigiosi, uno dei quali dal Maestro Meozzi – già mentore di Andrea Bocelli – che l’ha notata a Sanremo durante il talent. Anche il Maestro Vincenzo Capasso, autore di canzoni per Mina, l’ha premiata con un brano scritto appositamente per lei, che uscirà a breve. Comunque, ha già pubblicato il suo primo inedito, scritto da Alex De Vito e Claudio David.”

J: “Quale consiglio dareste, tu e tuo marito, ai genitori che desiderassero riconoscere, valorizzare e assecondare i talenti dei loro figli, accompagnandoli a trasformare le loro passioni in carriere vere e proprie?”

P: “Direi loro: ‘Assecondate le passioni dei vostri figli, date loro sempre forza e coraggio; fate loro capire che con la fede si vola in alto.'”

 

“Un usignolo in passerella”

Raggiungo quindi Eleonora, che sta facendo le sue prove di portamento davanti allo specchio. Ha indossato un vestito della sua mamma e ora sta sfilando come se indossasse una corona regale. 

Prima di intervistarla, vi racconto un po’ della sua storia. Breve, vista la sua tenera età.

Ad appena dodici anni, interpretando “Le tasche piene di sassi” di Giorgia, Eleonora si è aggiudicata due prestigiose vittorie: la Finalissima del Talent Vision 2024, Speciale Sanremo, del Patron Domenico Trotta e il Premio Battiato Sezione Junior, del Patron Daniele Morelli. 

In vetta alle classifiche degli eventi collaterali al Festival della Canzone Italiana a Sanremo, Eleonora ha ricevuto, come già anticipatoci dalla mamma, attestazioni di stima e incoraggiamento da illustri personaggi della musica leggera italiana.

Nel frattempo sfila, sicura di sé, sulle passerelle, confermandosi promessa non solo della musica, ma anche della moda italiana.

“Intervista ad Eleonora”

J: “Eleonora, come ci si sente ad aver vinto tanti premi e riconoscimenti a soli tredici anni?”

E: “Mi sento molto orgogliosa di me stessa e ovviamente molto felice.” 

J: “Indossatrice e cantante. Sono due carriere bellissime! Erano questi i tuoi sogni da bambina? O ne hai altri da realizzare?”

E: “Fin da bambina mi è sempre piaciuto cantare e sfilare, indossando i vestiti di mamma. Quando canto e sfilo, mi sento bene con me stessa. Oltre a questo amo recitare e quindi, vorrei fare anche l’attrice.” 

J: “Quale delle due passioni hai scoperto per prima? La canzone o la moda?”

E: “Fin da quando avevo quattro anni amavo sfilare, poi è venuto il canto. All’inizio, riguardando i video che giravo, non mi sembravo molto portata. Poi però, col tempo, sono migliorata sempre di più. Infine si è aggiunta la recitazione.” 

J: “Capita a volte di seguire le orme del nostro personaggio famoso preferito. Nell’ambito della canzone italiana, chi è l’artista che ti piace di più, al punto da ispirarti a intraprendere la stessa carriera?”

E: “Non ho personaggi preferiti in assoluto. Mi piacciono e mi ispirano Giorgia e Mina. Delle cantanti più recenti scelgo invece Annalisa, Elodie e Gaia. Mi piacerebbe diventare come la Carrà. So che è difficile, perché è un mito.” 

J: “Qual è il tuo messaggio per le ragazze della tua età che vogliano realizzare il sogno della loro vita?” 

E: “Non mollare mai e non avere paura degli ostacoli. A volte si cade nella vita, ma è proprio questo a insegnarci a rialzarci più forti di prima, così da poterli superare.” 

J: “… E un consiglio che daresti loro?”

E: “Di non dare retta a chiunque cerchi di scoraggiarli dicendo che non ce la possono fare. Anzi. Di considerare questi ‘attacchi’ come spinte per fare ancora di più e raggiungere i loro traguardi.”

“Galeotto fu Ballando con le stelle” 

Come già anticipato Simone, che ha appena raggiunto la maggiore età, è campione di danza sportiva assieme all’inseparabile partner Isabel Rossotto. La coppia ha trionfato ai Campionati mondiali che si sono tenuti a Malmedy, in Belgio, a novembre dello scorso anno, laureandosi vicecampione mondiale di danza latinoamericana nella categoria “Latin Youth”. Un plauso è dovuto ai maestri che li hanno accompagnati a conseguire la prestigiosa vittoria: i già citati Alessandra Mason e Dima Pakhomov, reduci entrambi dall’esperienza televisiva “Ballando con le stelle”.

“Intervista a Simone”

J: “Ad appena diciotto anni, sei vicecampione del mondo di danza sportiva. Com’è cambiata la tua vita, se è cambiata, dopo la conquista di un premio così ambito?”  

S: “Nella mia vita non è avvenuto un grandissimo cambiamento. Più che altro, successo dopo successo, gara dopo gara, piano piano ho sempre ottenuto risultati migliori. In tredici anni di ballo, gli sforzi e i sacrifici fatti mi hanno permesso di ottenere questo bellissimo risultato.” 

J: “Com’è iniziato il tuo amore per la danza?”

S: “Il mio amore per la danza è iniziato all’età di cinque anni. La mia famiglia era solita guardare il programma televisivo ‘Ballando con le stelle’. A me piaceva tantissimo! Fortuna vuole che due insegnanti di ‘Ballando con le stelle’ abbiano aperto una scuola di ballo vicino a casa mia. Hanno quindi fatto un’esibizione a Verolengo, dove abitiamo, e siamo andati a vederli. Il giorno stesso abbiamo chiesto informazioni per poter iniziare.” 

J: “Quali sfide hai dovuto affrontare e quali sacrifici hai dovuto fare, per arrivare a essere vicecampione mondiale di danza sportiva latinoamericana?”

S: “Il mio sacrificio è stato non arrendermi mai. Rinunciare, a volte, a partire per le vacanze… Allenarmi tutti i giorni con un unico pensiero: raggiungere il risultato.” 

J: “A cosa hai dovuto rinunciare, rispetto ai tuoi compagni di classe?”

S: “Un ragazzo che non abbia intrapreso una carriera agonistica o comunque sportiva avrà sicuramente più tempo libero nel pomeriggio. Non solo, secondo me una persona che non ha intrapreso una carriera del genere può essere meno organizzata. Io per gestire quello che faccio devo farmi un piano, organizzare le mie giornate in modo da conciliare gli allenamenti con lo studio… Sento comunque di non aver perso nulla. Anzi. Mi sento fortunato, in quello che ho fatto.  Sarei forse uscito qualche volta in più con i miei amici, ma non cambierei le mie scelte.” 

J: “Di tutte le discipline in cui eccelli, qual è quella che ti appassiona di più? Jive, Samba, Cha cha cha…?”

S: “Il mio preferito è il cha cha cha. Di questo ballo mi piace il ritmo, e poi è allegro.”

J: “Tu e Isabel siete una coppia affiatatissima. Come vi siete conosciuti e com’è nata l’idea di danzare insieme?”

S: “Il primo anno ballavo con un’altra ballerina, con cui ho fatto una competizione. Poi, nella mia scuola di ballo, è arrivata Isabel. I miei maestri hanno subito notato la sua bravura e ci hanno proposto di fare una prova. Ci siamo trovati bene e abbiamo subito avuto successo. Dopo meno di un anno abbiamo vinto i campionati italiani insieme. Abbiamo continuato e balliamo insieme ormai da dodici anni.” 

J: “Recentemente hai vissuto una bella avventura newyorchese. Ce ne vuoi parlare?” 

S: “Fuori dall’ambito del ballo ho avuto la fortuna di accedere a un bando scolastico: una simulazione diplomatica per studenti universitari alla quale ho potuto accedere nonostante io sia  ancora uno studente liceale. Mi sono divertito tantissimo! Ho avuto modo di capire come funziona l’ambiente diplomatico e come si comporta un ambasciatore… Mi è stata data una nazione, avevo un compagno di delegazione che ho conosciuto lì, un ragazzo fiorentino molto simpatico.  Insieme abbiamo fatto amicizia anche con altri ragazzi italiani, americani e di altre nazionalità. Sono certo che saremo amici per lungo tempo.”

J: “Cos’è per te il successo?” 

S: “Per me è qualcosa di soggettivo. Può essere il raggiungimento di un obiettivo giornaliero, come ad esempio riuscire a fare qualcosa che non si riusciva a fare… O di un obiettivo il cui raggiungimento richiede più tempo… Il risultato di una gara di ballo, nel mio caso, o il successo con una ragazza, un buon voto a scuola. Dipende da tanti fattori. Secondo me, il successo può essere raggiunto da chiunque, in ogni momento.” 

J: “Che consiglio daresti ai ragazzi che, come te, abbiano un sogno da realizzare?” 

S: “Il consiglio che posso dare è di credere in se stessi, non arrendersi mai, e soprattutto non farsi influenzare dagli altri. Ciò che più mi ha dato forza è proprio il credere in me stesso. Più credi in te stesso, più riesci a ‘vedere’ il raggiungimento del tuo Obiettivo.” 

Morale…

Per concludere, lascerei la parola finale alla mamma delle due stelle.

“Crescere i figli non è facile. Penso che sia il mestiere più difficile del mondo.” Ammette Pinuccia. E prosegue: “Vederli esprimersi in questo modo, è bello. Ti fa sentire contenta di ciò che hai fatto finora, anche se con tanti sacrifici, che sono stati comunque ripagati con la loro dolcezza, il loro affetto, la loro tenacia, il loro modo di affrontare la vita.”

 

 




“Tutte per Donna Sufì”

Sophia Loren a sedici anni.
Ritratto di Sophia Loren, attrice italiana dall’aspetto glamour. Indossa un abito senza spalline, una collana e orecchini di diamanti. Su sfondo bianco, scattato intorno al 1950. (Photo by Silver Screen Collection/Getty Images)

Tutte le strade portano alla realizzazione di un Sogno

Chi non ha avuto almeno un sogno da bambino? 

Poi, strada facendo, c’è chi se ne è scordato, chi lo ha perso fra i grovigli dei più urgenti impegni quotidiani, chi ne ha fatto un hobby preferendogli un lavoro “vero”, chi invece lo ha inseguito fino a raggiungere la vetta del successo e da lì, brillando, illumina il sentiero di chi è ancora in viaggio.

La storia che sto per raccontarvi vede per protagoniste cinque donne, ciascuna nel proprio ruolo, tutte impegnate nello stesso bellissimo progetto: celebrare in un radiodramma lo splendore di una stella di prima grandezza del migliore cinema italiano e internazionale: Sophia Loren. 

Lei, che il suo Sogno lo vive da decenni, può ispirare i sognatori che ambiscano a distinguersi nell’arte cinematografica.

Ed ecco i nomi dei personaggi coinvolti in quest’opera, in ordine di apparizione.

Francesca Giorzi: Responsabile della fiction radiofonica della RSI, la Radio della Svizzera Italiana con sede a Lugano.

Jasmine Laurenti: (la scrivente) giornalista culturale per betapress.it, scrittrice nonché “voce” di Nunziatina, cameriera dell’attrice Sophia Loren nella sua residenza ginevrina.

Francesca Quattromini: attrice amatoriale napoletana, mia provvidenziale “coach” in accento partenopeo.

Margherita Coldesina: Attrice e scrittrice di poesie nonché autrice, regista e coprotagonista del radiodramma dedicato all’intramontabile figura di Sophia Loren.

Mariangela D’Abbraccio: nota e pluripremiata attrice italiana di cinema e teatro, “voce” della Signora Loren.

La cosa che più amo del mestiere di attrice è il suo sorprendermi in modi sempre nuovi e arricchenti.

Questo radiodramma, scritto, diretto e interpretato per la Radio Svizzera Italiana dall’artista ticinese Margherita Coldesina, ne è un esempio. Intorno al suo bellissimo lavoro dedicato a Sophia Loren, ci siamo riunite nello studio otto, presso la sede di Lugano Besso, il 23 aprile scorso; ciascuna con il proprio bagaglio esperienziale, ciascuna in cammino verso la realizzazione del proprio Sogno.

La Chiamata

Ma andiamo per ordine. 

Tutto comincia, per la sottoscritta, il 19 marzo, quando ricevo una chiamata da Francesca Giorzi, responsabile della fiction radiofonica della RSI a Lugano.

“Jasmine, c’è questo personaggio carino, una cameriera napoletana… Come sei messa con l’accento partenopeo?”

“Grazie per aver pensato a me! Sai Francesca, il dialetto napoletano non rientra fra le mie specialità. Temo di non potervi aiutare, stavolta…” 

“Le battute non sono tante, e poi hai più di un mese per prepararti…”

“Vabbè, dai, ci provo.” E mentre lo dico, mi vedo lanciarmi fra le braccia di un tanghero argentino, io, che del tango ignoro pure i passi base. 

Il Mentore

Comincio a passare in rassegna le donne di Napoli che conosco. Mi viene in mente Chiara Sparacio, vicedirettore di Betapress.it, che è di origine siciliana ma vive a Napoli. È lei a mettermi in contatto con la giovane attrice Francesca Quattromini. Quest’ultima si presta gentilmente ad aiutarmi. Le propongo di lasciarmi un vocale su whatsapp, mentre legge le mie battute con accento partenopeo. Il gioco è fatto. Ho la sua traccia. Mi metto subito a “studiare”. Tanto, ho tutto il tempo che mi serve. 

Le Compagne di Viaggio

E arriva il grande giorno, alla radio.

Nella grande sala dove si registrano i radiodrammi, Margherita Coldesina è in postazione nelle vesti di autrice dell’opera, regista e attrice coprotagonista nella parte di… Se stessa!

Sin dalla più tenera età, lei scrive e recita. Il suo sogno è realizzarsi come attrice nel grande cinema. Come chi mira all’eccellenza, prende ispirazione da un’icona del cinema internazionale: Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, in arte Sophia Loren.

Ha appena sedici anni quando, sullo scaffale più alto di una videoteca, “incontra” la sua ignara mentore. Consuma, letteralmente, il nastro delle videocassette di novantatré su centoundici film, che vedono la sua stella polare brillare sul set accanto ad altri astri di fama mondiale.

Accanto a lei c’è Mariangela D’Abbraccio: stimata attrice napoletana, figlia e nipote d’arte, ha lavorato coi migliori in ambito cinematografico e teatrale. È lei che darà voce a “Donna Sufì”.

Da parte mia, Nunziatina, ce l’ho messa tutta per calcare le intonazioni suggeritemi da Francesca Quattromini nel suo vocale. Mi sento abbastanza pronta, ma l’incognita è grande. Margherita ha avi partenopei, Mariangela è un’attrice napoletana verace, Francesca pure… In “scova l’intruso” individuarmi è un gioco da ragazzi. 

E va bene, lo confesso: sono un’infiltrata, veneta da parte di padre e di madre. Non ho scampo, ma farò del mio meglio. Sudo freddo. 

La trama del radiodramma

Il radiodramma, che ha il sapore di un sogno lucido, profuma di caffè e ragù come si fanno a Napoli. Si svolge a Ginevra, nell’abitazione della mitica Sophia. Accanto a lei c’è la cameriera, “Nunziatina Esposito nata a Pozzuoli di anni sessantasette”, intenta a preparare il pranzo. 

A un certo punto suona il campanello e, per andare ad aprire, lascia il ragù sul fuoco. Trova una ragazza riversa sul pianerottolo, a “quatt’e bastune”: Margherita, appunto, nei panni della fan della celebre attrice. Le è bastato suonare il campanello e sentire la voce della domestica in arrivo per svenire, letteralmente, per la troppa emozione. Svenimento provvidenziale, il suo: la Loren, per consentire alla giovane donna di riprendersi, non solo decide di accoglierla in casa, ma anche di invitarla a pranzo.

Segue un divertente dialogo fra Sophia e Nunziatina la quale, scocciata per l’imprevisto che l’ha costretta a lasciare incustodito il suo ragù, se ne ritorna in cucina. 

Quindi serve a tavola e lascia le due donne a conversare, gustando il loro piatto di pasta. Tra una forchettata e un sorso di buon vino, Sophia e Margherita si scambiano memorie e aneddoti, via via arricchiti da dettagli inediti rivelati dalla Loren alla sua sempre più entusiasta ammiratrice.

Alla ricerca della Verità

Prima di registrare si fa una prova.

In sala nello studio otto siamo in tre: Margherita nei panni di se stessa, Mariangela nel ruolo di Sophia e la sottoscritta come Nunziatina. 

No, non va: il mio accento suona eccessivo, caricaturale. Ed è così che accade con i non nativi: per fingere di esserlo, si sforzano. Del resto, è quello a cui ci siamo abituati nel teatro goldoniano. Se gli attori non sono veneti, fingono di esserlo e si sente. Insomma: dobbiamo escogitare qualcos’altro. Un lieve accento francese? Un po’ mi dispiace, lo ammetto, per l’impegno che ci ho messo e anche per l’attrice di Napoli, Francesca Quattromini, che tanto gentilmente mi aveva aiutata. Del resto, comprendo che l’obiettivo è la naturalezza, non l’accento napoletano a tutti i costi. Così, si arriva alla conclusione che è meglio accennarlo appena. Interiorizzarlo, addirittura. Il risultato è più che dignitoso. Margherita è felice. Mariangela, sorridente e rilassata, annuisce. Francesca Giorzi entra in sala e ci scatta delle foto, immortalando la nostra avventura.

Funziona. Tiro un sospiro di sollievo. 

Mentre torno col pensiero a quei momenti, realizzo che noi donne eravamo spettatrici del graduale manifestarsi del sogno di Margherita.

L’Autrice infatti, come nelle migliori favole, aveva posto le premesse per avverare ben tre desideri: scrivere per la radio, incontrare di persona il suo Mito e, calcandone le orme, imporsi all’attenzione del grande cinema. 

Le auguro di cuore di seguire il brillìo della sua Stella fino a prenderne il testimone, sulla Vetta riservata a pochi eletti.

Mentre il suo viaggio è in corso, la raggiungo per un’intervista. 

 

L'attrice e scrittrice ticinese Margherita Coldesina

Il Sogno di Margherita Coldesina: “Non c’è nessuna porta”

J.L.: Chi è Margherita, oltre le parole che scrive e interpreta?

M.C.: È quella persona che la sta aspettando alla fermata successiva a quella in cui scende sempre.

J.L.: Qual era il suo sogno da bambina?

M.C.: Fare l’attrice oppure il falegname.

J.L.: A che punto è della sua realizzazione?

M.C.: Il falegname dell’anima sta scolpendo tutte le facce dell’attrice, compresa quella vera, incorruttibile anche dall’arte o dalle richieste di interpretare questo e l’altro personaggio.

J.L.: Aldilà del fatto che sia la leggenda vivente del cinema italiano e internazionale, perché proprio Sophia?

M.C.: Mi ha scelto lei, lei intesa come parte del tutto. Sophia è il frammento di un universo che ho conosciuto intimamente in altre vite, è un espediente incaricato di ricordarmi chi sono e perché sono qui sulla Terra con questa brama di calarmi in ruoli senza cinture di sicurezza allacciate. Quando entro in qualcosa, io ci entro del tutto, mi sporgo da me stessa e rischio tutto.

J.L.: Nella fiaba a lieto fine della tua icona, quali sono i momenti della sua vita privata e professionale che più ti ispirano nei momenti più sfidanti del tuo percorso?

M.C.: È nata sbagliata, con un padre che non l’ha riconosciuta. E invece di subire gli eventi conseguenti a un’infanzia fatta di miseria e fame, ha imbrigliato la sua sofferenza con le redini della disciplina e ha liberato il purosangue che sentiva intuitivamente di essere. E prima o poi, se sei un purosangue, corri talmente veloce che cambi il mondo e chi assiste alla tua corsa. Il coraggio, quando è incarnato, sconvolge, cambia le persone.

J.L.: So che, per poter scrivere di lei, hai passato in rassegna circa tremila tra giornali dell’epoca, riviste, rotocalchi e documenti d’archivio. E poi, le ore che hai trascorso a guardare novantotto dei suoi più che cento film e non una, ma più volte. Infine, ti ci sono voluti due anni per trovare il suo indirizzo di casa a Ginevra. Quanto è importante la perseveranza, nella realizzazione di un sogno?

M.C.: Direi che è l’unico requisito. Ma prima viene il talento. E la cosa bella è che ognuno ne ha uno. Una cosa in cui brilli ce l’hai tu, lui, la barista, quel bambino che gioca a calcio, la signora imbronciata qui vicino che beve un Martini. E col talento, se lo addestri, diventi un supereroe.

J.L.: E se il radiodramma fosse un modo per profetizzare il tuo incontro con Sophia nella vita reale? 

M.C.: Ne sono convinta. Ma, come dicono i saggi: “Tua è l’azione, ma non il frutto dell’azione.” Vedremo.

J.L.: Nell’opera riveli, di Sophia, l’aver vissuto il trauma del non riconoscimento da parte del padre. Se, come ipotizzi, è stato il dolore per quel rifiuto primordiale a spingerla sulla scala di un Successo planetario… Cos’è a spingere te a raggiungere la vetta del tuo successo?

M.C.: Anche io ho un Edipo consistente, mettiamola così. È sempre tutta una faccenda d’amore impastata con la tragedia, la vita. È come venire al mondo: funesto ed epifanico, no?

J.L.: A un certo punto, mentre si rivolge alla cameriera che minaccia di buttare il ragù rimasto a cuocere troppo a lungo, attribuisci alla Loren la frase: “Non l’hai patita tu la fame come me e mia sorella… E zia Dora, e mamma che cercava disperatamente tutto il giorno qualcosa da mangiare per noi, e mica si arrendeva.” E ancora: “Non un mito, ma una diva, sì. Coi piedi bene a terra, perché ho conosciuto la povertà, quella vera, ma ho anche vissuto un mondo dello star system che oggi ve lo sognate.” Sono parole che rendono l’idea di un’infanzia così umile e dura, che sembrerebbe impossibile poter soltanto immaginare, per la protagonista, un radioso futuro. Quanto può incidere e in che modo, secondo te, un critico esordio, sul buon esito di un destino? 

M.C.: Se non hai fame, non seminerai la terra, e non raccoglierai; se ti arrendi a soggiornare nella parte di te più diurna e ti rifiuti di sbirciare cosa c’è nascosto nel precipizio che ogni giorno ti sussurra all’orecchio le emozioni più violente, e le paure, e ciò che è inammissibile per te confessare, allora la vetta che ti è dato conquistare sarà rassicurante come una collinetta, al massimo un monte. Io punto alle stelle: quando arriverò in cima all’Everest cercherò una scala per il cielo e mi appenderò alla coda di un astro.

J.L.: Ecco, come vedi la tua ascesa nello Star System? Ritieni che al giorno d’oggi sia ancora possibile, per un’attrice, cogliere delle Opportunità, pur rimanendo fedele a se stessa e ai propri valori?  

M.C.: Credo che non esistano le epoche, esistono le proprie oscurità dalle quali emanciparsi; e non esistono le opportunità, esiste l’autolegittimazione a illuminare col proprio talento il mondo.

J.L.: Se il primo giro di boa artistico Sophia l’ha fatto grazie al sodalizio con il regista Vittorio De Sica, qual è il regista con cui stringeresti il tuo sodalizio artistico, per il tuo giro di boa?

M.C.: Se fossero vivi: Cassavetes e Visconti. Amo Woody Allen e Carlo Verdone, per restare sulla Terra. Ma anche centinaia di altri. Non è questione di registi, è questione di missione: so che mi verrà incontro chi favorirà l’esercizio di questo mandato che sento di avere.

J.L.: Quanto è importante, per te, il riconoscimento pubblico, come lasciare l’impronta delle proprie mani sulla Walk of Fame o l’assegnazione di un prestigioso premio? 

M.C.: Il mio piccolo io dice tantissimo, non vedo l’ora; il mio sé evoluto sorride. Indovina quale dei due è lecito ascoltare? Quale dei due ti rende più grande (e, di conseguenza, magicamente, artisticamente una bomba)?

J.L.: Sai, ho un debole per la mia bimba interiore. L’ho trascurata troppi anni per non tifare per lei. Oggi è a lei che dò la precedenza. E alla voce del Creatore, che tuona quando serve. Ma torniamo a Margherita. Riusciresti a conservare la tua semplicità, nonostante il Successo? 

M.C.: Chi mi conosce dice di sì. Vedremo, magari comprerò quattro limousine e girerò malvestita purché griffata, diventerò arrogante e smetterò di leggere i grandi maestri d’Oriente. Ma sospetto di no…

J.L.: La scena madre de “La Ciociara”, quella in cui Sophia, nei panni di Cesira, inveisce contro gli stupratori della figlia, è stata girata una volta sola. Com’è immedesimarsi in un ruolo al punto da viverne le emozioni in modo così vero, da non dover ripetere la scena una seconda volta? Come si fa a interpretare un ruolo in modo così autentico?  

M.C.: La bravura di un attore non è frutto di magia: è, banalmente, direttamente proporzionale al suo progresso spirituale in quanto essere umano, tutto lì.

J.L.: Nel tuo radiodramma Sophia dice: “Niente rende una donna più bella della convinzione di essere bella. Te lo devi sentire dentro, qui, nel petto.” Sono parole effettivamente sue, o gliele hai attribuite tu e se sì, in che modo rispecchiano il tuo approccio nei confronti dell’aspetto esteriore di una donna?

M.C.: Sono parole che le ho messo in bocca io, perché Sophia – se la guardi nelle interviste in TV appare in maniera eclatante – è così luminosa e ammantata di fascino perché dentro di sé ha costruito un edificio virtuoso. Una donna bella è bella solo perché è bella dentro, “sennò non ti innamori”. A dispetto di ciò che appare in superficie, la bellezza è meritocratica.

J.L.: Sophia, per te, non è soltanto il trionfo di curve e istinto: è l’emblema dell’incontro fra intelligenza e cuore: lì dove si incontrano il talento e l’opportunità. Come si fa a mettere d’accordo intelligenza e cuore?

M.C.: Avendo coraggio.

J.L.: E come si fa a riconoscere l’Opportunità della vita, quando si presenta?

M.C.: È ineludibile, suppongo. Io di sicuro la riconoscerò come riconoscerei un figlio.

J.L.: Per Sophia il coraggio è – parlando di Picasso – “Sapere di poter corrispondere perfettamente a ciò che vuole il costume dell’epoca – nel suo caso il realismo, e lui disegnava perfettamente – e decidere di spingersi oltre.” Cos’è il coraggio per Margherita?

M.C.: Avere una fede incrollabile nella missione che sento albergare in me. Esserne all’altezza. Proseguire, qualsiasi cosa (non) accada.

J.L.: Alla Loren fai dire: “Il cinema, cosa credi? Non è mica una passeggiata. Il cinema pretende; dà tanto, ma pretende.” A che cosa Margherita è disposta a rinunciare, per amore del suo Sogno?

M.C.: Alla versione di me che ha un minimo dubbio.

J.L.: Prima di lasciarci, vorrei tu dedicassi un pensiero a tutte le donne che stanno avanzando verso la realizzazione del proprio Sogno. 

M.C.: “La chiave è che non c’è nessuna porta.” È una delle mie ultime poesie, sicuramente una fra le mie preferite, ed è anche la frase-guida di un progetto di danza che sto sviluppando insieme a mia sorella Alessia, meravigliosa ballerina, donna e mamma.

J.L.: Ecco, appunto! Stai lavorando a nuovi progetti dietro le quinte? Ti va di anticiparci qualcosa?

M.C.: Quanto tempo abbiamo??!

J.L.: Eh, mi sa che è ora che raggiunga Francesca! (Saltando sul treno per Napoli) Ne parliamo la prossima volta, se ti va! (Esclamo, con voce portata, dal finestrino del treno in corsa).

 

Margherita Coldesina: Attrice, Scrittrice e Autrice di Radiodrammi per la Radio Svizzera Italiana

Il Sogno di Francesca Quattromini: “Illuminare il mondo”

Come già detto, a Francesca ho affidato le battute di Nunziatina, affinché le leggesse con accento napoletano in un vocale da inviarmi su whatsapp.

Riascoltando il suo messaggio più volte, sono riuscita – proprio io, veneta dal paleolitico da parte di padre e di madre – a interpretare il ruolo di una nativa di Pozzuoli che, in Svizzera da decenni, conserva ancora un’ombra delle proprie origini, nel modo di parlare spiccio e ironico.  

Attrice “non professionista” come tiene a precisare, recita da quando aveva tredici anni. Oggi va per i trentotto, ed è sempre attiva nel teatro amatoriale e nella produzione di audio fiction. Per lei la gavetta è quasi più importante del raggiungimento della… Vetta. 

La raggiungo per una breve chiacchierata e, visto che ci sono, le chiedo se ha un Sogno nel cassetto. Tutto quello che so, al momento, è che il 9 giugno prossimo, al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (Napoli), sarà protagonista della commedia in due atti di Salvatore Barruffo “Un mistero al cimitero”. 

J.L.: A tredici anni hai preso parte a un laboratorio teatrale e da lì, non hai più smesso di recitare…

F.Q.: A undici anni, con le mie amiche, giocavo a interpretare i personaggi di alcuni film. È da lì che è nata, in me, la voglia di recitare. Poi un giorno mia madre venne a sapere che, vicino a dove abitavamo, si svolgeva un laboratorio teatrale. È lì che si è accesa in me la passione per il teatro, che amo con tutta me stessa.

J.L.: Hai preso parte a delle audio fiction con Yuri Salvatore (figlio dello scomparso artista napoletano Federico Salvatore, famoso per la sua canzone “Sulla Porta” ndr). Cosa ti ha lasciato questa esperienza come “voce”? Ti ha aiutata a crescere anche come attrice teatrale e se sì, in che modo?

F.Q.: Sono contentissima di aver preso parte a due audio fiction di Yuri Salvatore. Ha fondato la compagnia “Le Voci di Dentro”, di cui fanno parte attori di tutta Italia. Ogni attore manda a Yuri la registrazione della propria voce, così che possa essere aggiunta alle altre nella creazione dell’audio fiction. Aver potuto collaborare con lui mi ha arricchita tantissimo. Per noi attori, infatti, abituati ad avvalerci della gestualità e della mimica facciale per esprimere emozioni, riuscire a farlo con la voce soltanto è cosa non da poco. E poi, tieni conto che “Le Voci di Dentro” è nato proprio nel 2020, nel periodo più difficile per noi artisti, che non potevamo fare praticamente niente. Il suo è stato un modo per non far morire l’arte.

J.L.: Che consiglio daresti a chi volesse fare l’attore teatrale?

F.Q.: Il consiglio che gli darei è di non correre e fare la gavetta. Purtroppo i giovani d’oggi, anche per colpa dei talent, vogliono tutto e subito. Ma non funziona così. Se vuoi fare teatro, ad esempio, devi cominciare da zero e, magari, portare il caffè agli attori bravi cercando di carpire loro, dietro le quinte, i segreti del mestiere. Poi, pian pianino, iniziare con parti piccole e andare avanti, un passo alla volta, fino ad arrivare in cima. Se parti dalla vetta non impari nulla e “ti bruci”.

J.L.: So che sei stata scelta come protagonista di “Un Mistero al Cimitero”, commedia in due atti scritta e diretta da Salvatore Barruffo, in cartellone il prossimo 9 giugno al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (NA).

F.Q.: Sì, reciterò il 9 giugno nella commedia “Un Mistero al Cimitero” del maestro Salvatore Barruffo, che recita da oltre quarant’anni – ha preso parte a “Un Posto al Sole” e a “La Squadra” – ha scritto moltissime commedie ed è autore di libri come “Cercasi cuore disperatamente” e “Tre casi per casa”.

J.L.: È la prima volta che reciti da protagonista?

F.Q.: No, non è la prima volta, ho interpretato il ruolo di Lisetta nella versione di Gianfranco Gallo della Lisistrata, “Quartieri Spagnoli”. Stavolta però è diverso, il personaggio di Lucia in “Un Mistero al Cimitero” è più importante… 

J.L.: Importante al punto di farti cambiare idea riguardo al tuo futuro come attrice di professione?

F.Q.: No, non cambio idea su questo. Non mi interessa né guadagnarci, né partire per le tournée. Sono felice della mia vita privata e disposta a tutto pur di proteggerla. A maggior ragione, ringrazio il maestro Salvatore Barruffo per avermi dato questa opportunità: lui ha visto e vede in me tante qualità. Lo ringrazio dal profondo del mio cuore, ma sto bene così. 

J.L.: Prendendo a pretesto il radiodramma scritto e diretto per la Radio Svizzera dall’attrice Margherita Coldesina, abbiamo parlato di sogni e del nostro viaggio verso la loro realizzazione. Qual è il tuo Sogno?

F.Q.: Il mio sogno è mantenere accesa, in me, la luce del mio amore per il teatro, che amo immensamente ed è una parte di me, e un’altra luce più grande: l’amore che sento per le persone che mi circondano e per la mia famiglia, mio figlio e mio marito. Il mio sogno è rimanere una fonte di positività per chi mi sta accanto e, per grazia di Dio, essere una brava persona. Mi auguro di riuscirci. 

J.L.: Grazie ancora Francesca, per avermi aiutata ad acquisire una prosodia partenopea! 

F.Q.: Grazie a te Jasmine ♥