Ombre di Autorità: l’Impatto del Bossing sulla Cultura e l’Integrità della Pubblica Amministrazione

Nella pubblica amministrazione sempre più si diffonde il fenomeno del “bossing”, ovvero l’abuso di potere esercitato da un superiore nei confronti di un subordinato, diventando un argomento di grande rilevanza nel contesto lavorativo, soprattutto quando coinvolge il settore pubblico e si intreccia con attività illecite di natura politica.

Questa pratica, per sua natura subdola e spesso difficilmente dimostrabile (ma a volte è talmente palese che la sua dimostrazione è nei fatti), può assumere diverse forme e funzioni, incluse quelle di mascherare o deviare l’attenzione da comportamenti illeciti all’interno della sfera politica.

Questa pratica viene spesso utilizzata per far si che il dipendente si licenzi dal posto di lavoro.

 

 Definizione e Caratteristiche del Bossing

 

Il “bossing” si distingue dal mobbing in quanto è caratterizzato da un abuso di potere verticale (dall’alto verso il basso), piuttosto che orizzontale (tra colleghi). Le azioni che rientrano in questa categoria possono includere:

 

– Pressioni indebite: Il superiore esercita pressioni ingiustificate sul dipendente, spesso con richieste irragionevoli o con termini di esecuzione impossibili; spesso vengono avviate contestazioni al dipendente, demansionamenti, limitazioni del suo contesto professionale.

– Isolamento e marginalizzazione: Il dipendente viene escluso dalle decisioni, dalle comunicazioni importanti o dalle attività di gruppo, rendendolo isolato all’interno dell’organizzazione, si arriva addirittura a chiedere a terzi di non entrare più in contatto con il dipendente oggetto del bossing.

– Denigrazione e discreditamento: Attacchi alla professionalità e alla reputazione del dipendente, con lo scopo di minarne la credibilità e l’autostima.

 

 Il Bossing nel Contesto della Pubblica Amministrazione e della Politica

 

Nel settore pubblico, il bossing può essere particolarmente insidioso. I dipendenti pubblici, spesso sottoposti a un controllo rigoroso e a una gerarchia ben definita, possono essere più vulnerabili a questo tipo di abuso. Inoltre, quando il bossing si intreccia con la politica, le sue implicazioni diventano ancora più gravi:

 

  1. Copertura di Attività Illecite: In alcuni casi, il bossing può essere usato per distrarre, intimidire o silenziare i dipendenti pubblici che potrebbero essere testimoni o avere conoscenza di attività illecite all’interno dell’amministrazione.

  

  1. Controllo e Manipolazione: I politici o i dirigenti possono usare il bossing come strumento per mantenere il controllo sull’organizzazione, garantendo che le attività illecite o i comportamenti eticamente discutibili rimangano nascosti, spesso i politici esercitano la loro influenza chiamando i superiori del dipendente per chiedere la sua rimozione.

 

  1. Creazione di un Clima di Paura: Un ambiente di lavoro in cui il bossing è diffuso può generare un clima di paura e di sottomissione, dove i dipendenti sono meno propensi a denunciare irregolarità o ad esprimere opinioni critiche.

 

 Conseguenze e Interventi

 

Le conseguenze del bossing possono essere devastanti sia per il singolo che per l’organizzazione nel suo insieme.

Per il dipendente, possono verificarsi problemi di salute mentale, stress, perdita di autostima e di fiducia nel sistema.

Per l’organizzazione, si rischia di creare un ambiente di lavoro tossico, con bassa morale, alta rotazione del personale e perdita di efficienza.

 

Per contrastare il bossing, soprattutto nel contesto pubblico, è fondamentale:

 

– Promuovere una Cultura Organizzativa Positiva: Creare un ambiente di lavoro basato sul rispetto reciproco, sulla trasparenza e sull’integrità.

– Formazione e Sensibilizzazione: Educare i dirigenti e i dipendenti sui temi del bossing e sulle sue conseguenze.

– Canali di Denuncia Protetti: Assicurare che esistano canali sicuri e confidenziali per segnalare casi di abuso di potere.

– Interventi Normativi e Legislativi: Implementare leggi e regolamenti che tutelino i lavoratori dal bossing e che promuovano la responsabilità e l’etica nel settore pubblico.

 

In conclusione, il bossing, soprattutto quando si intreccia con attività illecite in ambito politico, rappresenta una problematica complessa che richiede un approccio olistico e multidisciplinare per essere efficacemente contrastata.

La sua esistenza e persistenza in ambienti lavorativi, in particolare nel settore pubblico, è un campanello d’allarme che richiede un’attenzione e un intervento costanti da parte di enti governativi, organizzazioni sindacali, e della società civile nel suo complesso.

https://betapress.it/se-esercito-il-potere-per-il-potere/




Vittorio Emanuele Orlando: un convegno ne ha ricordato le grandi capacità.

Sulla esimia figura di Vittorio Emanuele Orlando ci risponde il Prof.  Avv. Salvatore Sfrecola, Patrocinante in Cassazione, già Presidente di Sezione della Corte dei conti, Presidente dell’Associazione Italiana Giuristi di Amministrazione.

 

Venerdì 15 Dicembre, nei saloni dell’Hotel Mediterraneo, un pubblico attento e preparato ha seguito la presentazione del ‘Centro Studi storici, politici e giuridici’, che ha ricordato la figura prestigiosa dello statista Vittorio Emanuele Orlando; ha gestito la riunione il Presidente del centro studi, il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola, Illustre Giurista e Studioso, giornalista e prolifico scrittore. 

 

 

Prof. Sfrecola come mai questo desiderio di riferirsi all’importante figura di Vittorio Emanuele Orlando?

Il grande statista Vittorio Emanuele Orlando – che ha vissuto in un arco di tempo molto importante – ha partecipato attivamente a gran parte della vita politica e sociale d’Italia.  Fu Primo Ministro dall’ottobre 1917 al giugno 1919, ed è passato alla Storia anche per aver rappresentato l’Italia – questa era tra i quattro protagonisti – alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919, a Versailles, unitamente al suo Ministro degli Esteri Sidney Sonnino. La sua era un’attività quasi febbrile, preso com’era a fare di tutto per curare gli interessi dell’Italia e dei suoi Cittadini, tra l’altro fu anche professore di Diritto e membro di quell’Assemblea Costituente che trasformò la forma di governo italiana in Repubblica. Per molti analisti, la sua figura fu anche controversa, in particolare proprio alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919 e per il sostegno da lui inizialmente dato a Benito Mussolini; sostegno ritirato immediatamente dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti.             

La carriera politica di Orlando si concluse a causa dei suoi disaccordi con altri leader mondiali alla Conferenza di Pace di Versailles: una Conferenza che lasciò in molti la forte percezione di aver perso la Prima Guerra Mondiale, nonostante che l’Italia fosse stata ritenuta parte ‘vincitrice’ del sanguinoso conflitto.                    

Annotiamo che a quella particolare Conferenza presero parte David Lloyd George – Primo Ministro Britannico -, il Premier George Clemençau – in rappresentanza della Francia –, Woodrow Wilson – Presidente degli Stati Uniti –

 

Come arrivò a ricoprire l’incarico di Primo Ministro, Orlando?

Orlando – che fu un liberale convinto e coerente – diventò Primo Ministro nel 1917 in seguito all’umiliante sconfitta patita dell’esercito italiano nella battaglia di Caporetto. Guidò con successo un governo di fronte nazionale patriottico e riorganizzò l’esercito, spingendo il paese a un rinnovato impegno nella guerra. Orlando fu un forte sostenitore dell’entrata in guerra dell’Italia e fu incoraggiato dagli incentivi segreti offerti all’Italia nel Patto di Londra del 1915, che prometteva significative conquiste territoriali.

In verità, in quella Guerra l’Italia pagò un altissimo costo, e la disfatta di Caporetto impose un cambio di passo in seno al Governo.  Avvenne così la nomina di Orlando.

Il suo sforzo fu quello di portare alla Conferenza di Parigi del 1919, mentre era in atto un elevato sforzo bellico, così da avere un ‘peso’ maggiore nelle intense trattative intercorse.

 

Come mai l’Italia non raccolse le promesse fatte dalle altre Nazioni firmatarie del Trattato di Londra?

Nel corso dei colloqui di Versailles, un forte scoglio fu rappresentato dal Presidente americano Woodrow Wilson che si mise di traverso sulle richieste Italiane relative alla riconquista dei territori a Est, in particolare dell’importante città di Fiume.  Il contrasto con Wilson comportò un irrigidimento anche delle altre Nazioni partecipanti, che si unirono agli americani nel non fare alcuna concessione all’Italia, così indebolendo il profilo e la stessa forza contrattuale di Orlando che nel Giugno del 1919, con amarezza, dovette rassegnare le dimissioni dall’incarico di Primo Ministro.

Quali collegamenti quindi nel lancio di questa nuova Associazione e il retaggio di Vittorio Emanuele Orlando?

Gli organizzatori del Convegno hanno ritenuto di riferirsi a V.E. Orlando, nella consapevolezza che sarebbe stato utile collegarsi a una figura di alto profilo, tanto per trattare tematiche d’ordine generale che per meglio affrontare quelle attuali. Per noi studiosi, Vittorio Emanuele Orlando è una figura forte, in quanto fondatore della Scuola Italiana di Diritto Pubblico, con la contestuale adozione di un importante e fondamentale Archivio. A Orlando va riconosciuto il merito di essere stato un profondo studioso delle Leggi elettorali; per lui il modello ottimale era quello britannico, e si batté affinché questo fosse ripreso dall’Italia, al fine di garantire rappresentatività e concretezza nel dare forma e sostanza alla volontà dell’elettorato. Ma va ricordato che Orlando – forte della sua veste di insigne e coerente giurista con all’attivo grandi responsabilità politiche e sociali – fu anche uno tra i protagonisti degli incontri con la Santa Sede finalizzati a raggiungere un’intesa che mettesse fine ai contrasti tra Italia e Santa Sede e conclusisi nel 1929 con i famosi Patti Lateranensi.

Il Vostro obiettivo, Prof. Sfrecola?

Insieme agli altri partecipanti a questa iniziativa, contiamo di mettere a disposizione dei Cittadini, degli studiosi e degli storici, la rilevantissima, comune esperienza maturata da ciascuno nell’espletamento di funzioni e incarichi di tutto rilievo.

Ringrazio S.E. il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola per averci concesso questa intervista, ripromettendoci di seguire gli sviluppi della nuova Associazione, nella certezza che i contenuti e le proposte saranno certamente di tutto rilievo.

 

 




DP World Tour Dubai

Sull’Earth Course del Jumeirah Golf Estates, a Dubai, – Emirati Arabi Uniti – da giovedì e finirà domenica è in atto la fase finale del DP World Tour di golf: il DP World Tour Championship. La gara, riservata ai primi cinquanta dell’ordine di merito del circuito, ha un montepremi complessivo di 10,5 milioni di dollari, dei quali 3 andranno al vincitore ( € 2.764.461,00 n.d.r. ) e ben 40 mila dollari al cinquantesimo. 

 

La classifica, nel corso della terza giornata vede in testa un giocatore danese, Nicolai Højgaard con 11 colpi sotto il par. Tra gli altri, in campo ci sono anche quattro tra i primi dieci giocatori al mondo: Rory McIlroyJon RahmVictor Hovland e Matt Fitzpatrick e gran parte della squadra europea che ha recentemente vinto la Ryder Cup al Marco Simone Golf Club di Roma. Dopo tanti anni, nessun italiano in gara, anche se fa ben sperare che il prossimo anno tra conferme, ritorni e nuovi arrivi giocheranno sul circuito ben 10 azzurri. 

 

Non soltanto una gara, con “the best players on Earth” (i migliori giocatori sulla terra n.d.r.) come dice il motto del torneo, giocando sul termine terra che indica sia in nostro pianeta che il nome proprio del percorso sul quale si gioca la gara dove gli atleti cercano di posizionarsi nella parti alte della classifica europea, già assegnata al nordirlandese Rory McIlroy con una gara d’anticipo, ma tanti eventi collaterali. 

 

Si parte con quelli per gli sponsor che si concretizzano con party esclusivi e partite a golf, quelli per attivare il territorio con un bel villaggio all’interno del percorso dove provare a giocare, divertirsi, mangiare ed ascoltare alcuni concerti che vanno avanti fino a sera inoltrata, quelli per la stampa in particolare con l’evento organizzato venerdì sera da DP World consistente in una piccola gara di golf in notturna. 

 

Il più importante di questi eventi è sicuramente quello destinato ai golfisti con disabilità ed è qui che abbiamo un italiano in campo: Tommaso Perrino che, pur non brillando sul percorso emiratino, ha disputato una stagione di ottimo livello che gli consente di essere tra gli atleti di vertice in questa categoria. 

 

Tommaso era già un buon giocatore quando ha subito un incidente che ne ha limitato i movimenti, tuttavia, grazie alla sua forza d’animo ed a tanto allenamento è riuscito a mantenere il suo gioco a livello professionale e distinguersi in questa categoria. 

 

Ad accompagnarlo, come caddie e coach in questa trasferta emiratina, Maurizio Ravinetto, storico maestro di golf che ha formato decine di atleti di buon livello in tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento alla Toscana e l’Emilia-Romagna.

(Nella foto Tommaso Perrino nel terzo colpo alla 18 e sul green con, di spalle con la scritta Perrino, Maurizio Ravinetto)




Lo spione: una commissione a favore dei whistleblower

Una delle traduzioni che internet suggerisce per il termine whistleblower è lo spione, ma anche il fischiatore, il suggeritore, l’informatore.
In America il whistleblower (neologismo introdotto dall’inglese americano) viene anche associato, in certi casi, alla figura di gola profonda (deep throat), ovvero colui che denuncia o riferisce alle autorità, pubblicamente o segretamente, attività illecite o fraudolente nel governo, in un’organizzazione pubblica o in un ente privato.
L’istituto del c.d. whistleblowing è disciplinato dall’art. 54 bis “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti” del decreto legislativo n. 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall’art.1, c.1, della legge 30 novembre 2017, n. 179, il quale prevede una tutela rafforzata per il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile delle condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro.
Whistleblower comunque ha una connotazione semantica positiva che in italiano non esiste, anzi molto spesso viene confuso con il termine delatore che ha invece connotazioni negative.
Questo la dice lunga sull’abitudine italiana di rispettare la persona che denuncia attività scorrette nella propria azienda, sia essa pubblica o privata, e di tutelarla.
A partire dal sottoscritto, l’amico Fabio Delibra, ma fino ad arrivare a Carlo Bertini ex dipendente di Bankit che denunciò il famoso caso diamanti, nel nostro paese chi denuncia non viene visto come un eroe o solo un cittadino corretto, ma come un rompicoglioni da allontanare da qualsiasi cosa ed a qualsiasi costo, anche a distanza di decenni.
Peggio ancora nei confronti di queste figure viene avviata una macchina del fango che non ha eguali, se non addirittura una macchina fatta dall’uso fuorviato dei tribunali, che comunque poi si conclude sempre con un nulla di fatto, ma fa guadagnare tempo al “segnalato” e comunque permette di screditare i poveri whistleblowers.
L’uso improprio della giustizia ha anche un altro effetto, quello di costringere il denunciatore ad un significativo dispendio economico, mettendolo comunque in difficoltà.
Cose peraltro già successe e già vissute in prima persona dal sottoscritto, ma anche da tutti quelli che si sono trovati a voler correggere cose sbagliate.
Dobbiamo renderci conto che il nostro sistema italiano ha ormai più sovrastrutture ideologiche e lobbistiche che funzioni oggettive.
Gli apparentamenti politici oggi incatenano il nostro paese, giustizia compresa, e ne minano alla radice il senso etico e di conseguenza l’operatività morale.
Il quadro pertanto legato ai temi del cosiddetto “whistleblower” è abbastanza deludente: denunciare oggi il datore di lavoro sembra essere un’impresa rischiosa, che porta danno solo al lavoratore e ne mina anche salute e finanze.
Vero, è occorre dirlo, che in una piccola percentuale ci sono stati anche casi in cui chi ha denunciato ha avuto il giusto riconoscimento, ma comunque anche nei casi che sono andati a buon fine, meno del due per cento, sono passati anni di sofferenza.
Non abbiamo speranza che in questo paese le persone oneste vengano rispettate.
Comunque faccio una proposta:
Propongo la creazione di una commissione indipendente esterna alla politica ed alla amministrazione, formata da chi ha subito le ritorsioni ed ha perso la sua posizione, giornalisti non legati a movimenti politici e non influenzabili, che sia a disposizione di chi denuncia ancor prima di farlo o ha già denunciato ed è stato stritolato dalla morsa del potere, per tutelarli ed accompagnarli.
Questa commissione dovrebbe avere un budget di spesa per aiutare chi denuncia e per poter svolgere indagini preventive.
Forse questo organismo affiancato ad una norma giusta potrebbe risolvere qualche enorme intoppo oggi presente e favorire chi vuole migliorare il paese.
Fin da ora mi candido a farne parte.
Ma credo che nessuno raccoglierà questa mia proposta, soprattutto nessun politico, perché il BLA BLA BLA elettorale lo sanno fare tutti, ma mettere in atto cose scomode… 



Bossing verso pubblici dipendenti

In redazione è arrivata una segnalazione rispetto ad un comportamento di bossing verso un dirigente pubblico veramente grave e concatenata ad altre indagini che stiamo svolgendo.

Questi atteggiamenti non possono essere trascurati e meritano il più attento approfondimento possibile, che questa redazione farà, ampliando il più possibile il livello di comunicazione mediatica sull’argomento.

In questo specifico caso poi sembra che anche una certa parte politica voglia l’esclusione del dirigente dalla regione perché lo stesso ha “visto cose che non doveva vedere”.

Come Betapress affronteremo il tema cercando di approfondire tutti i dettagli.

Intanto per capire meglio occupiamoci del fenomeno del “bossing“.

Il fenomeno è una forma di comportamento ostile o umiliante da parte di un superiore nei confronti di un subordinato in un contesto lavorativo.

Il Bossing, quindi, è una forma di molestia psicologica attuata, in ambito lavorativo, da un superiore nei confronti di un suo sottoposto.

Lo scopo è umiliarlo o penalizzarlo, creando un ambiente lavorativo insostenibile per il dipendente, che spesso difatti lo porta alle dimissioni a causa della pressione e dello stress subiti.

È una variante del più ampio fenomeno del “mobbing“, che può avvenire sia in orizzontale (tra colleghi) che in verticale (da un superiore a un subordinato o viceversa).

Nel caso specifico in cui il bersaglio è un dirigente pubblico, diversi fattori aggiuntivi entrano in gioco, come il contesto burocratico, le implicazioni legali e l’attenzione mediatica che potrebbe derivare da un caso di questo tipo.

Nelle organizzazioni pubbliche, la struttura gerarchica e burocratica può talvolta complicare la questione.

A differenza delle aziende private, dove spesso è più facile per la gestione prendere decisioni rapide in merito al personale, nel settore pubblico ci sono spesso più livelli di verifica e approvazione.

Ciò può rendere più difficile sia identificare che affrontare il bossing.

Dal punto di vista legale, il bossing nei confronti di un dirigente pubblico potrebbe avere ripercussioni significative.

Le leggi sulla discriminazione sul luogo di lavoro e sull’abuso psicologico variano da Paese a Paese, ma molte giurisdizioni prendono molto seriamente queste questioni.

In alcuni Paesi, il bossing potrebbe essere considerato una violazione dei diritti umani o dei diritti dei lavoratori.

Un altro aspetto da considerare è l’attenzione mediatica.

I dirigenti pubblici sono spesso sotto il microscopio pubblico, e un caso di bossing potrebbe attirare l’attenzione dei media.

Questo può avere un impatto sia sulla vittima che sull’autore del bossing, con conseguenze che vanno oltre il contesto immediato del luogo di lavoro.

Generalmente, i metodi per affrontare il bossing in un contesto di lavoro pubblico non sono molto diversi da quelli del settore privato.

Questi possono includere:

1. Mediazione: Un tentativo di risolvere la situazione attraverso un terzo imparziale.
2. Formazione: Programmi educativi per prevenire o affrontare il comportamento ostile sul posto di lavoro.
3. Procedure Disciplinari: Nel caso in cui il bossing persista, potrebbero essere necessarie azioni disciplinari.

Nel contesto pubblico, l’approccio alla risoluzione sarà inevitabilmente più complesso a causa della struttura burocratica e delle possibili implicazioni legali e politiche.

A causa di questi fattori aggiuntivi, la risoluzione del problema potrebbe richiedere l’approvazione o l’interferenza di più organi o dipartimenti, come commissioni di etica sul posto di lavoro, consigli di amministrazione o anche entità governative.

È fondamentale notare che la responsabilità del bossing non è solo del singolo individuo che esercita tale comportamento, ma spesso è un indicatore di una cultura organizzativa problematica che permette, o addirittura promuove, tale comportamento.

Pertanto, qualsiasi tentativo di risoluzione dovrebbe essere sistemico oltre che individuale.

Dal punto di vista psicologico, il bossing può avere un impatto negativo non solo sul benessere del dirigente pubblico bersagliato, ma anche sul morale dell’intera organizzazione.

Una cultura tossica sul posto di lavoro può portare a una diminuzione della produttività, un aumento dell’assenteismo e una elevata rotazione del personale, tutti fattori che sono particolarmente problematici in un contesto pubblico, dove la continuità e l’efficienza sono spesso cruciali.

In sintesi, il bossing di un dirigente pubblico è un problema complesso che va ben oltre la semplice dinamica tra due individui.

Ha implicazioni che spaziano dall’etica alla legge, dalla psicologia organizzativa all’immagine pubblica dell’ente interessato.

Affrontare questo problema richiede un approccio multidisciplinare e una volontà di cambiare non solo comportamenti individuali, ma spesso la cultura dell’organizzazione nel suo insieme.




La storia deve essere raccontata in modo neutrale, altrimenti non è storia.

In questi giorni è sorta la discussione sull’insegnamento della storia, discussione originatasi dalle parole del ministro Valditara sul rinnovo dell’accordo con ANPI, associazione partigiani.

Ben rappresenta il giornale la situazione in questo articolo https://www.ilgiornale.it/news/ha-ragione-valditara-raccontare-storia-ben-diverso-fare-2213308.html

Come dare torto a chi finalmente sostiene che la storia debba essere raccontata in modo neutrale, rappresentando tutte le realtà coinvolte e le loro motivazioni.

Lo stesso Barbero, grande divulgatore storico, afferma la necessità che la storia sia raccontata dai documenti e dalla verità, dai fatti insomma, e non dai sentimenti, giusti o sbagliati che siano.

https://allaenne.sns.it/video/alessandro-barbero-unintervista/.

https://youtu.be/ccXct8YxEGc?si=ZAzq7kQPvRnnIlYS.

In effetti dare il racconto della storia in mano a chi della storia ne estremizza i significati per un proprio personale interesse non è la cosa più opportuna per il bene degli studenti in particolare ma di tutti in generale.

Riceviamo molte segnalazioni sul tema è ne pubblichiamo una rappresentativa anche per l’autorevolezza di chi la scrive:

spett.le Betapress, con riferimento all’articolo odierno pubblicato da LA VERITA’ “fate scendere l’Anpi dalla cattedra” in merito all’accordo MIM / Anpi per l’insegnamento della storia nelle scuole, che il ministro Valditara ha comunicato di voler rinnovare allargandolo a tutte le associazioni partigiane , osservo che un analogo accordo è già stato perfezionato il 3 luglio scorso dal MIM con gli istituti per la storia della resistenza (il cui presidente Pezzino è coordinatore di un comitato scientifico promosso da Anpi), prevedente , tra l’altro, l’impiego dei docenti esentati dal servizio presso gli istituti per la storia della resistenza (art.3 ACCORDO 3.07.23) . Valditara CONFERMA che la “cattedra” della storia nella scuola sia comunque monopolio dei “partigiani”. Resta l’interrogativo sul perché il Ministero dell’istruzione (del governo Meloni come dei Governi di centrosinistra) debba appaltare (con assegnazione di risorse pubbliche) l’insegnamento della storia agli studenti a terzi ed altresì solo se appartenenti ad una determinata area politica.

Marco Filisetti già dirigente generale Ministero Istruzione mfilisetti@lanostragorle.org.




Bambini disobbedite, perché vi aiuta ad imparare.

Genitori voi invece obbedite, perché vi aiuta a far crescere.

Ma come può obbedire un genitore? ed a cosa, vi chiederete voi lettori…

Il genitore deve obbedire ad un semplicissimo dovere: la necessità di dare strumenti corretti di crescita al proprio figlio, come?

Cercando di conoscere.

La disobbedienza dei bambini è una tappa inevitabile e cruciale nel loro processo di crescita e sviluppo.

Nonostante possa risultare frustrante per genitori e tutori, è importante considerarla come una fase naturale del percorso di apprendimento di un bambino.

È importante capire che i bambini stanno cercando di individuare i propri limiti e di acquisire un senso di indipendenza e autonomia, infatti i primi atti di disobbedienza nei bambini sono spesso un segno che stanno iniziando a sviluppare un senso di sé ed un desiderio di indipendenza.

Questo comportamento può manifestarsi in molte forme, come il rifiuto di seguire le istruzioni, il testare i limiti delle regole, provocare apertamente gli adulti o ignorare i comandi diretti.

È fondamentale comprendere che la disobbedienza non è necessariamente un segno di cattiva educazione o mancanza di rispetto, ma piuttosto del fatto che i bambini stanno cercando di capire il mondo che li circonda e apprendono dalle esperienze, anche da quelle negative.

Questo processo di apprendimento comporta spesso sfide ed errori, anche da parte di genitori e tutori, che hanno un ruolo cruciale nella gestione della disobbedienza dei bambini.

La comunicazione è la chiave: spiegare chiaramente le aspettative e le regole, insieme alle ragioni dietro di esse, può aiutare i bambini a comprendere meglio cosa ci si aspetta da loro.

Infatti la disobbedienza è spesso una fase temporanea e una parte normale dello sviluppo infantile, dove i bambini stanno imparando a esprimere la propria individualità e a comprendere le conseguenze delle loro azioni.

E’ inevitabile che la disobbedienza sia più presente quando quando non comprendono completamente ciò che si aspetta da loro.

Il problema genitoriale è il tempo ma anche la capacità: per spiegare occorre tempo e capacità di trasformare in concetti chiari per un bambino il mondo delle regole che ha intesta un adulto.

Occorre, in un certo senso, che il genitore si ponga in un rapporto esegetico con il bambino al fine di parlare in una lingua e con concetti a lui comprensibili.

In questo meccanismo il genitore dovrebbe conoscere bene alcuni principi come la ridondanza della comunicazione e la semplificazione del concetto, o anche solo la sua traduzione nel mondo immaginifico del figlio.

Certamente conoscere il mondo linguistico in cui il bambino si sta muovendo è importante.

La risposta del genitore a questa necessità non può essere non ho tempo, ma al limite non sono in grado di farlo, perché con la risposta non ho tempo il genitore si chiude alla possibilità, mentre con la risposta non lo so fare si apre un mondo di opportunità.

Regola fondamentale da mantenere è la coerenza e la linearità di comportamenti.

Le regole dovrebbero rimanere costanti, e le conseguenze della disobbedienza dovrebbero essere appropriate e proporzionate, ma soprattutto applicate.

Questo crea un ambiente in cui i bambini possono prevedere le conseguenze delle loro azioni, il che può contribuire a motivarli a seguire le regole.

Tuttavia, nonostante la necessità di regole e discipline, è altrettanto importante lasciare spazio per l’autonomia e la scelta, ma anche per l’empatia; mostrare empatia verso i sentimenti dei bambini può contribuire a ridurre la disobbedienza, la disobbedienza infantile spesso nasce dalla frustrazione o dal sentimento di abbandono.

Consentire ai bambini di prendere decisioni appropriate per la loro età può ridurre fenomeni di ribellione alle regole, poiché si sentono coinvolti nel processo decisionale; ad esempio, invece di dire “Indossa questa giacca”, si potrebbe chiedere “Vuoi mettere il tuo maglione rosso o il tuo giubbotto blu?”.

Inutile osservare che i bambini spesso imparano dal comportamento dei loro genitori e delle figure di riferimento, ecco perché  mostrare un comportamento rispettoso delle regole può avere un impatto positivo, spesso ricreando ambienti simili in cui gli adulti rispettano le regole che loro stessi impongono ai figli.

L’esempio classico è il rapporto intergenerazionale: un bambino che vede il proprio genitore rispondere male al suo genitore non sarà certo portato a rispettare una regola educativa contraria al comportamento visto attuare dal genitore stesso.

Concludendo la disobbedienza può essere un terreno fertile per l’apprendimento e la crescita dei bambini, ma solo se noi abbiamo gli strumenti per comprenderla ed incanalarla verso un percorso di comprensione dei meccanismi.

Attraverso la disobbedienza si possono sviluppare competenze come la risoluzione dei problemi, la negoziazione e la comprensione delle conseguenze delle azioni.

In estrema sintesi, la disobbedienza dei bambini è una fase normale del loro sviluppo utilissima per poter far comprendere regole, comportamenti sociali e obblighi dell’IO.

La distanza della famiglia da questi momenti educativi, e la loro mancata comprensione da parte dei genitori,  è sicuramente uno tra i più gravi danni possibili da arrecare al bambino.

Affrontarla con pazienza, comunicazione aperta e coerenza nelle regole e nelle conseguenze può aiutare i bambini a imparare dagli errori e a crescere come individui responsabili e consapevoli.




GRAFFI: E SE L’ITALIA?

Immigrazione clandestina.

La Germania non accetterà più immigrati clandestini provenienti dall’Italia.

La Francia blinda i propri confini.

E l’Italia?

Possibile che la malavita organizzata sfrutti i drammi di Marocco e Libia per favorire sbarchi in massa sulle coste italiane?

E l’Italia?

Le crisi non partono mai da lontano e ignorarne i segnali, fare finta di non ascoltare i campanelli d’allarme o di non vedere le anomalie, non porta lontano.

Il governo Meloni ha avuto in lascito un’eredità pesantissima, per amministrare la quale era chiaro fin da subito che non sarebbe stato sufficiente l’esercizio della pur massima “buona volontà”.

Le situazioni geopolitiche, le dinamiche particolari – globali e particolari – dell’economia e della finanza (estremamente fluide e imprevedibili, in quanto ricchissime di variabili), il modificarsi del conflitto instaurato nell’area ukraina da ‘bellico’ a ‘economico’ (per la non soccombenza del dollaro nel primato di “valuta di riferimento”), hanno determinato disallineamenti importantissimi.

Ossia, la situazione che il subentrato governo Meloni Ha ereditato, è ora profondamente mutata: e per affrontarla non sono sufficienti alleanze strumentali.

Occorre avviare radicali misure strutturali.

A un claudicante non basta unirsi a un gruppo di zoppi, per sperare di non zoppicare più.

A queste variabili si sommano imprevisti in alcune aree del mondo, tali da suscitare ripercussioni dagli sviluppi non prevedibili.

In modo imprevisto, si sta assistendo a fenomeni di portata straordinaria che – i solerti cronisti di una storia malata e corrotta – attribuiscono a presunti mutamenti climatici innescati base da inquinamenti vari.

Terremoti devastanti, inondazioni straordinarie, tempeste violentissime, incendi diffusi e irrefrenabili, piogge e grandinate eccezionali, persino la minaccia di possibili eruzioni vulcaniche, scuotono la superficie terrestre provocando migliaia e migliaia di morti oltre che danni inimmaginabili e incalcolabili.

Tali fatti, sommati al perdurare di anomale epidemie, scuotono il mondo dalle fondamenta.

Ma hanno certamente un risvolto immediato: la malavita organizzata entra subito in azione.

Prevedere che dalla Libia e dal Marocco ci possano essere masse imponenti di potenziali clandestini verso l’Europa, verso l’Italia in primis, prevedere quindi l’acuirsi di una crisi già pesantissima, è esercizio agevole.

Meno , le misure per fronteggiare la situazione.

E l’Italia?

Blocco terrestre e navale, quindi?

Forse sarà inevitabile, o saremo invasi da una massa ingovernabile di “clandestini” e forsanche “finti profughi”.

In situazioni di emergenza, non si deve e non si può ragionare in termini “normali”.

Ma l’Italia, saprà reagire e quindi agire?




All’anima dell’Italia

L’Italia sta male ma può guarire

L’Italia soffre di un male perfettamente curabile con il ritorno ai princìpi sanciti dalla sua Costituzione.

Dov’è finito il rispetto per il lavoro e la dignità umana?
Che fine hanno fatto i Valori fondanti della Democrazia?

La “guarigione” è possibile, a patto che ci sia una presa di coscienza collettiva.

L’anima del popolo italiano

Se un popolo ha un’anima, questa è la sua Costituzione: la Carta che sancisce i principi ispirati affinché le Istituzioni di un Paese possano garantire la piena realizzazione della persona umana.

L’articolo 3 comma 2 della Costituzione Italiana lo dice espressamente: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

L’Italia – Paese notabile per bellezza, cultura, ingegno, creativa operosità e amore per l’eccellenza in ogni ambito produttivo – soffre le inevitabili conseguenze dell’abbandono dei princìpi su cui si basa la sua esistenza.

Fatta la diagnosi, ecco la cura.

Mauro ScardovelliLo scorso gennaio il giurista e psicoterapeuta Mauro Scardovelli ha lanciato una petizione candidandosi come Presidente della Repubblica italiana.

Consapevole di non poter contare sulla cassa di risonanza dei media e che il popolo, non sufficientemente informato, potesse non scorgere nel ritorno ai valori costituzionali l’opportunità per ripristinarne la sacralità, Scardovelli ha presentato il suo programma chiamato: “Nuovo Rinascimento”.

Eccone i presupposti:

  • Dio ha bisogno di noi, per instaurare il suo Regno: l’Uomo, di fatto, è co-creatore del progetto divino
  • La Cura ai mali che affliggono l’Italia ormai da decenni è assicurata dall’applicazione della “sacra” carta costituzionale, alla quale le Istituzioni dovrebbero ispirarsi per consentire una ripresa economica e sociale del nostro Paese e il benessere dei suoi Cittadini
  • Il Presidente della Repubblica deve riprendere la sua funzione di garante della Costituzione ed essere espressione diretta della volontà popolare

Da troppo tempo ormai i media si rendono portavoce di valori tutt’altro che funzionali allo sviluppo di un’autonoma capacità critica, di una presa di coscienza, di un risveglio spirituale dell’Uomo, reso incapace di discernere la Verità che potrebbe renderlo, finalmente, libero.

Il narcisismo dilaga e riflette il sistema che ne è al tempo stesso radice e frutto.

Le sue caratteristiche sono un basso livello di consapevolezza, sete di potere e di dominio, competitività.

Purtroppo, l’Uomo di oggi – afflitto da un narcisismo etico-psico-spirituale – e il “sistema” generato dal suo subconscio, sono incompatibili con il ripristino di una Democrazia costituzionale.

Il “nuovo Rinascimento”

Secondo Mauro Scardovelli è tempo che le Istituzioni tornino a rispettare la Carta Costituzionale e a educare i Cittadini a incarnarne i valori.

Intellettuali, esperti e giornalisti devono dire al pubblico ciò che lo fa star bene, anziché inondarlo di inutili informazioni.

È necessario che i media – fatti a suo dire da persone che alla competizione preferiscano la cooperazione – adottino un linguaggio chiaro, semplice e sintetico: una comunicazione ad alto livello che stimoli il sistema endocrino dei Cittadini a produrre ormoni del benessere, rafforzando il loro sistema immunitario.

Ai media serve, soprattutto, una visione che introduca la Verità.

Una volta ristabilito, il governo costituzionale deve provvedere a tutti i Cittadini un’adeguata formazione.

La democrazia, infatti, non è possibile senza un pieno sviluppo della persona umana, della coscienza etica e della capacità di amare, in senso cristico, chiunque.

Conclusione

La Rivoluzione Costituzionale è il risultato della trasformazione interiore di ogni singolo Cittadino.

Basta con le lamentele, basta con le critiche inutili e distruttive!

È tempo di assumersi le proprie responsabilità.

È tempo di risvegliarsi a nuova consapevolezza, sviluppando la capacità di amare.

È tempo infine, per i media, di rivoluzionare il loro modo di comunicare e di mettere al primo posto il benessere della loro audience.

Solo così, potremo sperare in un avvento del Regno di Dio sulla terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Simone Facchinetti: eroe d’altri tempi, eroe del futuro.

Il 2 dicembre 1971 veniva sancita la federazione tra sette emirati nello Stato degli Emirati Arabi Uniti.

Cinquant’anni dopo, in occasione dell’EXPO 2020 a Dubai, il mondo intero può toccare con mano i princìpi che ispirano e contraddistinguono questa realtà: E.A.U.

Leggendo l’acronimo, la mia mente mi riporta all’elemento acqua: “acqua”, in Francese, si scrive proprio così (“eau”)!

Acqua: l’elemento che ci accomuna – i nostri corpi sono composti per circa il 75% di acqua – e ci connette gli uni agli altri apportando nuova vita.

Acqua che fluisce e non si ferma. Acqua che, nel rispetto dell’ambiente che la ospita, si adatta e cambia pur rimanendo la stessa.

Quale altra metafora potrebbe riassumere, in modo potente, lo spirito che anima il giovanissimo Stato?

L’Avvocato Simone Facchinetti, amico e graditissimo ospite del Soul Talk, ne incarna perfettamente i valori e … udite udite, festeggia il suo compleanno il 2 dicembre!

La sua mission è costruire “ponti” di collegamento tra Occidente e Oriente riconoscendo, valorizzando e aiutando start up italiane a trovare proficui sbocchi negli Emirati Arabi Uniti.

Il suo apporto si rivela fondamentale nel reperire fondi, segnalare nuove opportunità, facilitare la realizzazione di progetti innovativi e sostenibili, mirati alla creazione di nuovi posti di lavoro.

In Simone convivono l’innata Curiosità, l’inesauribile spinta a esplorare nuovi mondi e nuove possibilità, la Creatività, l’Entusiasmo bambino disciplinato dall’esperienza e dalla maturità, la Gioia di sperimentare, la Confidenza, l’Armonia, l’Empatia di chi si rispecchia nell’Altro per comprenderlo, amarlo nella sua diversità e aiutarlo.

Questi Valori – sempre più rari, preziosi e distintivi – poggiano sulle tre inamovibili Colonne dell’Etica, della Correttezza e della Trasparenza.

A proposito di anniversari: lo Studio Legale Simone Facchinetti quest’anno celebra il suo ventesimo anno d’attività e il quinto anno consecutivo di assegnazione del premio “Le Fonti” come Boutique Legale d’eccellenza nei rapporti internazionali tra Italia e Medio Oriente.

Nel corso dell’intervista – che definirei piuttosto piacevole “chiacchierata” – abbiamo parlato di Mission, di Valori, della Vita come “Viaggio dell’Eroe” costellato da tanti viaggi, quante sono le opportunità che cogliamo di esprimere e donare Chi noi siamo.

Per i Valori che lo ispirano Simone è un Uomo d’altri tempi, ma il suo sguardo è rivolto a un futuro da costruire, assieme al suo Team, sulle fondamenta dell’Innovazione, della Ricerca, dell’ordinamento giuridico a trecentosessanta gradi.

Un ringraziamento speciale va a Christian Gaston Illan e alla sua splendida compagna Maria Giulia Linfante, che ci ha fatti incontrare!

Christian e Maria Giulia sono gli ideatori e fondatori dello “Smart Villag[g]e Cloud”, virtuosa chat in cui imprenditori, artisti e nuovi amici condividono esperienze, iniziative e successi.

Il Soul Talk con Simone Facchinetti è qui.

Buon ascolto e alla prossima!

La vostra Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti).