L’Italia Trionfa al Festival di Los Angeles “Kick The Rules”

“Lia non deve morire” di Alfonso Bergamo Trionfa al Festival di Los Angeles “Kick The Rules”

Los Angeles, CA – Il cortometraggio “Lia non deve morire”, diretto dal premiato regista Alfonso Bergamo e

scritto in collaborazione con Valentina Morricone, ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di Best Short

Film al festival “Kick The Rules” di Los Angeles.

Il Festival “Kick The Rules” è  uno degli appuntamenti cinematografici più significativi della California.

Il film è stato premiato grazie alla qualità narrativa e registica di Alfonso Bergamo e per le eccellenti musiche composte

da Sergio Cammariere.

Al film sono andati anche i premi per Miglior Corto LGBTQ e Miglior Fotografia diretta, questa, da Daniele Poli.

Alfonso Bergamo
Alfonso Bergamo

Il cortometraggio

“Lia non deve morire” esplora la lotta interiore di Vincenzo, un stand up comedian sposato e padre che si

confronta con la parte di sé che ha sempre rifiutato di accettare: Lia, la sua “amica immaginaria” e

allontanata dal padre durante l’infanzia.

Un giorno il suo segreto viene scoperto dalla figlia e Vincenzo si ritrova di fronte a una scelta drammatica che lo porterà a un confronto finale sul binario 3 di una stazione ferroviaria.

Angela, unica spettatrice del suo ultimo atto, tenterà di salvare Vincenzo da un gesto estremo, dimostrando che Lia esiste e non deve morire.

Alfonso Bergamo, attraverso questo potente cortometraggio, tocca tematiche delicate come l’identità di genere, l’omofobia e il suicidio, evidenziando come quest’ultimo rappresenti una realtà troppo spesso ignorata, soprattutto quando legata alla

discriminazione.

“L’arte – afferma Bergamo – è resistenza al tempo e alla morte, e con ‘Lia non deve morire’ vogliamo offrire la forza di resistere a chi si trova in situazioni emotive simili”.

La produzione

La produzione è stata curata da GiKa Production, sotto la guida di Gian Gabriele Foschini e Francesca

Cornelia Tosetti.

Co-produzione con BRANDOS Film e Produttore Associato Giuseppe Esposito.

Chi è Alfonso Bergamo

Alfonso Bergamo, ha recentemente terminato la lavorazione per il suo ultimo film “The Garbage Man”, con

Paolo Briguglia, Tony Sperandeo, Randall Paul e Roberta Giarrusso.

Attualmente ha creato una community di attori e artisti in tutta Italia con l’obiettivo di tessere una rete solidale nel mondo dell’arte e del cinema.

Il progetto ha già coinvolto oltre 300 partecipanti, dimostrando l’impatto e l’importanza dell’iniziativa.

Il cortometraggio verrà presto reso disponibile sulla piattaforma WeShort, rendendolo accessibile a un pubblico ancora più ampio.




Elezioni americane 2024: “Di vero dicono il venti per cento.”

A dirlo è il giornalista, scrittore ed esperto di comunicazione Alessandro Nardone, assurto a fama mondiale in occasione delle Presidenziali Americane del 2016.

“Il caso Alex Anderson”

Chi seguì le Elezioni Presidenziali americane otto anni fa, ricorderà certamente il giovane e rampante Alex Anderson che, accanto ai “giganti” Hillary Clinton e Donald Trump, correva per la nomination a Presidente degli Stati Uniti.

Caso volle che anche il protagonista del thriller fantapolitico a stelle e strisce “Il predestinato” di Alessandro Nardone si chiamasse così e che l’Autore, spinto dal desiderio di lanciare il suo romanzo sul mercato anglofono e di promuoverlo in modo originale e divertente, avesse avuto la brillante idea di offrire al suo avatar un’entusiasmante avventura nel mondo “reale”: una vera e propria campagna elettorale.

L’operazione, a dir poco geniale, aveva un altro ambizioso obiettivo: dimostrare al mondo intero la “craccabilità” del sistema dell’informazione. Di questo Nardone avrebbe dissertato nel suo libro “Orwell”, nel cui glossario digital dà delle “fake news” la seguente definizione:  “Contenuti falsi o parzialmente veri diffusi al fine di manipolare la pubblica opinione”.

Il sistema di dis-informazione

“Un tempo la notizia si poteva verificare in modo minuzioso.” Confessa Nardone. “Oggi invece, fare il giornalista è diventato difficilissimo: si è quotidianamente bombardati da una mole enorme di notizie, si viene pagati poco o niente, si ha pochissimo tempo per valutare se la notizia è vera o meno e comunque, in nome del numero dei clic, vince chi arriva per primo”.

E infatti ci vollero ben nove mesi prima che le istituzioni americane, i media e il grande pubblico si accorgessero che Alex Anderson – il cui nome è l’anagramma di Alessandro Nardone – era un “fake”. Proprio come le “fake news” nelle quali, se non stiamo attenti, rischiamo di imbatterci ogni giorno nel web e attraverso i canali tradizionali di informazione.

E veniamo alle Elezioni presidenziali USA 2024

Quanto di vero ci stanno raccontando i media riguardo alle presidenziali americane, previste per il 5 novembre prossimo? 

Non più del venti per cento. Quello che arriva alle nostre latitudini dai cosiddetti “mainstream”, è filtrato dalle lenti della partigianeria a senso unico contro Trump. Utilizzano la tecnica del “framing”, quindi o mentono spudoratamente, o utilizzano solo la parte della notizia che è funzionale alla loro narrazione. 

Qual è il tuo punto di vista su Donald Trump e su ciò che rappresenta, rispettivamente, per i “patrioti” conservatori e per i suoi detrattori?

Per i patrioti Trump è il baluardo che può “salvare l’occidente” dalla deriva woke. Per i suoi detrattori rappresenta il maggiore ostacolo. Tieni conto che, con la sua vittoria elettorale nel 2016, di fatto ha sancito la nascita di questo nuovo bipolarismo: a livello mondiale, quanto meno occidentale, non più destra – sinistra ma popolo contro establishment, patrioti contro globalisti. Chiaramente il ruolo di Trump, per chi come il sottoscritto è conservatore, rappresenta una grande speranza.

… Establishment che ingloba tutto: dai media alle multinazionali, alla sanità, al mondo dello showbusiness…

Comunque, tutti noi conservatori continuiamo a essere la maggioranza silenziosa, perché rappresentiamo quello che è la realtà nei fatti. Non il modello di società che questo insieme di interessi e di lobby vorrebbe costruire, ma un tessuto sociale che è fatto di famiglie, papà, mamme, figli, lavoratori che si rimboccano le maniche per far quadrare i conti. Persone che non vogliono sentirsi dire da nessuno se devono o possono pronunciare il termine “famiglia”; persone che non si vogliono sentire in colpa per il fatto di essere normali. Oggi, infatti, se non sei gay, trans o nero vieni accusato di essere l’archetipo dell’uomo bianco occidentale. E poi il patriarcato…  Tutte queste bestialità. Noi non vogliamo essere accusati di essere “razzisti” o “xenofobi” perché siamo per la difesa della sicurezza dei nostri confini. Non vogliamo essere considerati “fascisti” perché non la pensiamo come i radical chic di sinistra. Questo siamo noi e questo sono le persone che votano Trump negli Stati Uniti, Giorgia Meloni in Italia, Milei in Argentina. Difendiamo i nostri valori e il nostro modo di essere, molto semplicemente. 

Alessandro, vorrei un tuo bilancio sull’amministrazione Biden dal punto di vista politico (guerre, Afghanistan, Ucraina, Medio Oriente, Cina), economico (inflazione), sociale (immigrazione clandestina), culturale (educazione, istruzione).

Un disastro totale, per l’Occidente. Guerre: l’abbandono dell’Afghanistan. Quelle immagini parlano da sole. Una vergogna, un’onta che una potenza come gli Stati Uniti non cancellerà mai dai libri di storia. Ucraina: ricordiamoci le implicazioni di Hunter Biden, il figlio di Joe Biden, con Burisma… E come Biden abbia soffiato sul fuoco fino all’ultimo giorno, spingendo Putin ad attaccare, facendo il contrario di quello che avrebbe fatto Trump, che avrebbe invece messo Putin e Zelensky a un tavolo finché non si fossero messi d’accordo. Dal punto di vista economico c’è, a mio parere, una totale mancanza di strategia. Anche dal punto di vista culturale c’è decadenza totale. E qui mi riferisco all’ideologia gender, che dal mio punto di vista è veramente un qualcosa di criminale, perché fuorviano i bambini sin dalle scuole elementari con la pornografia e con l’idea che possano cambiare sesso anche senza il consenso dei genitori. Sono bestialità che faccio anche fatica a pronunciare, da papà. Un decadimento totale. Oggi, dopo soli tre anni e mezzo di Biden – che valgono per quanti disastri ha fatto per trent’anni – gli Stati Uniti sono una nazione in declino. Basta andare a farsi un giro a New York, a San Francisco, a Los Angeles, le grandi città amministrate dai democratici, per rendersi conto di quanto sto dicendo. È una nazione in declino.  

Se il bilancio “dem” è fortemente in rosso, quante probabilità ritieni ci siano, per i democratici delusi da Biden, di rivolgersi a Trump nella speranza che possa fare di meglio?

Molti democratici hanno già dichiarato che si tureranno il naso e voteranno per Trump. Gli Americani sono molto pragmatici: se tu chiedessi loro se stanno meglio adesso o quattro anni fa… Il problema è quello che si trascina da anni: i democratici non sono stati capaci o non hanno voluto creare le condizioni affinché emergesse qualche leader credibile. Oggi, se i candidati fossero Biden e Trump, molti democratici o voterebbero per Trump, o non andrebbero a votare e comunque favorirebbero Trump. 

Hai un’idea di quanti siano questi dem, in percentuale, rispetto al totale? 

La situazione attuale ricalca quella del 2016, con Hillary Clinton che era molto, molto impopolare anche presso il suo elettorato. Alcuni sostenitori di Bernie Sanders – avversario alle primarie a cui la Clinton ha scippato la candidatura – dichiaratamente hanno votato per Trump, e molti altri si sono astenuti. 

Qual è il programma politico di Trump in risposta all’evidente flop democratico e quali sono, a tuo avviso, i suoi punti deboli e i suoi punti di forza?

Sicuramente Trump ha le idee molto chiare perché è già stato alla Casa Bianca. Dal punto di vista economico, sicuramente il punto di forza è quello di rimuovere le follie e i fanatismi woke, che in questo caso si traducono in fanatismo green. Anche dal punto di vista energetico, quindi, il ritorno ai combustibili fossili. E poi, un’economia che punti a riportare le aziende negli Stati Uniti e a scoraggiarle dall’”esternalizzare”, come aveva già fatto nel suo primo mandato. In questo modo si avvantaggia chi investe e produce negli Stati Uniti, creando ricchezza e posti di lavoro. E ancora, la ripresa del discorso dei dazi con la Cina. Biden quando è arrivato lo ha criticato, ma non li ha rimossi: vuol dire che anche su questo Trump aveva ragione. Continuare quindi sull’America First. Il punto debole, paradossalmente, è anche il punto di forza: la tentazione di un eccessivo isolazionismo. Ma Trump è un uomo d’affari e io credo che saprà coniugare l’America First con una dimensione internazionale, che gli Stati Uniti dovranno continuare ad avere da protagonisti. 

Cos’è l’“Ideologia Woke” fiorita nel periodo democratico e perché, a tuo avviso, non sta funzionando?

L’ideologia Woke è un insieme di dettami che partono dall’assunto del pensiero unico, il “politicamente corretto”: una sostanziale dittatura delle minoranze –  lgbt, razziali  – che applicano una sorta di razzismo al contrario, utilizzando anche la “cancel culture”. Come la cancellazione della storia da parte dei regimi totalitari, ad esempio. I fautori dell’ideologia woke, che troviamo anche nelle Università di Harvard e di Yale, ritengono tutto quello che deriva dalla cultura occidentale dal Rinascimento in poi, il Male. Estremizzo per chiarire e sintetizzare il concetto: la storia è fatta solo da bianchi che sottomettevano i neri e le donne e quindi è tutto “male”, tutto da cancellare. Harvard che cancella il corso sul Rinascimento, statue di Cristoforo Colombo abbattute… Insomma: tutta una serie di nefandezze che fanno parte dell’ideologia woke, di cui fa parte anche l’ideologia gender. Dal mio punto di vista è quest’ideologia a rappresentare il male, ciò che oggi sta portando al declino gli Stati Uniti. Ideologia che si traduce in negativo anche dal punto di vista economico: ad esempio i criteri di sostenibilità energetica e ambientale… Il falso mito della sostenibilità che introduce dei criteri assolutamente inattuabili per aziende “normali”, che magari sono costrette a chiudere perché non si possono adeguare. Alla fine a essere favorite sono sempre le multinazionali. È una partita di giro.

Quali scenari prevedi, negli States, nel caso in cui venga eletto presidente un democratico che dovesse rendersi, ancora una volta, portavoce delle summenzionate culture e ideologie?

Negli Stati Uniti si potrebbe arrivare anche alla guerra civile. Sì perché… Ribadisco, io sto facendo delle constatazioni oggettive, basta ascoltare un qualsiasi comizio di Biden, o anche leggere i suoi tweet, o quelli degli altri esponenti democratici. Accusano Trump per i suoi toni, però andiamo a vedere come parlano loro. Loro sono assolutamente divisivi. Dopo il trionfo di Trump in Iowa, Biden non ha parlato degli “elettori” repubblicani, ma degli “estremisti” repubblicani. E lui, attenzione, dovrebbe essere e parlare da Presidente di tutti. Quindi prevedo uno scenario, nel caso in cui dovessero affermarsi loro… Apocalittico. Per non parlare poi di tutto quello che potrebbe succedere nelle scuole, per via dell’ideologia gender…

Quali scenari potrebbero aprirsi, invece, per effetto dell’elezione di un presidente americano di fede repubblicana?

Di fede repubblicana ce ne sono diversi. Se vincesse Trump, rimetterebbe i valori tradizionali al centro del villaggio. Dal punto di vista geopolitico, gestirebbe il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente aprendo i tavoli delle trattative. Fermo restando che questo sarebbe sicuramente più semplice con Putin e Zelensky, mentre invece Hamas sappiamo che è un’organizzazione terroristica, quindi… Lì sarebbe un po’ più complicato. 

Parliamo un po’ di Robert Kennedy Junior. Aldilà dell’alto consenso trasversale di cui sembra godere, sia fra i globalisti democratici, sia fra i repubblicani conservatori, quali sono i suoi argomenti e fino a che punto possono far breccia nell’elettorato americano sia globalista, sia conservatore di oggi?

Beh, sicuramente la sua totale avversione al concetto di “guerra”. C’è un passaggio molto bello di un suo discorso che è diventato virale online, in cui dice: “Abbiamo imparato a utilizzare la parola ‘guerra’ in tutti i frangenti: la guerra all’immigrazione, la guerra al virus, la guerra all’inquinamento…” Kennedy ha puntato molto su una pacificazione tra i due elettorati: questo è un tema che può fare presa su entrambi i gruppi, soprattutto sulle persone che sono stanche di questo clima da guerra civile permanente, che da qualche anno a questa parte si vive negli Stati Uniti. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo acquisito la forma mentis che ci ha indotto il web. La “polarizzazione”, il fenomeno che caratterizza il nostro tempo, ci induce a considerare chi la pensa diversamente da noi non come qualcuno che ha idee differenti dalle nostre, ma un nemico vero e proprio. Così, ci si allontana sempre di più e ci si capisce sempre di meno. I media mainstream, infatti, parlano di un certo argomento utilizzando una determinata linea. Si stabilisce quindi un frame, una cornice, entro la quale discutere di quel dato argomento. Ed ecco che chiunque esca da quel frame viene aggettivato come “anti sistema”, “omofobo”, “fascista”, eccetera.

Quali sarebbero le sfide che oggi dovrebbe affrontare il personaggio digitale “Alex Anderson”, rispetto alla sua corsa elettorale del 2016? Il sistema dell’informazione è ancora altrettanto craccabile, riguardo all’infiltrazione e alla conseguente diffusione di fake news o qualcosa è cambiato da allora?

Hai sollevato una questione grandissima. La sua candidatura sarebbe irripetibile, come nel 2016. La sfida dell’informazione si è fatta ancora più difficile perché in questi anni abbiamo capito – e il resto dell’intervista in parte lo testimonia – che i veri conduttori di fake news alla fine sono i media tradizionali, non gli pseudo “complottisti”. Quelli sono in certi casi gli “utili idioti” che servono ai media mainstream. Quindi, la vera sfida che si gioca è quella dell’informazione e della comunicazione. 

Quindi in Europa ci arriverebbero delle notizie vere al 20%?

Quando va bene! Questo te lo firmo e te lo sottoscrivo.

Che frecce avrebbe al suo arco Alex Anderson e come convincerebbe i sostenitori di Trump a votare per lui, anziché riconfermare la loro fiducia all’Autore del motto: “Make America Great Again”? 

Sicuramente l’età. Una maggiore contemporaneità e consapevolezza di quelle che sono le necessità delle nuove generazioni, e anche una maggiore garanzia di proiettare gli Stati Uniti nel futuro. Questo potrebbe essere il suo valore competitivo. Con tutto il rispetto per Trump e per la sua agenda, Alex si proporrebbe come un’alternativa più nuova e anche scevra da quello che è il carico da novanta che, nel bene o nel male, si porta sulle spalle Trump. 

C’è qualcosa che vorresti aggiungere, a conclusione di questa nostra bella chiacchierata?

Alla fine, secondo me, il trait d’union di tutto è la coerenza. La coerenza e il rispetto per le idee altrui, sono due elementi che mancano sempre di più nel dibattito pubblico. E questo non avviene a caso, ma perché qualcuno lo vuole… Del resto, ce l’hanno insegnato i romani con “Dividi et impera”…  Dal mio punto di vista, invece, sono molte di più le cose che uniscono gli esseri umani. Se facessimo delle domande tipo: “Sei d’accordo sul fatto che tutti dovremmo vivere nel benessere? … Sul fatto che non ci dovrebbero essere guerre? … Sul fatto che le nostre città dovrebbero essere sicure? … Che la sanità dovrebbe funzionare?” Chi ti potrebbe dire di no? Nessuno. Dipende anche da come le poni, le questioni. Poi, alla fine, si torna sempre lì. È per questo che io insisto sul fatto dell’importanza dell’informazione e della comunicazione. Perché sono loro, alla fine, a determinare il corso della storia.”

 




Da Caravaggio a Ceruti: alla scoperta del Pitocchetto

Da Caravaggio a Ceruti: alla scoperta del Pitocchetto, il pittore della povera gente

È in corso al Getty Museum di Los Angeles la mostra sul pittore lombardo del 1700 Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto.

L’esposizione si intitola “Giacomo Ceruti, un occhio compassionevole” (“A Compassionate eye”).

L’esposizione propone un interessante viaggio tematico nell’universo della povertà nell’Europa del 1700.

Alla scoperta del Pitocchetto, il pittore della realtà

È in corso a Los Angeles la mostra “Giacomo Ceruti, un occhio compassionevole” (Giacomo Ceruti, a Compassionate eye).

L’esposizione propone un interessante viaggio tematico nell’universo della povertà nell’Europa del 1700 attraverso i dipinti del pittore lombardo del 1700 Giacomo Antonio Melchiorre Ceruti, detto il Pitocchetto  (Milano, 1698-Milano, 1767).

Il “Pitocco” è infatti il nome che nel Cinquecento indicava il rozzo panno marrone e nero con cui si vestivano i mendicanti.

Da Brescia a Los Angeles

All’artista è stata dedicata la prima mostra in occasione di Bergamo e Brescia Capitale italiana della cultura 2023, inaugurata il 14 febbraio 2023 al Museo di Santa Giulia, prima che prendesse il volo per la tappa d’oltreoceano.

La mostra è prodotta dal Comune di Brescia, la Fondazione Brescia Musei ed è organizzata dalla J. Paul Getty Museum di Los Angeles.

Si tratta di una eccezionale co-produzione con il Getty Center.

La tappa californiana, intitolata “Giacomo Ceruti, a Compassionate eye” è infatti frutto della collaborazione tra Fondazione Brescia Musei e Getty Museum.

Il Getty Museum di Los Angeles

L’esposizione è esposta al J.Paul Getty Museum di Los Angeles dal 18 luglio 2023.

Presenta per la prima volta al pubblico statunitense un gruppo di assoluti capolavori del maestro lombardo.

La splendida cornice del Getty Museum di Los Angeles invoglia a ripercorrere i bei saloni arredati e ricchi di opere d’arte.

Ed anche a ripercorrere gli ampi giardini, che incorniciano un complesso moderno e funzionale, architettonicamente ambizioso ed esteticamente piacevole.

Getty Museum, Los Angeles
Getty Museum, Los Angeles

 

Da Caravaggio a Ceruti

L’argomento della interessante esposizione è dedicata a quel filone di pittura sei-settecentesca che si pone sulla scia del  maggiore rappresentante di questo filone post caravaggesco, rappresentato da Giacomo Ceruti, il pittore “della realtà” e della povera gente, famoso per aver sviluppato un genere di pittura antiretorica per quell’epoca.

Il suo percorso artistico fa parte di quel filone della “pittura della realtà” che ha in Lombardia una tradizione secolare.

Prima di lui, grandissimi artisti come Caravaggio, Vincenzo Foppa, ed esponenti della scuola bresciana rinascimentale come Giovanni Girolamo Savoldo e il Moretto, avevano toccato l’argomento.

La precedente mostra a Brescia nel 1987 sul pittore di strada

Sono passati trentasei anni, dalla grande mostra che nel 1987 Brescia ha dedicato a Giacomo Ceruti.

I tempi sono dunque maturi per tornare a indagare questo particolare pittore.

La pittura di strada di Ceruti incontrò molto favore presso l’aristocrazia locale bresciana.

La favolosa Brescia del 1700

Nel Settecento infatti Brescia, politicamente assoggettata alla Serenissima, fu centro attivo e culturalmente vivace, con respiro europeo grazie alla influenza milanese e francese.

Fra i committenti certi del pittore si annovera la famiglia Avogadro che possedeva le tele dei Pitocchi e del ciclo Padernello, ora disperso in varie collezioni private.

La mostra ha il grande pregio di riunire le quindi tele dei Pitocchi, appartenenti al Ciclo Padernello.

L’universo della povertà nella prima Europa moderna

Giacomo Ceruti si impone come una delle voci più originali della cultura figurativa del XVIII secolo.

I dipinti di Ceruti sono toccanti rappresentazioni dei ceti umili.

I suoi ritratti sono penetranti.

Aleggia sui volti dei suoi dipinti un senso di rassegnazione e di stanchezza.

Come nella “I due mendicanti nel bosco”, dove i volti seri ma sereni si stagliano nello sfondo dello scarno paesaggio boschivo.

I due mendicanti nel bosco, Giacomo Ceruti, 1730
I due mendicanti nel bosco, Giacomo Ceruti, 1730

L’ evoluzione della scena di genere in Italia nel Sei-Settecento.

Giacomo Ceruti (1698-1767) nacque e morì a Milano e fu attivo nel nord Italia tra la Lombardia e il Veneto.

I suoi dipinti si distinguevano per la rappresentazione di commercianti a basso reddito e di individui senza casa, che ritrasse con dignità e simpatia.

Per questo Ceruti arrivò a essere conosciuto come Il Pitocchetto (il piccolo mendicante).

Il percorso espositivo statunitense, il primo incentrato esclusivamente su Giacomo Ceruti, esplora le relazioni tra arte, mecenatismo e disuguaglianza economica nella prima età moderna dell’Europa.

Gli argomenti includono rappresentazioni di soggetti emarginati nella storia dell’arte europea della prima età moderna.

Le scene di genere e l’immagine dei pitocchi nella pittura di Giacomo Ceruti

Giacomo Ceruti ritrae con realismo sincero, e spesso impietoso, scene di vita quotidiana e domestica.

La vena è spiccatamente narrativa e popolare.

In particolare, la sua attenzione si sofferma sulla umile vita di strada ed i particolare sui mendicanti, i cosiddetti “pitocchi”. Da qui il suo soprannome “Il Pitocchetto”.

Il volto e le mani sformate dei suoi “pitocchi” sono segnate da profonde rughe, lo sguardo è sfuggente, il vestiario di estrema povertà.

I tre accattoni, Giacomo Ceruti, 1736
I tre accattoni, Giacomo Ceruti, 1736

La pittura di genere

L’ occhio compassionevole di Giacomo Ceruti si traduce nella rappresentazione delle scene di genere.

La pittura di genere è una rappresentazione pittorica che ha per soggetto scene ed eventi tratti dalla vita quotidiana.

Fu a lungo considerata un genere “minore”.

Si distingue per la rappresentazione degli aspetti della vita di tutti i giorni; mercati, faccende domestiche, interni o feste.

I primi grandi pittori di scene di genere si affermarono nei Paesi Bassi, paese con una forte componente mercantile.

Pieter Brueghel il Vecchio, Johannes Vermeer sono tra i più noti pittori olandesi specializzati nelle scene di genere.

In Italia tra i primi pittori ad aver dipinto scene di genere si segnalano il cremonese Vincenzo Campi e il bolognese Bartolomeo Passerotti.

Entrambi furono d’esempio per Annibale Carracci, il cui Mangiafagioli è uno dei dipinti di genere più celebri della pittura italiana.

I  soggetti pauperisti di Ceruti

La pittura europea del XVII e XVIII secolo è nota soprattutto per scene storiche, ritratti espressivi, nature morte e rappresentazioni idealizzate di soggetti religiosi e mitologici.

Ceruti si distingue invece per la particolarità pauperista dei suoi soggetti.

Il progetto espositivo vede esposte infatti tele di soggetto pauperista: mendicanti, vagabondi e persone umili.

In realtà Ceruti ha dipinto tele anche con soggetti religiosi, ritrattistica e nature morte, ma la sua fama è passata alla storia per la rappresentazione della vita reale e umile della strada.

I due mendicanti, Giacomo Ceruti, 1730
I due mendicanti, Giacomo Ceruti, 1730

Sono ritratti con oggettività e al contempo rispettosa partecipazione, dalla quale promana un senso di dignità e profondità interiore, il contributo più originale dell’artista alla pittura europea della prima età moderna.

L'accattone, Giacomo Ceruti, 1735
L’accattone, Giacomo Ceruti, 1735

Particolarità dei dipinti di Ceruti nel panorama europeo del 1700

Le straordinarie raffigurazioni a grandezza naturale di persone che vivono ai margini della società dipinte dall’artista dell’Italia settentrionale Giacomo Ceruti (1698-1767) sfidano una facile categorizzazione.

I soggetti delle sue immagini includono anziani e disabili che chiedono l’elemosina o seduti in preda alla stanchezza.

Mendicante seduto, Giacomo Ceruti, 1720
Mendicante seduto, Giacomo Ceruti, 1720

Oppure uomini, donne e bambini che lottano per la sussistenza come calzolai, merlettaie, filatori e facchini.

I tre ciabattini, Giacomo Ceruti, 1730
I tre ciabattini, Giacomo Ceruti, 1730

Scene di vita quotidiana

In un’epoca in cui i dipinti di genere (scene di vita quotidiana) rappresentavano spesso i poveri come ammonimenti moralistici o figure di parodia, Ceruti ritraeva i suoi soggetti con verosimiglianza ed empatia.

La filatrice, Giacomo Ceruti, 1730 - 1733
La filatrice, Giacomo Ceruti, 1730-1733

Le sue immagini ci presentano frammenti austeri della vita di persone spesso cancellate dalla storia, rappresentazioni inquietanti che sono allo stesso tempo profonde e difficili da spiegare.

Non è un caso che Ceruti si sia ritratto  con le sembianze di un pellegrino o di una persona umile.

Autoritratto come pellegrino, Giacomo Ceruti, 1737
Autoritratto come pellegrino, Giacomo Ceruti, 1737

 

La povertà e la diseguaglianza economica

Le rappresentazioni di Ceruti ci incoraggiano a considerare questioni più ampie come la disuguaglianza economica di allora e di oggi.

Il potere dell’arte di trascendere le categorie e sfidare le norme sociali.

In un gruppo di dipinti straordinariamente inquietanti dell’artista italiano del XVIII secolo Giacomo Ceruti ritrae mendicanti, vagabondi e lavoratori poveri.

Gli addetti alla spillatura del vino, Giacomo Ceruti, 1735
Lo spillatore di vino, Giacomo Ceruti, 1735

Essi sono ritratti con un realismo ipnotizzante, ma anche con un senso di dignità e profondità emotiva.

In un’epoca in cui gravi disuguaglianze continuano a segnare anche le società più ricche, il lavoro di Ceruti testimonia il potere duraturo dell’arte di riflettere la nostra comune umanità.

Le immagini di lavoratori e di senza tetto di Ceruti si dipanano  come protagonisti di storie distinte piuttosto che come tipologie generiche.

Scuola di cucito

Emblematico è il dipinto “Scuola di cucito”.

È una delle grandi tele che fa parte del cosiddetto ciclo dei Padernello dal nome del castello dove sono state trovate nel 1931.

Scuola di cucito, Giacomo Ceruti, 1720
Scuola di cucito, Giacomo Ceruti, 1720

Il quadro si intitola Scuola di cucito e rappresenta un gruppo di ragazze e donne di differenti età riunito in una stanza priva di arredamento, quasi uno spazio vuoto, a eseguire vari lavori, soprattutto di cucito, in un contesto di calma e decoro.

Le persone raffigurate sono vestite in modo modesto ma curato.

Le donne hanno dei lineamenti ben individuati.

I gesti sono precisi, di chi sa quello che fa e attende a farlo bene, come un dovere pacificamente accettato, lontano da qualsiasi costrizione apparente.

Emerge anche quella concentrazione assoluta che si trova in altre scene di cucito specie olandesi, e soprattutto nella sublime Merlettaia di Vermeer.

Il Ciclo di Padernello

Il Ciclo è composto da quindici grandi tele, acquisite da Bernardo Salvadego, all’asta della collezione Fenaroli che si tenne il 20 aprile 1882 a Brescia.

Ciclo di Padernello è da ritenersi, all’interno dell’articolata e a volte inaspettata, vicenda pittorica di Giacomo Ceruti (1698-1767) una raccolta di opere intesa come “summa artistica”.

Senza dimenticare e sottovalutare alcuni efficaci ritratti nobiliari, altre tele di soggetto pauperistico, le nature morte, e qualche esempio di pittura religiosa.

L’uomo di bassa statura

L’opera fa parte del cosiddetto “ciclo di Padernello”.

Si tratta di un caso esemplare della pittura pauperistica dell’artista che pone attenzione ai soggetti più umili, appartenenti alle classi sociali più basse, descritti con minuziosa veridicità, dalla giubba cenciosa al cappello bucato.

 

Il piccolo uomo, Giacomo Ceruti, 1720
Il piccolo uomo, Giacomo Ceruti, 1720.

Sullo sfondo un paesaggio agreste con un cascinale e alcune piccole figure e sulla sinistra il tronco di un albero in ombra funge da quinta alla scena. Il dipinto è dominato da una colorazione dai toni scuri e terrosi.

Mendicante seduto, Giacomo Ceruti, 1730
Mendicante seduto, Giacomo Ceruti, 1730

In questa tela “Mendicante seduto” l’uomo vestito con abiti poverissimi tiene in grembo una cesta e un bastone.

Il cromatismo sapiente permette di creare un gioco di volumi e di chiaroscuri che donano solidità a questa fragilità a questa fragile figura.

L’espressione dell’uomo  permette di cogliere anche tutta l’umanità dei poveri che Ceruti ben rappresenta anche in altre tele.

La mostra consente agli americani di conoscere per la prima volta un artista poco presente nei musei italiani di oggi, ma molto nelle collezioni private.

Un artista che ha saputo rappresentare la povertà attraverso i volti, i vestiti, le occupazioni, il modo di stare seduti.

Un artista che ha fatto della realtà “qualcosa di allora così nuovo e moderno da essere contemporaneo ancora oggi”, come dichiarato dalla curatrice delle collezioni della Pinacoteca bresciana, Roberta D’Adda.