“Tutte per Donna Sufì”

Sophia Loren a sedici anni.
Ritratto di Sophia Loren, attrice italiana dall’aspetto glamour. Indossa un abito senza spalline, una collana e orecchini di diamanti. Su sfondo bianco, scattato intorno al 1950. (Photo by Silver Screen Collection/Getty Images)

Tutte le strade portano alla realizzazione di un Sogno

Chi non ha avuto almeno un sogno da bambino? 

Poi, strada facendo, c’è chi se ne è scordato, chi lo ha perso fra i grovigli dei più urgenti impegni quotidiani, chi ne ha fatto un hobby preferendogli un lavoro “vero”, chi invece lo ha inseguito fino a raggiungere la vetta del successo e da lì, brillando, illumina il sentiero di chi è ancora in viaggio.

La storia che sto per raccontarvi vede per protagoniste cinque donne, ciascuna nel proprio ruolo, tutte impegnate nello stesso bellissimo progetto: celebrare in un radiodramma lo splendore di una stella di prima grandezza del migliore cinema italiano e internazionale: Sophia Loren. 

Lei, che il suo Sogno lo vive da decenni, può ispirare i sognatori che ambiscano a distinguersi nell’arte cinematografica.

Ed ecco i nomi dei personaggi coinvolti in quest’opera, in ordine di apparizione.

Francesca Giorzi: Responsabile della fiction radiofonica della RSI, la Radio della Svizzera Italiana con sede a Lugano.

Jasmine Laurenti: (la scrivente) giornalista culturale per betapress.it, scrittrice nonché “voce” di Nunziatina, cameriera dell’attrice Sophia Loren nella sua residenza ginevrina.

Francesca Quattromini: attrice amatoriale napoletana, mia provvidenziale “coach” in accento partenopeo.

Margherita Coldesina: Attrice e scrittrice di poesie nonché autrice, regista e coprotagonista del radiodramma dedicato all’intramontabile figura di Sophia Loren.

Mariangela D’Abbraccio: nota e pluripremiata attrice italiana di cinema e teatro, “voce” della Signora Loren.

La cosa che più amo del mestiere di attrice è il suo sorprendermi in modi sempre nuovi e arricchenti.

Questo radiodramma, scritto, diretto e interpretato per la Radio Svizzera Italiana dall’artista ticinese Margherita Coldesina, ne è un esempio. Intorno al suo bellissimo lavoro dedicato a Sophia Loren, ci siamo riunite nello studio otto, presso la sede di Lugano Besso, il 23 aprile scorso; ciascuna con il proprio bagaglio esperienziale, ciascuna in cammino verso la realizzazione del proprio Sogno.

La Chiamata

Ma andiamo per ordine. 

Tutto comincia, per la sottoscritta, il 19 marzo, quando ricevo una chiamata da Francesca Giorzi, responsabile della fiction radiofonica della RSI a Lugano.

“Jasmine, c’è questo personaggio carino, una cameriera napoletana… Come sei messa con l’accento partenopeo?”

“Grazie per aver pensato a me! Sai Francesca, il dialetto napoletano non rientra fra le mie specialità. Temo di non potervi aiutare, stavolta…” 

“Le battute non sono tante, e poi hai più di un mese per prepararti…”

“Vabbè, dai, ci provo.” E mentre lo dico, mi vedo lanciarmi fra le braccia di un tanghero argentino, io, che del tango ignoro pure i passi base. 

Il Mentore

Comincio a passare in rassegna le donne di Napoli che conosco. Mi viene in mente Chiara Sparacio, vicedirettore di Betapress.it, che è di origine siciliana ma vive a Napoli. È lei a mettermi in contatto con la giovane attrice Francesca Quattromini. Quest’ultima si presta gentilmente ad aiutarmi. Le propongo di lasciarmi un vocale su whatsapp, mentre legge le mie battute con accento partenopeo. Il gioco è fatto. Ho la sua traccia. Mi metto subito a “studiare”. Tanto, ho tutto il tempo che mi serve. 

Le Compagne di Viaggio

E arriva il grande giorno, alla radio.

Nella grande sala dove si registrano i radiodrammi, Margherita Coldesina è in postazione nelle vesti di autrice dell’opera, regista e attrice coprotagonista nella parte di… Se stessa!

Sin dalla più tenera età, lei scrive e recita. Il suo sogno è realizzarsi come attrice nel grande cinema. Come chi mira all’eccellenza, prende ispirazione da un’icona del cinema internazionale: Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, in arte Sophia Loren.

Ha appena sedici anni quando, sullo scaffale più alto di una videoteca, “incontra” la sua ignara mentore. Consuma, letteralmente, il nastro delle videocassette di novantatré su centoundici film, che vedono la sua stella polare brillare sul set accanto ad altri astri di fama mondiale.

Accanto a lei c’è Mariangela D’Abbraccio: stimata attrice napoletana, figlia e nipote d’arte, ha lavorato coi migliori in ambito cinematografico e teatrale. È lei che darà voce a “Donna Sufì”.

Da parte mia, Nunziatina, ce l’ho messa tutta per calcare le intonazioni suggeritemi da Francesca Quattromini nel suo vocale. Mi sento abbastanza pronta, ma l’incognita è grande. Margherita ha avi partenopei, Mariangela è un’attrice napoletana verace, Francesca pure… In “scova l’intruso” individuarmi è un gioco da ragazzi. 

E va bene, lo confesso: sono un’infiltrata, veneta da parte di padre e di madre. Non ho scampo, ma farò del mio meglio. Sudo freddo. 

La trama del radiodramma

Il radiodramma, che ha il sapore di un sogno lucido, profuma di caffè e ragù come si fanno a Napoli. Si svolge a Ginevra, nell’abitazione della mitica Sophia. Accanto a lei c’è la cameriera, “Nunziatina Esposito nata a Pozzuoli di anni sessantasette”, intenta a preparare il pranzo. 

A un certo punto suona il campanello e, per andare ad aprire, lascia il ragù sul fuoco. Trova una ragazza riversa sul pianerottolo, a “quatt’e bastune”: Margherita, appunto, nei panni della fan della celebre attrice. Le è bastato suonare il campanello e sentire la voce della domestica in arrivo per svenire, letteralmente, per la troppa emozione. Svenimento provvidenziale, il suo: la Loren, per consentire alla giovane donna di riprendersi, non solo decide di accoglierla in casa, ma anche di invitarla a pranzo.

Segue un divertente dialogo fra Sophia e Nunziatina la quale, scocciata per l’imprevisto che l’ha costretta a lasciare incustodito il suo ragù, se ne ritorna in cucina. 

Quindi serve a tavola e lascia le due donne a conversare, gustando il loro piatto di pasta. Tra una forchettata e un sorso di buon vino, Sophia e Margherita si scambiano memorie e aneddoti, via via arricchiti da dettagli inediti rivelati dalla Loren alla sua sempre più entusiasta ammiratrice.

Alla ricerca della Verità

Prima di registrare si fa una prova.

In sala nello studio otto siamo in tre: Margherita nei panni di se stessa, Mariangela nel ruolo di Sophia e la sottoscritta come Nunziatina. 

No, non va: il mio accento suona eccessivo, caricaturale. Ed è così che accade con i non nativi: per fingere di esserlo, si sforzano. Del resto, è quello a cui ci siamo abituati nel teatro goldoniano. Se gli attori non sono veneti, fingono di esserlo e si sente. Insomma: dobbiamo escogitare qualcos’altro. Un lieve accento francese? Un po’ mi dispiace, lo ammetto, per l’impegno che ci ho messo e anche per l’attrice di Napoli, Francesca Quattromini, che tanto gentilmente mi aveva aiutata. Del resto, comprendo che l’obiettivo è la naturalezza, non l’accento napoletano a tutti i costi. Così, si arriva alla conclusione che è meglio accennarlo appena. Interiorizzarlo, addirittura. Il risultato è più che dignitoso. Margherita è felice. Mariangela, sorridente e rilassata, annuisce. Francesca Giorzi entra in sala e ci scatta delle foto, immortalando la nostra avventura.

Funziona. Tiro un sospiro di sollievo. 

Mentre torno col pensiero a quei momenti, realizzo che noi donne eravamo spettatrici del graduale manifestarsi del sogno di Margherita.

L’Autrice infatti, come nelle migliori favole, aveva posto le premesse per avverare ben tre desideri: scrivere per la radio, incontrare di persona il suo Mito e, calcandone le orme, imporsi all’attenzione del grande cinema. 

Le auguro di cuore di seguire il brillìo della sua Stella fino a prenderne il testimone, sulla Vetta riservata a pochi eletti.

Mentre il suo viaggio è in corso, la raggiungo per un’intervista. 

 

L'attrice e scrittrice ticinese Margherita Coldesina

Il Sogno di Margherita Coldesina: “Non c’è nessuna porta”

J.L.: Chi è Margherita, oltre le parole che scrive e interpreta?

M.C.: È quella persona che la sta aspettando alla fermata successiva a quella in cui scende sempre.

J.L.: Qual era il suo sogno da bambina?

M.C.: Fare l’attrice oppure il falegname.

J.L.: A che punto è della sua realizzazione?

M.C.: Il falegname dell’anima sta scolpendo tutte le facce dell’attrice, compresa quella vera, incorruttibile anche dall’arte o dalle richieste di interpretare questo e l’altro personaggio.

J.L.: Aldilà del fatto che sia la leggenda vivente del cinema italiano e internazionale, perché proprio Sophia?

M.C.: Mi ha scelto lei, lei intesa come parte del tutto. Sophia è il frammento di un universo che ho conosciuto intimamente in altre vite, è un espediente incaricato di ricordarmi chi sono e perché sono qui sulla Terra con questa brama di calarmi in ruoli senza cinture di sicurezza allacciate. Quando entro in qualcosa, io ci entro del tutto, mi sporgo da me stessa e rischio tutto.

J.L.: Nella fiaba a lieto fine della tua icona, quali sono i momenti della sua vita privata e professionale che più ti ispirano nei momenti più sfidanti del tuo percorso?

M.C.: È nata sbagliata, con un padre che non l’ha riconosciuta. E invece di subire gli eventi conseguenti a un’infanzia fatta di miseria e fame, ha imbrigliato la sua sofferenza con le redini della disciplina e ha liberato il purosangue che sentiva intuitivamente di essere. E prima o poi, se sei un purosangue, corri talmente veloce che cambi il mondo e chi assiste alla tua corsa. Il coraggio, quando è incarnato, sconvolge, cambia le persone.

J.L.: So che, per poter scrivere di lei, hai passato in rassegna circa tremila tra giornali dell’epoca, riviste, rotocalchi e documenti d’archivio. E poi, le ore che hai trascorso a guardare novantotto dei suoi più che cento film e non una, ma più volte. Infine, ti ci sono voluti due anni per trovare il suo indirizzo di casa a Ginevra. Quanto è importante la perseveranza, nella realizzazione di un sogno?

M.C.: Direi che è l’unico requisito. Ma prima viene il talento. E la cosa bella è che ognuno ne ha uno. Una cosa in cui brilli ce l’hai tu, lui, la barista, quel bambino che gioca a calcio, la signora imbronciata qui vicino che beve un Martini. E col talento, se lo addestri, diventi un supereroe.

J.L.: E se il radiodramma fosse un modo per profetizzare il tuo incontro con Sophia nella vita reale? 

M.C.: Ne sono convinta. Ma, come dicono i saggi: “Tua è l’azione, ma non il frutto dell’azione.” Vedremo.

J.L.: Nell’opera riveli, di Sophia, l’aver vissuto il trauma del non riconoscimento da parte del padre. Se, come ipotizzi, è stato il dolore per quel rifiuto primordiale a spingerla sulla scala di un Successo planetario… Cos’è a spingere te a raggiungere la vetta del tuo successo?

M.C.: Anche io ho un Edipo consistente, mettiamola così. È sempre tutta una faccenda d’amore impastata con la tragedia, la vita. È come venire al mondo: funesto ed epifanico, no?

J.L.: A un certo punto, mentre si rivolge alla cameriera che minaccia di buttare il ragù rimasto a cuocere troppo a lungo, attribuisci alla Loren la frase: “Non l’hai patita tu la fame come me e mia sorella… E zia Dora, e mamma che cercava disperatamente tutto il giorno qualcosa da mangiare per noi, e mica si arrendeva.” E ancora: “Non un mito, ma una diva, sì. Coi piedi bene a terra, perché ho conosciuto la povertà, quella vera, ma ho anche vissuto un mondo dello star system che oggi ve lo sognate.” Sono parole che rendono l’idea di un’infanzia così umile e dura, che sembrerebbe impossibile poter soltanto immaginare, per la protagonista, un radioso futuro. Quanto può incidere e in che modo, secondo te, un critico esordio, sul buon esito di un destino? 

M.C.: Se non hai fame, non seminerai la terra, e non raccoglierai; se ti arrendi a soggiornare nella parte di te più diurna e ti rifiuti di sbirciare cosa c’è nascosto nel precipizio che ogni giorno ti sussurra all’orecchio le emozioni più violente, e le paure, e ciò che è inammissibile per te confessare, allora la vetta che ti è dato conquistare sarà rassicurante come una collinetta, al massimo un monte. Io punto alle stelle: quando arriverò in cima all’Everest cercherò una scala per il cielo e mi appenderò alla coda di un astro.

J.L.: Ecco, come vedi la tua ascesa nello Star System? Ritieni che al giorno d’oggi sia ancora possibile, per un’attrice, cogliere delle Opportunità, pur rimanendo fedele a se stessa e ai propri valori?  

M.C.: Credo che non esistano le epoche, esistono le proprie oscurità dalle quali emanciparsi; e non esistono le opportunità, esiste l’autolegittimazione a illuminare col proprio talento il mondo.

J.L.: Se il primo giro di boa artistico Sophia l’ha fatto grazie al sodalizio con il regista Vittorio De Sica, qual è il regista con cui stringeresti il tuo sodalizio artistico, per il tuo giro di boa?

M.C.: Se fossero vivi: Cassavetes e Visconti. Amo Woody Allen e Carlo Verdone, per restare sulla Terra. Ma anche centinaia di altri. Non è questione di registi, è questione di missione: so che mi verrà incontro chi favorirà l’esercizio di questo mandato che sento di avere.

J.L.: Quanto è importante, per te, il riconoscimento pubblico, come lasciare l’impronta delle proprie mani sulla Walk of Fame o l’assegnazione di un prestigioso premio? 

M.C.: Il mio piccolo io dice tantissimo, non vedo l’ora; il mio sé evoluto sorride. Indovina quale dei due è lecito ascoltare? Quale dei due ti rende più grande (e, di conseguenza, magicamente, artisticamente una bomba)?

J.L.: Sai, ho un debole per la mia bimba interiore. L’ho trascurata troppi anni per non tifare per lei. Oggi è a lei che dò la precedenza. E alla voce del Creatore, che tuona quando serve. Ma torniamo a Margherita. Riusciresti a conservare la tua semplicità, nonostante il Successo? 

M.C.: Chi mi conosce dice di sì. Vedremo, magari comprerò quattro limousine e girerò malvestita purché griffata, diventerò arrogante e smetterò di leggere i grandi maestri d’Oriente. Ma sospetto di no…

J.L.: La scena madre de “La Ciociara”, quella in cui Sophia, nei panni di Cesira, inveisce contro gli stupratori della figlia, è stata girata una volta sola. Com’è immedesimarsi in un ruolo al punto da viverne le emozioni in modo così vero, da non dover ripetere la scena una seconda volta? Come si fa a interpretare un ruolo in modo così autentico?  

M.C.: La bravura di un attore non è frutto di magia: è, banalmente, direttamente proporzionale al suo progresso spirituale in quanto essere umano, tutto lì.

J.L.: Nel tuo radiodramma Sophia dice: “Niente rende una donna più bella della convinzione di essere bella. Te lo devi sentire dentro, qui, nel petto.” Sono parole effettivamente sue, o gliele hai attribuite tu e se sì, in che modo rispecchiano il tuo approccio nei confronti dell’aspetto esteriore di una donna?

M.C.: Sono parole che le ho messo in bocca io, perché Sophia – se la guardi nelle interviste in TV appare in maniera eclatante – è così luminosa e ammantata di fascino perché dentro di sé ha costruito un edificio virtuoso. Una donna bella è bella solo perché è bella dentro, “sennò non ti innamori”. A dispetto di ciò che appare in superficie, la bellezza è meritocratica.

J.L.: Sophia, per te, non è soltanto il trionfo di curve e istinto: è l’emblema dell’incontro fra intelligenza e cuore: lì dove si incontrano il talento e l’opportunità. Come si fa a mettere d’accordo intelligenza e cuore?

M.C.: Avendo coraggio.

J.L.: E come si fa a riconoscere l’Opportunità della vita, quando si presenta?

M.C.: È ineludibile, suppongo. Io di sicuro la riconoscerò come riconoscerei un figlio.

J.L.: Per Sophia il coraggio è – parlando di Picasso – “Sapere di poter corrispondere perfettamente a ciò che vuole il costume dell’epoca – nel suo caso il realismo, e lui disegnava perfettamente – e decidere di spingersi oltre.” Cos’è il coraggio per Margherita?

M.C.: Avere una fede incrollabile nella missione che sento albergare in me. Esserne all’altezza. Proseguire, qualsiasi cosa (non) accada.

J.L.: Alla Loren fai dire: “Il cinema, cosa credi? Non è mica una passeggiata. Il cinema pretende; dà tanto, ma pretende.” A che cosa Margherita è disposta a rinunciare, per amore del suo Sogno?

M.C.: Alla versione di me che ha un minimo dubbio.

J.L.: Prima di lasciarci, vorrei tu dedicassi un pensiero a tutte le donne che stanno avanzando verso la realizzazione del proprio Sogno. 

M.C.: “La chiave è che non c’è nessuna porta.” È una delle mie ultime poesie, sicuramente una fra le mie preferite, ed è anche la frase-guida di un progetto di danza che sto sviluppando insieme a mia sorella Alessia, meravigliosa ballerina, donna e mamma.

J.L.: Ecco, appunto! Stai lavorando a nuovi progetti dietro le quinte? Ti va di anticiparci qualcosa?

M.C.: Quanto tempo abbiamo??!

J.L.: Eh, mi sa che è ora che raggiunga Francesca! (Saltando sul treno per Napoli) Ne parliamo la prossima volta, se ti va! (Esclamo, con voce portata, dal finestrino del treno in corsa).

 

Margherita Coldesina: Attrice, Scrittrice e Autrice di Radiodrammi per la Radio Svizzera Italiana

Il Sogno di Francesca Quattromini: “Illuminare il mondo”

Come già detto, a Francesca ho affidato le battute di Nunziatina, affinché le leggesse con accento napoletano in un vocale da inviarmi su whatsapp.

Riascoltando il suo messaggio più volte, sono riuscita – proprio io, veneta dal paleolitico da parte di padre e di madre – a interpretare il ruolo di una nativa di Pozzuoli che, in Svizzera da decenni, conserva ancora un’ombra delle proprie origini, nel modo di parlare spiccio e ironico.  

Attrice “non professionista” come tiene a precisare, recita da quando aveva tredici anni. Oggi va per i trentotto, ed è sempre attiva nel teatro amatoriale e nella produzione di audio fiction. Per lei la gavetta è quasi più importante del raggiungimento della… Vetta. 

La raggiungo per una breve chiacchierata e, visto che ci sono, le chiedo se ha un Sogno nel cassetto. Tutto quello che so, al momento, è che il 9 giugno prossimo, al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (Napoli), sarà protagonista della commedia in due atti di Salvatore Barruffo “Un mistero al cimitero”. 

J.L.: A tredici anni hai preso parte a un laboratorio teatrale e da lì, non hai più smesso di recitare…

F.Q.: A undici anni, con le mie amiche, giocavo a interpretare i personaggi di alcuni film. È da lì che è nata, in me, la voglia di recitare. Poi un giorno mia madre venne a sapere che, vicino a dove abitavamo, si svolgeva un laboratorio teatrale. È lì che si è accesa in me la passione per il teatro, che amo con tutta me stessa.

J.L.: Hai preso parte a delle audio fiction con Yuri Salvatore (figlio dello scomparso artista napoletano Federico Salvatore, famoso per la sua canzone “Sulla Porta” ndr). Cosa ti ha lasciato questa esperienza come “voce”? Ti ha aiutata a crescere anche come attrice teatrale e se sì, in che modo?

F.Q.: Sono contentissima di aver preso parte a due audio fiction di Yuri Salvatore. Ha fondato la compagnia “Le Voci di Dentro”, di cui fanno parte attori di tutta Italia. Ogni attore manda a Yuri la registrazione della propria voce, così che possa essere aggiunta alle altre nella creazione dell’audio fiction. Aver potuto collaborare con lui mi ha arricchita tantissimo. Per noi attori, infatti, abituati ad avvalerci della gestualità e della mimica facciale per esprimere emozioni, riuscire a farlo con la voce soltanto è cosa non da poco. E poi, tieni conto che “Le Voci di Dentro” è nato proprio nel 2020, nel periodo più difficile per noi artisti, che non potevamo fare praticamente niente. Il suo è stato un modo per non far morire l’arte.

J.L.: Che consiglio daresti a chi volesse fare l’attore teatrale?

F.Q.: Il consiglio che gli darei è di non correre e fare la gavetta. Purtroppo i giovani d’oggi, anche per colpa dei talent, vogliono tutto e subito. Ma non funziona così. Se vuoi fare teatro, ad esempio, devi cominciare da zero e, magari, portare il caffè agli attori bravi cercando di carpire loro, dietro le quinte, i segreti del mestiere. Poi, pian pianino, iniziare con parti piccole e andare avanti, un passo alla volta, fino ad arrivare in cima. Se parti dalla vetta non impari nulla e “ti bruci”.

J.L.: So che sei stata scelta come protagonista di “Un Mistero al Cimitero”, commedia in due atti scritta e diretta da Salvatore Barruffo, in cartellone il prossimo 9 giugno al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (NA).

F.Q.: Sì, reciterò il 9 giugno nella commedia “Un Mistero al Cimitero” del maestro Salvatore Barruffo, che recita da oltre quarant’anni – ha preso parte a “Un Posto al Sole” e a “La Squadra” – ha scritto moltissime commedie ed è autore di libri come “Cercasi cuore disperatamente” e “Tre casi per casa”.

J.L.: È la prima volta che reciti da protagonista?

F.Q.: No, non è la prima volta, ho interpretato il ruolo di Lisetta nella versione di Gianfranco Gallo della Lisistrata, “Quartieri Spagnoli”. Stavolta però è diverso, il personaggio di Lucia in “Un Mistero al Cimitero” è più importante… 

J.L.: Importante al punto di farti cambiare idea riguardo al tuo futuro come attrice di professione?

F.Q.: No, non cambio idea su questo. Non mi interessa né guadagnarci, né partire per le tournée. Sono felice della mia vita privata e disposta a tutto pur di proteggerla. A maggior ragione, ringrazio il maestro Salvatore Barruffo per avermi dato questa opportunità: lui ha visto e vede in me tante qualità. Lo ringrazio dal profondo del mio cuore, ma sto bene così. 

J.L.: Prendendo a pretesto il radiodramma scritto e diretto per la Radio Svizzera dall’attrice Margherita Coldesina, abbiamo parlato di sogni e del nostro viaggio verso la loro realizzazione. Qual è il tuo Sogno?

F.Q.: Il mio sogno è mantenere accesa, in me, la luce del mio amore per il teatro, che amo immensamente ed è una parte di me, e un’altra luce più grande: l’amore che sento per le persone che mi circondano e per la mia famiglia, mio figlio e mio marito. Il mio sogno è rimanere una fonte di positività per chi mi sta accanto e, per grazia di Dio, essere una brava persona. Mi auguro di riuscirci. 

J.L.: Grazie ancora Francesca, per avermi aiutata ad acquisire una prosodia partenopea! 

F.Q.: Grazie a te Jasmine ♥

 

 

 




“Spegni la TV, riaccendi la speranza”

Triennio 2020-2022: responsabilità di istituzioni e media nel sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A quanto pare, le restrizioni adottate e una cattiva gestione dell’informazione hanno influito in modo significativo sul benessere mentale delle persone più fragili, specialmente se intolleranti all’incertezza, o con disagio mentale preesistente.

In Italia, si assiste tuttora a un sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A confermarlo sono i risultati di ricerche scientifiche e studi condotti dall’ISS e dall’OMS, di cui condivido i link per chi volesse approfondire l’argomento.

Il fattore determinante è la paura

Raggiungo a Milano la dott.ssa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista dal 1982 e Consigliere Nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, per fare il punto della situazione.

Le chiedo quale sia, a suo avviso, il fattore determinante. “Nel 90% dei casi è la paura. Prima eravamo abituati all’idea di poter fare qualsiasi cosa, come se la morte non esistesse o fosse una lontanissima probabilità, che comunque non accade mai a noi. Improvvisamente siamo stati colti dalla paura di morire. Ed è questa paura ad aver schierato le persone in fazioni, alimentando divisioni e discriminazione.”

 

Le categorie più fragili

In base all’esperienza dell’intervistata, ad essere più colpiti sono gli adolescenti, molti dei quali manifestano forme di fobia patologica a tutto.

“La paura della morte è primordiale e ne siamo tutti più o meno toccati. Da ragazzi ci crediamo immortali. Col passar del tempo, si fa sempre più vicina. Il grande dramma al quale assisto nel mio lavoro è che il 90% dei miei giovani pazienti, alla domanda ‘Come va?’, risponde ‘Boh’. In generale sembra non abbiano più parole per ‘documentare’ ciò che provano, chi sono. L’unica parola che riescono a dire è ‘Boh’. I giovani d’oggi crescono senza conoscere se stessi” prosegue “E questo vale per tutti noi: non ci conosciamo più. ‘Grazie’ al computer e più in generale alla tecnologia, è come se viaggiassimo con un bigino in tasca della vita. Non abbiamo più una vita ‘vera’ dove incontrare le persone, conoscerle, capirle, confrontarci con loro sui fatti della vita. Molti di noi  – continua – tendono a chiudersi in ‘bolle’ in cui tutto va bene, tutto è perfetto …  Ma non è vero: sembrano ‘cadaveri’ che camminano. Non c’è la voglia di conoscersi, di ascoltarsi: ci si interrompe continuamente. Gli ascoltatori sono circa il 10%. Troppo pochi.” 

Riguardo alla donna, la Dott.ssa Pagliacci Cipriani non concorda con i risultati degli studi che ne evidenzierebbero una maggiore vulnerabilità. Pur essendo più sensibile al cambiamento, infatti, la donna ha sempre dimostrato una maggiore forza e resistenza rispetto all’uomo. Quest’ultimo, per sua natura, tenderebbe all’ipocondria, sottoponendosi a mille esami e analisi per accertare l’eventuale presenza di una malattia. Comunque l’uomo, più abitudinario rispetto alla donna, farebbe più fatica ad accettare e gestire il cambiamento.  

Per quanto attiene alla categoria sociale più colpita, la dott.ssa Pagliacci individua nella classe più abbiente una maggiore vulnerabilità alla sofferenza provocata dall’idea della morte, non più vista come lontanissima probabilità ma come qualcosa che può accadere da un momento all’altro. Di qui la corsa al vaccino vissuto come qualcosa di taumaturgico, in grado di salvarti la vita. Senza tener conto del fatto che, essendo in fase sperimentale, le conseguenze del suo utilizzo non erano e non sono tuttora pienamente prevedibili. 

Le fasce sociali media e bassa invece, più abituate alla “sofferenza”, hanno a suo avviso reagito molto meglio rispetto alla classe “alta”.

 

Il ruolo delle Istituzioni

Alla mia domanda sul modo in cui le restrizioni imposte abbiano influito sull’aumento degli individui colpiti da ansia, depressione e stress, la Psicanalista risponde che a tutt’oggi, nonostante non sia più obbligatorio, in ambiente ospedaliero rimane l’imprinting di indossare le mascherine. Questo, ovviamente, mantiene vivo il ricordo dei peggiori momenti del triennio trascorso, alimentando ulteriormente l’ansia.

E qui la dottoressa, che premette di odiare le etichette “pro vax” / “no vax” e i protocolli*, racconta un episodio della sua vita personale. Il fratello aveva avuto un tumore al polmone. Era stato operato e l’intervento era andato benissimo. Stava bene. Tuttavia il protocollo esigeva per lui la somministrazione di più dosi di vaccino. “È morto in ospedale in seguito a questi protocolli” conclude la Dottoressa Pagliacci Cipriani, convinta che se fosse rimasto a casa, curato da un medico “come quelli di una volta” che ti guardavano e capivano subito quello che avevi, e avesse preso le sue medicine, molto probabilmente oggi sarebbe ancora in vita.  

 

Il ruolo dei giornalisti e dei Media

Su quale sia la responsabilità dei giornalisti e dei media riguardo alla diffusione della paura, l’intervistata non ha dubbi: “È immensa: l’informazione trasmessa da radio e televisione nell’arco del triennio è tutta all’insegna della paura. Rare sono le persone che si azzardano a dire: ‘Tranquilli …’ e quei pochi vengono additati come quelli della contro informazione. 

“Quando muore qualcuno – prosegue –  tu stai bene al momento. È dopo che viene fuori il lutto. La stessa cosa è successa con il Covid. All’inizio si sono avuti dei drammi reali. È in un secondo tempo che sono emersi tutto l’immaginario e una scenografia deleteria: l’informazione aveva minato alla base tutto ciò in cui credevi. Accendevi la tv e sentivi, una dopo l’altra, centomila cose deleterie. In meno di un anno si è arrivati a non avere più fiducia in niente, soprattutto nei riguardi dei media e delle istituzioni. Dal patriottismo sanitario del ‘volemose bene’ – bandiera alla finestra, ‘Evviva l’Italia’, ‘Siamo tutti uniti’, ‘Che bello, siamo insieme’ – si è passati, nel giro di pochi mesi, a ‘Basta (cattive notizie ndr), non ce la faccio più’. Alla stanchezza e a un generale senso di impotenza si sono aggiunte, nel tempo, le fazioni. Senza ahimè comprendere che nelle guerre non ci sono mai né vinti, né vincitori. Gli schieramenti hanno generato incomprensioni, che hanno messo fine a rapporti di amicizia e di amore. Da un giorno all’altro, persone che credono di conoscersi da una vita si ritrovano improvvisamente ‘nemiche’. Anche quando dici di conoscere qualcuno, infatti, in realtà non lo conosci affatto. È solo nei momenti più drammatici che puoi conoscere davvero una persona: nelle malattie, nella lotta per la vita, nelle difficoltà economiche. Allora ti rendi conto che l’altro è simile a te non perché ne condividi per forza le idee, ma perché le manifesta con la stessa libertà con cui tu esprimi le tue.”

 

L’elaborazione del lutto

Affrontiamo ora il tema del dolore emotivo e della sua metabolizzazione.

“Nel primo periodo si sono avute molte morti in terapia intensiva, causate dal sovradosaggio di ossigeno che ha distrutto i polmoni dei pazienti”, dice l’intervistata, che entra nel merito del tipo di dolore affrontato. “Il dolore causato dal dramma vissuto dai parenti è quello di chi perde un proprio caro non in seguito a una lunga malattia, ma da un momento all’altro, a causa di un incidente. Nel primo caso c’è tutto il tempo per abituarsi all’idea della morte. Nel secondo si vive un ‘dramma’, e si cerca un colpevole da accusare. L’informazione, diffondendo un minestrone di idee contrastanti, non ha certo aiutato le persone a reggere il dolore per l’improvvisa, inaspettata perdita dei propri cari. A tutto questo si aggiunge la scarsità o l’assenza addirittura di iniziative, da parte delle istituzioni, tese a offrire un sostegno di carattere psicologico al maggior numero possibile di persone.”

 

La nuova normalità

Oggi si parla tanto di “nuova normalità”. Ma che cos’è e quanto ci costa, a livello mentale, accettare e adattarci a questa nuova normalità?

“Non è una nuova normalità – risponde la Dott.ssa Pagliacci Cipriani – è convivere con il pensiero che, dietro alla porta, possa sempre capitare qualcosa. Guarda caso, subito dopo il Covid c’è stata la guerra: è un continuum. E questo pensiero è comune in tutte le fasce d’età. Anche i giovani, interrogati sui loro progetti e sul loro futuro, non sanno più cosa rispondere. È forse questa la ‘nuova normalità’ di cui tanto si parla? Certamente no. È una ‘sopravvivenza’ aspettando qualcosa che magari non arriverà mai più e che se arriva, è un qualcosa che stavi comunque aspettando. È bruttissimo.”

 

Il miglior antidoto alla paura

Per concludere chiedo alla Psicanalista quale sia, a suo parere, il miglior antidoto alla paura. “La speranza. Se nutri speranza, per esempio riguardo a un progetto, puoi ancora pensare che ogni cosa si risolverà. Ma se la speranza viene a mancare, soggiogata dai ‘Boh’, c’è poco da fare. Dovrebbe però, a mio parere, rinascere in una forma nuova, all’insegna del ‘basta con l’apparenza’. Non ne possiamo più dell’apparenza!”

 

Il modus operandi

“La scuola americana cognitivo comportamentista dice: ‘Cosa hai fatto? Ti spiego’. Io sono assolutamente certa che se tu non hai capito cosa precede il cosa è successo e poi vediamo cosa fare, non potrai mai guarire davvero. Perché sarà un cerotto. Quello che vedo, tra molti dei miei colleghi, è una superficialità ormai così forte per cui ciò che interessa è innanzitutto il guadagnare … Sono pochissimi i colleghi che si rendono conto che il paziente non ha neanche gli occhi per piangere. Oggi c’è: quanto ti deve dare, cosa deve fare … Anche qui parliamo di protocollo. Non parliamo di umanità, è come se l’umanità fosse scomparsa. Perché? Perché non si guarda oltre all’apparenza: quello che è ricco, quello che conta … ma chi se ne frega? Io devo guardare quello che c’è dentro. Devo aiutare questi ragazzi che urlano in silenzio.”

 

Le fonti

Dai risultati di uno studio condotto dall’ISS e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Padova, pubblicata dalla rivista accademica Bmj Open, si apprende che in Italia, durante il lockdown, l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio.  

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6898844

https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2022-04-26/covid-iss-il-lockdown-e-aumentata-depressione-soprattutto-giovani-160507.php?uuid=AE6GUTUB

L’OMS, nel testo della sua Costituzione firmata a New York il 22 luglio 1946, dà della salute questa definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Eppure, nel Survey pubblicato il 5 ottobre 2020, il Direttore Generale Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, ammette che il “COVID-19 ha interrotto i servizi essenziali di salute mentale in tutto il mondo proprio quando erano più necessari. I leader mondiali – continua – devono muoversi in modo rapido e deciso per investire di più in programmi di salute mentale salvavita, durante la pandemia e oltre”. 

https://www.who.int/news/item/05-10-2020-covid-19-disrupting-mental-health-services-in-most-countries-who-survey#:~:text=Bereavement%2C%20isolation%2C%20loss,outcomes%20and%20even%20death

Sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite si legge un riassunto del documento emesso dall’OMS il 10 marzo 2022: “Covid-19 aumenta del 25% i casi di ansia e depressione”. L’articolo mette in evidenza chi è stato maggiormente colpito e riassume l’effetto che la pandemia ha avuto sulla disponibilità dei servizi di salute mentale e su come questi siano cambiati durante il triennio.

https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/

 

 




All’anima dell’Italia

L’Italia sta male ma può guarire

L’Italia soffre di un male perfettamente curabile con il ritorno ai princìpi sanciti dalla sua Costituzione.

Dov’è finito il rispetto per il lavoro e la dignità umana?
Che fine hanno fatto i Valori fondanti della Democrazia?

La “guarigione” è possibile, a patto che ci sia una presa di coscienza collettiva.

L’anima del popolo italiano

Se un popolo ha un’anima, questa è la sua Costituzione: la Carta che sancisce i principi ispirati affinché le Istituzioni di un Paese possano garantire la piena realizzazione della persona umana.

L’articolo 3 comma 2 della Costituzione Italiana lo dice espressamente: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

L’Italia – Paese notabile per bellezza, cultura, ingegno, creativa operosità e amore per l’eccellenza in ogni ambito produttivo – soffre le inevitabili conseguenze dell’abbandono dei princìpi su cui si basa la sua esistenza.

Fatta la diagnosi, ecco la cura.

Mauro ScardovelliLo scorso gennaio il giurista e psicoterapeuta Mauro Scardovelli ha lanciato una petizione candidandosi come Presidente della Repubblica italiana.

Consapevole di non poter contare sulla cassa di risonanza dei media e che il popolo, non sufficientemente informato, potesse non scorgere nel ritorno ai valori costituzionali l’opportunità per ripristinarne la sacralità, Scardovelli ha presentato il suo programma chiamato: “Nuovo Rinascimento”.

Eccone i presupposti:

  • Dio ha bisogno di noi, per instaurare il suo Regno: l’Uomo, di fatto, è co-creatore del progetto divino
  • La Cura ai mali che affliggono l’Italia ormai da decenni è assicurata dall’applicazione della “sacra” carta costituzionale, alla quale le Istituzioni dovrebbero ispirarsi per consentire una ripresa economica e sociale del nostro Paese e il benessere dei suoi Cittadini
  • Il Presidente della Repubblica deve riprendere la sua funzione di garante della Costituzione ed essere espressione diretta della volontà popolare

Da troppo tempo ormai i media si rendono portavoce di valori tutt’altro che funzionali allo sviluppo di un’autonoma capacità critica, di una presa di coscienza, di un risveglio spirituale dell’Uomo, reso incapace di discernere la Verità che potrebbe renderlo, finalmente, libero.

Il narcisismo dilaga e riflette il sistema che ne è al tempo stesso radice e frutto.

Le sue caratteristiche sono un basso livello di consapevolezza, sete di potere e di dominio, competitività.

Purtroppo, l’Uomo di oggi – afflitto da un narcisismo etico-psico-spirituale – e il “sistema” generato dal suo subconscio, sono incompatibili con il ripristino di una Democrazia costituzionale.

Il “nuovo Rinascimento”

Secondo Mauro Scardovelli è tempo che le Istituzioni tornino a rispettare la Carta Costituzionale e a educare i Cittadini a incarnarne i valori.

Intellettuali, esperti e giornalisti devono dire al pubblico ciò che lo fa star bene, anziché inondarlo di inutili informazioni.

È necessario che i media – fatti a suo dire da persone che alla competizione preferiscano la cooperazione – adottino un linguaggio chiaro, semplice e sintetico: una comunicazione ad alto livello che stimoli il sistema endocrino dei Cittadini a produrre ormoni del benessere, rafforzando il loro sistema immunitario.

Ai media serve, soprattutto, una visione che introduca la Verità.

Una volta ristabilito, il governo costituzionale deve provvedere a tutti i Cittadini un’adeguata formazione.

La democrazia, infatti, non è possibile senza un pieno sviluppo della persona umana, della coscienza etica e della capacità di amare, in senso cristico, chiunque.

Conclusione

La Rivoluzione Costituzionale è il risultato della trasformazione interiore di ogni singolo Cittadino.

Basta con le lamentele, basta con le critiche inutili e distruttive!

È tempo di assumersi le proprie responsabilità.

È tempo di risvegliarsi a nuova consapevolezza, sviluppando la capacità di amare.

È tempo infine, per i media, di rivoluzionare il loro modo di comunicare e di mettere al primo posto il benessere della loro audience.

Solo così, potremo sperare in un avvento del Regno di Dio sulla terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“La Vita è una Scultura” con Sergio Grasso.

Aperitivo in trattoria …

Sono passati trentatré anni dalla sera in cui, in quella trattoria nel trevigiano, aspettando che si liberasse un tavolo, Sergio propose di farci un “cicchetto” al bancone.

Non dimenticherò mai il suo sguardo, quando mi azzardai a chiedere una cola: a distanza di più di tre decenni, al solo ricordarglielo, sgrana gli occhi come alla vista di uno spettro. Divertito però.

Ma torniamo indietro di trentatré e una manciata d’anni.

 

… nella ridente Marca Trevigiana.

Correva l’anno 1976. Le prime Radio private spuntavano qui e lì, come funghi dopo una bella piovuta.

Un giorno mamma portò a casa una bianca Brionvega.

Non mi ci volle molto a scoprire il paradiso, selezionando la modalità “fm”.

Fu subito amore: abbandonai la Barbie e Ken per Radio Marca, un crogiuòlo di talenti vocali tra i quali spiccava, per spessore e autorevolezza, lo speaker Sergio Grasso, allora poco più che ventenne.

Ci sono cose che la ragione non può spiegare. L’istinto invece sì: è “lui” a dirti che qualcuno è lì soltanto di passaggio, che il suo Destino è altrove, e la sua voce sarà udita (quasi) ovunque.

Così è stato.

Trentatré e una manciata d’anni dopo …

… mentre il resto d’Italia è davanti alla tv per godersi la finale del Festival di San Remo, incontro il mitico “Sergione” per una chiacchierata.

Nato a Venezia l’undici dell’undici del cinquantacinque alle ventidue e ventidue – quale esperto numerologo non vorrebbe tracciare il suo profilo? – la vita di Sergio si snoda in cicli della durata di undici anni: giusto il tempo di farsi venire nuove Idee, intraprendere nuove avventure, portare a compimento nuove imprese.

La prima di una serie di tappe che lo avrebbero portato, negli anni successivi, a esplorare il variegato mondo dei media come “voce” e non solo, fu la Radio.

Interviene e puntualizza: “Si dice ‘mèdia’, non ‘mìdia’, visto che deriva dal latino”.

In vena di confidenze, Sergio ammette di aver sempre odiato la sua voce fin da quando, appena undicenne, prendeva lezioni di canto lirico da Mario Del Monaco. Come baritono.

Prosegue raccontando che, quando gli capitava di chiamare l’amichetta per chiederle di uscire … se rispondeva lei, tutto bene. Se invece rispondeva il suo papà, Sergio si spacciava per suo padre e a quel punto, cominciava la commedia degli equivoci.

Alla fine, malgrado i paradossi, ad averla vinta è l’Esistenza: ovunque Sergio ha messo piede – alla radio, in studio di registrazione, in sala di doppiaggio, alla tv e in teatro – rimane l’eco del suo “vocione”, le emozioni che ha trasmesso, il piacevole ricordo di chi lo ha apprezzato come Speaker, Doppiatore, Autore, Attore, Regista Teatrale …

 

Una Voce, una Penna e un’ardente Passione per la Cultura del Cibo.

Ecco i tre ingredienti della magica Ricetta di una Vita che è sempre un work-in-progress! O, per dirla all’italiana, un “lavori in corso”!

Di Sergio ho sempre ammirato il coraggio di superare i limiti imposti da ogni “ruolo”, da lui già incarnato con successo.

Di persone eccellenti in ciò che fanno ne incontriamo, nella vita. E non importa se, nel tempo, si appassioneranno ad altro: la tentazione, per l’attore, è continuare a crogiolarsi sugli allori del passato. Lo spettatore invece si addormenta, certo che il proprio beniamino sia “quel che ha già  fatto” e più nient’altro.

Ma torniamo a Sergio.

Nei primi Anni Novanta, la sua vena artistica incontra e si fonde con quella di Alchimista dell’Arte Culinaria, Filosofo del Gusto e della sua Storia, Antropologo alimentare, Amante dei prodotti tipici e della Cultura che li ha generati – Storia, Geografia, Usi e Costumi, Tradizioni, Arte, addirittura Archeologia – cogliendone i significati rituali e sociali.

Ed ecco entrare in gioco l’esperienza, fino a quel momento maturata in teatro: il carisma dell’attore, la colta creatività dell’autore e la leadership del regista, fanno di lui l’ospite televisivo perfetto, il giudice imparziale disposto a giocarsi l’approvazione dell’audience, pur di non scendere a compromessi con i “Cuochi d’Artificio” (i personaggi costruiti a tavolino dal “sistema”: più divi e “influencer”, che veri cuochi).

Nel frattempo, la sua fama di esperto di storia sociale del cibo e dei costumi alimentari, varca i confini d’Italia e si spande per il mondo, come profumo di pane appena sfornato.

Per lui, infatti, gli alimenti sono più che “nutrienti”: sono “marcatori culturali”!

In altre parole: il cibo di un Popolo ne rappresenta l’Identità, la Cultura, la Civiltà. Non rimane che metterci a tavola e assaggiarlo, per conoscere davvero la Nazione che ci ospita!

 

Un Curriculum lungo una vita.

Come è facilmente intuibile, le sue aree di interesse più importanti sono: Cibo, Cultura, Civiltà antiche e moderne, Arte, Storia, Geografia, Viaggi, Archeologia, Antropologia alimentare …

Dal suo profilo – aggiornato con cura dall’Ufficio Stampa – estraggo i ruoli da lui rivestiti nei momenti più salienti della sua carriera, ancora in pieno svolgimento.

Il mio elenco, sommario e incompleto, rende l’idea di chi sia il professionista “Sergio Grasso”: speaker radiofonico e pubblicitario; doppiatore cine televisivo; autore e conduttore televisivo; autore e interprete di monologhi legati all’arte, alla storia e all’alimentazione; regista e attore teatrale; documentarista; food-writer; docente universitario; ricercatore e membro di commissioni scientifiche e tecniche; antropologo e consulente alimentare; esperto di gastronomia e merceologia; giudice tecnico e “mentore” del programma “La Prova del Cuoco”; autore e coordinatore dei contenuti antropologici e agronomici del reality “La Fattoria 1870”; animatore di manifestazioni enogastronomiche; curatore della progettazione e realizzazione di eventi gastronomici legati alle rappresentazioni del cibo nell’arte; scrittore, editore, pubblicista …

L’elenco potrebbe continuare, ma mi fermo qui.

Come una lista della spesa non può esprimere un pranzo preparato con amore, da gustare con gli affetti a noi più cari … un curriculum da solo non basta a raccontare la bellezza e il valore di un Essere Umano.

È stata una piacevole chiacchierata, quella di venerdì 5 marzo con Sergio Grasso, perché si è parlato un po’ di tutto.

Ne è uscito il ritratto di un Uomo coerente con se stesso e con i propri Valori; un uomo che, piuttosto che tradire ciò in cui crede, ringrazia con garbo, saluta e se ne va per la sua strada.

Il suo Viaggio dell’Eroe è tuttora in corso.

Verso la fine del nostro incontro, Sergio accenna a interessanti novità delle quali, “per scaramanzia”, preferisce non parlare.

Prima di accomiatarci, mi mostra con fierezza i “santini digitali”: le foto di Shanti, la sua adorata nipotina.

Di lui, questa bellissima bambina ricorderà che “… se l’ha avuto, un nonno, è già una fortuna; che il nonno scherza, ride e la fa ridere, le morde il sederino …”

La sua eredità per lei, la frase-mantra è: “Aspettati poco dagli altri: quel che ti serve nella vita, è già dentro di te”.  

E ancora: “La vita è una scultura, non una pittura: la pittura si fa aggiungendo delle cose su una tela bianca; la scultura, invece, si fa togliendo della materia per tirar fuori quel che c’è ‘dentro'”. La nostra vera Essenza!

Questa intervista è un’altra gemma preziosa incastonata nel Progetto di valore sociale “Ondina Wavelet World”, il Progetto multimediale che ha per Scopo la creazione di una Cultura basata sulla consapevolezza del Potere creativo delle nostre Parole.

E quando le Parole che pensiamo, diciamo e agiamo in coerenza, coincidono con i veri Valori dell’Uomo, possiamo dar vita, tutti insieme, a un mondo bellissimo.

Per partecipare iscriviti al Canale YouTube “Jasmine Laurenti” e, se i contenuti risuonano con te, fai del Progetto il “tuo” Progetto, abbonandoti al Canale stesso.

Ecco il video e il podcast della stupenda chiacchierata con “Sergione”.

Alla prossima!

Con Amore,

la vostra Eroina acquatica Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“Lavori in Corso”

Ci sono tre parole che generano in me un senso di euforia, curiosità ed entusiasmo: “Lavori In Corso”.
In Inglese: “Work In Progress”.
 
Tre parole magiche, per alzare lo sguardo dalle incombenze quotidiane considerandole strumentali al raggiungimento di nuovi Traguardi, e non “le solite faccende”.
 
Pensare, dire, agire.
 
Fare, anche se ciò che ottieni non è perfetto come te lo immagini.
Perché la perfezione è un inganno: ti dice che non sei e non fai abbastanza.
Ma è il desiderio stesso a rivelarti che c’è di più, oltre il velo di ciò che appare.
 
Se lo sogni, lo puoi anche fare.
Se lo desideri, lo puoi progettare.
Se lo vuoi, nulla ti può fermare.
 
Dipende da te.
Quelli che chiami “limiti”, non oggettivamente dimostrabili, sono fantasmi, miraggi, ologrammi.
 
Ne ho individuati tre:
– non crederci
– dar retta a pensieri e convinzioni bugiardi
– distrarti, confrontandoti con gli altri.
 
Perciò oggi, Eroe dei nostri giorni, esponi un bel cartello all’ingresso del tuo spazio creativo: “Lavori in Corso”.
Ti bastano un foglio di carta, una penna, un telefonino, e tutta la Creatività che, dentro di te, attende solo un tuo cenno per risvegliarsi.
 
Il resto, fallo.
Anche se non è “perfetto”.
Ricordi? È un “work in progress”: puoi sempre apportare miglioramenti durante il viaggio!
 
Oggi, nella mia stanza guardaroba, allestisco il mio set magico per registrare podcast da favola.
 
Nel frattempo, se te la fossi persa, ti invito a guardare la “Buonanotte da Eroe” di ieri sera.
 
Stay Tuned … 😉
 
Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti)
 
#podcast #video #youtube #channel #volontà #entusiasmo #progetti #sogni #desideri #fare #dire #pensare #perfezionismo



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