KRISTEN PFAFF

KRISTEN PFAFF

 

Mi colpì molto la morte di Kristen Pfaff per overdose da eroina e mi chiesi allora (e mi chiedo ancor oggi) cosa spinse una bella, brava e talentuosa ragazza a distruggersi con la droga!

Morì a Seattle, patria del Grunge, il giorno del mio compleanno circa una ventina di anni fa: il 16 giugno 1994.

Passionale bassista degli Hole, (la cui frontwoman fu niente po’ po’ di meno che Courtney Love, moglie di Kurt Cobain dei “Nirvana”; n.d.a.), polistrumentista, compositrice e grande genio musicale, Kristen diede un esclusivo e vitale contributo alla forza creativa della band imponendo sin da subito un cambio di rotta nel groove e nella composizione (alcuni dicono che senza di lei Courtney & Co. non avrebbero avuto il benché minimo successo; n.d.a.).

La morte di Kristen avviene a pochi mesi dalla scomparsa di Stefanie Sargent, chitarrista della band di Seattle “Seven Year Bitch”, Andrei Wood, cantante dei “Mother Love Bone”, entrambi uccisi dall’eroina e circa dieci settimane dopo il suicidio del marito della Love, Kurt Cobain, che abitava (curiosa stranezza!) a poche miglia dalla residenza della Pfaff.

Kristen nacque a Buffalo NY il 26 maggio 1967, dopo il diploma nel 1985, andò per poco all’Università di Boston prima di ricevere una borsa di studio per studiare in Olanda. Dopo essere tornata negli Stati Uniti si trasferì a Minneapolis frequentando l’Università del Minnesota.

Dopo la laurea, Kristen decise di perseguire una carriera musicale a Minneapolis formando subito un trio chiamato “Janitor Joe”, con lei al basso/voce, Joachim Breuer alla chitarra e Matt Entsminger alla batteria.

Nel dicembre del 1992 registrarono il loro album di debutto, intitolato ”Big Metal Birds”. Nel 1993 divenne bassista degli “Hole” ma Kristen all’inizio era esitante a lasciare Minneapolis, e la sua famiglia e gli amici pensarono che unirsi agli “Hole” non fosse una buona idea, poiché Kristen era interessata a produrre buona musica, meno ad apparire in oltraggiosi titoli di giornale.

Si trasferì comunque a Seattle (che in quegli anni aveva più dipendenti da eroina di ogni altra città del mondo; n.d.a.) e, forse incoraggiata proprio da alcuni membri degli “Hole”, iniziò a perdersi nelle droghe.

La sua permanenza negli “Hole” fu breve ma intensa, fu lei ad apportare un nuovo sound che permise il vero cambio di rotta della band ed il loro lancio planetario.

Ma la stancò molto il rapporto controverso con Courtney Love, ed infine Kristen prese la decisione di abbandonare la “vita senza senso delle droghe” che conduceva a Seattle e andarsene dalla band: quando morì aveva accanto la valigia pronta per tornare a Minneapolis.

Suo padre, Norm Pfaff disse allo Star Tribune di Minneapolis: “Kristen era a Seattle solo per la musica, non era interessata ai soldi o alla fama o a niente di tutto questo, ha risentito della perdita della libertà che arriva salendo su per la scala”.

Kristen non riuscì mai ad abbracciare i cliché della star, era interessata solo alla musica!

E di questo Courtney era molto invidiosa, la voleva infatti “assoggettata a lei in tutto”… ma non voglio addentrarmi in giudizi sulla Love che sono assolutamente personali.

Una triste fine quella di Kristen, resa ancora più triste da un fatto: nessuno dei membri degli “Hole”, eccetto la batterista Patty Schemel, espresse sincero dolore per la sua morte, come disse suo padre: “Poteva essere la morte di Kristen o che qualcuno perdesse l’autobus”.

Vi dico un’ultima cosa: che una giovane donna, valente musicista e di profonda cultura se ne sia andata nel peggior modo possibile è una disgrazia che mi addolora ma che Kristen possa essere ricordata solo come “la bassista tossica morta” degli “Hole” è una cosa che mi fa incazzare!

Kristen… che Dio ti abbia in gloria!

 

 

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perth




“THEY HUNG HIM ON A CROSS”

“THEY HUNG HIM ON A CROSS”
Una delle frasi più rappresentative di Franz Kafka (Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924) grande scrittore praghese di lingua tedesca, una delle maggiori figure della letteratura del XX secolo ed importante esponente del modernismo è stata: «C’è una meta, ma non una via».

Premetto che non amo Kafka, lo ritengo pedante nella scrittura ed assolutamente poco avvincente dal punto di vista del pensiero.

La frase in questione è di un cinismo disarmante, la disperazione nichilista, se non esiste alcuna «via», è l’unica cosa che rimane, la «meta» diventa infatti un ideale utopico ed irraggiungibile.

Molti poeti, scrittori, artisti e musicisti hanno avvalorato la frase di Kafka fino a giungere all’atto estremo, Kurt Cobain, leader dei Nirvana, è uno di questi.

L’8 aprile 1994, il suo corpo privo di vita viene trovato nella sua casa di Seattle con accanto un fucile ed una lettera scritta di getto in cui si rivolge all’amico immaginario della sua infanzia, “Boddah”, confessandogli la sua disperazione.

Un testo drammatico, che cita il Neil Young di “My My, Hey Hey (Out Of The Blue)” – “È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”.

Riporto qui di seguito alcuni stralci:
«A Boddah. (…) Non provo più emozioni nell’ascoltare musica
e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi
anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. (…). Il
fatto è che non posso imbrogliarvi, nessuno di voi.
Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei
miei. (…). Sono troppo sensibile. Ho bisogno di stordirmi per
ritrovare quell’entusiasmo che avevo da bambino. (…). C’è del
buono in ognuno di noi e credo di amare troppo la gente, così
tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste,
sensibile, ingrato, pezzo dell’uomo Gesù! Perché non ti diverti e
basta? Non lo so. (…). Non posso sopportare l’idea che Frances
(sua figlia avuta dalla moglie Courtney Love, Leader delle Hole;
n.d.a.) diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me.
Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono
grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere
umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed
essere empatici. Penso sia solo perché io amo e mi rammarico
troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio
bruciante, nauseato stomaco (…), non ho più nessuna
emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi
lentamente. Ti prego Courtney tieni duro, per Frances. Per la
sua vita, che sarà molto più felice senza di me. VI AMO. VI
AMO.»

Struggente!

Quando la lessi in quel lontano 1994 piansi.

Chi segue la nostra rubrica “MUSIC” sa quanto è caro a chi vi scrive il leader dei Nirvana e le mie lacrime erano lacrime più di rabbia che di dolore.

Anche Kurt pensai non è riuscito a trovare la «via» eppure quella ricerca di «qualcosa» che rispondesse a tutte le domande esistenziali, Kurt l’aveva sfiorato, l’aveva intravisto e l’aveva voluto cantare.

Infatti tra le numerosissime cover realizzate sui brani di Leadbelly, (nome d’arte di Huddie William Ledbetter – Mooringsport, 23 gennaio 1885 – New York, 6 dicembre 1949, grandissimo cantante e chitarrista statunitense che invito ad ascoltare; n.d.a.), la più sorprendente è quella di “They hung him on a cross”, dei Nirvana, contenuta nel box-set “With the Lights Out”.

Kurt fu profondamente attratto dall’ascolto dell’album del folksinger americano (Lead Belly’s Last Sessions). Membri dei “Nirvana” e degli “Screaming Trees”, riuniti nel progetto denominato “The Jury”, registrarono nel 1989 la cover di quattro canzoni di quell’album: “Where did you sleep last night?”, una versione strumentale di “Grey goose”, “Ain’t it a shame” e “They hung him on a cross”, che Cobain volle senza remore interpretare da solo.

“Lo hanno appeso a una croce” (“They hung him on a cross”) Lo hanno appeso a una croce PER ME/ Un giorno, quando ero perso/ Lo hanno appeso a una croce/ Lo hanno appeso su una croce PER ME/ Lo frustarono su per la collina/ Lo frustarono su per la collina/ Lo frustarono su per la collina PER ME/ Non disse loro una parola/ Non disse loro una parola/ Non disse loro una parola, PER ME/ Lo ferirono nel fianco/ Lo ferirono nel fianco/ Lo ferirono nel fianco, PER ME/ Sollevò la testa e morì/ Sollevò la testa e morì/ Sollevò la testa e morì, PER ME// PER ME!

Kurt non ha creduto fino in fondo che il mistero potesse bussare alla sua porta.

In tutta la sua vita ha cercato questa «via» e, seppur toccandola in modo evidente in alcuni dei suoi brani, non ha mai creduto seriamente potesse essere «PER LUI»! Ha visto un Dio che si è avvicinato al suo cuore ma che subito è scivolato via, un’intuizione (“sollevò la testa e morì, per me”) senza una «carne», un Dio che presto è divenuto immaginario… riconosciuto come «meta» ma staccato dalla «via».

Il suicidio di Kurt Cobain è stata la fuga consapevole dall’insanabile disperazione, il gesto finale di una ricerca della «via» non trovata, la perfetta raffigurazione della frase di Kafka.

Ma Kafka non ha mai fatto i conti veramente con un Fatto accaduto: Dio («la meta») non si può conoscere! Ma «la via»… “Chi viene frustato (PER ME)”, “Chi viene ferito ad un fianco (PER ME)”, “Chi viene appeso alla croce (PER ME)” e “Chi solleva la testa e poi muore…PER ME”… oh quella sì che si può conoscere!

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=AXbBU1-GZfg&w=640&h=480]

PERTH

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