“Tutte per Donna Sufì”

Sophia Loren a sedici anni.
Ritratto di Sophia Loren, attrice italiana dall’aspetto glamour. Indossa un abito senza spalline, una collana e orecchini di diamanti. Su sfondo bianco, scattato intorno al 1950. (Photo by Silver Screen Collection/Getty Images)

Tutte le strade portano alla realizzazione di un Sogno

Chi non ha avuto almeno un sogno da bambino? 

Poi, strada facendo, c’è chi se ne è scordato, chi lo ha perso fra i grovigli dei più urgenti impegni quotidiani, chi ne ha fatto un hobby preferendogli un lavoro “vero”, chi invece lo ha inseguito fino a raggiungere la vetta del successo e da lì, brillando, illumina il sentiero di chi è ancora in viaggio.

La storia che sto per raccontarvi vede per protagoniste cinque donne, ciascuna nel proprio ruolo, tutte impegnate nello stesso bellissimo progetto: celebrare in un radiodramma lo splendore di una stella di prima grandezza del migliore cinema italiano e internazionale: Sophia Loren. 

Lei, che il suo Sogno lo vive da decenni, può ispirare i sognatori che ambiscano a distinguersi nell’arte cinematografica.

Ed ecco i nomi dei personaggi coinvolti in quest’opera, in ordine di apparizione.

Francesca Giorzi: Responsabile della fiction radiofonica della RSI, la Radio della Svizzera Italiana con sede a Lugano.

Jasmine Laurenti: (la scrivente) giornalista culturale per betapress.it, scrittrice nonché “voce” di Nunziatina, cameriera dell’attrice Sophia Loren nella sua residenza ginevrina.

Francesca Quattromini: attrice amatoriale napoletana, mia provvidenziale “coach” in accento partenopeo.

Margherita Coldesina: Attrice e scrittrice di poesie nonché autrice, regista e coprotagonista del radiodramma dedicato all’intramontabile figura di Sophia Loren.

Mariangela D’Abbraccio: nota e pluripremiata attrice italiana di cinema e teatro, “voce” della Signora Loren.

La cosa che più amo del mestiere di attrice è il suo sorprendermi in modi sempre nuovi e arricchenti.

Questo radiodramma, scritto, diretto e interpretato per la Radio Svizzera Italiana dall’artista ticinese Margherita Coldesina, ne è un esempio. Intorno al suo bellissimo lavoro dedicato a Sophia Loren, ci siamo riunite nello studio otto, presso la sede di Lugano Besso, il 23 aprile scorso; ciascuna con il proprio bagaglio esperienziale, ciascuna in cammino verso la realizzazione del proprio Sogno.

La Chiamata

Ma andiamo per ordine. 

Tutto comincia, per la sottoscritta, il 19 marzo, quando ricevo una chiamata da Francesca Giorzi, responsabile della fiction radiofonica della RSI a Lugano.

“Jasmine, c’è questo personaggio carino, una cameriera napoletana… Come sei messa con l’accento partenopeo?”

“Grazie per aver pensato a me! Sai Francesca, il dialetto napoletano non rientra fra le mie specialità. Temo di non potervi aiutare, stavolta…” 

“Le battute non sono tante, e poi hai più di un mese per prepararti…”

“Vabbè, dai, ci provo.” E mentre lo dico, mi vedo lanciarmi fra le braccia di un tanghero argentino, io, che del tango ignoro pure i passi base. 

Il Mentore

Comincio a passare in rassegna le donne di Napoli che conosco. Mi viene in mente Chiara Sparacio, vicedirettore di Betapress.it, che è di origine siciliana ma vive a Napoli. È lei a mettermi in contatto con la giovane attrice Francesca Quattromini. Quest’ultima si presta gentilmente ad aiutarmi. Le propongo di lasciarmi un vocale su whatsapp, mentre legge le mie battute con accento partenopeo. Il gioco è fatto. Ho la sua traccia. Mi metto subito a “studiare”. Tanto, ho tutto il tempo che mi serve. 

Le Compagne di Viaggio

E arriva il grande giorno, alla radio.

Nella grande sala dove si registrano i radiodrammi, Margherita Coldesina è in postazione nelle vesti di autrice dell’opera, regista e attrice coprotagonista nella parte di… Se stessa!

Sin dalla più tenera età, lei scrive e recita. Il suo sogno è realizzarsi come attrice nel grande cinema. Come chi mira all’eccellenza, prende ispirazione da un’icona del cinema internazionale: Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, in arte Sophia Loren.

Ha appena sedici anni quando, sullo scaffale più alto di una videoteca, “incontra” la sua ignara mentore. Consuma, letteralmente, il nastro delle videocassette di novantatré su centoundici film, che vedono la sua stella polare brillare sul set accanto ad altri astri di fama mondiale.

Accanto a lei c’è Mariangela D’Abbraccio: stimata attrice napoletana, figlia e nipote d’arte, ha lavorato coi migliori in ambito cinematografico e teatrale. È lei che darà voce a “Donna Sufì”.

Da parte mia, Nunziatina, ce l’ho messa tutta per calcare le intonazioni suggeritemi da Francesca Quattromini nel suo vocale. Mi sento abbastanza pronta, ma l’incognita è grande. Margherita ha avi partenopei, Mariangela è un’attrice napoletana verace, Francesca pure… In “scova l’intruso” individuarmi è un gioco da ragazzi. 

E va bene, lo confesso: sono un’infiltrata, veneta da parte di padre e di madre. Non ho scampo, ma farò del mio meglio. Sudo freddo. 

La trama del radiodramma

Il radiodramma, che ha il sapore di un sogno lucido, profuma di caffè e ragù come si fanno a Napoli. Si svolge a Ginevra, nell’abitazione della mitica Sophia. Accanto a lei c’è la cameriera, “Nunziatina Esposito nata a Pozzuoli di anni sessantasette”, intenta a preparare il pranzo. 

A un certo punto suona il campanello e, per andare ad aprire, lascia il ragù sul fuoco. Trova una ragazza riversa sul pianerottolo, a “quatt’e bastune”: Margherita, appunto, nei panni della fan della celebre attrice. Le è bastato suonare il campanello e sentire la voce della domestica in arrivo per svenire, letteralmente, per la troppa emozione. Svenimento provvidenziale, il suo: la Loren, per consentire alla giovane donna di riprendersi, non solo decide di accoglierla in casa, ma anche di invitarla a pranzo.

Segue un divertente dialogo fra Sophia e Nunziatina la quale, scocciata per l’imprevisto che l’ha costretta a lasciare incustodito il suo ragù, se ne ritorna in cucina. 

Quindi serve a tavola e lascia le due donne a conversare, gustando il loro piatto di pasta. Tra una forchettata e un sorso di buon vino, Sophia e Margherita si scambiano memorie e aneddoti, via via arricchiti da dettagli inediti rivelati dalla Loren alla sua sempre più entusiasta ammiratrice.

Alla ricerca della Verità

Prima di registrare si fa una prova.

In sala nello studio otto siamo in tre: Margherita nei panni di se stessa, Mariangela nel ruolo di Sophia e la sottoscritta come Nunziatina. 

No, non va: il mio accento suona eccessivo, caricaturale. Ed è così che accade con i non nativi: per fingere di esserlo, si sforzano. Del resto, è quello a cui ci siamo abituati nel teatro goldoniano. Se gli attori non sono veneti, fingono di esserlo e si sente. Insomma: dobbiamo escogitare qualcos’altro. Un lieve accento francese? Un po’ mi dispiace, lo ammetto, per l’impegno che ci ho messo e anche per l’attrice di Napoli, Francesca Quattromini, che tanto gentilmente mi aveva aiutata. Del resto, comprendo che l’obiettivo è la naturalezza, non l’accento napoletano a tutti i costi. Così, si arriva alla conclusione che è meglio accennarlo appena. Interiorizzarlo, addirittura. Il risultato è più che dignitoso. Margherita è felice. Mariangela, sorridente e rilassata, annuisce. Francesca Giorzi entra in sala e ci scatta delle foto, immortalando la nostra avventura.

Funziona. Tiro un sospiro di sollievo. 

Mentre torno col pensiero a quei momenti, realizzo che noi donne eravamo spettatrici del graduale manifestarsi del sogno di Margherita.

L’Autrice infatti, come nelle migliori favole, aveva posto le premesse per avverare ben tre desideri: scrivere per la radio, incontrare di persona il suo Mito e, calcandone le orme, imporsi all’attenzione del grande cinema. 

Le auguro di cuore di seguire il brillìo della sua Stella fino a prenderne il testimone, sulla Vetta riservata a pochi eletti.

Mentre il suo viaggio è in corso, la raggiungo per un’intervista. 

 

L'attrice e scrittrice ticinese Margherita Coldesina

Il Sogno di Margherita Coldesina: “Non c’è nessuna porta”

J.L.: Chi è Margherita, oltre le parole che scrive e interpreta?

M.C.: È quella persona che la sta aspettando alla fermata successiva a quella in cui scende sempre.

J.L.: Qual era il suo sogno da bambina?

M.C.: Fare l’attrice oppure il falegname.

J.L.: A che punto è della sua realizzazione?

M.C.: Il falegname dell’anima sta scolpendo tutte le facce dell’attrice, compresa quella vera, incorruttibile anche dall’arte o dalle richieste di interpretare questo e l’altro personaggio.

J.L.: Aldilà del fatto che sia la leggenda vivente del cinema italiano e internazionale, perché proprio Sophia?

M.C.: Mi ha scelto lei, lei intesa come parte del tutto. Sophia è il frammento di un universo che ho conosciuto intimamente in altre vite, è un espediente incaricato di ricordarmi chi sono e perché sono qui sulla Terra con questa brama di calarmi in ruoli senza cinture di sicurezza allacciate. Quando entro in qualcosa, io ci entro del tutto, mi sporgo da me stessa e rischio tutto.

J.L.: Nella fiaba a lieto fine della tua icona, quali sono i momenti della sua vita privata e professionale che più ti ispirano nei momenti più sfidanti del tuo percorso?

M.C.: È nata sbagliata, con un padre che non l’ha riconosciuta. E invece di subire gli eventi conseguenti a un’infanzia fatta di miseria e fame, ha imbrigliato la sua sofferenza con le redini della disciplina e ha liberato il purosangue che sentiva intuitivamente di essere. E prima o poi, se sei un purosangue, corri talmente veloce che cambi il mondo e chi assiste alla tua corsa. Il coraggio, quando è incarnato, sconvolge, cambia le persone.

J.L.: So che, per poter scrivere di lei, hai passato in rassegna circa tremila tra giornali dell’epoca, riviste, rotocalchi e documenti d’archivio. E poi, le ore che hai trascorso a guardare novantotto dei suoi più che cento film e non una, ma più volte. Infine, ti ci sono voluti due anni per trovare il suo indirizzo di casa a Ginevra. Quanto è importante la perseveranza, nella realizzazione di un sogno?

M.C.: Direi che è l’unico requisito. Ma prima viene il talento. E la cosa bella è che ognuno ne ha uno. Una cosa in cui brilli ce l’hai tu, lui, la barista, quel bambino che gioca a calcio, la signora imbronciata qui vicino che beve un Martini. E col talento, se lo addestri, diventi un supereroe.

J.L.: E se il radiodramma fosse un modo per profetizzare il tuo incontro con Sophia nella vita reale? 

M.C.: Ne sono convinta. Ma, come dicono i saggi: “Tua è l’azione, ma non il frutto dell’azione.” Vedremo.

J.L.: Nell’opera riveli, di Sophia, l’aver vissuto il trauma del non riconoscimento da parte del padre. Se, come ipotizzi, è stato il dolore per quel rifiuto primordiale a spingerla sulla scala di un Successo planetario… Cos’è a spingere te a raggiungere la vetta del tuo successo?

M.C.: Anche io ho un Edipo consistente, mettiamola così. È sempre tutta una faccenda d’amore impastata con la tragedia, la vita. È come venire al mondo: funesto ed epifanico, no?

J.L.: A un certo punto, mentre si rivolge alla cameriera che minaccia di buttare il ragù rimasto a cuocere troppo a lungo, attribuisci alla Loren la frase: “Non l’hai patita tu la fame come me e mia sorella… E zia Dora, e mamma che cercava disperatamente tutto il giorno qualcosa da mangiare per noi, e mica si arrendeva.” E ancora: “Non un mito, ma una diva, sì. Coi piedi bene a terra, perché ho conosciuto la povertà, quella vera, ma ho anche vissuto un mondo dello star system che oggi ve lo sognate.” Sono parole che rendono l’idea di un’infanzia così umile e dura, che sembrerebbe impossibile poter soltanto immaginare, per la protagonista, un radioso futuro. Quanto può incidere e in che modo, secondo te, un critico esordio, sul buon esito di un destino? 

M.C.: Se non hai fame, non seminerai la terra, e non raccoglierai; se ti arrendi a soggiornare nella parte di te più diurna e ti rifiuti di sbirciare cosa c’è nascosto nel precipizio che ogni giorno ti sussurra all’orecchio le emozioni più violente, e le paure, e ciò che è inammissibile per te confessare, allora la vetta che ti è dato conquistare sarà rassicurante come una collinetta, al massimo un monte. Io punto alle stelle: quando arriverò in cima all’Everest cercherò una scala per il cielo e mi appenderò alla coda di un astro.

J.L.: Ecco, come vedi la tua ascesa nello Star System? Ritieni che al giorno d’oggi sia ancora possibile, per un’attrice, cogliere delle Opportunità, pur rimanendo fedele a se stessa e ai propri valori?  

M.C.: Credo che non esistano le epoche, esistono le proprie oscurità dalle quali emanciparsi; e non esistono le opportunità, esiste l’autolegittimazione a illuminare col proprio talento il mondo.

J.L.: Se il primo giro di boa artistico Sophia l’ha fatto grazie al sodalizio con il regista Vittorio De Sica, qual è il regista con cui stringeresti il tuo sodalizio artistico, per il tuo giro di boa?

M.C.: Se fossero vivi: Cassavetes e Visconti. Amo Woody Allen e Carlo Verdone, per restare sulla Terra. Ma anche centinaia di altri. Non è questione di registi, è questione di missione: so che mi verrà incontro chi favorirà l’esercizio di questo mandato che sento di avere.

J.L.: Quanto è importante, per te, il riconoscimento pubblico, come lasciare l’impronta delle proprie mani sulla Walk of Fame o l’assegnazione di un prestigioso premio? 

M.C.: Il mio piccolo io dice tantissimo, non vedo l’ora; il mio sé evoluto sorride. Indovina quale dei due è lecito ascoltare? Quale dei due ti rende più grande (e, di conseguenza, magicamente, artisticamente una bomba)?

J.L.: Sai, ho un debole per la mia bimba interiore. L’ho trascurata troppi anni per non tifare per lei. Oggi è a lei che dò la precedenza. E alla voce del Creatore, che tuona quando serve. Ma torniamo a Margherita. Riusciresti a conservare la tua semplicità, nonostante il Successo? 

M.C.: Chi mi conosce dice di sì. Vedremo, magari comprerò quattro limousine e girerò malvestita purché griffata, diventerò arrogante e smetterò di leggere i grandi maestri d’Oriente. Ma sospetto di no…

J.L.: La scena madre de “La Ciociara”, quella in cui Sophia, nei panni di Cesira, inveisce contro gli stupratori della figlia, è stata girata una volta sola. Com’è immedesimarsi in un ruolo al punto da viverne le emozioni in modo così vero, da non dover ripetere la scena una seconda volta? Come si fa a interpretare un ruolo in modo così autentico?  

M.C.: La bravura di un attore non è frutto di magia: è, banalmente, direttamente proporzionale al suo progresso spirituale in quanto essere umano, tutto lì.

J.L.: Nel tuo radiodramma Sophia dice: “Niente rende una donna più bella della convinzione di essere bella. Te lo devi sentire dentro, qui, nel petto.” Sono parole effettivamente sue, o gliele hai attribuite tu e se sì, in che modo rispecchiano il tuo approccio nei confronti dell’aspetto esteriore di una donna?

M.C.: Sono parole che le ho messo in bocca io, perché Sophia – se la guardi nelle interviste in TV appare in maniera eclatante – è così luminosa e ammantata di fascino perché dentro di sé ha costruito un edificio virtuoso. Una donna bella è bella solo perché è bella dentro, “sennò non ti innamori”. A dispetto di ciò che appare in superficie, la bellezza è meritocratica.

J.L.: Sophia, per te, non è soltanto il trionfo di curve e istinto: è l’emblema dell’incontro fra intelligenza e cuore: lì dove si incontrano il talento e l’opportunità. Come si fa a mettere d’accordo intelligenza e cuore?

M.C.: Avendo coraggio.

J.L.: E come si fa a riconoscere l’Opportunità della vita, quando si presenta?

M.C.: È ineludibile, suppongo. Io di sicuro la riconoscerò come riconoscerei un figlio.

J.L.: Per Sophia il coraggio è – parlando di Picasso – “Sapere di poter corrispondere perfettamente a ciò che vuole il costume dell’epoca – nel suo caso il realismo, e lui disegnava perfettamente – e decidere di spingersi oltre.” Cos’è il coraggio per Margherita?

M.C.: Avere una fede incrollabile nella missione che sento albergare in me. Esserne all’altezza. Proseguire, qualsiasi cosa (non) accada.

J.L.: Alla Loren fai dire: “Il cinema, cosa credi? Non è mica una passeggiata. Il cinema pretende; dà tanto, ma pretende.” A che cosa Margherita è disposta a rinunciare, per amore del suo Sogno?

M.C.: Alla versione di me che ha un minimo dubbio.

J.L.: Prima di lasciarci, vorrei tu dedicassi un pensiero a tutte le donne che stanno avanzando verso la realizzazione del proprio Sogno. 

M.C.: “La chiave è che non c’è nessuna porta.” È una delle mie ultime poesie, sicuramente una fra le mie preferite, ed è anche la frase-guida di un progetto di danza che sto sviluppando insieme a mia sorella Alessia, meravigliosa ballerina, donna e mamma.

J.L.: Ecco, appunto! Stai lavorando a nuovi progetti dietro le quinte? Ti va di anticiparci qualcosa?

M.C.: Quanto tempo abbiamo??!

J.L.: Eh, mi sa che è ora che raggiunga Francesca! (Saltando sul treno per Napoli) Ne parliamo la prossima volta, se ti va! (Esclamo, con voce portata, dal finestrino del treno in corsa).

 

Margherita Coldesina: Attrice, Scrittrice e Autrice di Radiodrammi per la Radio Svizzera Italiana

Il Sogno di Francesca Quattromini: “Illuminare il mondo”

Come già detto, a Francesca ho affidato le battute di Nunziatina, affinché le leggesse con accento napoletano in un vocale da inviarmi su whatsapp.

Riascoltando il suo messaggio più volte, sono riuscita – proprio io, veneta dal paleolitico da parte di padre e di madre – a interpretare il ruolo di una nativa di Pozzuoli che, in Svizzera da decenni, conserva ancora un’ombra delle proprie origini, nel modo di parlare spiccio e ironico.  

Attrice “non professionista” come tiene a precisare, recita da quando aveva tredici anni. Oggi va per i trentotto, ed è sempre attiva nel teatro amatoriale e nella produzione di audio fiction. Per lei la gavetta è quasi più importante del raggiungimento della… Vetta. 

La raggiungo per una breve chiacchierata e, visto che ci sono, le chiedo se ha un Sogno nel cassetto. Tutto quello che so, al momento, è che il 9 giugno prossimo, al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (Napoli), sarà protagonista della commedia in due atti di Salvatore Barruffo “Un mistero al cimitero”. 

J.L.: A tredici anni hai preso parte a un laboratorio teatrale e da lì, non hai più smesso di recitare…

F.Q.: A undici anni, con le mie amiche, giocavo a interpretare i personaggi di alcuni film. È da lì che è nata, in me, la voglia di recitare. Poi un giorno mia madre venne a sapere che, vicino a dove abitavamo, si svolgeva un laboratorio teatrale. È lì che si è accesa in me la passione per il teatro, che amo con tutta me stessa.

J.L.: Hai preso parte a delle audio fiction con Yuri Salvatore (figlio dello scomparso artista napoletano Federico Salvatore, famoso per la sua canzone “Sulla Porta” ndr). Cosa ti ha lasciato questa esperienza come “voce”? Ti ha aiutata a crescere anche come attrice teatrale e se sì, in che modo?

F.Q.: Sono contentissima di aver preso parte a due audio fiction di Yuri Salvatore. Ha fondato la compagnia “Le Voci di Dentro”, di cui fanno parte attori di tutta Italia. Ogni attore manda a Yuri la registrazione della propria voce, così che possa essere aggiunta alle altre nella creazione dell’audio fiction. Aver potuto collaborare con lui mi ha arricchita tantissimo. Per noi attori, infatti, abituati ad avvalerci della gestualità e della mimica facciale per esprimere emozioni, riuscire a farlo con la voce soltanto è cosa non da poco. E poi, tieni conto che “Le Voci di Dentro” è nato proprio nel 2020, nel periodo più difficile per noi artisti, che non potevamo fare praticamente niente. Il suo è stato un modo per non far morire l’arte.

J.L.: Che consiglio daresti a chi volesse fare l’attore teatrale?

F.Q.: Il consiglio che gli darei è di non correre e fare la gavetta. Purtroppo i giovani d’oggi, anche per colpa dei talent, vogliono tutto e subito. Ma non funziona così. Se vuoi fare teatro, ad esempio, devi cominciare da zero e, magari, portare il caffè agli attori bravi cercando di carpire loro, dietro le quinte, i segreti del mestiere. Poi, pian pianino, iniziare con parti piccole e andare avanti, un passo alla volta, fino ad arrivare in cima. Se parti dalla vetta non impari nulla e “ti bruci”.

J.L.: So che sei stata scelta come protagonista di “Un Mistero al Cimitero”, commedia in due atti scritta e diretta da Salvatore Barruffo, in cartellone il prossimo 9 giugno al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (NA).

F.Q.: Sì, reciterò il 9 giugno nella commedia “Un Mistero al Cimitero” del maestro Salvatore Barruffo, che recita da oltre quarant’anni – ha preso parte a “Un Posto al Sole” e a “La Squadra” – ha scritto moltissime commedie ed è autore di libri come “Cercasi cuore disperatamente” e “Tre casi per casa”.

J.L.: È la prima volta che reciti da protagonista?

F.Q.: No, non è la prima volta, ho interpretato il ruolo di Lisetta nella versione di Gianfranco Gallo della Lisistrata, “Quartieri Spagnoli”. Stavolta però è diverso, il personaggio di Lucia in “Un Mistero al Cimitero” è più importante… 

J.L.: Importante al punto di farti cambiare idea riguardo al tuo futuro come attrice di professione?

F.Q.: No, non cambio idea su questo. Non mi interessa né guadagnarci, né partire per le tournée. Sono felice della mia vita privata e disposta a tutto pur di proteggerla. A maggior ragione, ringrazio il maestro Salvatore Barruffo per avermi dato questa opportunità: lui ha visto e vede in me tante qualità. Lo ringrazio dal profondo del mio cuore, ma sto bene così. 

J.L.: Prendendo a pretesto il radiodramma scritto e diretto per la Radio Svizzera dall’attrice Margherita Coldesina, abbiamo parlato di sogni e del nostro viaggio verso la loro realizzazione. Qual è il tuo Sogno?

F.Q.: Il mio sogno è mantenere accesa, in me, la luce del mio amore per il teatro, che amo immensamente ed è una parte di me, e un’altra luce più grande: l’amore che sento per le persone che mi circondano e per la mia famiglia, mio figlio e mio marito. Il mio sogno è rimanere una fonte di positività per chi mi sta accanto e, per grazia di Dio, essere una brava persona. Mi auguro di riuscirci. 

J.L.: Grazie ancora Francesca, per avermi aiutata ad acquisire una prosodia partenopea! 

F.Q.: Grazie a te Jasmine ♥

 

 

 




“Tutta colpa di una moka”

Approda in Ticino il “Moka People Festival”: l’installazione multisensoriale dei “Moka People”

Dal 23 giugno al 3 luglio, nella magica location dell’ex-cementificio Saceba – situato nella parte bassa del Parco delle Gole della Breggia – si terrà il “Moka People Festival”.

All’interno della “Torre dei Forni”, dal pianterreno al quarto piano, si snoderà la mostra – una multisensoriale installazione – con 18 artisti fra pittori, scultori, illustratori, disegnatori …

Nell’area circostante, decine di performer – attori, musicisti e ballerini – doneranno agli Ospiti momenti di Bellezza ad altissima frequenza. Ci saranno anche workshop e momenti di relax.

 

Galeotta fu la moka …

È la moka l’oggetto da cui parte tutto.

Gli Artisti Monica Rush, Brianna Ruland e Roberto Fridel si sono presi il tempo per osservarla da vicino. I preziosi spunti che ne traggono li ispireranno, più avanti, nella scelta del nome di un Progetto.

Ma torniamo alla moka e alle sue molteplici implicazioni.

Per chi fa del caffè il pretesto per incontrarsi e condividere pensieri, idee ed emozioni, la moka è molto più di un semplice “ferraccio” ottagonale: è un album di fotografie, uno scrigno di opportunità, ricordi, immagini, conversazioni …

È tutto questo che di lei ci portiamo dentro sempre e ovunque andiamo.

Il fuoco moderato di cui necessita è come l’amore nella sua espressione più sana: non una fiamma che divampa e si spegne ma un sereno, costante, rassicurante amore.

Quando la moka è pronta lo fa sapere e si autocelebra, spandendo il suo profumo tutt’intorno. Come chi, consapevole del proprio contributo di valore, lo annuncia apertamente e senza falsa modestia.

Come ogni Artista della propria vita, la moka è consapevole del suo Scopo: creare energia positiva che catalizzi energie simili.  

E poi è libera, come lo è ogni essere umano che non nutre aspettative di essere ricambiato.

“Se riusciamo a stare nella vibrazione alta creando attorno a noi felicità, tutto si ferma qui. Ed è tutto più semplice. Non c’è sforzo.” dice Monica.

 

I “Moka People”

In una nuvolosa giornata di maggio, passo a trovare Monica nella sua splendida casa. Mi dice che un giorno Brianna Ruland le racconta di come in certi parchi, in America, la gente si ritrovi munita di moka e fornellino.

Il caffè, ovviamente, è un pretesto, si può anche non bere. L’idea è semplicemente quella di riunire un gruppo di persone con la scusa del caffè e andare oltre i convenevoli del “Come stai?”, oltre la convenzionale chiacchiera su fatti d’attualità e di cronaca: deve essere, per tutti, un momento di scambio dove sentirsi liberi di essere ciò che si è, fare nuovi incontri, arricchirsi.

Nel 2019 – alla vigilia del periodo di emergenza sanitaria – Monica, Brianna e Roberto proseguono l’esplorazione del “mondo moka” alla ricerca del nome ideale da dare a questo progetto. Si passano in rassegna le parole “caffettiera”, “caffè”, “moka” … Nasce “Moka People”: semplice, spontaneo, positivo.

Inizia la pandemia. Il Progetto viene lasciato decantare, e forse grazie al rallentamento della vita Brianna e Monica hanno la possibilità di interagire con altre donne artiste e passare del tempo chiacchierando e condividendo desideri. Nasce proprio in uno di questi incontri, grazie al contributo di tutti, l’idea di prendere in affitto l’ex-cementificio della Saceba per esporre le proprie opere e invitare gli amici.

Un’idea corale che doveva durare solo due giorni e che in poco tempo invece si amplia e diventa Festival. Che nome dargli?  Ecco riapparire “Moka People”: forse perché in fondo parla della stessa cosa, ora il nome trova la sua collocazione. 

 

“Il Moka People Festival”

Gli Artisti prendono in affitto la Saceba, magica location situata nella parte bassa del Parco delle Gole della Breggia.

La scelta dell’ex-cementificio ha il suo perché: il grigio della costruzione e i grandi spazi da riempire sono l’ideale per realizzare una multisensoriale installazione. Al pianoterra e sui quattro piani, i sensi dei visitatori sono stimolati da forme, colori, suoni, immagini, movimento, musica. Nel frattempo, nel suggestivo spazio circostante, attori, musicisti e ballerini si esibiscono in live performance.

Il Progetto conquista ogni giorno più persone: mentre scrivo, gli artisti e i performer hanno superato i cinquanta elementi.

A questi si aggiungono tre stiliste “artigiane” e una quarantina di figuranti, pronti a indossare le loro creazioni.

E poi ci sono i musicisti dell’orchestra della Svizzera Italiana, i poeti, gli attori di fama a recitare, di notte, avvolti dalla morbida luce di bracieri accesi … I ballerini di danza contemporanea, i suonatori di cornamusa in mezzo ai sassi …

Questo è il “Moka People Festival”: una celebrazione non dell’Arte ma della collettiva Creazione di qualcosa di sensoriale, con la speranza che possa arrivare agli altri. A questo servono il suono, le luci, gli odori: oltre che a stimolare i sensi, aiutano i visitatori ad “assorbire” energia buona e a non rimuginare su se stessi e sulla propria rigidità.

Il desiderio è quello di innalzare l’energia degli Ospiti – in un luogo che è già di per sé energetico. Il tutto diffondendo il messaggio che non è Artista chi impara a dipingere, scolpire, recitare, danzare, suonare uno strumento musicale. Ognuno di noi è Artista nell’arte di creare la propria gioia, l’Arte più sofisticata e importante che l’Uomo ha. Basta poco. Il contatto con la natura. L’amicizia. La collaborazione. Tutte le altre forme d’arte sono secondarie.

 

Save the date and the event

Il “Moka People Festival” si svolge nei giorni dal 23 giugno al 3 luglio in Ticino, Svizzera.

Ogni giorno c’è un programma diverso. Il biglietto d’ingresso all’esposizione si acquista all’entrata della Torre mentre le performance all’esterno sono gratuite. Dalle 17.30 si può trovare ristoro al bar con cibo e vino buono.

E poi, nei pressi della Saceba c’è una vallata protetta, ci sono delle rocce scavate dall’acqua che sono diventate gole e offrono una panoramica che è la stessa di duecento milioni di anni fa! Si può entrare nelle cave prenotando il tour con il Parco delle Gole della Breggia: un’esperienza incredibile, da fare preferibilmente in silenzio. C’è il fiume per andare a fare il bagno, se fa troppo caldo.

Ci sono anche i “caffè con l’artista”: momenti interattivi fra gli espositori e il pubblico. Durante il weekend, inoltre, si possono raggiungere gli Artisti alle otto del mattino, per fare colazione insieme. Chi lo volesse può portare la propria moka da casa. Loro ci mettono il fornellino. Quindi ci si siede tutti insieme e si parla di Arte o si ascoltano le campane tibetane. Questo è fare “Moka People”!

E una volta finito l’evento? Beh … di moka eventi se ne possono organizzare tanti e “Moka People” è un modo bellissimo per darsi un obiettivo e condividere il percorso per raggiungerlo.

Alla fin fine … siamo tutti Moka People!

Per saperne di più sull’evento e i suoi protagonisti, visita il loro sito.

Vuoi un’anteprima in immagini e video? Visita il gruppo Facebook “Moka People Festival” .

 

Ex-cementificio Saceba
L’ex-cementificio Saceba, oggi chiamato “Torre dei Forni”