“Spegni la TV, riaccendi la speranza”

Triennio 2020-2022: responsabilità di istituzioni e media nel sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A quanto pare, le restrizioni adottate e una cattiva gestione dell’informazione hanno influito in modo significativo sul benessere mentale delle persone più fragili, specialmente se intolleranti all’incertezza, o con disagio mentale preesistente.

In Italia, si assiste tuttora a un sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A confermarlo sono i risultati di ricerche scientifiche e studi condotti dall’ISS e dall’OMS, di cui condivido i link per chi volesse approfondire l’argomento.

Il fattore determinante è la paura

Raggiungo a Milano la dott.ssa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista dal 1982 e Consigliere Nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, per fare il punto della situazione.

Le chiedo quale sia, a suo avviso, il fattore determinante. “Nel 90% dei casi è la paura. Prima eravamo abituati all’idea di poter fare qualsiasi cosa, come se la morte non esistesse o fosse una lontanissima probabilità, che comunque non accade mai a noi. Improvvisamente siamo stati colti dalla paura di morire. Ed è questa paura ad aver schierato le persone in fazioni, alimentando divisioni e discriminazione.”

 

Le categorie più fragili

In base all’esperienza dell’intervistata, ad essere più colpiti sono gli adolescenti, molti dei quali manifestano forme di fobia patologica a tutto.

“La paura della morte è primordiale e ne siamo tutti più o meno toccati. Da ragazzi ci crediamo immortali. Col passar del tempo, si fa sempre più vicina. Il grande dramma al quale assisto nel mio lavoro è che il 90% dei miei giovani pazienti, alla domanda ‘Come va?’, risponde ‘Boh’. In generale sembra non abbiano più parole per ‘documentare’ ciò che provano, chi sono. L’unica parola che riescono a dire è ‘Boh’. I giovani d’oggi crescono senza conoscere se stessi” prosegue “E questo vale per tutti noi: non ci conosciamo più. ‘Grazie’ al computer e più in generale alla tecnologia, è come se viaggiassimo con un bigino in tasca della vita. Non abbiamo più una vita ‘vera’ dove incontrare le persone, conoscerle, capirle, confrontarci con loro sui fatti della vita. Molti di noi  – continua – tendono a chiudersi in ‘bolle’ in cui tutto va bene, tutto è perfetto …  Ma non è vero: sembrano ‘cadaveri’ che camminano. Non c’è la voglia di conoscersi, di ascoltarsi: ci si interrompe continuamente. Gli ascoltatori sono circa il 10%. Troppo pochi.” 

Riguardo alla donna, la Dott.ssa Pagliacci Cipriani non concorda con i risultati degli studi che ne evidenzierebbero una maggiore vulnerabilità. Pur essendo più sensibile al cambiamento, infatti, la donna ha sempre dimostrato una maggiore forza e resistenza rispetto all’uomo. Quest’ultimo, per sua natura, tenderebbe all’ipocondria, sottoponendosi a mille esami e analisi per accertare l’eventuale presenza di una malattia. Comunque l’uomo, più abitudinario rispetto alla donna, farebbe più fatica ad accettare e gestire il cambiamento.  

Per quanto attiene alla categoria sociale più colpita, la dott.ssa Pagliacci individua nella classe più abbiente una maggiore vulnerabilità alla sofferenza provocata dall’idea della morte, non più vista come lontanissima probabilità ma come qualcosa che può accadere da un momento all’altro. Di qui la corsa al vaccino vissuto come qualcosa di taumaturgico, in grado di salvarti la vita. Senza tener conto del fatto che, essendo in fase sperimentale, le conseguenze del suo utilizzo non erano e non sono tuttora pienamente prevedibili. 

Le fasce sociali media e bassa invece, più abituate alla “sofferenza”, hanno a suo avviso reagito molto meglio rispetto alla classe “alta”.

 

Il ruolo delle Istituzioni

Alla mia domanda sul modo in cui le restrizioni imposte abbiano influito sull’aumento degli individui colpiti da ansia, depressione e stress, la Psicanalista risponde che a tutt’oggi, nonostante non sia più obbligatorio, in ambiente ospedaliero rimane l’imprinting di indossare le mascherine. Questo, ovviamente, mantiene vivo il ricordo dei peggiori momenti del triennio trascorso, alimentando ulteriormente l’ansia.

E qui la dottoressa, che premette di odiare le etichette “pro vax” / “no vax” e i protocolli*, racconta un episodio della sua vita personale. Il fratello aveva avuto un tumore al polmone. Era stato operato e l’intervento era andato benissimo. Stava bene. Tuttavia il protocollo esigeva per lui la somministrazione di più dosi di vaccino. “È morto in ospedale in seguito a questi protocolli” conclude la Dottoressa Pagliacci Cipriani, convinta che se fosse rimasto a casa, curato da un medico “come quelli di una volta” che ti guardavano e capivano subito quello che avevi, e avesse preso le sue medicine, molto probabilmente oggi sarebbe ancora in vita.  

 

Il ruolo dei giornalisti e dei Media

Su quale sia la responsabilità dei giornalisti e dei media riguardo alla diffusione della paura, l’intervistata non ha dubbi: “È immensa: l’informazione trasmessa da radio e televisione nell’arco del triennio è tutta all’insegna della paura. Rare sono le persone che si azzardano a dire: ‘Tranquilli …’ e quei pochi vengono additati come quelli della contro informazione. 

“Quando muore qualcuno – prosegue –  tu stai bene al momento. È dopo che viene fuori il lutto. La stessa cosa è successa con il Covid. All’inizio si sono avuti dei drammi reali. È in un secondo tempo che sono emersi tutto l’immaginario e una scenografia deleteria: l’informazione aveva minato alla base tutto ciò in cui credevi. Accendevi la tv e sentivi, una dopo l’altra, centomila cose deleterie. In meno di un anno si è arrivati a non avere più fiducia in niente, soprattutto nei riguardi dei media e delle istituzioni. Dal patriottismo sanitario del ‘volemose bene’ – bandiera alla finestra, ‘Evviva l’Italia’, ‘Siamo tutti uniti’, ‘Che bello, siamo insieme’ – si è passati, nel giro di pochi mesi, a ‘Basta (cattive notizie ndr), non ce la faccio più’. Alla stanchezza e a un generale senso di impotenza si sono aggiunte, nel tempo, le fazioni. Senza ahimè comprendere che nelle guerre non ci sono mai né vinti, né vincitori. Gli schieramenti hanno generato incomprensioni, che hanno messo fine a rapporti di amicizia e di amore. Da un giorno all’altro, persone che credono di conoscersi da una vita si ritrovano improvvisamente ‘nemiche’. Anche quando dici di conoscere qualcuno, infatti, in realtà non lo conosci affatto. È solo nei momenti più drammatici che puoi conoscere davvero una persona: nelle malattie, nella lotta per la vita, nelle difficoltà economiche. Allora ti rendi conto che l’altro è simile a te non perché ne condividi per forza le idee, ma perché le manifesta con la stessa libertà con cui tu esprimi le tue.”

 

L’elaborazione del lutto

Affrontiamo ora il tema del dolore emotivo e della sua metabolizzazione.

“Nel primo periodo si sono avute molte morti in terapia intensiva, causate dal sovradosaggio di ossigeno che ha distrutto i polmoni dei pazienti”, dice l’intervistata, che entra nel merito del tipo di dolore affrontato. “Il dolore causato dal dramma vissuto dai parenti è quello di chi perde un proprio caro non in seguito a una lunga malattia, ma da un momento all’altro, a causa di un incidente. Nel primo caso c’è tutto il tempo per abituarsi all’idea della morte. Nel secondo si vive un ‘dramma’, e si cerca un colpevole da accusare. L’informazione, diffondendo un minestrone di idee contrastanti, non ha certo aiutato le persone a reggere il dolore per l’improvvisa, inaspettata perdita dei propri cari. A tutto questo si aggiunge la scarsità o l’assenza addirittura di iniziative, da parte delle istituzioni, tese a offrire un sostegno di carattere psicologico al maggior numero possibile di persone.”

 

La nuova normalità

Oggi si parla tanto di “nuova normalità”. Ma che cos’è e quanto ci costa, a livello mentale, accettare e adattarci a questa nuova normalità?

“Non è una nuova normalità – risponde la Dott.ssa Pagliacci Cipriani – è convivere con il pensiero che, dietro alla porta, possa sempre capitare qualcosa. Guarda caso, subito dopo il Covid c’è stata la guerra: è un continuum. E questo pensiero è comune in tutte le fasce d’età. Anche i giovani, interrogati sui loro progetti e sul loro futuro, non sanno più cosa rispondere. È forse questa la ‘nuova normalità’ di cui tanto si parla? Certamente no. È una ‘sopravvivenza’ aspettando qualcosa che magari non arriverà mai più e che se arriva, è un qualcosa che stavi comunque aspettando. È bruttissimo.”

 

Il miglior antidoto alla paura

Per concludere chiedo alla Psicanalista quale sia, a suo parere, il miglior antidoto alla paura. “La speranza. Se nutri speranza, per esempio riguardo a un progetto, puoi ancora pensare che ogni cosa si risolverà. Ma se la speranza viene a mancare, soggiogata dai ‘Boh’, c’è poco da fare. Dovrebbe però, a mio parere, rinascere in una forma nuova, all’insegna del ‘basta con l’apparenza’. Non ne possiamo più dell’apparenza!”

 

Il modus operandi

“La scuola americana cognitivo comportamentista dice: ‘Cosa hai fatto? Ti spiego’. Io sono assolutamente certa che se tu non hai capito cosa precede il cosa è successo e poi vediamo cosa fare, non potrai mai guarire davvero. Perché sarà un cerotto. Quello che vedo, tra molti dei miei colleghi, è una superficialità ormai così forte per cui ciò che interessa è innanzitutto il guadagnare … Sono pochissimi i colleghi che si rendono conto che il paziente non ha neanche gli occhi per piangere. Oggi c’è: quanto ti deve dare, cosa deve fare … Anche qui parliamo di protocollo. Non parliamo di umanità, è come se l’umanità fosse scomparsa. Perché? Perché non si guarda oltre all’apparenza: quello che è ricco, quello che conta … ma chi se ne frega? Io devo guardare quello che c’è dentro. Devo aiutare questi ragazzi che urlano in silenzio.”

 

Le fonti

Dai risultati di uno studio condotto dall’ISS e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Padova, pubblicata dalla rivista accademica Bmj Open, si apprende che in Italia, durante il lockdown, l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio.  

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6898844

https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2022-04-26/covid-iss-il-lockdown-e-aumentata-depressione-soprattutto-giovani-160507.php?uuid=AE6GUTUB

L’OMS, nel testo della sua Costituzione firmata a New York il 22 luglio 1946, dà della salute questa definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Eppure, nel Survey pubblicato il 5 ottobre 2020, il Direttore Generale Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, ammette che il “COVID-19 ha interrotto i servizi essenziali di salute mentale in tutto il mondo proprio quando erano più necessari. I leader mondiali – continua – devono muoversi in modo rapido e deciso per investire di più in programmi di salute mentale salvavita, durante la pandemia e oltre”. 

https://www.who.int/news/item/05-10-2020-covid-19-disrupting-mental-health-services-in-most-countries-who-survey#:~:text=Bereavement%2C%20isolation%2C%20loss,outcomes%20and%20even%20death

Sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite si legge un riassunto del documento emesso dall’OMS il 10 marzo 2022: “Covid-19 aumenta del 25% i casi di ansia e depressione”. L’articolo mette in evidenza chi è stato maggiormente colpito e riassume l’effetto che la pandemia ha avuto sulla disponibilità dei servizi di salute mentale e su come questi siano cambiati durante il triennio.

https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/

 

 




Cosa è indispensabile per la riapertura

Saloni e centri estetici. Cosa è indispensabile per la riapertura

Possibile apertura anticipata per parrucchieri ed estetiste ma cosa serve davvero?

Secondo il Dpcm 26 aprile 2020 le attività di servizi alla persona fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti non possono ancora riaprire, in sede di conferenza stampa il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dato come data possibile il 1 giugno.

Questa comunicazione ha attivato in diverse regioni, soprattutto quelle con un numero di contagi contenuto, una pressante richiesta alla riapertura anticipata.

Considerata la contingenza dei fatti e il reale stato epidemiologico, alcune regioni e alcuni sindaci hanno deciso di valutare l’apertura anticipata della categoria, la data di interesse è il 18 maggio.
Ovviamente la scelta è difficile in quanto una presa di posizione di questo tipo potrebbe implicare un subentro di responsabilità da parte dell’autorità locale in caso di contagio per qualche lavoratore.

In questa roulette russa di date, la preoccupazione più grande dei professionisti del settore beauty (come sono classificati gli operatori che lavorano nel settore dei saloni e dei centri estetici), è quella di farsi trovare “pronti”; laddove la misura della preparazione sta nell’adeguamento a protocolli e regole precise indicate dal Governo o dall’amministrazione locale.

In un panorama privo di regole precise, i poveri saloni di parrucchieri e centri estetici sono bombardati da aziende che cercano di vender loro servizi medicali e forniture di cui però, ancora non si conosce la vera necessità.

Le domande

Dovendo però aprire e non avendo ancora delle regole e delle indicazioni precise, i professionisti di questo settore sono pieni di domande:

  • Serviranno le mascherine? 
  • E i calzari?
  • Le visiere?
  • Bisognerà avvolgere le clienti nella pellicola trasparente come mostrano video amaramente divertenti?
  • Bisognerà comprare i termometri?
  • Bisogna chiamare una impresa di pulizie specializzata che elimini il 100% dei batteri?
  • L’ozono funziona? 
  • E l’alcol etilico?
  • Meglio l’ozono o l’alcol etilico?
  • Le lampade UV devono avere caratteristiche ulteriori rispetto a quelle già presenti nel salone?

Ma se già i centri erano iper puliti e iper disinfettati e attenti alla persona, cosa dovrebbero fare di più?

Lo stato dell’arte

Lo stato dell’arte è una situazione border line di difficile gestione dovuta al fatto che le normali regole della mascherina e della distanza di un metro non soddisfano le esigenze professionali della categoria e dei loro clienti.

In più ancora non esiste una comunicazione ufficiale per quanto riguarda la data di riapertura né un protocollo specifico per quanto riguarda le regole da seguire in caso di ripresa di attività.

Quello però che è possibile osservare e a cui poter fare riferimento è che, per quanto riguarda i protocolli e le regole a cui far capo, gli imprenditori e le imprenditrici del settore beauty hanno già delle indicazioni chiare e difinite e sono quelle indicate dalla legge 81 sulla sicurezza del lavoro e sul rischio biologico.

In attesa di sapere se i calzari saranno obbligatori e se e quali strumenti aggiuntivi bisognerà acquistare, abbiamo chiesto a Francesco Melis assessore alla Protezione Civile e Polizia Locale del comune di Iglesias, quali sono, senza dubbio, le accortezze che centri estetici e saloni possono mettere in atto e su quali processi ragionare in vista della riapertura.

 

Premessa

Facciamo una premessa:

Il problema riscontrato nella riapertura delle attività di servizi alla persona, è stato dovuto anche alla doverosa valutazione dei rischi.

Secondo la normativa vigente, nel momento in cui bisogna fare una valutazione dei rischi i rischi, i primi da valutare sono i rischi professionali.

I rischi professionali sono quelli che hanno a che fare con la salute e la sicurezza sul  posto lavoro a cui il lavorato è esposto (nota, confronta piè di pagina).

Considerato che le indicazioni sul contagio riportano che il contagio del COVID-19 avviene tramite vie respiratorie (ragion per cui è richiesta la mascherina) e contatto diretto delle mani con occhi naso e bocca, i rischi professionali che interessano gli operatori del settore del beauty sono più elevate rispetto chi volge un lavoro a minor contatto con le persone.

Per quanto riguarda le misure specifiche di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica covid possiamo rifarci alla normativa vigente come integrata e chiarita dalle fonti autorevoli indicate in calce.

Misure specifiche che il titolare deve adottare all’interno dell’attività.

All’interno della propria attività, il titolare è tenuto ad adottare alcune misure specifiche:

  • convocazione a lavoro del numero indispensabile di lavoratori dividendone l’accesso in turni;
  • formazione del personale sui nuovi protocolli e le nuove procedure;
  • creazione di un registro di presenza che indichi con precisione orario di ingresso e uscita di ciascun lavoratore, fornitore, visitatore e utente. Questo registro sarà utile all’autorità sanitaria in caso di accertamento di positività di uno di essi;
  • costituzione di un Comitato per l’applicazione e la verifica delle misure di sicurezza contro la diffusione del covid-19;
  • esposizione di cartelli informativi: 
  1. uno relativo agli atteggiamenti e alle misure da adottare per la prevenzione del virus, 
  2. un altro relativo all’informativa privacy sul rilevamento della temperatura, 
  3. un terzo cartello di prevenzione e protezione nei luoghi di maggiore passaggio,
  4. Un quarto con le indicazioni di come lavare le mani e usare le mascherine 

Cosa mettere a disposizione delle clienti e dei dipendenti

Il titolare è inoltre tenuto a mettere a disposizione di clienti, dipendenti ed altri avventori:

  • dispenser di soluzione igienizzante idroalcolica;
  • mascherine con filtrante FFP2/FFP3 da fornire ai lavoratori incaricati del rilevamento della temperatura;
  • mascherine chirurgiche da fornire a tutti i lavoratori o alle clienti o fornitori non fornite delle stesse;
  • camici monouso impermeabili guanti monouso e occhiali o maschera facciale per i dipendenti incaricati delle operazioni di sanificazione;
  • Ove possibile, individuazione di un servizio igienico ai soli ospiti separato da quello dei dipendenti.

La sanificazione

In questo periodo si sente tantissimo parlare di sanificazione e, nonostante la frequenza dell’argomento, è bene fare dei chiarimenti.

Cosa è la sanificazione 

Per”sanificazione” si intende un insieme di operazioni che interessano un’area, un locale o una superficie, che arriva a garantire che quell’area, locale o superficie sia anche “sana” ovvero ragionevolmente priva di batteri e virus che possano comportare un rischio per la salute. 

In poche parole si tratta del normale e già abituale nei centri estetici passaggio con disinfettanti.

Non è obbligatorio rivolgersi a una azienda specializzata, può esser svolta anche da personale interno incaricato.

Quali prodotti utilizzare:

  • la candeggina (ipoclorito di sodio) allo 0,5% o superiore per piastrelle, muri, sanitari, scrivanie/banchi e sedie in legno o formica etc – per preparare 10 litri di soluzione allo 0,5% partendo dalla candeggina al 5% è sufficiente diluire 1 litro di candeggina in 9 litri di acqua 
  • l’alcool etilico al 75% o superiore per tastiere, mouse, interruttori etc (in quanto meno aggressivo)

L’eventuale scelta di adottare prodotti diversi deve essere accompagnata da una dichiarazione del distributore / produttore che attesti ufficialmente l’efficacia del prodotto per il contrasto al coronavirus.

Quando va fatta la sanificazione

La sanificazione ha una frequenza di tre tipi:

  • Ad ogni uso
  • Quotidiana 
  • Settimanale

Santificazione quotidiana:

In caso di uso di una sola persona, va vanificato ogni giorno ogni oggetto toccato:

telecomandi, tastiere, mouse, schermi, interruttori, maniglie, finestre, scrivanie, tavoli, mensole do appoggio, tastierini di stampanti e copiatrici, sedie, pulsanti di ogni dispositivo, sanitari, rubinetti e ogni tipo di manopola o superficie di contatto.

Vanno igienizzati quotidianamente anche pavimenti e superfici comuni.

Sanificazione più volte al giorno

Vanno sanificate più volte al giorno tutte quelle superfici di contatto che vengono toccate dal personale interno ed esterno al centro:

tastiere, schienali, sedie, maniglie, armadi…

Sanificazione ettimanale

In caso di locali scarsamente utilizzati, la sanificazione può esser fatta settimanalmente piuttosto che quotidianamente

Sanificazione straordinaria

Prima della riapertura parrucchieri e centri estetici devono fare una sanificazione.

Il personale incaricato deve indossare: 

  • mascherina FFP2/FFP3, 
  • maschera facciale, 
  • guanti monouso, 
  • camice monouso impermeabile a maniche lunghe 

Dopo aver effettuato la sanificazione tutto quanto indicato sopra dovrà essere trattato come rifiuti speciali in quanto potenzialmente infetti.

Come va effettuata questa prima sanificazione

Si tratta di una regolare pulizia dei locali, aree e superfici prevista dal normale protocollo di pulizia, se presente o dalle normali abitudini operative osservate all’interno dell’azienda/ente, utilizzando i detergenti comunemente in uso.

  • Pulire tutte le superfici (telecomandi, tastiere, mouse, schermi touch, interruttori, maniglie, finestre, scrivanie, tavoli, mensole d’appoggio, tastierini di stampanti e copiatrici, sedie, pulsanti dei dispenser della soluzione igienizzante mani etc.) mediante uso di stracci in microfibra inumiditi con alcool etilico al 75% o con soluzione di candeggina allo 0,5% in funzione del tipo di materiale. Lo straccio deve essere utilizzato sfregando l’oggetto da sanificare e garantendo un tempo minimo di azione del disinfettante, lo stesso non deve essere intriso al punto da “sgocciolare” ma comunque ben inumidito di soluzione disinfettante
  • Durante tutte le operazioni deve essere assicurata la ventilazione degli ambienti.
  • Le tende ed ogni altro oggetto in tessuto deve essere sottoposto ad un ciclo di lavaggio a 90° e detergente, se ciò non è possibile occorre addizionare il ciclo di lavaggio con candeggina;
  • Eseguire, in un’unica soluzione, tutte le operazioni di sanificazione previste a frequenza quotidiana e settimanale.

Al termine delle operazioni dare evidenza in un Registro delle pulizie dell’attività svolta (data, ora, cosa è stato sanificato, da chi).

Riepilogo dei documenti che devono essere presenti sul luogo di lavoro

Una parziale novità sarà data dai documenti che devono essere presenti sul luogo di lavoro:

  • Registro delle presenze 
  • Cartello informativo 
  • Informativa privacy temperatura
  • Lettera di incarico privacy
  • Cartello prevenzione e protezione
  • Cartello lavaggio mani e istruzioni mascherina
  • Opuscolo per la diluizione della candeggina 
  • Tabella delle frequenze della sanificazione
  • Registro delle pulizie 
  • Modulo di consegna dei dispositivi di Protezione Individuale
  • Istruzioni i operative al personale

Buon lavoro


Riferimenti

  • Per la normativa vigente, i rischi che devono essere oggetto di valutazione e conseguente formalizzazione della stessa all’interno di un Documento di Valutazione dei Rischi, sono i rischi professionali e cioè quelli per la salute e la sicurezza sul lavoro a cui è esposto un lavoratore nell’espletamento della sua attività lavorativa nella specifica mansione all’interno dell’organizzazione aziendale.

Documenti di riferimento:

Formazione utile

Presentazione della prima edizione del master in Orientamento alla Persona

 

 

 

 

 

 

 

Lettera di un medico al Ministro Conte

quando è troppo è troppo!