Complottismo, o mio complottismo…

Complotto sì o complotto no?

Benché ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi, più o meno comprovate a seconda dell’autorevolezza degli analisti, credo sia opportuno porsi questa domanda, perché è strettamente legata a quello che ci accadrà dopo, ossia dopo la fine dell’emergenza, sia sul piano economico che politico.

Infatti, sulla base dei dati e dell’analisi di cui siamo conoscenza, a mio parere, è urgente comprendere se, dietro tutto questo, c’è un disegno, e di quale disegno si tratta, oppure, se gli sviluppi del capitalismo degli ultimi decenni, lasciati per così dire a briglia sciolta, siano responsabili di quanto sta accadendo. 

In entrambi i casi, ci viene data l’opportunità di mostrare, anche dinanzi a chi è più chiuso nel suo piccolo mondo antico, sperando illusoriamente di salvarsi, che questo sistema non regge, è foriero di morte e di distruzione per l’umanità tutta intera e per la natura stessa, dal cui grembo siamo stati partoriti.

Prima di andare avanti nella direzione tracciata, vorrei soffermarmi brevemente sulla cosiddetta teoria del complotto.

Come è noto, di complotti, è seminata la storia, basta pensare alle attività di Catilina contro il Senato romano, o all’assassinio di Giulio Cesare da parte di un gruppo di congiurati, tra cui il figlio adottivo Bruto.

Chi ha un po’ di sensibilità storica, sa benissimo che le grandi trasformazioni storiche non si realizzano per le scelte politiche episodiche di gruppi più o meno agguerriti; il complotto, se effettivamente viene orchestrato nel segreto, non è che l’ultimo atto di una strategia politica elaborata da una certa forza sociale, forza sociale a cui corrispondono, in termini marxisti, ben precise classi o alleanze tra classi.

Per esempio, il colpo di Stato del Termidoro, termine poi divenuto paradigmatico, con cui furono arrestati e giustiziati RobespierreSaint JustCouthon, rappresentanti della sinistra giacobina, fu attuato da un’altra fazione del Comitato di Salute pubblica che, benché avesse partecipato al Terrore, si opponeva all’estremismo dei sanculotti e faceva gli interessi della nuova borghesia.

Ma torniamo al caso nostro, ossia all’ormai tanto famoso coronavirus, il cui tasso di letalità secondo calcoli sbagliati, forniti dall’Istituto superiore di sanità, è stato individuato nel 5,8% dei contagiati. 

Notizia che inevitabilmente (e volutamente?) ha terrorizzato la popolazione.

In questi giorni, siamo stati inondati dai pareri più disparati, di esperti veri e falsi, di personaggi noti al grande pubblico, di analisti politici, di propagandisti, che ci elargiscono tesi, ci dispensano consigli (vorrei sapere quanto paghiamo gli spot televisivi), e ci invitano ad essere un tutt’uno contro la pandemia, come se fossimo in guerra, contro un nemico comune.

 Ma non è così!

Altro che bandiere italiane ed inno di Mameli, il vero nemico è interno all’Italia ed è rappresentato da individui ben precisi e dagli interessi che essi rappresentano.

Come, per esempio, chi ha emanato lo stato di emergenza nella Gazzetta ufficiale, il primo febbraio per 6 mesi, in seguito alla presa di posizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, senza mettere in risalto questa notizia e facendola seguire da misure a singhiozzo e spesso contraddittorie, come ha dimostrato il persistere di attività lavorative in settori non essenziali (armi), la mancata disponibilità di strumenti protettivi che lo Stato stesso avrebbe dovuto distribuire alla popolazione.

Oppure, chi in nome del privato che è più efficiente (in realtà più redditizio), ha chiuso ospedali, strutture sanitarie e dato agevolazioni fiscali a privati.

O ancora, chi ha tagliato i fondi alla ricerca e all’università, facendo sì che – secondo la stessa OMS – oggi ci manchino 50.000 infermieri e probabilmente 45.000 medici, creando così un buco stratosferico che cerchiamo di riempire con aiuti provenienti da “odiati” paesi (Cuba, Cina, Venezuela), che, evidentemente, di fronte alle emergenze, funzionano meglio della “democratica” Italia.

Ma torniamo al nocciolo della questione, cioè al tema principale dell’articolo.

Esistono due tesi fondamentali:

1) “la distruzione sempre più veloce degli habitat”;

2) la costruzione in laboratorio del coronavirus che ha generato l’attuale pandemia, o la sua diffusione voluta o casuale, indipendentemente dalla sua origine.

Questi due tesi, che non credo si escludano reciprocamente, sono sostenute da vari studiosi, esperti, analisti internazionali.

In un articolo uscito su Le Monde diplomatique (Contro le pandemie, l’ecologia, marzo 2020) la giornalista statunitense, di origini indiane, Sonia Shah, scrive: “Dal 1940, centinaia di microbi patogeni sono comparsi o riapparsi in aree in cui in alcuni casi non si erano mai visti prima.

È il caso dell’immunodeficienza umana (Hiv), dell’Ebola nell’Africa occidentale e della Zika nel continente americano.

La maggior parte di essi (60%) è di origine animale.

Alcuni provengono da animali domestici o da allevamento; più di due terzi da animali selvatici”.

Come altri studiosi, la giornalista statunitense ritiene che: “la maggior parte di questi microbi vive al loro interno [degli animali] senza far loro alcun male.

Il problema è un altro: con il dilagare della deforestazione, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per arrivare fino al corpo umano e adattarsi”.

Altri studiosi convergono su questo tipo di riflessione, sottolineando che alcune zone della Cina sono state caratterizzate da questi processi come rapida urbanizzazione, industrializzazione dell’attività agropecuaria, integrazione alle nuove catene del valore sviluppati in maniera accelerata, dai quali sono scaturite le condizioni per la rapida mutazione del virus e per il cosiddetto “passaggio di specie”.

Come scrive il periodico on line Scienzainrete, questo fenomeno “sempre avvenuto, da quando esiste la vita, è favorito principalmente da due fattori”: i ricettori cellulari sono simili in specie diverse e la prolungata vicinanza fra uomini e animali.

Da queste considerazioni, si evince la ragione per la quale la Lombardia costituisce il centro dell’infezione, proprio per il semplice fatto che probabilmente, per la sua intensità industriale, costituisce la regione più inquinata d’Europa.

Si tenga inoltre presente che il contesto descritto negli ultimi decenni ha dato vita ad epidemie che si sono susseguite con maggiore frequenza, come la SARS (2002-03), influenza suina H1N1 (2009), il MERS Covid (2012), l’Ebola (2014-16), lo zika (2015) e il dengue (2016).

Epidemie di cui dobbiamo attribuire tutta responsabilità al capitalismo e alle sue dinamiche distruttive e perverse.

A questo punto, vorrei rispondere alla seconda domanda: il SARS-COVID-2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2), noto più semplicemente come COVID-19, è stato prodotto in un laboratorio, innescandone la mutazione, e poi involontariamente o volontariamente diffuso o disperso, anche nel caso in cui costituisca un organismo non manipolato?

L’ipotesi della diffusione involontaria dei virus non è del tutto scartata dal Bulletin of Atomic Scientists, nel quale si può leggere la descrizione del laboratorio di Plum Island, situato alla foce del Long Island Sound vicino a New York, il cui obiettivo è quello di operare nel campo della bio-sicurezza, altamente sviluppatasi dopo l’11 settembre.

Secondo questo studio, è affare dato che “nessun laboratorio è perfetto”, e dunque che è possibile che gli agenti patogeni delle malattie lì studiate possano in qualche modo sfuggire e colpire gli abitanti circostanti per poi espandersi ulteriormente.

Passiamo invece alla tesi assai discussa della diffusione volontaria del virus.

Come è noto, il presidente Trump insiste nel chiamare il Covid-19 il “virus cinese”, in questo seguito da settori filoamericani, che intendono cogliere ancora una volta l’occasione di demonizzare la Cina, considerando addirittura gli aiuti pervenutici da questo paese una sorta di cavallo di Troia.

Ovviamente tale associazione (Cina/virus) è fortemente respinta dal governo cinese, che nella persona del portavoce del Ministero degli Esteri, Lijan Zhao, in un tweet del 12 marzo, ha accusato gli Stati Uniti di non aver informato il mondo sulle numerose morti lì avvenute, sulla data del ritrovamento del cosiddetto paziente zero, insinuando che sia stato lo stesso esercito statunitense ad aver introdotto il virus a Wuhan in occasione dei giochi sportivi militari tenutosi a in questa città nell’ottobre del 2019.

L’ipotesi formulata dai cinesi è sposata dal giornalista brasiliano Pepe Escobar, il quale scrive che, essendo la Cina oggi il centro dell’economia mondiale, essendo diventata il socio commerciale di circa 130 paesi e avendo firmato solo nel 2019 contratti per la costruzione di infrastrutture per 128 miliardi di dollari, costituisce effettivamente – come ha affermato Trump – la più grande minaccia economica e militare per gli Stati Uniti.

Come si può ben capire, ci troviamo costretti a questo punto a parlare di guerra batteriologica o biologica, ossia di qualcosa di cui, nei tempi della cosiddetta guerra ibrida, bene o male tutti noi abbiamo sentito parlare o visto rappresentare magari in qualche film commerciale.

Ma che dati abbiamo su questo aspetto della questione?

Inevitabilmente ne menzionerò solo alcuni che mi sembrano importanti disposta ad accettare ulteriori informazioni da chi vorrà fornirmele.

La storia ci ricorda vari episodi di guerra batteriologica/biologica, di cui si resero responsabili gli antichi greci, i cartaginesi, gli spagnoli e gli inglesi nel Nuovo Mondo; infatti, sappiamo con certezza che questi due ultimi gruppi scientemente regalarono ad esponenti delle nazioni originarie indumenti appartenuti ad individui infettatati dal vaiolo, che – come è noto – fu una delle più rilevanti cause dello sterminio degli indo-americani.

Ernesto Burgio, medico pediatra, esperto di epigenetico e medicina molecolare, presidente del Comitato scientifico della Società italiana di Medicina ambientale (SIMA), fa notare che vi sono ragioni economiche (rapporto costi/benefici) che fanno delle armi biologiche un utile strumento: “Secondo stime un po’ semplicistiche, ma attendibili, la potenzialità bio-distruttiva di un grammo di spore di antrace è pari a quella di 700 grammi di plutonio da fissione, di 70 chilogrammi di gas nervino, di tre tonnellate di bombe al cluster”.

Detto in soldoni, ciò significa che con un po’ di spore di antrace si fanno fuori milioni di esseri umani a bassissimo costo (V. Armi biologiche e guerra (infinita) al pianeta).

Purtroppo per chi ha intenzione di far uso di tali strumenti di morte, scrive sempre Burgio, le armi biologiche “sono praticamente incontrollabili”, giacché “ogni volta che un microrganismo patogeno comincia a circolare all’interno della biosfera, la durata della sua permanenza in essa e il suo percorso sono assolutamente imprevedibili” (Ibidem).

E quindi è del tutto possibile che il diffusore stesso rischi di infettarsi e di infettare i suoi compatrioti.

Secondo la costituzionalista venezuelana M. Alejandra Díaz, intervistata da Telesur, vi sono delle ricerche, per esempio, quella di uno studioso venezuelano di nanotecnologie che ha tracciato la mappa genetica del virus, arrivando alla conclusione che esso sarebbe il risultato della combinazione di vari virus; mentre dalla ricerca di uno studioso cinese si ricaverebbe che il Covid-19 scaturisce dall’unione di segmenti tratti dall’HIV e dalla SARS.

La Signora Díaz, membro dell’Assemblea nazionale costituente del Venezuela, è convinta – come il già citato giornalista brasiliano – che il virus responsabile dell’epidemia in Cina sia uscito dai laboratori statunitensi, in effetti numerosi a partire dal secondo dopoguerra e moltiplicatisi dopo l’11 settembre.

La costituzionalista latino-americana sostiene che gli Stati Uniti stanno distruggendo il sistema di ordine internazionale da loro stessi creato dopo la Seconda guerra mondiale, e che stanno imponendo uno stato di eccezione mondiale, in cui il diritto viene sospeso e conta solo la forza.

In particolare, secondo questa ipotesi il Covid-19 sarebbe stato creato per colpire la Cina, facendone rallentare l’economia e danneggiando così anche quei paesi, come la Russia e l’Iran, che riforniscono l’ex impero celeste di petrolio e di gas.

Con questo atto, gli Stati Uniti avrebbero attaccato contemporaneamente i loro più acerrimi nemici: la Russia che li sfida sul piano tecnologico-militare e la Cina che li sta surclassando sul piano economico.

D’altra parte, fonti autorevoli, come il giornale Nature Medicine, considerano improbabile che il nostro virus sia il prodotto di una manipolazione fatta in un laboratorio di virus dello stesso tipo, perché tali cambiamenti possono anche avvenire per via naturale.

Inoltre, diversi esperti ci spiegano che è possibile distinguere tra le mutazioni dei virus prodotte in laboratorio attraverso l’inserimento nel genoma di un virus di pezzi del RNA di altri agenti patogeni, e quelle prodotte secondo il principio della selezione naturale, che avvengono in maniera graduale e uniforme.

Da parte sua, il biologo Paolo Massucci, ritiene che l’origine naturale o artificiale di un virus si può desumere, su basi probabilistiche, dallo studio delle sequenze variate di materiale genetico.

L’eventuale presenza, ad esempio, in un nuovo virus, di sequenze provenienti dai virus normalmente utilizzati nei laboratori a scopi di ingegneria genetica, fa propendere per l’ipotesi di una manipolazione umana.

Ma si tratta di un’indagine complessa che non sempre fornisce risultati certi e definitivi.

In ultima istanza, quindi sembrerebbe che, nonostante il dibattito sia acceso, gli epidemiologi e altri studiosi del settore sembrano escludere la produzione artificiale del COVID-19, mentre considerazioni di carattere geopolitico potrebbero suffragare una diversa ipotesi non necessariamente fondata sulla manipolazione del virus, ma più probabilmente sull’idea della diffusione casuale e/o volontaria del virus.

Richiamandomi un’altra volta al Burgio, vorrei aggiungere qualche altra rapida riflessione sulla storia della guerra biologica / batteriologica.

L’eminente studioso ricorda che durante la Seconda guerra mondiale giapponesi e tedeschi sperimentarono gli effetti di agenti patogeni su cavie umane, e che molti di loro furono assoldati successivamente dagli Stati Uniti, con la mediazione di Henry Kissinger e Allen Dulles, per lavorare nei laboratori di quel paese.

Scrive Burgio: “il programma americano per la guerra biologica, partito con un certo ritardo nel 1942, fu in grado di recuperare il tempo perduto nell’immediato dopoguerra, anche grazie alla preziosa collaborazione degli scienziati giapponesi della famigerata Unità 731, che avevano disseminato la Cina di pulci portatrici del bacillo della peste”.

Nel periodo della Guerra fredda entrambe le parti in lotta portarono avanti queste ricerche sviluppando “batteri, virus e tossine sempre più micidiali”, fino al momento in cui Stati Uniti ed Inghilterra presero la decisione di vietare le cosiddette armi dei “poveri” e sviluppare sempre più la guerra tecnologicamente più costosa, promuovendo la Biological Weapons Convention del 1972, per tenere a freno i paesi più litigiosi.

La Convenzione fu poi osteggiata da Clinton e da Bush, osserva Burgio, perché – riassumendo -: “proprio in quegli anni e proprio nei laboratori americani, si stava realizzando la rivoluzione tecnologica che avrebbe sconvolto il mondo della genetica e fornito agli scienziati gli strumenti necessari a trasformare innocui microrganismi in microscopiche bombe intelligenti, più potenti di qualsiasi arma mai costruita”.

Con questa rivoluzione gli scienziati, dotati o no di una sensibilità etica, si trovarono in mano i mezzi forniti dall’ingegneria genetica, con i quali è possibile “modificare e manipolare con una certa precisione il codice stesso della vita”.

Ovviamente queste scoperte trovarono immediatamente applicazioni che garantivano a imprese come la Geniatech, fondata dal premio Nobel Paul Berg, immensi profitti e mostrarono l’impossibilità di opporre ostacoli al proliferare di ricerche in questo campo, in cui per di più non è facile distinguere tra il loro uso difensivo e quello offensivo.

Quali sono le conclusioni che traggo da queste informazioni?

Molto rapidamente vorrei osservare che nessuno nega che il tardo capitalismo sta vivendo una crisi letale, dalla quale si può uscire solo trasformando dalle fondamenta il sistema attuale basato su micidiali conflitti e su strategie distruttive.

Purtroppo, l’unica via di uscita che immaginano i decisori mondiali, è quella di far pagare, ancora una volta, la terribile crisi alle masse popolari, attraverso politiche di austerità draconiana e con l’uso dello stato di eccezione mondiale, come suggeriva la Signora Díaz.

Dunque, il panico suscitato dalla diffusione volontaria o involontaria del COVID-19 sembra risultare assai utile a farci tacere e sottomettere ancora una volta, senza scartare l’ipotesi della guerra ibrida tra potenze.

Almeno avessimo imparato dalla storia…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italexit?

Trump Presidente: l’america segue Clint Eastwood

Coronavirus, stare dall’altra parte!

 




Esame sì, esame no, esame boom…

Ragazzi, avete il cervello elastico? Usatelo. E soprattutto divertitevi…

Sembra il gioco delle tre carte.

Prendi l’esame, togli l’esame, rimetti l’esame.

Tutti in presenza, Tutti a distanza, ognuno a casa sua.

Noi a scuola, voi a casa, i genitori lì a suggerire.

Voi a casa, noi a scuola” che è giusto così, con quello che paghiamo i prof per stare a casa, almeno li facciamo un po’lavorare “

Tesina scritta, tesina parlata, tesina consegnata, tesina spiegata.

In formato cartaceo, in formato digitale, in formato “Andate tutti a c ….e.

Che intanto chi mi boccia più?!?”

Sorpresa: l’esame di terza media, come già detto è saltato, ma la tesina, almeno quella, potrà (e dovrà) essere discussa con i propri prof, anche se in modalità telematica.

Pensa che ti ripensa, quelli del Miur, si sono detti “Ma vogliamo far vedere che ci pensiamo noi ad affrontare e risolvere i problemi reali di un Paese allo sbando?!?”

Ecco a voi, un piccolo brivido, per mezzo milione di quattordicenni italiani e per le loro famiglie.

Fino a ieri, poveri alunni, tutti convinti – perché così lasciava intendere il decreto scuola emanato il mese scorso – che bastasse consegnare la tesina ai prof, come un qualunque altro compito fatto da casa, e ciao.

E invece no.

Mai dire mai, nella scuola, come nella vita.

Non ci sarà il tema, né i due scritti di matematica e di lingue, perché, quello, oramai, l’avevamo detto e non si può più tornare indietro.

Ma almeno una specie di orale si farà.

E lo si farà prima dello scrutinio finale, non in presenza, ma lo si farà.

Sarà una specie di simulazione dell’orale saltato, che d’altronde anche in tempi normali si fa sempre e solo con i propri prof (in terza media, a differenza della Maturità, non ci sono mai stati i commissari esterni).

Per i ragazzi sarà un modo per mettersi alla prova, ma anche un’ultima occasione per salutare i propri insegnanti, che dall’anno prossimo non vedranno più.

Ma attenzione, quest’idea, vincente, è stata partorita dal basso, non dall’ alto, è nata direttamente dagli addetti al lavoro, che nella scuola ci vivono e ci lavorano, sul serio.

L’istituto Manin di Roma, infatti, aveva già deliberato qualche giorno fa, di far fare comunque l’esame orale a distanza ai propri alunni per non privarli di questo rito di passaggio.

Sin dall’inizio, i professori e la dirigente di questa scuola, hanno detto no alla sola tesina consegnata, ma non discussa, scegliendo, contro corrente, di prevedere, anche per gli studenti più giovani che si preparano alle scuole superiori, un rito di passaggio un po’più formale.

Così, la tesina è diventata una sorta di mini-maturità per dare, anche ai ragazzi più giovani, come a quelli più grandi, l’idea di superare un «reale» ostacolo, forse un po’ più difficile della «semplice» tesina, ma che faccia provare davvero quell’emozione e quel pizzico di sana paura, tipica della notte prima degli esami.

L’idea è stata avanzata direttamente dai professori.

«Sono loro – racconta fiera la dirigente dell’Istituto Manuela Manferlotti – a fare la differenza, a garantire una marcia in più alla nostra scuola, dove la didattica a distanza, pur con tutti i limiti strumentali del caso, sta funzionando».

«Ho accolto di buon grado la proposta dei miei insegnanti perché trovo giusto non far defluire troppo in fretta questo momento di crescita importante, questa emozione – spiega la Manferlotti –

E’un modo per dare maggior concretezza e dignità ad un esame che altrimenti si prospetta completamente anonimo e a distanza».

Applaude l’iniziativa il presidente dei presidi del Lazio Mario Rusconi:

«Mi sembra particolarmente interessante che, pur nel rispetto di tutte le disposizioni normative, durante il periodo della didattica a distanza, si dia impulso a questa sorta di simulazione dell’interrogazione orale, un modo professionale e innovativo di accogliere le giuste aspettative di alunni e famiglie».

Per fortuna che qualcuno l’ha capito ed ha agito di testa propria, dando un input al ministero!

Ma attenzione!

Quanto peserà la discussione della tesina nel voto finale?

Come ha spiegato ieri nell’incontro con i sindacati il nuovo uomo forte del ministero Max Bruschi, già consulente della ministra Gelmini scelto da Azzolina per guidare il Dipartimento del sistema educativo di istruzione e formazione, la tesina sarà il tassello finale di un processo di valutazione «olistica», in cui il consiglio di classe prenderà in considerazione l’intero percorso svolto dagli alunni nel corso dei tre anni.

Ma davvero?!?

Soppesando insieme alle competenze acquisite (leggi: i voti nelle singole materie) anche la maturazione raggiunta (leggi: il giudizio sulla condotta).

Il voto finale, come sempre, sarà in decimi, con anche la lode per i più bravi (e responsabili).

Ma guarda, non ci avevamo pensato, per fortuna che quelli del Miur, ce lo dicono loro, dall’alto…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona Notte, cara Ministra, vada a dormire, che è meglio…

Riaprire la Scuola

 




Talento Sharona

THE KNACK: IL FENOMENO “SHARONA”

THE KNACK, “IL TALENTO”: questo è il nome della band di Los Angeles capitanata da Doug Fieger (chitarra e voce) e Berton Averre (chitarra) che ha segnato il mondo della musica a partire dalla fine degli anni settanta!

A completare il quartetto Prescott Niles (basso) e Bruce Gary (batteria).

Una delle band meno prolifiche del panorama Rock, ma sicuramente tra le più incisive.

Una sola canzone che ha reso THE KNACK immortali: My Sharona! Con questo capolavoro THE KNACK del compianto Fieger (Doug Fieger è morto nel 2010 all’età di 57 anni per un tumore cerebrale; n.d.a.) hanno scalato le vette delle classifiche di quasi tutti i paesi del mondo rimanendoci fino ai giorni nostri.

My Sharona è infatti la canzone più ascoltata da intere generazioni.

Sono disposto a sfidare chiunque abbia più di 12 anni a non conoscere questo simbolo del Rock targato anni settanta… ottanta, novanta, duemila, duemilaedieci e pure venti!

Moltissimi sono i musicisti che hanno adorato le canzoni di Doug & Co. ed alcuni hanno continuato a suonare la cover di My Sharona nei loro concerti, ricordo solo questi mostri sacri del Rock: METALLICA, FOO FIGHTERS, NIRVANA e ci metto pure i TIMORIA dell’amico Omar Pedrini.

THE KNACK sono stati spesso sottovalutati, nonostante abbiano prodotto pezzi di grandissimo valore come Good Girls Don’t e Baby Talks Dirty.

Solo My Sharona però ha tributato al Combo californiano un successo strabiliante.

Il riff iniziale è uno dei più celebri e riconoscibili del Rock, forse anche più famoso dell’intro di Smoke on the Water dei DEEP PURPLE. My Sharona NON è un brano POP come gli “etichettatori” vorrebbero…

My Sharona è pura potenza di suono, puro Rock’n’Roll! Come molti artisti dell’epoca (succede purtroppo anche ai nostri giorni, anzi oggi in modo vergognoso, n.d.a.) anche THE KNACK hanno subito una certa manipolazione artistica voluta dalle case discografiche (Capitol in testa), che imponevano alla Band produzioni più “radiofoniche” di quelle contenute in Get the Knack, il loro primo lavoro in studio del 1979.

Purtroppo già dall’anno seguente, con l’album …But the Little Girls Understand, la band ammorbidisce le chitarre e alleggerisce pure il groove della sezione ritmica. Sulla falsa riga del secondo disco, THE KNACK produrranno Round Trip (1981), Serious Fun (addirittura 1991), Zoom (1998), Normal as the Next Guy (2001) ed infine Re-Zoom. (2008).

La straordinaria fiammata con cui THE KNACK hanno scritto My Sharona li ha portati ad avere uno spazio importante nell’olimpo del Rock.

La canzone parla della bellissima (e giovanissima!) Sharona Alperin di cui Doug si innamorò perdutamente (Sharona Alperin, canottiera bianca, jeans ed in mano una copia dell’album della band, compare nella copertina del 45 giri; n.d.a.) e che dopo un breve periodo di fidanzamento rimase amica fino al giorno delle morte di Doug.

Chi vi scrive ha amato, suonato e cantato centinaia di volte questa canzone dal ritmo travolgente, un singolo praticamente perfetto e, come già detto, mai fuori moda.

Avevo dodici anni quando la sentii per la prima volta, era un disco 45 giri regalato da un amico a mio padre ed una domenica mattina, lo ricordo come fosse ieri, misi sul piatto del “giradischi” (rigorosamente Philips), il pezzo di THE KNACK. In quell’istante ho capito che avrei voluto suonare quella musica affascinante, nei mesi ed anni successivi infatti sarebbe diventata realtà.

Un aneddoto da raccontare: quante volte un profumo o un suono ci hanno riportato alla mente ricordi ed immagini del passato?

Beh, per citare Marcel Proust, celebre autore de La Recherche du Temps Perdu: «Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente, e solitamente nascosta, delle cose sia liberata (…)».

Così mi accade quando oggi riascolto My Sharona. In febbraio 2010 poi la triste notizia: nel bel mezzo di un CdA apprendo dal mio Nokia 9000 Communicator che era morto Doug Fieger, mi ha preso una strana malinconia, quella malinconia che viene quando un grande artista ci lascia dopo aver riempito il mondo con il suo genio.

Vi voglio salutare con un omaggio a Sharona e ai THE KNACK di una delle più grandi artiste italiane: Mina.

 

https://www.youtube.com/watch?v=jcfgx4nxHXE

 

 

PERTH

GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE

JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL’HAIR METAL

 




Cosa è indispensabile per la riapertura

Saloni e centri estetici. Cosa è indispensabile per la riapertura

Possibile apertura anticipata per parrucchieri ed estetiste ma cosa serve davvero?

Secondo il Dpcm 26 aprile 2020 le attività di servizi alla persona fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti non possono ancora riaprire, in sede di conferenza stampa il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dato come data possibile il 1 giugno.

Questa comunicazione ha attivato in diverse regioni, soprattutto quelle con un numero di contagi contenuto, una pressante richiesta alla riapertura anticipata.

Considerata la contingenza dei fatti e il reale stato epidemiologico, alcune regioni e alcuni sindaci hanno deciso di valutare l’apertura anticipata della categoria, la data di interesse è il 18 maggio.
Ovviamente la scelta è difficile in quanto una presa di posizione di questo tipo potrebbe implicare un subentro di responsabilità da parte dell’autorità locale in caso di contagio per qualche lavoratore.

In questa roulette russa di date, la preoccupazione più grande dei professionisti del settore beauty (come sono classificati gli operatori che lavorano nel settore dei saloni e dei centri estetici), è quella di farsi trovare “pronti”; laddove la misura della preparazione sta nell’adeguamento a protocolli e regole precise indicate dal Governo o dall’amministrazione locale.

In un panorama privo di regole precise, i poveri saloni di parrucchieri e centri estetici sono bombardati da aziende che cercano di vender loro servizi medicali e forniture di cui però, ancora non si conosce la vera necessità.

Le domande

Dovendo però aprire e non avendo ancora delle regole e delle indicazioni precise, i professionisti di questo settore sono pieni di domande:

  • Serviranno le mascherine? 
  • E i calzari?
  • Le visiere?
  • Bisognerà avvolgere le clienti nella pellicola trasparente come mostrano video amaramente divertenti?
  • Bisognerà comprare i termometri?
  • Bisogna chiamare una impresa di pulizie specializzata che elimini il 100% dei batteri?
  • L’ozono funziona? 
  • E l’alcol etilico?
  • Meglio l’ozono o l’alcol etilico?
  • Le lampade UV devono avere caratteristiche ulteriori rispetto a quelle già presenti nel salone?

Ma se già i centri erano iper puliti e iper disinfettati e attenti alla persona, cosa dovrebbero fare di più?

Lo stato dell’arte

Lo stato dell’arte è una situazione border line di difficile gestione dovuta al fatto che le normali regole della mascherina e della distanza di un metro non soddisfano le esigenze professionali della categoria e dei loro clienti.

In più ancora non esiste una comunicazione ufficiale per quanto riguarda la data di riapertura né un protocollo specifico per quanto riguarda le regole da seguire in caso di ripresa di attività.

Quello però che è possibile osservare e a cui poter fare riferimento è che, per quanto riguarda i protocolli e le regole a cui far capo, gli imprenditori e le imprenditrici del settore beauty hanno già delle indicazioni chiare e difinite e sono quelle indicate dalla legge 81 sulla sicurezza del lavoro e sul rischio biologico.

In attesa di sapere se i calzari saranno obbligatori e se e quali strumenti aggiuntivi bisognerà acquistare, abbiamo chiesto a Francesco Melis assessore alla Protezione Civile e Polizia Locale del comune di Iglesias, quali sono, senza dubbio, le accortezze che centri estetici e saloni possono mettere in atto e su quali processi ragionare in vista della riapertura.

 

Premessa

Facciamo una premessa:

Il problema riscontrato nella riapertura delle attività di servizi alla persona, è stato dovuto anche alla doverosa valutazione dei rischi.

Secondo la normativa vigente, nel momento in cui bisogna fare una valutazione dei rischi i rischi, i primi da valutare sono i rischi professionali.

I rischi professionali sono quelli che hanno a che fare con la salute e la sicurezza sul  posto lavoro a cui il lavorato è esposto (nota, confronta piè di pagina).

Considerato che le indicazioni sul contagio riportano che il contagio del COVID-19 avviene tramite vie respiratorie (ragion per cui è richiesta la mascherina) e contatto diretto delle mani con occhi naso e bocca, i rischi professionali che interessano gli operatori del settore del beauty sono più elevate rispetto chi volge un lavoro a minor contatto con le persone.

Per quanto riguarda le misure specifiche di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica covid possiamo rifarci alla normativa vigente come integrata e chiarita dalle fonti autorevoli indicate in calce.

Misure specifiche che il titolare deve adottare all’interno dell’attività.

All’interno della propria attività, il titolare è tenuto ad adottare alcune misure specifiche:

  • convocazione a lavoro del numero indispensabile di lavoratori dividendone l’accesso in turni;
  • formazione del personale sui nuovi protocolli e le nuove procedure;
  • creazione di un registro di presenza che indichi con precisione orario di ingresso e uscita di ciascun lavoratore, fornitore, visitatore e utente. Questo registro sarà utile all’autorità sanitaria in caso di accertamento di positività di uno di essi;
  • costituzione di un Comitato per l’applicazione e la verifica delle misure di sicurezza contro la diffusione del covid-19;
  • esposizione di cartelli informativi: 
  1. uno relativo agli atteggiamenti e alle misure da adottare per la prevenzione del virus, 
  2. un altro relativo all’informativa privacy sul rilevamento della temperatura, 
  3. un terzo cartello di prevenzione e protezione nei luoghi di maggiore passaggio,
  4. Un quarto con le indicazioni di come lavare le mani e usare le mascherine 

Cosa mettere a disposizione delle clienti e dei dipendenti

Il titolare è inoltre tenuto a mettere a disposizione di clienti, dipendenti ed altri avventori:

  • dispenser di soluzione igienizzante idroalcolica;
  • mascherine con filtrante FFP2/FFP3 da fornire ai lavoratori incaricati del rilevamento della temperatura;
  • mascherine chirurgiche da fornire a tutti i lavoratori o alle clienti o fornitori non fornite delle stesse;
  • camici monouso impermeabili guanti monouso e occhiali o maschera facciale per i dipendenti incaricati delle operazioni di sanificazione;
  • Ove possibile, individuazione di un servizio igienico ai soli ospiti separato da quello dei dipendenti.

La sanificazione

In questo periodo si sente tantissimo parlare di sanificazione e, nonostante la frequenza dell’argomento, è bene fare dei chiarimenti.

Cosa è la sanificazione 

Per”sanificazione” si intende un insieme di operazioni che interessano un’area, un locale o una superficie, che arriva a garantire che quell’area, locale o superficie sia anche “sana” ovvero ragionevolmente priva di batteri e virus che possano comportare un rischio per la salute. 

In poche parole si tratta del normale e già abituale nei centri estetici passaggio con disinfettanti.

Non è obbligatorio rivolgersi a una azienda specializzata, può esser svolta anche da personale interno incaricato.

Quali prodotti utilizzare:

  • la candeggina (ipoclorito di sodio) allo 0,5% o superiore per piastrelle, muri, sanitari, scrivanie/banchi e sedie in legno o formica etc – per preparare 10 litri di soluzione allo 0,5% partendo dalla candeggina al 5% è sufficiente diluire 1 litro di candeggina in 9 litri di acqua 
  • l’alcool etilico al 75% o superiore per tastiere, mouse, interruttori etc (in quanto meno aggressivo)

L’eventuale scelta di adottare prodotti diversi deve essere accompagnata da una dichiarazione del distributore / produttore che attesti ufficialmente l’efficacia del prodotto per il contrasto al coronavirus.

Quando va fatta la sanificazione

La sanificazione ha una frequenza di tre tipi:

  • Ad ogni uso
  • Quotidiana 
  • Settimanale

Santificazione quotidiana:

In caso di uso di una sola persona, va vanificato ogni giorno ogni oggetto toccato:

telecomandi, tastiere, mouse, schermi, interruttori, maniglie, finestre, scrivanie, tavoli, mensole do appoggio, tastierini di stampanti e copiatrici, sedie, pulsanti di ogni dispositivo, sanitari, rubinetti e ogni tipo di manopola o superficie di contatto.

Vanno igienizzati quotidianamente anche pavimenti e superfici comuni.

Sanificazione più volte al giorno

Vanno sanificate più volte al giorno tutte quelle superfici di contatto che vengono toccate dal personale interno ed esterno al centro:

tastiere, schienali, sedie, maniglie, armadi…

Sanificazione ettimanale

In caso di locali scarsamente utilizzati, la sanificazione può esser fatta settimanalmente piuttosto che quotidianamente

Sanificazione straordinaria

Prima della riapertura parrucchieri e centri estetici devono fare una sanificazione.

Il personale incaricato deve indossare: 

  • mascherina FFP2/FFP3, 
  • maschera facciale, 
  • guanti monouso, 
  • camice monouso impermeabile a maniche lunghe 

Dopo aver effettuato la sanificazione tutto quanto indicato sopra dovrà essere trattato come rifiuti speciali in quanto potenzialmente infetti.

Come va effettuata questa prima sanificazione

Si tratta di una regolare pulizia dei locali, aree e superfici prevista dal normale protocollo di pulizia, se presente o dalle normali abitudini operative osservate all’interno dell’azienda/ente, utilizzando i detergenti comunemente in uso.

  • Pulire tutte le superfici (telecomandi, tastiere, mouse, schermi touch, interruttori, maniglie, finestre, scrivanie, tavoli, mensole d’appoggio, tastierini di stampanti e copiatrici, sedie, pulsanti dei dispenser della soluzione igienizzante mani etc.) mediante uso di stracci in microfibra inumiditi con alcool etilico al 75% o con soluzione di candeggina allo 0,5% in funzione del tipo di materiale. Lo straccio deve essere utilizzato sfregando l’oggetto da sanificare e garantendo un tempo minimo di azione del disinfettante, lo stesso non deve essere intriso al punto da “sgocciolare” ma comunque ben inumidito di soluzione disinfettante
  • Durante tutte le operazioni deve essere assicurata la ventilazione degli ambienti.
  • Le tende ed ogni altro oggetto in tessuto deve essere sottoposto ad un ciclo di lavaggio a 90° e detergente, se ciò non è possibile occorre addizionare il ciclo di lavaggio con candeggina;
  • Eseguire, in un’unica soluzione, tutte le operazioni di sanificazione previste a frequenza quotidiana e settimanale.

Al termine delle operazioni dare evidenza in un Registro delle pulizie dell’attività svolta (data, ora, cosa è stato sanificato, da chi).

Riepilogo dei documenti che devono essere presenti sul luogo di lavoro

Una parziale novità sarà data dai documenti che devono essere presenti sul luogo di lavoro:

  • Registro delle presenze 
  • Cartello informativo 
  • Informativa privacy temperatura
  • Lettera di incarico privacy
  • Cartello prevenzione e protezione
  • Cartello lavaggio mani e istruzioni mascherina
  • Opuscolo per la diluizione della candeggina 
  • Tabella delle frequenze della sanificazione
  • Registro delle pulizie 
  • Modulo di consegna dei dispositivi di Protezione Individuale
  • Istruzioni i operative al personale

Buon lavoro


Riferimenti

  • Per la normativa vigente, i rischi che devono essere oggetto di valutazione e conseguente formalizzazione della stessa all’interno di un Documento di Valutazione dei Rischi, sono i rischi professionali e cioè quelli per la salute e la sicurezza sul lavoro a cui è esposto un lavoratore nell’espletamento della sua attività lavorativa nella specifica mansione all’interno dell’organizzazione aziendale.

Documenti di riferimento:

Formazione utile

Presentazione della prima edizione del master in Orientamento alla Persona

 

 

 

 

 

 

 

Lettera di un medico al Ministro Conte

quando è troppo è troppo!