ALEX DE ROSSO: ROCK IS NOT DEAD!

 

Moltissime cose vorrei chiedere ad un amico come Alex De Rosso e non tutte riguardano la musica, mi sono ripromesso però di farlo di fronte ad una birra ghiacciata.

Alex è uno degli artisti che con la sua musica ha incantato fin da giovanissimo la mia città, Padova, per poi volare sempre più in alto fino ad arrivare a calcare i palchi di molti Paesi d’Europa, degli States e del Canada.

Ho raggiunto Alex e gli ho posto alcune domande alle quali ha risposto con piacere.

PERTH: Ciao Spillo, voglio partire subito in quarta: i nostri lettori hanno imparato a conoscere bene cosa noi di Betapress intendiamo per Musica, quella con la “M” maiuscola. La differenza infatti tra il meccanismo competitivo e sterile delle performances canore degli “artisti da Talent” e la libera creatività dei cantautori e compositori è la stessa che c’è tra chi concorre ed è disposto a qualsiasi cosa per aver successo e chi scrive e fa Musica per far battere il cuore. Che ne pensi?

ALEX: Ahahahha ecco! Iniziamo con i soprannomi! Considero la Musica una forma d’arte, e quindi libera da competizioni… purtroppo il messaggio che ormai da tempo sta passando è quello che chi canta o suona meglio (tecnicamente) vince. Ad ogni modo c’è sempre stato chi fa le cose per farsi notare e chi le fa perché non riesce a farne a meno… nulla di sbagliato in ogni caso, solo due modalità diverse. Per quanto riguarda il “successo”, per me coincide con la possibilità di vivere facendo quello che mi piace con meno compromessi possibile.

PERTH: Sei un punto di riferimento per l’Hard Rock in Italia e ti sei fatto conoscere anche in molti Paesi del mondo. Secondo te… Rock is dead?

ALEX: Sicuramente come fenomeno di massa “Rock is dead”. Dovremmo ormai avere capito che tutto gira intorno al “$”, e quindi altre cose hanno molto più appeal da questo punto di vista. Resta una cosa per vecchi nostalgici come noi ahahahah! Fredde analisi a parte, c’è ancora un sentimento sincero che resta vivo in molte persone, ma mancano le occasioni per tenerlo in buona salute.

PERTH: In una recente video diretta on line hai parlato di produzioni e di nuove tecnologie negli studi di registrazione, focalizzandoti sulla differenza tra evoluzione e regressione nella qualità dei progetti discografici, dicendo che non si può oggi delineare con chiarezza il percorso che sta nel mezzo tra un punto iniziale A ed un punto finale B. Puoi chiarire meglio?

ALEX: Intendevo dire che ormai da diversi anni la tecnologia per effettuare e gestire una registrazione musicale, anche complessa, è facile da ottenere e quindi una vasta platea di musicisti ne può trarre vantaggio. La preparazione e l’esperienza per farlo secondo certi standard è però tutta un’altra cosa… ma è dura l’educazione in un ambiente dove tutti sanno fare tutto!

PERTH: Ci auguriamo tutti che i giovani diventino il perno di una società meno malata di quella in cui viviamo e mi riferisco innanzitutto al periodo drammatico di clausura forzata, ma anche agli attuali sistemi politico, economico, giuridico e sociale. Pensi che l’Arte e nello specifico la Musica possano in qualche modo sostenere una trasformazione indispensabile per il necessario cambiamento?

ALEX: Può funzionare solo se il sistema politico, economico, giuridico e sociale, sostengono a loro volta la cultura e l’arte. Certo che chi ha avuto la fortuna (e la bravura) di aver raggiunto ottimi livelli di presenza e di sopravvivenza continuerà ad andare avanti… ma gli altri come faranno? I nuovi artisti dovranno per forza sgomitare nei talent? Io spero di no.

PERTH: Parliamo di musica… suonata! Non ti nascondo che sei stato maestro per molti di noi e tra i chitarristi più amati in assoluto dal sottoscritto. Ci racconti quale strumentazione utilizzi in studio e nei live e quale importanza rivestono i set up nel tuo modo di esprimerti come chitarrista?

ALEX: Sostanzialmente la strumentazione che uso dal vivo e in studio è la stessa. Le variazioni sono in funzione della band con la quale suono live e del progetto che sto producendo in studio. Tutte le chitarre elettriche che uso nelle varie situazioni sono ESP, marchio del quale sono endorser da più di vent’anni. Per quanto riguarda amplificatori e cavi uso FROG, marchio italiano relativamente giovane, ma con produzione di altissima qualità. Anche le corde DOGAL che monto su tutte le chitarre sono un prodotto italiano di eccellenza. Inutile dire che anche per me, come per tutti i musicisti, è di fondamentale importanza usare strumenti e accessori di alta qualità che rispettino i propri gusti ed esigenze per sonorità, comodità, e affidabilità.

PERTH: Hai più volte detto che «fare musica non è per tutti» e «che un sacco di gente pensa che basti farsi vedere sui social per dire di essere bravo». Cosa deve avere secondo te un artista per poter essere indiscutibilmente riconosciuto come tale e come riuscire a coniugare scelta passionale e scelta commerciale?

ALEX: Cercherò di rispondere evitando di essere polemico a riguardo dell’argomento social… È difficile valutare cosa è giusto e cosa sbagliato, come lo è altrettanto valutare la bravura di un musicista. Direi che è la storia di ognuno di noi a parlare a chi ci guarda, e ovviamente il proprio gusto personale. Fare musica non è per tutti come anche fare vino non è per tutti, come anche fare il cuoco non è per tutti, e via così per tutte le arti professioni… uno dei punti deboli dei social è che permettono a tutti di essere qualsiasi cosa.

PERTH: Ho avuto l’onore di intervistare Andrea “Conte” Bacchini chitarrista dei Karma (vedi Betapress aprile 2018; n.d.a.), ed in quell’occasione mi consegnò questa riflessione: «Ultimamente ho una certa avversione per la chitarra. Un po’ devo dire che mi sento tradito. Le ho dedicato fin da giovane praticamente tutto (…). La musica è per me passione e la passione la puoi mettere in una cosa che hai scritto e che ti rappresenta, una sfera artistica e creativa che è un investimento emotivo per cui vale la pena suonare». Ti senti tradito anche tu dalla chitarra?

ALEX: Devo dire di essere in parte d’accordo con queste affermazioni, ma non mi sento per nulla tradito dalla chitarra o dalla musica più generale. Semplicemente non mi è mai piaciuto l’ambiente musicale, specialmente quello italiano, fondamentalmente perché ho trovato poche persone a pensarla veramente come me a proposito dei vari aspetti professionali della musica. Il mio rapporto con la chitarra è sicuramente cambiato negli anni… dal quasi fisico e morboso dei primi anni, fino ad arrivare a considerarla un semplice strumento per poter creare musica nelle diverse situazioni. E il divertimento è sempre tanto!

PERTH: Molti anni or sono (sigh!) venivo a sentire i concerti dei “tuoi” Dark Lord con la compagnia di amici che, pur non amando il Rock come il sottoscritto, erano entusiasti di vedere musica live. Pensi che si possa tornare a divertirci in modo genuino come ai Concerti di qualche tempo fa, oppure pensi che la cultura musicale abbia subito un profondo ed irreversibile mutamento?

ALEX: Questa sarà la mia risposta più breve: penso proprio di no! Anche a causa di tutto quello che è cambiato nel mondo della musica, compresa la troppa offerta a scopo commerciale.

PERTH: Poche voci “fuori dal coro” indicano le enormi differenze tra educazione musicale in Italia e negli USA. Per non parlare della differenza abissale tra le produzioni artistiche. Qual è la tua opinione?

ALEX: La differenza di background musicale è forse la causa principale di queste differenze specialmente nella musica Rock. In Italia la musica Rock non fa parte della nostra cultura di base, mentre negli USA ovviamente sì. Per quanto riguarda le produzioni artistiche vale lo stesso principio, considerando che qui da noi è molto difficile che un musicista venga valorizzato e riconosciuto. Quasi sempre abbiamo a che fare con cantanti che hanno una band, più che con una vera “Band”.

PERTH: Ripercorrendo la tua lunga carriera, in cui si evincono da un lato le esperienze compositive e dall’altro le celebri collaborazioni con il gotha mondiale della musica Hard Rock (http://www.alexderosso.com/bio), arriviamo a Lions & Lambs. Ascoltando le 10 tracks dell’album, peraltro farcite di collaborazioni di primo livello assoluto, si capisce come questo lavoro sia un documento della maturità artistica di Alex De Rosso. Ci racconti la genesi del disco?

ALEX: È una produzione che è arrivata dopo un lungo periodo passato a suonare, a scrivere e a produrre per altri artisti e progetti. Avevo semplicemente voglia finalmente di affrontare una produzione di alto livello anche coinvolgendo altri artisti fenomenali, con i quali avevo maturato negli ultimi anni un ottimo rapporto personale. Ho affrontato una preproduzione abbastanza impegnativa per essere sicuro che tutto funzionasse al meglio, pensando anche all’abbinamento stilistico musicale tra brano e special guest. Successivamente ho spedito le mie proposte a tutti e con grande soddisfazione ho ricevuto risposte entusiastiche da tutti gli invitati. Il resto lo trovate nel cd!

PERTH: C’è questa frase della bellissima seconda track, Resistance, di Lions & Lambs che mi ha colpito molto: I’m flying away / you’ll hit the ground / Anyone there / showing resistance / can’t get higher / not surrendering now. E’ una domanda di compimento artistico o una premonizione del periodo attuale?

ALEX: Devo fare una premessa: il mio rapporto con i testi delle canzoni non è poi così intimo… non mi sento un poeta. In questo caso è presente una scena di classiche difficoltà della vita e della nostra capacità di affrontare le avversità e di essere resilienti. Meglio non arrendersi insomma!

PERTH: Grazie Alex! Ci vediamo presto.

 

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PERTH

 

COMPAGNI DI VIAGGIO: OMAR PEDRINI

JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL’HAIR METAL




Arte: cura o espressione della follia?

Un tema spesso dibattuto è quello concernente il rapporto tra arte e follia ma l’arte può divenire anche cura nelle situazioni di disagio psicologico. Ci chiediamo come sia possibile che un qualcosa di distruttivo possa al tempo stesso  ricostruire.

Ci troviamo di fronte ad un’antitesi nei confronti della quale diviene difficile sostenere l’una tesi piuttosto che l’altra. Tutti abbiamo sentito parlare della follia che si esprime nei capolavori dell’arte.

Pensiamo ad esempio a Van Gogh con “Autoritratto con orecchio bendato”, a Munch con “L’urlo”, a Goya con “Il sonno della ragione genera mostri” e solo per citare alcuni  artisti noti anche ai meno esperti nel campo.

Molti artisti famosi hanno avuto  momenti di disagio psichico più o meno grave e spesso tale malessere ha accompagnato le loro produzioni più prestigiose.

Come affermava Freud “L’arte costituisce un regno intermedio tra la realtà che frustra i desideri e il mondo della fantasia che li appaga, un dominio per cui sono rimaste per così dire vive le aspirazioni all’onnipotenza dell’umanità primitiva”.

Per Freud l’artista è dunque un soggetto che si distoglie dalla realtà per trovare una via di realizzazione nel mondo della fantasia, che si traduce però in una nuova realtà di cose interpretabili come preziose raffigurazioni del reale.

Se l’artista dunque spesso manifesta disturbi nevrotici o psicotici vale anche l’accezione che nel soggetto sofferente e spesso definito folle, anche se non ha mai  esercitato l’arte, possano essere presenti alte potenzialità in questa area.

Possiamo ritenere che l’arte scaturisca da tensioni emozionali di sofferenza quali la paura, la solitudine, la rabbia ed altro.

Lo stesso Aristotele affermava che “Gli uomini  eccezionali in filosofia, politica, poesia o arte sono manifestatamente malinconici e alcuni al punto da essere considerati matti a causa degli umori biliari”.

È proprio riconoscendo le potenzialità dell’arte che molti psichiatri, psicologi e psicoterapeuti hanno intravisto nell’arteterapia uno strumento utile per la riabilitazione dei loro pazienti.

L’arteterapia permette infatti al soggetto disfunzionale di entrare in contatto con il suo mondo emozionale e favorisce la comunicazione, che è spesso bloccata, attraverso un altro canale che è quello espressivo.

L’arteterapia può essere attivata sia a livello individuale che di gruppo e, per quanto  concerne il ricreare un sentimento sociale spesso smarrito dal paziente, è  preferibile quest’ultima forma.

La cura dei pazienti psichiatrici non può più privilegiare solo la  farmacologica e la psicoterapia ma deve valorizzare anche la possibilità di  applicazione di cure che rientrano nell’espressività quali la pittura, il teatro, la danza.

Possiamo dunque riflettere sulle enormi potenzialità dell’arte e un riconoscimento particolare alla diffusione di questo nuovo strumento di cura va a Margaret Naumburg, psicoanalista freudiana che introduce in America l’arteterapia, e a Edith Kramer, artista e docente austriaca che la applica sul campo con i bambini e gli adolescenti portatori di disagio psichico.

Perché è importante l’arteterapia nella cura?

L’arteterapia ha una valenza di tipo  educativo nel senso che aiuta il  soggetto a manifestare il suo vissuto di sofferenza.

Educare quindi come “tirare fuori”, tirare fuori dal tunnel ciò che impedisce di vivere serenamente la propria quotidianità.

 

 




ANCODIS: il “big bang” del Covid 19/20 ed il tema della sicurezza a scuola

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Sport: investimenti non elemosina.

Se un giorno incontraste per la strada il Dott. Larry Page e vi dicesse che per due mesi ha dovuto tenere chiuso le sue attività ed ora ha delle difficoltà economiche, vi verrebbe in mente di dargli qualche monetina?

Probabilmente no, nessuno gli darebbe l’elemosina.

Elemosina, citando il dizionario Treccani, “Quello che si dà alle persone bisognose, secondo il precetto cristiano della carità”

Non lo farebbero nemmeno i religiosi più osservanti, non certo per mancanza di fede o disprezzo verso quell’uomo, nessuno metterebbe in dubbio lo stato di bisogno ma per il semplice motivo che, essendo Larry Page tra gli uomini più ricchi del mondo, alcune monetine sarebbero assolutamente ininfluenti rispetto alle perdite che potrebbero aver avuto le sue attività e, con tutta probabilità, sarebbe lui stesso a declinare l’offerta, dicendo che potrebbero aiutare di più altre persone. 

Lui e Google non avrebbero bisogno di qualche monetina per riprendere la corsa ma investimenti, progetti e finanziamenti di tutt’altra portata.

Non augureremmo mai una situazione del genere a Google ed al Dott. Page, ma questo è esattamente successo allo Sport nel nostro Paese ed il paragone non è casuale; l’americano è l’ottavo uomo più ricco del mondo e l’Italia è l’ottava potenza sportiva mondiale. 

Sentir parlare, almeno si leggesse qualcosa di scritto, di aiuti con importi tra i 200mln, 400mln, 600mln in piccola parte a fondo perduto ed in gran parte come finanziamento è molto simile ad un elemosina, con la differenza che quella almeno non devi darla indietro. 

Utilizzando stime anche volutamente contrarie alla tesi di chi scrive, prendendo il massimo prospettato € 600.000.000 e dividendolo per una stima, sicuramente troppo bassa, del numero di società sportive in Italia (130.000) non farebbero nemmeno 5000 Euro a società.

Quei soldi ne prolungherebbero l’agonia di qualche giorno, salvo poi doverli restituire.

Collaboratori sportivi che non ricevono un bonus di €600 da settimane, che non ricevono stipendi da mesi, non si sa ancora se riprenderanno alcuni campionati a partire dalla serie A di calcio che muove e consente di vivere lavorando, a tante persone, non solo i 22 in campo.

DPCM che trattano con poca attenzione le peculiarità delle diverse discipline e, nessuna proroga per esempio per i pagamenti delle utenze dei centri sportivi – forzatamente fermi – e, altro esempio, per i contributi del calcio femminile – tre anni volano via in fretta – . 

Non è questo il momento di imparare a conoscere il mondo dello Sport ma di imparare dal mondo dello Sport utilizzando progettualità, investimenti e finanziamenti congrui, un po’ come per la storiella di Page e Google.

Bene la legge Olimpica.

Dobbiamo Investire nell’impiantistica sportiva, nell’educazione fisica/motoria nelle scuole, nella formazione, nei dirigenti, nei grandi eventi e sostenere economicamente, ma davvero, le società che hanno progetti seri per il futuro.

Ora è il momento di farlo, prima che sia troppo tardi, magari rivedendo quella riforma/rivoluzione dello Sport partita e mai finita a dimostrazione che di questi tempi i ritmi della Politica, non coincidono con quelli di chi, ogni giorno scende in campo, lavora, si allena e vince, facendo grande il nostro Paese nel mondo.

 

 




Bentornata a casa??

Silvia Romano è viva ed è stata liberata.

 E gli italiani come reagiscono?

Sollevo, gioia, stupore la reazione di alcuni.

Perplessità, smarrimento, incredulità quella di altri.

Rabbia, odio, xenofobia, sessismo quella di altri ancora.

E la reazione suscitata non c’entra con il credo politico, l’identità sessuale o il potere economico di chi la prova.

E’ un brivido che ci scorre lungo la schiena quando la vediamo.

“E’ lei, è viva, ce l’ha fatta!”

“Ma com’è vestita? Ma cosa dice? Ma cosa le hanno fatto?”

Fino a ”Non è possibile! Ma chi abbiamo liberato e perché?”

E così succede che Silvia non abbia nemmeno finito di scendere la scaletta dell’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata in Italia, che centinaia di benpensanti (ma altrettanto mal scriventi) si scatenino già sui social con illazioni e offese di ogni tipo. 

Perché? Per la sua immagine killer, così stridente da quella a cui eravamo abituati.

Avevamo in mente una ragazza in canottiera, abbronzata e sorridente, con in braccio un bimbo africano, ed invece, ci siamo trovati di fronte una donna coperta, quasi irriconoscibile, se non fosse stato per il sorriso, e, per alcuni, persino il sorriso è sembrato provocatorio.

Certo, per molti, è bastato vedere lo jilbab, quel lungo velo, verde come il colore dell’Islam, a incorniciarle il viso e a coprirle il corpo, perché Silvia Romano, da eroina si trasformasse in traditrice.

O quantomeno “ingrata”, proprio come oggi l’ha bollata la prima pagina del Giornale: 

“Islamica e felice, Silvia l’ingrata” ha titolato il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, mentre Libero non è stato da meno gridando: “Abbiamo liberato un’islamica”.

Già perché in queste ore, in cui l’hashtag Silvia Romano continua a imperversare, c’è un fatto che è chiaro ed evidente e cioè che Silvia Romano ha smesso di essere una persona, una cittadina italiana con tutti i suoi sacrosanti diritti, per diventare un simbolo da agitare nell’incessante guerra razzista e sessista che purtroppo non conosce tregua.

Neanche il tempo di festeggiarla, di accoglierla nella sua città che altri due hashtag, quello di Aisha, il suo nome islamico, e quello di Silvia Romano incinta, sono entrati in circolo, nel catalogo infinito dell’odio da tastiera.

Che cosa si rimprovera alla giovane cooperante milanese che era in Kenya, lei specializzata in psicologia infantile, per aiutare i bambini orfani e che è stata rapita e tenuta prigioniera per oltre 18 mesi? 

 

Di sicuro il sorriso: nel conformismo ipocrita imperante, un ostaggio deve essere a pezzi, deve farsi vedere distrutto, possibilmente in lacrime.

E poi la conversione all’Islam, la religione più odiata, oltre che la seconda più praticata nel mondo.

Un affronto per molti italiani che confondono le frange dell’estremismo islamico con la stragrande maggioranza dei musulmani e che, evidentemente, non ricordano che la nostra Costituzione, quella di un Paese laico, prescrive la libertà di culto.

Per cui ognuno di noi è libero di professarsi cattolico, buddista, ateo o musulmano senza che questo debba diventare materia di dibattito o, ancor peggio, di scandalo per chiunque altro.

 

Inoltre, dulcis in fundo, Silvia è una donna.

Una donna forte, come lei stessa ha ricordato nelle prime parole che ha pronunciato dopo la liberazione.

E, si sa, niente è più insopportabile per molti sessisti che da giorni si sbizzarriscono in truci doppi sensi ed illazioni offensive, da quella secondo la quale Silvia sia incinta a quella che la vuole vittima della sindrome di Stoccolma. Ma, credetemi, il linguaggio utilizzato è ben altro.

Perché, si sa, il salto da esperto in virologia a quello in psicologia, nel magico mondo dei social, lo si può fare in un attimo, a stretto giro di tweet.

Va detto però che sono tanti, tantissimi i giornalisti ed i commentatori che in queste ore stanno cercando di spegnere questa ignobile polemica. 

Andrea Purgatori, ad esempio, scrive: “Se il problema è il vestito, occupatevi di quelli in nero col braccio alzato. Se il problema è il riscatto, la prossima volta vi scambiamo volentieri. Se il problema c’è l’avete nella testa, andate da uno bravo. E fate presto”.

Myrta Merlino interviene così: “Mi sfugge il senso del dibattito su #SilviaRomano, diventata Aisha. Se avessimo saputo prima della sua conversione all’#Islam, non avremmo dovuto salvarla?!?”. 

Tranchant come sempre Selvaggia Lucarelli: “Si è convertita all’Islam, non dice mezza parola d’odio, sorride anziché piangere. È una donna. Non glielo perdoneranno mai”.

Nell’attesa che gli odiatori trovino un altro osso da spolpare, ci sentiamo di dare un consiglio a Silvia Romano, quello cioè di stare alla larga dalla Rete.

I traumi di un sequestro sono lunghi e difficili da superare.

Ma quelli del cyber-bullismo non sono da meno. 

In quanto alla conversione, resta un fatto intimo, di estrema importanza, per ogni persona.

Un percorso che doloroso o liberatorio che sia, va rispettato, comunque. Sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipi da social

 




Il parking che lucra sul lockdown

Il parking che lucra sul lockdown

Brutta storia di sciacallaggio dell’easy parking Malpensa in tempo di lockdown.

Un po’ ci spiace a raccontare questa storia ma in redazione abbiamo deciso di dar voce alle ingiustizie subite in periodo di covid-19.

Ci stavamo abituando a storie di solidarietà e di eroismo legati al covid, storie di spirito di nazione e di fratellanza mondiale e ci stava anche piacendo.

Insomma, nella mente di molti, questa positività rappresentava la parte bella e orgogliosa di questo periodo difficile.

Ma non tutti hanno respirato e condiviso quest’aria.

Sciacalli e sciacallaggi non sono mancati in questo periodo difficile: un esempio eclatante sono stati  i prezzi da taglieggio di mascherine e antibatterico.

La fase due

Speravamo di esserci lasciati questi episodi alle spalle e guardavamo con fiducia alla ripresa soprattutto ora che la fase 2 fa intravedere uno spiraglio di ripresa.

Per molte persone Fase due ha significato anche la possibilità di ritorno a casa.

Tornare a casa dopo un periodo così lungo comporta il dover affrontare molti dei pensieri che ci hanno accompagnati nei giorni precedenti:

chissà come sarà rivedere le persone care e chissà chi rivedrò,

chissà se a casa è tutto a posto,

speriamo che non siano scoppiati tubi o simili,

speriamo di ritrovare la macchina…

A proposito della macchina, la fase uno ha congelato molti viaggiatori in un periodo di transito.

Tornare a casa vuol dire anche recuperare la propria automobile al garage.

La sgradevole storia di A.S. e del parking aeroportuale che ha speculato sul lock-down

In questo articolo raccontiamo la storia di A.S., una donna che il 24 febbraio è partita dall’aeroporto di Milano Malpensa e sarebbe dovuta rientrare il 26 febbraio.

Come avviene normalmente a chi viaggia, la signora ha lasciato l’auto nel parking vicino l’aeroporto.

La prima tariffa concordata era di 14 euro per 3 giorni di parcheggio come riportato anche dall’immagine.

Il talloncino di prenotazione dei 3 giorni ipotizzati della signora A.S:
Il talloncino di prenotazione dei 3 giorni ipotizzati della signora A.S.

Erano ancora i tempi in cui viaggiavamo e pensavamo di avere pieno potere sui nostri progetti.

Poi è arrivata l’emergenza Covid-19 e A.S., come tanti, ha dovuto rimandare il ritorno.

In seguito all’emergenza, la signora è rimasta in contatto con il parking che, solidale con la situazione, annunciava che i giorni successivi al 26 febbraio, sarebbero stati calcolati come da normale preventivo da sito.

Il cambio di carte in tavola

Da una proiezione del 6 maggio (giorno successivo a questo accordo) il totale dei 70 giorni ammontavano a 163 euro.

Screenshot della proiezione del 5 maggio

Quando oggi siamo andati, a nostra volta a fare una proiezione della tariffa per 70 giorni, per magia il risultato era differente: veniva applicata la tariffa di 10 euro al giorno.

Screenshot di proiezione di prenotazione per 71 giorni fatta il 13 maggio

L’inversione di rotta e la richiesta di riscatto.

Poi però è successo qualcosa: il giorno successivo alla telefonata rassicurante, il parking invia una email alla signora A.S. comunicando che la tariffa sarebbe stata di 10 euro al giorno.

La signora si è trovata a dover pagare un riscatto (perché per queste cifre e a queste condizioni, di riscatto si parla) di 750 euro indispensabile alla vittima per tornare a casa.
Che dire?
Per dovere di confronto, prima di pubblicare questo articolo, abbiamo provato a contattare Easyparking Malpensa per sentire la loro versione dei fatti.

Chi ha risposto al telefono, dopo aver sentito il motivo della nostra telefonata, ha detto che, essendo chiusi, nessuno poteva rispondere alle nostre domande.

Segnalazione atti di sciacallaggio.

Se qualcun altro dei “clienti” dell’easy parking malpensa o di altri servizi simili ha vissuto una esperienza di sciacallaggio somigliante a quella di A.S., non esiti a contattare la redazione di Betapress all’indirizzo info@betapress.it dove accoglieremo e daremo voce alle loro storie di ingiustizia.

 




Luci ed ombre sul nuovo assetto della storia

Nella riunione dell’eurogruppo, durata appena tre ore, il problema dell’adesione al Mes, che pure aveva rappresentato un fardello ai lavori della Commissione europea negli ultimi mesi, si è risolto agevolmente.

L’oggetto della discordia, il Mes, ha diviso l’europa tra paesi del blocco nordico, fautori della frugalità e del rigore dei conti pubblici, da quelli dell’area mediterranea, alle prese con la recessione economica già da prima che la pandemia divampasse.

Eppure il Meccanismo Europeo di Stabilità ha rappresentato un principio, un articolato normativo, una Linea Gotica, per e della Germania, più che una reale misura di sostegno per i paesi aderenti in difficoltà.

Dopo la riunione di ieri, infatti, grazie al Mes, sarà operativa una nuova linea di credito disponibile dal 1° giugno che potrà essere utilizzata per le spese sanitarie dirette ed indirette a concorrenza del 2% del Prodotto interno lordo.

Per il nostro paese la manovra non dovrebbe superare i 36 miliardi di euro.

Una cifra inadeguata alle esigenze sanitarie del paese.

Perché tanta importanza, allora, a questo strumento il cui dibattito in sede comunitaria era stato inizialmente calendarizzato per il mese di luglio e poi  anticipato bruscamente a fine gennaio scorso e, cioè, al palesarsi dei primi sintomi del Covid 19 in Italia?

Non è facile capirci molto anche perché il gergo della maggioranza  e dei capi di Stato e di Governo dell’Unione è sempre stato smussato dai consulenti della comunicazione per i quali tra verità reali e presunte spesso non c’è soluzione di continuità.

Il regolamento 473/2013 relativo alle “disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro

si occupa della complessa vicenda richiamando nell’articolo 1 che il trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che gli Stati membri considerino le loro politiche economiche una questione di interesse comune, che le loro politiche di bilancio siano guidate dalla necessità di finanze pubbliche sane che non rischino di compromettere il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria.

L’articolo 1 è già di per sé esaustivo.

I principi richiamati non sono la solidarietà e la promozione sociale economica ed umana dei cittadini soprattutto in contesti di gravi crisi asimmetriche, come qualcuno avrebbe pensato, ma l’equilibrio dei conti pubblici, costi quel che costi.

E’ tuttavia la lettura del regolamento 472/2013, al titolo

sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati Membri nella zona euro che si trovino o rischino di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria” che ci permette una visione più chiara di cosa stia accadendo.

Nel dettato normativo, in sostanza, si attribuisce alla Commissione (art 2) la facoltà di sottoporre a sorveglianza rafforzata uno Stato membro che si trovi o rischi di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la sua stabilità finanziaria.

Il rafforzamento della sorveglianza economica scatta per i paesi che abbiano accettato di beneficiare di assistenza finanziaria a titolo precauzionale da uno o più stati membri o terzi, dal Mes …

o da altre istituzioni finanziarie, come il Fondo Monetario Internazionale, l’FMI (art 3).

Nei casi più gravi il Consiglio, a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, puo’ raccomandare misure correttive precauzionali o predisporre un progetto di aggiustamento macroeconomico  che avrà come obiettivi:

la riduzione del debito pubblico, il contenimento di pensioni e salari e la riforma dello Stato (art. 7).

Lo Stato membro soggetto al richiamato programma di aggiustamento macroeconomico che non avesse la capacità amministrativa di guidare la transizione verso gli equilibri di bilancio potrebbe essere assistito da personale tecnico messo a disposizione dalle istituzioni europee (art 8).

La lettura dei regolamenti citati dissipa ogni dubbio.

Attraverso il Mes, che è un “trigger”, un tecnicismo giuridico, non una vera e propria misura di sostegno economico, l’Unione monetaria può imporre politiche economiche rigoriste ai paesi che abbiano fatto richiesta di misure di sostegno fino a limitarne la sovranità economica e politica.

Il paese aderente, una volta richiesto l’intervento del Meccanismo europeo di stabilità, si vedrà costretto a siglare un’accordo di intesa

(MOU Memorandum of understanding) con la Commissione europea, la Bce ed il Fondo Monetario Internazionale (Troika) che daranno via al monitoraggio ed alla probabile imposizione di politiche economiche come previsto dai trattati e dai regolamenti citati.

Il caso della Grecia durante la crisi del 2010 ci torna in mente in modo prepotente.

Il programma di aggiustamento macroeconomico messo in opera dalla Troika ha prodotto, in quella occasione, tagli verticali a salari e pensioni, nuove forme di imposizione fiscale e tagliato il debito pubblico di oltre il 50%.

La cattiva notizia è che non esiste un “Mes light”.

Non esistono condizionalità attenuate a meno che non si metta mano alla modifica dei regolamenti richiamati.

Coloro che sostengono il contrario sono come quel banchiere che nel prendere le firme sulla pratica di mutuo al momento di presentare  le clausole di garanzia ed i provvedimenti in caso di morosità ci dicesse di non preoccuparci perché tanto la banca non li userà…!

Il tentativo del Commissario Gentiloni di presentare il Mes come un’iniziativa diretta al finanziamento delle spese sanitarie la cui condizionalità opererà soltanto su l’uso coerente dei fondi, non è credibile e fa il coro con le dichiarazioni dei numerosi politici e dirigenti  che nelle prossime ore cercheranno di presentare agli italiani come vittoria quella che invece è, e resterà, una sconfitta.

Né convinceranno le prese di distanza che anime della maggioranza di governo in italia porranno in essere, con lo scopo di rendere meno pesanti le ricadute di consenso delle politiche sostenute.

Del resto il paese è duramente colpito e le proiezioni su prodotto interno lordo, deficit, reddito ed occupazione non potranno che confermare l’impoverimento del nostro tessuto sociale ed economico.

Le misure di sostegno promesse dal Consiglio europeo, una volta accettato il Mes,  riposano, inoltre, sul bilancio dell’Unione 2021/2027 e prevedono finanziamenti importanti per l’economia comunitaria da spalmare in più esercizi ma senza un’unione fiscale:

lo scontro sulla mutualizzazione del debito dei paesi più in difficoltà non si risolverà facilmente e la parola d’ordine continuerà a rimare con rigore, tagli alla spesa, tasse patrimoniali e riduzione del debito pubblico esistente.

La Germania ha fatto del Mes la sua Linea Gotica, la linea difensiva fortificata lunga oltre 300 chilometri costruita dai soldati tedeschi nell’Italia centro settentrionale alla fine della seconda guerra mondiale con il fine di proteggere la madre patria germanica da una ipotetica controffensiva.

Linee fortificate di ieri fatte di montagne e costruzioni che rivivono oggi nelle parole, nelle normative e negli  atti di indirizzo politico ma la sostanza non cambia.

Sullo sfondo rimangono le macerie di un continente  europeo ancora alla ricerca di una propria identità.

In questi mesi, le riunioni delle assemblee decisionali dell’Unione sono state accompagnate, spesso precedute, da eventi negativi annunciati o temuti:

downgrade del debito pubblico

revisioni al ribasso delle stime economiche

sentenze avverse da parte di tribunali costituzionali ad interventi di sostegno economico già assunti da anni

(i.e. Quantitative Easing).

Campanelli d’allarme che ai malpensanti possono richiamare echi di complottismo ed ai miti  semplici casualità.

Non sorprenda, tuttavia ad entrambi, che la società Moody’s abbia lasciato inalterato il merito creditizio del paese nella riunione, anch’essa svoltasi nella giornata di ieri.

Non si dispiaceranno i miti lettori, se alle coincidenze, i maligni, dai quali ci  dissociamo, ne aggiungeranno un’altra: una data.

Quella dell’8 maggio.

Il Mes è adottato da ieri, 8 maggio 2020 e consegna alla Germania un primato sugli altri paesi.

Settantacinque anni fa un’altro 8 maggio regalava al mondo una speranza di pace: la resa senza condizioni della Germania nazista alle truppe alleate.

Fatti che s’inseguono quasi per caso e che parlano più di mille parole.

Se gli eventi conservano un’anima, se un filo lega i corsi storici, dovremo ricordare, a questo punto, che dopo la capitolazione della Germania

nazista e la fine della guerra, il Mondo dei “giusti” avvio’ un percorso di pacificazione che ebbe inizio con un Processo:

quello di Norimberga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

 




La creatività come compensazione positiva nei momenti di crisi

In un momento di crisi dovuto allo sconvolgimento creato da un virus aggressivo che può non lasciare scampo a chi non rispetta le regole, diviene sempre più impellente la ricerca di una strategia per gestire i vissuti di criticità che accompagnano le persone.

Il termine crisi è legato ai nostri spazi vitali che possono essere compromessi proprio dall’arrivo di un qualcosa che separa.

“Crisi” tradotto dal greco κρίσις indica proprio la separazione che implica anche una scelta.

La crisi inizialmente è vissuta con disagio perché collegata ad una situazione di malessere.

Sono in crisi perché ho perso degli affetti, sono in crisi perché non lavoro, sono in crisi perché ho fatto investimenti  sbagliati.

Una crisi non risolta può sviluppare effetti di grave disagio psichico ma nel  momento in cui si supera ci troviamo di fronte alla rinascita.

La crisi diviene quindi tappa di un processo evolutivo perché è un momento decisivo per attivare il cambiamento.

Nel termine essere in crisi è proprio insito il senso di mutamento e di trasformazione che permette di passare da un’accezione negativa ad una positiva.

La crisi è dunque qualcosa di perturbante che entra nell’esistenza di una persona producendo effetti più o meno gravi, si tratta di un turbamento profondo spesso anche della collettività e della società.

La crisi può altresì riguardare specifici  settori e si parla infatti di crisi dei valori, crisi dell’arte, crisi della letteratura e più in generale crisi esistenziale.

Entrare in crisi significa anche porre termine ad una situazione problematica e avviare un processo di risoluzione che passa attraverso  strategie di problem solving.

Oggi il virus ha creato l’improvviso passaggio da una situazione di  discreto benessere economico ad uno stato di depressione economica che crea nell’uomo stati emotivi quali la paura, l’inquietudine, l’ansia e l’angoscia nei casi più gravi.

La negata libertà di proiettarsi attraverso una progettualità nel futuro ci paralizza. La crisi può però rappresentare anche un’opportunità in quanto strumento necessario ed efficace per promuovere un cambiamento.

Albert Einstein nel suo testo “Il mondo come lo vedo io” dedica molte riflessioni al tema della crisi e la vede come occasione necessaria per il cambiamento. Si ritiene infatti che la creatività sia più  attiva  nei momenti di  elevata difficoltà.

Come afferma Einstein: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”.

In quest’ottica l’attività creativa può essere considerata life skills, indispensabile per un buon equilibrio psicofisico e per un positivo adattamento all’ambiente.

Per life skills si intendono tutte le abilità di carattere cognitivo, emotivo, sociale che supportano le persone  nel  fare fronte in maniera efficace ed utile ai bisogni ed alle sfide della vita di tutti i giorni.

La creatività viene dunque oggi riconosciuta come un’abilità cognitiva, che può servire alla persona per cambiare il suo punto di vista su una certa situazione e per trovare dunque soluzioni creative ai problemi che gli si  presentano nella vita.

Reagire alla distruzione causata dal Covid-19 significa promuovere un cambiamento dove il processo creativo assume un ruolo di primo piano.

Si tratta di reinventarsi in nuovi ruoli spesso trascurati o sconosciuti.

La “sindrome della capanna” che ci ha accomunato in questi  mesi ci ha permesso di esprimere la nostra creatività in ambiti diversi quali: l’arte culinaria, la pittura, la scultura, il gioco, la scrittura, il  collezionismo e tanto altro.

Non solo i giovani già predisposti in quanto nativi  digitali ma anche gli anziani hanno scoperto che è possibile socializzare creando  eventi con l’aiuto della tecnologia.

L’incontro con l’altro diviene in quest’ottica un processo creativo che ci permette di visitare l’amico e il parente con un semplice collegamento telematico.

L’abbraccio è virtuale ma nel nostro immaginario, se vogliamo, ne possiamo sentire il  calore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sperimentiamo! Dirigente Professori ed alunni per scrivere in modo creativo.

 




Maestra mi manchi…..

“Maestra mi manchi”

“Guarda la mia foto maestra ,mi sono caduti tre denti!”

“Mi scusi maestra, volevamo salutarla, Mattia in questi giorni di quarantena, ha iniziato a mangiare
tutto!”

… e via così.

Viviamo la nostra vita a distanza, maestre, genitori e alunni, ma ci manchiamo.

Il Coronavirus ci ha divisi e, anche se, dal giorno successivo alle parole del Presidente del Consiglio, noi insegnanti della Scuola dell’Infanzia di Castiglione in Teverina, ci siamo attivate per stringerci in un cerchio virtuale e affettivo, con le famiglie, per rimanere uniti, alla Scuola, quella con la S maiuscola manca la sua anima.

Ci manca l’essenza dell’ insegnamento : la presenza.

Ci mancano le bocche “cioccolatose”, gli occhi felici per le grandi conquiste, i disegni bellissimi, gli abbracci altezza ginocchio, le impronte di quelle piccole mani. Ci mancano i sorrisi giganti, per le caramelle, o gli esulti per andare in giardino. Ci manca sfogliare insieme un bel libro.

“Prendete asciugamano e bicchiere, oggi è venerdì e domani non c’è scuola!”, è un po’ che non
pronunciamo questa frase.

Ulisse nel suo viaggio e nel nostro progetto è rimasto all’isola delle Sirene o poco più in là e per
noi, la sveglia non suona più da quasi due mesi, ma stranamente, non siamo tranquilli.

Spesso mi chiedo come si possano sentire chiusi in casa, mi dispiace saperli tristi, ma poi, arriva la foto.

Arrivano le foto della vita quotidiana, dei loro lavori meravigliosi, frutto del grande impegno dei
genitori che, ci seguono e si dedicano a loro con amore.

Si lavora da casa tutti, maestre, genitori e bambini, per portare a compimento la progettazione
annuale, alla quale in questo, seppur, breve anno scolastico, ci siamo tanto dedicati……
dobbiamo ritornare a Itaca!

I nostri telefoni e computer sono incandescenti la sera, perché è così che ci siamo organizzati,
inviando attività didattiche, messaggi vocali, registrazioni video di storie lette da noi.

Abbiamo rivisitato e ridimensionato la nostra progettazione, per permettere alle famiglie di gestirla al meglio.

Siamo entrati nelle loro case, principalmente, per trasmettere vicinanza, non è importante
essere al pari con tutte le attività inviate, ma è importante che esse ci siano, che in un momento
così difficile, la Scuola sia l’ancora a cui aggrapparsi per non mollare.

Sembrava di vivere un film la sera del blocco, cercavamo certezze in famiglia, gli uni negli occhi
degli altri, ma non c’ erano.

Quelle che avevamo si sono dissolte nel nulla, come gli esami di maturità di mia figlia o quelli
all’Università del maggiore.

Metabolizzare i rimi delle nuove giornate e conciliare le proprie esigenze di studio con le circostanze attuali, non è semplice, neanche per loro anche se ormai, sono grandi.

Dopo colazione, ognuno nelle proprie stanze, la nostra vita scandita dai pasti, dai
collegamenti online con la scuola, con i colleghi, con amici o familiari.

Le grandi abilità tecnologiche dei nostri giovani, verso le quali, talvolta, abbiamo espresso criticità,
ci stanno salvando dall’isolamento, permettendoci, di mantenere i rapporti con il mondo e di
continuare a lavorare per non farlo fermare.

Da inguaribile ottimista, voglio pensare che, presto tutto questo finirà e torneremo tra i banchi a
pitturare, nel salone a ballare e a recitare, a cantarci gli auguri per i compleanni, a tornare a casa
senza voce e a desiderare il silenzio, a progettare cose belle da insegnare per entusiasmare coloro
che saranno il nostro futuro.

” Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo
aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo”.

M. Montessori

 


Anna Lisa Lattanzi
Insegnante Scuola dell’Infanzia-Castiglione in Teverina
IST.OMNICOMPRENSIVO F.LLI AGOSTI BAGNOREGIO

 

 

 

 

 

 

Esame sì, esame no, esame boom…

Educare la Mente, il Corpo e lo Spirito, oggi qualcuno ne è ancora capace?

 




Ancodis: osservazioni alla bozza relativa all’OM sugli Esami conclusivi del primo ciclo

molte criticità quelle presenti

 

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