Rosolino Cicero: la DAD non è di sistema…

Come redazione di beta press vogliamo portarvi a fare un viaggio nella scuola vera di questo periodo, al di là di ogni propaganda politica ed oltre ogni mistificazione mediatica.

E lo faremo parlando con gli addetti ai lavori, intervistando professionisti del mondo della scuola alle prese con i veri problemi di quest’importantissima agenzia formativa e strategica realtà sociale.

Partiamo con un’intervista a Rosolino Cicero, Presidente Ancodis Palermo ( Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici) per scoprire insieme quale tsunami abbia investito le scuole in epoca Covid19.

Betapress- Prof. Cicero come si sta trasformando la scuola in questi ultimi mesi?

Cicero-In questa tragica esperienza del contagio da coronavirus Covid 19, la scuola si è trovata improvvisamente a trasformarsi da reale e concreta a “virtuale e digitale” ed ha dovuto rimettere in discussione regole, modelli, programmazioni, relazioni ponendosi la domanda di come continuare ad essere la principale agenzia educativa dello Stato.

Betapress- Secondo lei con la DaD è garantito il diritto allo studio per tutti?

Cicero-Il diritto alla scuola è di tutti e per tutti: oggi, però, ci poniamo la domanda se il fare scuola attraverso la didattica a distanza è di tutti e per tutti oppure – come possono dimostrare le tante realtà scolastiche che operano nelle grandi e complicate periferie delle città – per tanti!

Betapress– Eppure il Ministro parla della Dad come di un successo…

Cicero-In queste settimane sentiamo parlare e vediamo raccontare sui media esperienze di scuola virtuale che fanno onore a chi le ha progettate, organizzate ed applicate in favore delle loro comunità scolastiche.

Sembra però che non ci sia la consapevolezza che una percentuale non indifferente degli alunni – OGGI – sia rimasta “fuori” dalla scuola!

Betapress- Quali sono i problemi verificati in questi alunni rimasti fuori dalla Dad?

Cicero– C’è una parte di alunni che oggi non possono fare didattica a distanza secondo i canoni previsti dalle piattaforme digitali per assenza di adeguati dispositivi che possano consentire loro di sentirsi protagonisti attivi nel loro percorso di formazione.

Dobbiamo dirlo senza reticenza alcuna: rischiano di essere gli “ultimi” non per scelta ma per necessità!

Betapress- Il Miur ha condotto sondaggi per monitorare il territorio…

Cicero-Siamo curiosi di sapere quanti dispositivi idonei alla DaD hanno chiesto le scuole nell’ultimo questionario che è stato proposto ai Dirigenti scolastici! Sarà la dimostrazione del deficit di dispositivi digitali che si registra nelle famiglie dei nostri alunni!

Betapress– Come Presidente dell’Ancodis, cosa vuole segnalare?

Cicero-Ancodis vuole porre all’attenzione della comunità scolastica e delle sue Istituzioni la preoccupazione di tanti uomini e donne che vivono queste dolorose realtà sociali e che nonostante tutto con onore e forte etica professionale – non guardando a codici e codicilli normativi né agli obblighi contrattuali – si adoperano per non lasciare fuori nessuno.

Betapress– Lei vive e lavora a Palermo, è vicepreside dell’I.C. Giuliana Saladino, com’è la realtà scolastica locale?

Cicero-In tante realtà scolastiche che operano nelle cosiddette “aree a rischio”, istruire in modo non virtuale in stretta relazione fisica dei docenti con i loro alunni e con tutte le ben note criticità è una quotidiana conquista sul campo.

Oggi dopo aver sconfitto o quasi la dispersione scolastica saremo costretti forse ad iniziare una nuova battaglia ben più difficile da contrastare: la “dispersione digitale”.

Betapress– In questa battaglia, basta l’impegno, direi quasi la missione dei docenti sul campo?

Cicero– No, purtroppo no, in questa battaglia noi docenti possiamo fare ben poco.
Qui deve entrare in campo, con determinazione e con tutte le forme possibili, lo STATO per mettere in condizioni e consentire, nel più breve tempo possibile, a TUTTI gli alunni di poter rispondere PRESENTE all’appello che ogni docente sarà chiamato a fare prima dell’inizio della sua attività didattica.

In questo modo avremo reso onore all’art. 34 della Costituzione anche in tempo di didattica digitale!

Betapress– Gli esami di terza media sono imminenti, in modalità telematica e sincrona, cosa ne pensa?

Cicero- A tal proposito, al fine di assicurarne la regolarità e la trasparenza evitando probabili ricorsi, penso sia necessario che ciascuna scuola abbia un Regolamento SVOLGIMENTO ESAMI CONCLUSIVI PRIMO CICLO IN MODALITÀ; TELEMATICA SINCRONA a tutela del Consiglio di classe e dell’alunno/candidato privatista (per quest’ultimo non sono previsti altri elementi di valutazione!)?
Da non dimenticare, infine, nell’organizzazione e nella conduzione dell’esame conclusivo, l’obbligo della presenza di tutti i docenti del Consiglio di Classe (alias Commissione di esame) che certamente – in considerazione dell’esperienza degli anni precedenti – sarà elemento di grave criticità.

Betapress– E per la valutazione?

Cicero-Valutazione! Qui viene il bello! Poiché ai sensi dell’art. 4 comma 5 è possibile la non presentazione in modalità sincrona dell’elaborato, come si fa a valutare ai sensi del successivo art. 6?
Si creerebbe una evidente condizione di disparità nella valutazione finale tra gli alunni/candidati!

E come non possiamo non tenere conto del tema del contesto socio familiare dell’alunno/candidato che certamente condizionerà favorevolmente o negativamente la qualità dell’elaborato?

 

Betapress- Insomma, sembra proprio che al Miur non sappiano neanche di cosa stanno parlando…

Cicero-Come Ancodis continuiamo a scrivere all’Azzolina!

Speriamo di aver posto all’attenzione della Ministra, dei suoi tecnici e di tutti i protagonisti a diverso titolo interessati osservazioni che siano motivo di riflessione e di positività.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

sdidatticamente parlando e non solo

 




Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

«La musica è per tutti perché annulla la grammatica delle lingue e ne forma una valida per ognuno di noi».

Parola di Ezio Bosso

Ezio Bosso è morto a 48 anni.

Il direttore d’orchestra, compositore e pianista torinese aveva una malattia neurodegenerativa da anni, ma, nonostante ciò, era riuscito a diventare uno dei nomi più noti del panorama musicale italiano.

Pianista per caso, come amava dire lui stesso durante le interviste, il compositore aveva trovato la popolarità quando, nel 2016, fu invitato da Carlo Conti come ospite d’onore al Festival di Sanremo.

Sul palco dell’Ariston Bosso aveva eseguito “Following a Bird”, composizione contenuta nell’album “The 12th Room”, che era uscito qualche mese prima, senza enormi clamori, ma che era finito in classifica, subito dopo l’esibizione, e da quel momento, il suo nome e la sua arte sono diventate note al grande pubblico che ha continuato a seguirlo negli anni a venire.

La famiglia del musicista ha rilasciato una nota ufficiale che spiega che la morte è avvenuta “a causa del degenerare delle patologie che lo affliggevano da anni.

Sia i familiari che la sua famiglia professionale chiedono a tutti il massimo rispetto per la sua privacy in questo momento sommamente personale e intimo:

l’unico modo per ricordarlo è, come sempre è stato e come sempre ha ribadito il Maestro, amare e proteggere il grande repertorio classico a cui ha dedicato tutta la sua esistenza e le cui sorti in questo momento così difficile sono state in cima ai suoi pensieri fino all’ultimo.

In un’intervista a Fanpage.it il musicista aveva dichiarato come sul palco andasse senza spartiti: “Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria.

Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritto, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene”

ha raccontato a Saverio Tommasi che lo ha incontrato subito dopo un concerto in memoria di Claudio Abbado.

In quella stessa intervista Bosso ha parlato anche delle difficoltà di essere accettato nel mondo della Classica e dei pregiudizi che lo hanno seguito:

“Dal mondo della musica classica ho subito tanti schiaffoni, ingiustizie, insulti, come quello che esistevo solo perché avevo una malattia:

è evidente, non è che posso negarlo, quindi è ovvio che la prima reazione porta alla rabbia, l’altra è quella di guardarmi le ruote… infatti ho messo delle ruote bellissime.

È stata una vita basata sul lottare, sul pregiudizio. Fin da bambino ho lottato col fatto che un povero non può fare il direttore d’orchestra, perché il figlio di un operaio deve fare l’operaio, così è stato detto a mio padre”.

Enzo Bosso conviveva dal 2011 con una malattia neurodegenerativa che gli è diagnosticata dopo l’intervento per un cancro al cervello, sempre nello stesso anno.

Da principio la patologia è stata identificata come la SLA, sclerosi laterale amiotrofica, malattia in cui i sintomi, episodi di atrofia muscolare, si trasformano in pochi anni nella compromissione totale delle funzioni vitali, ma poco importa sapere il nome della sua patologia che l’ha portato alla morte.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ed il GRANDE MAESTRO ce l’ha dimostrato, regalandoci, con la sua esistenza a 360°, un esempio immane di coraggio e di dignità nell’affrontare le avversità della vita.

“Non so se sono felice ma tengo stretti i momenti di felicità, li vivo fino in fondo, fino alle lacrime, così come accettare i momenti di buio, sono una persona normale.

La mia filosofia è legarmi di più ai momenti felici perché quelli, poi, ti serviranno da maniglia per tirarti su, quando sei nel letto e non riesci ad alzarti”.

Nel settembre del 2019, in occasione della 83esima Fiera del Levante di Bari, Bosso ammise di non poter più suonare esortando tutti a non chiedergli più di farlo.

“Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza.

E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere”. 

L’ultimo lavoro di Ezio Bosso è stato “Grazie Claudio”, un omaggio a Claudio Abbado.

E’ stato proprio Bosso, infatti, a dirigere il concerto evento di Mozart14 per i cinque anni dalla scomparsa di Claudio Abbado.

Il direttore d’orchestra infatti ha chiamato a raccolta cinquanta musicisti delle migliori orchestre di tutto il mondo per unirsi all’European Union Youth Orchestra e agli amici della Europa Philharmonic Orchestra fondata da lui stesso, per ricordare uno degli artisti italiani più prestigiosi al mondo.

Noi di betapress vogliamo ricordare Ezio Bosso con le parole di cordoglio del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

Il maestro Bosso era stato infatti ospite, lo scorso 15 settembre, di un grande appuntamento con il pubblico pugliese organizzato dalla Regione Puglia in Fiera del Levante.

“Ciao Ezio, uomo speciale, artista straordinario, amante della vita, dell’arte e della musica. Ho avuto la fortuna di conoscerti e di condividere con te momenti straordinari di empatia, di bellezza e di amicizia.

In queste ore ricordo con emozione la sala gremita di gente alla Fiera del Levante dove tu parlasti di musica, arte e talento.

Con la tua bacchetta hai saputo superare tutti i confini e gli steccati materiali e immateriali. Amavi ripetere che la magia che avete voi musicisti è quella ‘di stare nel tempo, di dilatare il tempo.

Per questo avevi scelto la musica, che consideravi una sorta di carezza inaspettata capace di cambiare in meglio il corso delle cose.

Perché è questo quello che fa la musica: dilata il tempo della felicità. La bellezza ci rende felici e il miracolo della musica è il miracolo della bellezza.

E’ questo l’insegnamento più importante che ci lasci in dono: la bellezza ha a che fare con la singolarità straordinaria e irripetibile di ciascun essere umano”.

Ci permettiamo di aggiungere che con Ezio Bosso il mondo della cultura perde una figura straordinaria.

Non solo un artista di rara sensibilità, ma un uomo che, durante la sua purtroppo breve vita, ha trasmesso i valori universali del dialogo e dell’incontro fra persone e culture.

Un uomo che non soltanto con la musica ha comunicato un grande impegno umano e sociale, il valore educativo delle arti.

Del suo sorriso sentiremo tutti la mancanza.

Lo vogliamo ricordare con due sue frasi:

“La disabilità è negli occhi di chi guarda, perché il talento è talento e le persone sono persone, con le ruote o senza” e

“La musica ci ricorda anche questo, prendersi cura, avere rispetto, far star bene, non confondere la quotidianità con l’eternità, i nostri piccoli poteri con l’assoluto”

Ciao, Ezio, ora voli per sempre, proprio Tu che ci hai insegnato a volare…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALEX DE ROSSO: ROCK IS NOT DEAD!

UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

 




Bentornata a casa??

Silvia Romano è viva ed è stata liberata.

 E gli italiani come reagiscono?

Sollevo, gioia, stupore la reazione di alcuni.

Perplessità, smarrimento, incredulità quella di altri.

Rabbia, odio, xenofobia, sessismo quella di altri ancora.

E la reazione suscitata non c’entra con il credo politico, l’identità sessuale o il potere economico di chi la prova.

E’ un brivido che ci scorre lungo la schiena quando la vediamo.

“E’ lei, è viva, ce l’ha fatta!”

“Ma com’è vestita? Ma cosa dice? Ma cosa le hanno fatto?”

Fino a ”Non è possibile! Ma chi abbiamo liberato e perché?”

E così succede che Silvia non abbia nemmeno finito di scendere la scaletta dell’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata in Italia, che centinaia di benpensanti (ma altrettanto mal scriventi) si scatenino già sui social con illazioni e offese di ogni tipo. 

Perché? Per la sua immagine killer, così stridente da quella a cui eravamo abituati.

Avevamo in mente una ragazza in canottiera, abbronzata e sorridente, con in braccio un bimbo africano, ed invece, ci siamo trovati di fronte una donna coperta, quasi irriconoscibile, se non fosse stato per il sorriso, e, per alcuni, persino il sorriso è sembrato provocatorio.

Certo, per molti, è bastato vedere lo jilbab, quel lungo velo, verde come il colore dell’Islam, a incorniciarle il viso e a coprirle il corpo, perché Silvia Romano, da eroina si trasformasse in traditrice.

O quantomeno “ingrata”, proprio come oggi l’ha bollata la prima pagina del Giornale: 

“Islamica e felice, Silvia l’ingrata” ha titolato il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, mentre Libero non è stato da meno gridando: “Abbiamo liberato un’islamica”.

Già perché in queste ore, in cui l’hashtag Silvia Romano continua a imperversare, c’è un fatto che è chiaro ed evidente e cioè che Silvia Romano ha smesso di essere una persona, una cittadina italiana con tutti i suoi sacrosanti diritti, per diventare un simbolo da agitare nell’incessante guerra razzista e sessista che purtroppo non conosce tregua.

Neanche il tempo di festeggiarla, di accoglierla nella sua città che altri due hashtag, quello di Aisha, il suo nome islamico, e quello di Silvia Romano incinta, sono entrati in circolo, nel catalogo infinito dell’odio da tastiera.

Che cosa si rimprovera alla giovane cooperante milanese che era in Kenya, lei specializzata in psicologia infantile, per aiutare i bambini orfani e che è stata rapita e tenuta prigioniera per oltre 18 mesi? 

 

Di sicuro il sorriso: nel conformismo ipocrita imperante, un ostaggio deve essere a pezzi, deve farsi vedere distrutto, possibilmente in lacrime.

E poi la conversione all’Islam, la religione più odiata, oltre che la seconda più praticata nel mondo.

Un affronto per molti italiani che confondono le frange dell’estremismo islamico con la stragrande maggioranza dei musulmani e che, evidentemente, non ricordano che la nostra Costituzione, quella di un Paese laico, prescrive la libertà di culto.

Per cui ognuno di noi è libero di professarsi cattolico, buddista, ateo o musulmano senza che questo debba diventare materia di dibattito o, ancor peggio, di scandalo per chiunque altro.

 

Inoltre, dulcis in fundo, Silvia è una donna.

Una donna forte, come lei stessa ha ricordato nelle prime parole che ha pronunciato dopo la liberazione.

E, si sa, niente è più insopportabile per molti sessisti che da giorni si sbizzarriscono in truci doppi sensi ed illazioni offensive, da quella secondo la quale Silvia sia incinta a quella che la vuole vittima della sindrome di Stoccolma. Ma, credetemi, il linguaggio utilizzato è ben altro.

Perché, si sa, il salto da esperto in virologia a quello in psicologia, nel magico mondo dei social, lo si può fare in un attimo, a stretto giro di tweet.

Va detto però che sono tanti, tantissimi i giornalisti ed i commentatori che in queste ore stanno cercando di spegnere questa ignobile polemica. 

Andrea Purgatori, ad esempio, scrive: “Se il problema è il vestito, occupatevi di quelli in nero col braccio alzato. Se il problema è il riscatto, la prossima volta vi scambiamo volentieri. Se il problema c’è l’avete nella testa, andate da uno bravo. E fate presto”.

Myrta Merlino interviene così: “Mi sfugge il senso del dibattito su #SilviaRomano, diventata Aisha. Se avessimo saputo prima della sua conversione all’#Islam, non avremmo dovuto salvarla?!?”. 

Tranchant come sempre Selvaggia Lucarelli: “Si è convertita all’Islam, non dice mezza parola d’odio, sorride anziché piangere. È una donna. Non glielo perdoneranno mai”.

Nell’attesa che gli odiatori trovino un altro osso da spolpare, ci sentiamo di dare un consiglio a Silvia Romano, quello cioè di stare alla larga dalla Rete.

I traumi di un sequestro sono lunghi e difficili da superare.

Ma quelli del cyber-bullismo non sono da meno. 

In quanto alla conversione, resta un fatto intimo, di estrema importanza, per ogni persona.

Un percorso che doloroso o liberatorio che sia, va rispettato, comunque. Sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipi da social

 




Complottismo, o mio complottismo…

Complotto sì o complotto no?

Benché ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi, più o meno comprovate a seconda dell’autorevolezza degli analisti, credo sia opportuno porsi questa domanda, perché è strettamente legata a quello che ci accadrà dopo, ossia dopo la fine dell’emergenza, sia sul piano economico che politico.

Infatti, sulla base dei dati e dell’analisi di cui siamo conoscenza, a mio parere, è urgente comprendere se, dietro tutto questo, c’è un disegno, e di quale disegno si tratta, oppure, se gli sviluppi del capitalismo degli ultimi decenni, lasciati per così dire a briglia sciolta, siano responsabili di quanto sta accadendo. 

In entrambi i casi, ci viene data l’opportunità di mostrare, anche dinanzi a chi è più chiuso nel suo piccolo mondo antico, sperando illusoriamente di salvarsi, che questo sistema non regge, è foriero di morte e di distruzione per l’umanità tutta intera e per la natura stessa, dal cui grembo siamo stati partoriti.

Prima di andare avanti nella direzione tracciata, vorrei soffermarmi brevemente sulla cosiddetta teoria del complotto.

Come è noto, di complotti, è seminata la storia, basta pensare alle attività di Catilina contro il Senato romano, o all’assassinio di Giulio Cesare da parte di un gruppo di congiurati, tra cui il figlio adottivo Bruto.

Chi ha un po’ di sensibilità storica, sa benissimo che le grandi trasformazioni storiche non si realizzano per le scelte politiche episodiche di gruppi più o meno agguerriti; il complotto, se effettivamente viene orchestrato nel segreto, non è che l’ultimo atto di una strategia politica elaborata da una certa forza sociale, forza sociale a cui corrispondono, in termini marxisti, ben precise classi o alleanze tra classi.

Per esempio, il colpo di Stato del Termidoro, termine poi divenuto paradigmatico, con cui furono arrestati e giustiziati RobespierreSaint JustCouthon, rappresentanti della sinistra giacobina, fu attuato da un’altra fazione del Comitato di Salute pubblica che, benché avesse partecipato al Terrore, si opponeva all’estremismo dei sanculotti e faceva gli interessi della nuova borghesia.

Ma torniamo al caso nostro, ossia all’ormai tanto famoso coronavirus, il cui tasso di letalità secondo calcoli sbagliati, forniti dall’Istituto superiore di sanità, è stato individuato nel 5,8% dei contagiati. 

Notizia che inevitabilmente (e volutamente?) ha terrorizzato la popolazione.

In questi giorni, siamo stati inondati dai pareri più disparati, di esperti veri e falsi, di personaggi noti al grande pubblico, di analisti politici, di propagandisti, che ci elargiscono tesi, ci dispensano consigli (vorrei sapere quanto paghiamo gli spot televisivi), e ci invitano ad essere un tutt’uno contro la pandemia, come se fossimo in guerra, contro un nemico comune.

 Ma non è così!

Altro che bandiere italiane ed inno di Mameli, il vero nemico è interno all’Italia ed è rappresentato da individui ben precisi e dagli interessi che essi rappresentano.

Come, per esempio, chi ha emanato lo stato di emergenza nella Gazzetta ufficiale, il primo febbraio per 6 mesi, in seguito alla presa di posizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, senza mettere in risalto questa notizia e facendola seguire da misure a singhiozzo e spesso contraddittorie, come ha dimostrato il persistere di attività lavorative in settori non essenziali (armi), la mancata disponibilità di strumenti protettivi che lo Stato stesso avrebbe dovuto distribuire alla popolazione.

Oppure, chi in nome del privato che è più efficiente (in realtà più redditizio), ha chiuso ospedali, strutture sanitarie e dato agevolazioni fiscali a privati.

O ancora, chi ha tagliato i fondi alla ricerca e all’università, facendo sì che – secondo la stessa OMS – oggi ci manchino 50.000 infermieri e probabilmente 45.000 medici, creando così un buco stratosferico che cerchiamo di riempire con aiuti provenienti da “odiati” paesi (Cuba, Cina, Venezuela), che, evidentemente, di fronte alle emergenze, funzionano meglio della “democratica” Italia.

Ma torniamo al nocciolo della questione, cioè al tema principale dell’articolo.

Esistono due tesi fondamentali:

1) “la distruzione sempre più veloce degli habitat”;

2) la costruzione in laboratorio del coronavirus che ha generato l’attuale pandemia, o la sua diffusione voluta o casuale, indipendentemente dalla sua origine.

Questi due tesi, che non credo si escludano reciprocamente, sono sostenute da vari studiosi, esperti, analisti internazionali.

In un articolo uscito su Le Monde diplomatique (Contro le pandemie, l’ecologia, marzo 2020) la giornalista statunitense, di origini indiane, Sonia Shah, scrive: “Dal 1940, centinaia di microbi patogeni sono comparsi o riapparsi in aree in cui in alcuni casi non si erano mai visti prima.

È il caso dell’immunodeficienza umana (Hiv), dell’Ebola nell’Africa occidentale e della Zika nel continente americano.

La maggior parte di essi (60%) è di origine animale.

Alcuni provengono da animali domestici o da allevamento; più di due terzi da animali selvatici”.

Come altri studiosi, la giornalista statunitense ritiene che: “la maggior parte di questi microbi vive al loro interno [degli animali] senza far loro alcun male.

Il problema è un altro: con il dilagare della deforestazione, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per arrivare fino al corpo umano e adattarsi”.

Altri studiosi convergono su questo tipo di riflessione, sottolineando che alcune zone della Cina sono state caratterizzate da questi processi come rapida urbanizzazione, industrializzazione dell’attività agropecuaria, integrazione alle nuove catene del valore sviluppati in maniera accelerata, dai quali sono scaturite le condizioni per la rapida mutazione del virus e per il cosiddetto “passaggio di specie”.

Come scrive il periodico on line Scienzainrete, questo fenomeno “sempre avvenuto, da quando esiste la vita, è favorito principalmente da due fattori”: i ricettori cellulari sono simili in specie diverse e la prolungata vicinanza fra uomini e animali.

Da queste considerazioni, si evince la ragione per la quale la Lombardia costituisce il centro dell’infezione, proprio per il semplice fatto che probabilmente, per la sua intensità industriale, costituisce la regione più inquinata d’Europa.

Si tenga inoltre presente che il contesto descritto negli ultimi decenni ha dato vita ad epidemie che si sono susseguite con maggiore frequenza, come la SARS (2002-03), influenza suina H1N1 (2009), il MERS Covid (2012), l’Ebola (2014-16), lo zika (2015) e il dengue (2016).

Epidemie di cui dobbiamo attribuire tutta responsabilità al capitalismo e alle sue dinamiche distruttive e perverse.

A questo punto, vorrei rispondere alla seconda domanda: il SARS-COVID-2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2), noto più semplicemente come COVID-19, è stato prodotto in un laboratorio, innescandone la mutazione, e poi involontariamente o volontariamente diffuso o disperso, anche nel caso in cui costituisca un organismo non manipolato?

L’ipotesi della diffusione involontaria dei virus non è del tutto scartata dal Bulletin of Atomic Scientists, nel quale si può leggere la descrizione del laboratorio di Plum Island, situato alla foce del Long Island Sound vicino a New York, il cui obiettivo è quello di operare nel campo della bio-sicurezza, altamente sviluppatasi dopo l’11 settembre.

Secondo questo studio, è affare dato che “nessun laboratorio è perfetto”, e dunque che è possibile che gli agenti patogeni delle malattie lì studiate possano in qualche modo sfuggire e colpire gli abitanti circostanti per poi espandersi ulteriormente.

Passiamo invece alla tesi assai discussa della diffusione volontaria del virus.

Come è noto, il presidente Trump insiste nel chiamare il Covid-19 il “virus cinese”, in questo seguito da settori filoamericani, che intendono cogliere ancora una volta l’occasione di demonizzare la Cina, considerando addirittura gli aiuti pervenutici da questo paese una sorta di cavallo di Troia.

Ovviamente tale associazione (Cina/virus) è fortemente respinta dal governo cinese, che nella persona del portavoce del Ministero degli Esteri, Lijan Zhao, in un tweet del 12 marzo, ha accusato gli Stati Uniti di non aver informato il mondo sulle numerose morti lì avvenute, sulla data del ritrovamento del cosiddetto paziente zero, insinuando che sia stato lo stesso esercito statunitense ad aver introdotto il virus a Wuhan in occasione dei giochi sportivi militari tenutosi a in questa città nell’ottobre del 2019.

L’ipotesi formulata dai cinesi è sposata dal giornalista brasiliano Pepe Escobar, il quale scrive che, essendo la Cina oggi il centro dell’economia mondiale, essendo diventata il socio commerciale di circa 130 paesi e avendo firmato solo nel 2019 contratti per la costruzione di infrastrutture per 128 miliardi di dollari, costituisce effettivamente – come ha affermato Trump – la più grande minaccia economica e militare per gli Stati Uniti.

Come si può ben capire, ci troviamo costretti a questo punto a parlare di guerra batteriologica o biologica, ossia di qualcosa di cui, nei tempi della cosiddetta guerra ibrida, bene o male tutti noi abbiamo sentito parlare o visto rappresentare magari in qualche film commerciale.

Ma che dati abbiamo su questo aspetto della questione?

Inevitabilmente ne menzionerò solo alcuni che mi sembrano importanti disposta ad accettare ulteriori informazioni da chi vorrà fornirmele.

La storia ci ricorda vari episodi di guerra batteriologica/biologica, di cui si resero responsabili gli antichi greci, i cartaginesi, gli spagnoli e gli inglesi nel Nuovo Mondo; infatti, sappiamo con certezza che questi due ultimi gruppi scientemente regalarono ad esponenti delle nazioni originarie indumenti appartenuti ad individui infettatati dal vaiolo, che – come è noto – fu una delle più rilevanti cause dello sterminio degli indo-americani.

Ernesto Burgio, medico pediatra, esperto di epigenetico e medicina molecolare, presidente del Comitato scientifico della Società italiana di Medicina ambientale (SIMA), fa notare che vi sono ragioni economiche (rapporto costi/benefici) che fanno delle armi biologiche un utile strumento: “Secondo stime un po’ semplicistiche, ma attendibili, la potenzialità bio-distruttiva di un grammo di spore di antrace è pari a quella di 700 grammi di plutonio da fissione, di 70 chilogrammi di gas nervino, di tre tonnellate di bombe al cluster”.

Detto in soldoni, ciò significa che con un po’ di spore di antrace si fanno fuori milioni di esseri umani a bassissimo costo (V. Armi biologiche e guerra (infinita) al pianeta).

Purtroppo per chi ha intenzione di far uso di tali strumenti di morte, scrive sempre Burgio, le armi biologiche “sono praticamente incontrollabili”, giacché “ogni volta che un microrganismo patogeno comincia a circolare all’interno della biosfera, la durata della sua permanenza in essa e il suo percorso sono assolutamente imprevedibili” (Ibidem).

E quindi è del tutto possibile che il diffusore stesso rischi di infettarsi e di infettare i suoi compatrioti.

Secondo la costituzionalista venezuelana M. Alejandra Díaz, intervistata da Telesur, vi sono delle ricerche, per esempio, quella di uno studioso venezuelano di nanotecnologie che ha tracciato la mappa genetica del virus, arrivando alla conclusione che esso sarebbe il risultato della combinazione di vari virus; mentre dalla ricerca di uno studioso cinese si ricaverebbe che il Covid-19 scaturisce dall’unione di segmenti tratti dall’HIV e dalla SARS.

La Signora Díaz, membro dell’Assemblea nazionale costituente del Venezuela, è convinta – come il già citato giornalista brasiliano – che il virus responsabile dell’epidemia in Cina sia uscito dai laboratori statunitensi, in effetti numerosi a partire dal secondo dopoguerra e moltiplicatisi dopo l’11 settembre.

La costituzionalista latino-americana sostiene che gli Stati Uniti stanno distruggendo il sistema di ordine internazionale da loro stessi creato dopo la Seconda guerra mondiale, e che stanno imponendo uno stato di eccezione mondiale, in cui il diritto viene sospeso e conta solo la forza.

In particolare, secondo questa ipotesi il Covid-19 sarebbe stato creato per colpire la Cina, facendone rallentare l’economia e danneggiando così anche quei paesi, come la Russia e l’Iran, che riforniscono l’ex impero celeste di petrolio e di gas.

Con questo atto, gli Stati Uniti avrebbero attaccato contemporaneamente i loro più acerrimi nemici: la Russia che li sfida sul piano tecnologico-militare e la Cina che li sta surclassando sul piano economico.

D’altra parte, fonti autorevoli, come il giornale Nature Medicine, considerano improbabile che il nostro virus sia il prodotto di una manipolazione fatta in un laboratorio di virus dello stesso tipo, perché tali cambiamenti possono anche avvenire per via naturale.

Inoltre, diversi esperti ci spiegano che è possibile distinguere tra le mutazioni dei virus prodotte in laboratorio attraverso l’inserimento nel genoma di un virus di pezzi del RNA di altri agenti patogeni, e quelle prodotte secondo il principio della selezione naturale, che avvengono in maniera graduale e uniforme.

Da parte sua, il biologo Paolo Massucci, ritiene che l’origine naturale o artificiale di un virus si può desumere, su basi probabilistiche, dallo studio delle sequenze variate di materiale genetico.

L’eventuale presenza, ad esempio, in un nuovo virus, di sequenze provenienti dai virus normalmente utilizzati nei laboratori a scopi di ingegneria genetica, fa propendere per l’ipotesi di una manipolazione umana.

Ma si tratta di un’indagine complessa che non sempre fornisce risultati certi e definitivi.

In ultima istanza, quindi sembrerebbe che, nonostante il dibattito sia acceso, gli epidemiologi e altri studiosi del settore sembrano escludere la produzione artificiale del COVID-19, mentre considerazioni di carattere geopolitico potrebbero suffragare una diversa ipotesi non necessariamente fondata sulla manipolazione del virus, ma più probabilmente sull’idea della diffusione casuale e/o volontaria del virus.

Richiamandomi un’altra volta al Burgio, vorrei aggiungere qualche altra rapida riflessione sulla storia della guerra biologica / batteriologica.

L’eminente studioso ricorda che durante la Seconda guerra mondiale giapponesi e tedeschi sperimentarono gli effetti di agenti patogeni su cavie umane, e che molti di loro furono assoldati successivamente dagli Stati Uniti, con la mediazione di Henry Kissinger e Allen Dulles, per lavorare nei laboratori di quel paese.

Scrive Burgio: “il programma americano per la guerra biologica, partito con un certo ritardo nel 1942, fu in grado di recuperare il tempo perduto nell’immediato dopoguerra, anche grazie alla preziosa collaborazione degli scienziati giapponesi della famigerata Unità 731, che avevano disseminato la Cina di pulci portatrici del bacillo della peste”.

Nel periodo della Guerra fredda entrambe le parti in lotta portarono avanti queste ricerche sviluppando “batteri, virus e tossine sempre più micidiali”, fino al momento in cui Stati Uniti ed Inghilterra presero la decisione di vietare le cosiddette armi dei “poveri” e sviluppare sempre più la guerra tecnologicamente più costosa, promuovendo la Biological Weapons Convention del 1972, per tenere a freno i paesi più litigiosi.

La Convenzione fu poi osteggiata da Clinton e da Bush, osserva Burgio, perché – riassumendo -: “proprio in quegli anni e proprio nei laboratori americani, si stava realizzando la rivoluzione tecnologica che avrebbe sconvolto il mondo della genetica e fornito agli scienziati gli strumenti necessari a trasformare innocui microrganismi in microscopiche bombe intelligenti, più potenti di qualsiasi arma mai costruita”.

Con questa rivoluzione gli scienziati, dotati o no di una sensibilità etica, si trovarono in mano i mezzi forniti dall’ingegneria genetica, con i quali è possibile “modificare e manipolare con una certa precisione il codice stesso della vita”.

Ovviamente queste scoperte trovarono immediatamente applicazioni che garantivano a imprese come la Geniatech, fondata dal premio Nobel Paul Berg, immensi profitti e mostrarono l’impossibilità di opporre ostacoli al proliferare di ricerche in questo campo, in cui per di più non è facile distinguere tra il loro uso difensivo e quello offensivo.

Quali sono le conclusioni che traggo da queste informazioni?

Molto rapidamente vorrei osservare che nessuno nega che il tardo capitalismo sta vivendo una crisi letale, dalla quale si può uscire solo trasformando dalle fondamenta il sistema attuale basato su micidiali conflitti e su strategie distruttive.

Purtroppo, l’unica via di uscita che immaginano i decisori mondiali, è quella di far pagare, ancora una volta, la terribile crisi alle masse popolari, attraverso politiche di austerità draconiana e con l’uso dello stato di eccezione mondiale, come suggeriva la Signora Díaz.

Dunque, il panico suscitato dalla diffusione volontaria o involontaria del COVID-19 sembra risultare assai utile a farci tacere e sottomettere ancora una volta, senza scartare l’ipotesi della guerra ibrida tra potenze.

Almeno avessimo imparato dalla storia…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italexit?

Trump Presidente: l’america segue Clint Eastwood

Coronavirus, stare dall’altra parte!

 




Esame sì, esame no, esame boom…

Ragazzi, avete il cervello elastico? Usatelo. E soprattutto divertitevi…

Sembra il gioco delle tre carte.

Prendi l’esame, togli l’esame, rimetti l’esame.

Tutti in presenza, Tutti a distanza, ognuno a casa sua.

Noi a scuola, voi a casa, i genitori lì a suggerire.

Voi a casa, noi a scuola” che è giusto così, con quello che paghiamo i prof per stare a casa, almeno li facciamo un po’lavorare “

Tesina scritta, tesina parlata, tesina consegnata, tesina spiegata.

In formato cartaceo, in formato digitale, in formato “Andate tutti a c ….e.

Che intanto chi mi boccia più?!?”

Sorpresa: l’esame di terza media, come già detto è saltato, ma la tesina, almeno quella, potrà (e dovrà) essere discussa con i propri prof, anche se in modalità telematica.

Pensa che ti ripensa, quelli del Miur, si sono detti “Ma vogliamo far vedere che ci pensiamo noi ad affrontare e risolvere i problemi reali di un Paese allo sbando?!?”

Ecco a voi, un piccolo brivido, per mezzo milione di quattordicenni italiani e per le loro famiglie.

Fino a ieri, poveri alunni, tutti convinti – perché così lasciava intendere il decreto scuola emanato il mese scorso – che bastasse consegnare la tesina ai prof, come un qualunque altro compito fatto da casa, e ciao.

E invece no.

Mai dire mai, nella scuola, come nella vita.

Non ci sarà il tema, né i due scritti di matematica e di lingue, perché, quello, oramai, l’avevamo detto e non si può più tornare indietro.

Ma almeno una specie di orale si farà.

E lo si farà prima dello scrutinio finale, non in presenza, ma lo si farà.

Sarà una specie di simulazione dell’orale saltato, che d’altronde anche in tempi normali si fa sempre e solo con i propri prof (in terza media, a differenza della Maturità, non ci sono mai stati i commissari esterni).

Per i ragazzi sarà un modo per mettersi alla prova, ma anche un’ultima occasione per salutare i propri insegnanti, che dall’anno prossimo non vedranno più.

Ma attenzione, quest’idea, vincente, è stata partorita dal basso, non dall’ alto, è nata direttamente dagli addetti al lavoro, che nella scuola ci vivono e ci lavorano, sul serio.

L’istituto Manin di Roma, infatti, aveva già deliberato qualche giorno fa, di far fare comunque l’esame orale a distanza ai propri alunni per non privarli di questo rito di passaggio.

Sin dall’inizio, i professori e la dirigente di questa scuola, hanno detto no alla sola tesina consegnata, ma non discussa, scegliendo, contro corrente, di prevedere, anche per gli studenti più giovani che si preparano alle scuole superiori, un rito di passaggio un po’più formale.

Così, la tesina è diventata una sorta di mini-maturità per dare, anche ai ragazzi più giovani, come a quelli più grandi, l’idea di superare un «reale» ostacolo, forse un po’ più difficile della «semplice» tesina, ma che faccia provare davvero quell’emozione e quel pizzico di sana paura, tipica della notte prima degli esami.

L’idea è stata avanzata direttamente dai professori.

«Sono loro – racconta fiera la dirigente dell’Istituto Manuela Manferlotti – a fare la differenza, a garantire una marcia in più alla nostra scuola, dove la didattica a distanza, pur con tutti i limiti strumentali del caso, sta funzionando».

«Ho accolto di buon grado la proposta dei miei insegnanti perché trovo giusto non far defluire troppo in fretta questo momento di crescita importante, questa emozione – spiega la Manferlotti –

E’un modo per dare maggior concretezza e dignità ad un esame che altrimenti si prospetta completamente anonimo e a distanza».

Applaude l’iniziativa il presidente dei presidi del Lazio Mario Rusconi:

«Mi sembra particolarmente interessante che, pur nel rispetto di tutte le disposizioni normative, durante il periodo della didattica a distanza, si dia impulso a questa sorta di simulazione dell’interrogazione orale, un modo professionale e innovativo di accogliere le giuste aspettative di alunni e famiglie».

Per fortuna che qualcuno l’ha capito ed ha agito di testa propria, dando un input al ministero!

Ma attenzione!

Quanto peserà la discussione della tesina nel voto finale?

Come ha spiegato ieri nell’incontro con i sindacati il nuovo uomo forte del ministero Max Bruschi, già consulente della ministra Gelmini scelto da Azzolina per guidare il Dipartimento del sistema educativo di istruzione e formazione, la tesina sarà il tassello finale di un processo di valutazione «olistica», in cui il consiglio di classe prenderà in considerazione l’intero percorso svolto dagli alunni nel corso dei tre anni.

Ma davvero?!?

Soppesando insieme alle competenze acquisite (leggi: i voti nelle singole materie) anche la maturazione raggiunta (leggi: il giudizio sulla condotta).

Il voto finale, come sempre, sarà in decimi, con anche la lode per i più bravi (e responsabili).

Ma guarda, non ci avevamo pensato, per fortuna che quelli del Miur, ce lo dicono loro, dall’alto…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona Notte, cara Ministra, vada a dormire, che è meglio…

Riaprire la Scuola

 




SERGENTMAGIÙ, GHE RIVAREM A BAITA?

Vinto il covid 19.

Utopia? No realtà

Gli sforzi degli scienziati di tutto il mondo sono rivolti a trovare una cura per debellare il Coronavirus.

L’Italia partecipa a pieno titolo alla gara e le notizie che arrivano dagli Ospedali di Pavia e Mantova sono più che incoraggianti.

Alcuni pazienti affetti da Covid-19 sono guariti, completamente guariti, in sole 48 ore.

La SORPRENDENTE tecnica che è stata messa a punto in questi ospedali lombardi rimanda alla sperimentazione sull’utilizzo del plasma convalescente nei pazienti critici affetti da Covid-19.

Lo studio, condotto congiuntamente al Policlinico San Matteo di Pavia a partire da marzo, ha visto il coinvolgimento di varie strutture dell’ospedale di Mantova: Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, diretta da Massimo Franchini; Pneumologia, diretta da Giuseppe De Donno; Medicina di Laboratorio, diretta da Beatrice Caruso; Malattie Infettive, diretta da Salvatore Casari.

Attualmente è in corso l’analisi de dati raccolti dagli specialisti nell’ambito del progetto e la successiva pubblicazione.

Al servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del Carlo Poma sta intanto procedendo a pieno regime la raccolta del plasma da pazienti guariti, con un ritmo di 6-7 prelievi al giorno. 

Una gara di solidarietà da parte dei donatori, ormai oltre 60, che si propongono anche da fuori provincia e da altre regioni italiane per offrire il prezioso emocomponente.

Ma anche una proficua collaborazione nella ricerca, infatti, i professionisti dell’ASST ringraziano ufficialmente i colleghi di Pavia, con particolare riferimento al direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale Cesare Perotti e al responsabile del Laboratorio di Virologia Molecolare Fausto Baldanti.
 

La terapia sperimentale, messa a punto al Policlinico San Matteo di Pavia e all’ospedale Carlo Poma di Mantova, consiste nella trasfusione di plasma iperimmune, donato dai pazienti guariti dal Covid-19, e infuso direttamente nelle vene dei pazienti ricoverati.

“I risultati visti nei casi singoli sono stati sorprendenti”, ha detto all’AdnKronos Massimo Franchini, responsabile dell’Immunoematologia e Medicina trasfusionale del Poma.

La terapia risulta però impegnativa, fin dalla selezione dei donatori: “Da 100 potenziali candidati non ne ricaviamo più di 30 adatti – spiega Franchini – Questo perché dobbiamo avere pazienti guariti da almeno 2 settimane e con tamponi negativi, che non abbiamo co-morbidità e siano idonei a donare il plasma.

Insomma, devono essere persone sane, che hanno contratto Covid-19 e sono guarite”.

Per trarre conclusioni certe servirà ancora tempo e un monitoraggio approfondito, ma le notizie sono incoraggianti.

A breve partiranno nuove sperimentazioni multicentriche, alle quali ASST di Mantova intende aderire per potere continuare a utilizzare questa importante terapia antivirale contro il coronavirus. 

Quindi la cura esisterebbe, e avrebbe quasi costo zero.

Ma allora, perché non se ne parla ogni giorno in televisione?

Quali sono i limiti?

Unico limite è che servono donatori, ma con la rete dell’Avis questo è possibile grazie anche all’opera di sensibilizzazione (a Mantova chi esce guarito dall’ospedale dona il sangue con piacere).

Cosa dicono gli “esperti”?

Il noto virologo Burioni, quello che diceva che in Italia il pericolo era zero, ora va in tv (profumatamente pagato) a dire che il plasma ha un limite, e che sarebbe meglio un farmaco sintetizzato.

Chissà perché, ci chiediamo noi di beta press…

Ecco la risposta del Dottor De Donno (pneumologo di Mantova):

“Il Signor scienziato, quello che nonostante avesse detto che il Coronavirus non sarebbe arrivato in Italia, si è accorto in ritardo del plasma iperimmune.

Forse il Prof. non sa cosa è il test di neutralizzazione.

Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma.

Visto che noi abbiamo il supporto di AVIS.

Glielo perdono.

Io piccolo pneumologo di periferia.

Io che non sono mai stato invitato da Fazio o da Vespa.

Ora, ci andrà lui a parlare di plasma iperimmune.

Ed io e Franchini alzeremo le spalle, perché….

IMPORTANTE è salvare vite!

Buona vita, quindi, Prof. Burioni.

Le abbiamo dato modo di discutere un altro po’.

I miei pazienti ringraziano”

Ed in ultimo, aggiungiamo noi di betapress, non sarà che, ancora una volta bisognerà speculare su questa scoperta e trasformare una donazione democratica e gratuita in un farmaco sintetizzato da una casa farmaceutica?!?

Ai posteri, l’ardua sentenza.

Una buona notizia, certa, che è arrivata ufficialmente dall’ospedale di Mantova, è che i morti per Covid-19 sono azzerati da quasi un mese.

E viviamo in Lombardia, epicentro dell’epidemia.

Ripeto AZZERATI.

Anche soggetti quasi dati per spacciati, trasportati a Mantova sono guariti.

Nessun miracolo, semplicemente a Mantova come ripetiamo (e a Pavia) hanno utilizzato e testato il plasma iperimmune (ricavato dal sangue dei guariti).

La fase di test è ultimata e la relazione che uscirà a breve sarà sorprendente e, noi di beta press, ve l’abbiamo detto per tempo, senza andare in televisione…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Calo dei contagi???

 




Maturità, t’avessi preso prima …

E’ proprio finita!

Spariti gli esami di terza media, o per gli amanti della forma, soppressi gli Esami di Stato del I°ciclo.

Quest’anno, complice il covid 19, il percorso si conclude con una tesina.

Niente presenza a scuola, niente prove scritte.

Il Ministro Azzolina, ieri a colloquio con gli studenti di Skuola.net ha accennato agli studenti che quest’anno concluderanno il I ciclo “faremo preparare una tesina, lavoreranno insieme ai loro insegnanti, la consegneranno e poi ci sarà lo scrutinio finale”.

Dato che non si rientrerà più in classe entro la fine dell’anno scolastico, si seguirà quanto indicato nel DL 22/20 dell’08 aprile 2020.

Quindi gli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione 2019/20 non si svolgeranno e ci sarà soltanto la valutazione finale del consiglio di classe che terrà conto anche di un elaborato del candidato.

L’ordinanza, che il Ministro dovrà emanare, dovrà definire:

  • le modalità di composizione dell’elaborato;
  • le modalità e i criteri per l’attribuzione del voto finale.

E gli scrutini, sempre secondo quanto previsto dal decreto dell’8 aprile 2020, si svolgeranno in modalità telematica

Spariti gli esami di terza media, dicevamo, e salvata l’apparenza degli esami di maturità.

Infatti, l’esame finale per le scuole superiori, la maturità 2020, pietra miliare per generazioni di studenti, è stato “preservato” ed attende i maturandi, il prossimo giugno, in versione snellita e mistificata.

Siamo infatti passati dai tre scritti ed un orale di tre anni fa, ai due scritti ed un orale di due anni fa, al solo orale di quest’ anno.

Certo, avrà una veste totalmente nuova rispetto al passato, data la situazione fuori dal comune, questa è la giustificazione.

In realtà, se cambiamo significati cambiamo però anche il nome: non possiamo più parlare di Maturità se il nuovo esame NON sarà neppure svolto come imposto dalla riforma della buona scuola di Renzi, ma si presenta ancor più svilito dalla Ministra Azzolina.

Cambiano i governi, ma il gioco al massacro della scuola non finisce mai!

Stupiti ed attoniti, questo è come si rimane guardando le nuove regole dell’esame di maturità, o meglio del passaggio di fine superiore.

Non è più un esame, ma solo una formalità che chiunque potrà superare, ed a cui chiunque sarà ammesso.

Quindi a che serve?

Decisamente a nulla, un poco come il titolo di studio ed il suo valore legale, oggi a cosa serve essere diplomati se questo titolo di studio sul mondo del lavoro non vale più a nulla??

Non vale più nemmeno nei concorsi pubblici!!!

Svuotare così la scuola pubblica di ogni significato non sarà una mossa per favorire quella privata?

Ma procediamo con ordine, oggi parliamo di maturità e di come in tutto questo cammino si sia riusciti a farla diventare immatura.

Già da tre anni a questa parte, il governo aveva proposto che non servisse più il sei in ogni materia per essere ammessi, ma solo la media del sei (compreso il voto di condotta) e non si facesse più la terza prova …

Il 14 gennaio 2017, infatti, erano stati pubblicati sul sito del ministero dell’Istruzione e della Camera i testi degli otto decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri riferiti alla legge 107, cioè sulla riforma scolastica del luglio 2015, in breve, la BUONA SCUOLA di Renzi …

Il testo che più degli altri aveva fatto notizia, era l’atto 384:

“L’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di stato”.

In particolare, l’art.15, si occupava delle ammissioni dei candidati interni agli esami di stato finali delle superiori, cioè chi era ammesso alla maturità.

E qui veniva il bello …

Era necessaria, come prima, la partecipazione ad almeno il 75% delle ore di lezione, cioè, uno studente poteva continuare a stare a casa un giorno su quattro che, comunque, frequentando i ¾ del monte ore annuale, aveva assolto l’obbligo di frequenza.

Così, era sempre più istituzionalizzata anche l’assenza strategica o la malattia psicosomatica per allergia a quel prof tanto spietato che voleva pure interrogarlo nella sua materia professionalizzante…

In più, rispetto a prima, erano previsti gli obblighi alla partecipazione alle prove Invalsi, allo svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro ed infine, una votazione di ammissione non inferiore alla media di 6/10 compreso il voto di condotta.

Dunque, non era più richiesta la sufficienza in tutte le materie.

Questo significa che si poteva essere ammessi all’esame di stato anche con un 5 (o un 4 o un 3!!!) purché ci fossero dei 7 (o degli 8 o dei 9) a compensare su altre materie.

Ed allora, il nostro candidato tipo poteva affrontare la maturità classica con un bel 4 in latino od in greco, il suo amico maturando dello scientifico poteva esibire il suo 4 in matematica od in fisica ed un futuro ragioniere rivendicava il suo 4 in economia aziendale od in finanze …

Che, intanto, le insufficienze erano indicate in modo generico.

Era irrilevante che fossero nelle materie professionalizzanti …

Allora, le assenze strategiche avevano ragione di esistere? …

Un mio alunno aveva detto: “Prof, Dio c’è !!!”

C’erano delle novità anche per le prove Invalsi: si era introdotta una nuova prova di inglese, oltre quelle già previste di italiano e della seconda materia.

Però la prova Invalsi, requisito per l’ammissione all’esame, non confluiva più nel voto finale.

Da povera addetta al lavoro, in classe da 31 anni, mi ero già augurata solo che i quesiti delle prove Invalsi proposti nelle superiori fossero un po’ più accordati alle conoscenze richieste ed alle competenze certificate di alunni reali e non virtuali …

Perché, considerati gli Invalsi proposti negli esami di terza media, vi avevo assicurato che, ogni anno, il MIUR partoriva un tale inventario di quesiti scollati dalla realtà scolastica in atto, che, mi ero sempre chiesta, chi fosse ad inventarli e che cosa volessero verificare, se non servissero solo per abbassare la media finale anche degli studenti migliori…

Oppure, dubbio amletico, i nuovi quesiti avrebbero dovuto dimostrare che i nostri alunni non erano come ci aspettavamo ed allora, rinforziamo l’errore, la prova Invalsi non consideriamola nel voto finale, usiamola solo per far vedere che la nostra buona scuola funziona…

Ma sì, andava tutto bene per quelli del MIUR…

Il decreto prevedeva, sempre per l’esame di maturità, l’eliminazione della 3° prova e della tesina portata dal candidato introdotta dal ministro Fioroni nel 2007.

Eh sì, povero il nostro candidato, gli avevamo tolto pure l’insonnia da “notte prima degli esami” eliminando il famoso “quizzone “…

Intanto, nella vita, succede proprio così, è tutto sempre più facile…

La prima prova scritta era italiano, la seconda era la materia che caratterizza il corso di studi, ed infine c’era il colloquio orale.

Infine, con il nuovo decreto, il voto finale restava in centesimi, ma si dava maggiore importanza al percorso fatto negli ultimi tre anni, in modo progressivo.

Il credito scolastico aveva un peso maggiore passando da 25 punti a 40, le due prove scritte e l’orale potevano valere invece fino a 20 punti ciascuno.

E qui, almeno, si iniziava a riconoscere il percorso più o meno meritevole e non solo la prestazione finale…

Ma, quest’ anno, un bel colpo di spugna, ha cancellato tutto e dato la grazia anche a chi si è parcheggiato per cinque anni nella scuola 

La formula sarà quella, ormai confermata, del maxi orale, che la ministra dell’Istruzione vorrebbe si facesse in presenza, a scuola, davanti alla commissione interna ad eccezione del presidente esterno.

Il giorno della data dell’esame di maturità sarà il 17 giugno “e l’esame orale partirà da un argomento che non sarà una tesina ma un argomento da cui partiranno scelto con i loro prof. Si parte da un argomento di indirizzo”.

Ma vi rendete conto?!?

I docenti devono concordare con gli alunni quello che chiederanno nell’esame?!?

Il nostro caro maturando si accorderà preventivamente su quello che dovrà dire?!?

E guai a fargli una domanda fuori dal seminato!

Che saranno tutti pronti a dire che l’ha detto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina “L’esame di stato non è un interrogatorio ma l’apice di un percorso e non può riguardare quanto non è stato fatto”.

Appunto, lo dice bene la ministra, non si può certo chieder quanto NON E’STATO FATTO, a forza di tagliare i programmi, di gonfiare i voti, di alzare le medie, di salvare gli alunni con PDP, PEI, PON (per chi non lo sapesse, esistono davvero Pino Didattico Personalizzato, Piano Educativo Individualizzato, Programma Operativo Nazionale)

Per questo i crediti prima della pandemia erano 40, poi c’erano gli altri 60 legati alle prove.

Ora, si deve valorizzare di più il percorso di studi: 60 saranno i crediti dai quali gli studenti potranno partire e 40 la prova orale.

Questo sarà un giusto riconoscimento all’impegno!

E già!

Posso dirla tutta “ Ma andate a c…re !”  

Che intanto voi del Miur, come dicono a Roma, fate i froci con il c…o degli altri, in pratica il nostro, ma noi in aggiunta ci mettiamo la nostra dignità e professionalità!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Quando lo strafalcione diventa esame di stato, la scuola che non c’è più…

La Maturità immatura!

San Gennaro esiste…

 




Concorso a Cattedra, ridicolmente infernale…

Ma cosa ho mai fatto di male a voler fare l’insegnante?!?

Da ieri, i quattro concorsi per assumere insegnanti, dalla scuola primaria ai licei, sono in Gazzetta ufficiale.

I bandi, che diventeranno la guida per i candidati – un potenziale tra 180 e 240 mila -, sono pronti.

 

Peccato che sia un girone infernale, pieno di ostacoli ed ingiustizie.

Con quattro percorsi diversi, previsti tra luglio e ottobre, per la nostra cara Ministra Azzolina si porteranno in cattedra 61.863 docenti, chiamati a ridurre l’eccesso di supplenti della scuola italiana (siamo vicini al rapporto di un precario ogni quattro docenti di ruolo) e a sostituire i trentamila maestri e professori che a giugno andranno in pensione.

 

Analizziamo insieme i nodi spinosi ed i punti dolenti dei vari vaneggiamenti ministeriali.

 

Primo problema. Il momento, in piena emergenza sanitaria.

 

Abbiamo aspettato anni e, proprio adesso, dove tutto è vietato, perché pericoloso, si espongono 80000 persone al contagio!

Il primo bando riguarda infatti la procedura straordinaria per il personale precario della scuola secondaria (I e II grado): 24.000 posti disponibili, 77.000 candidati, attesi in giro per l’Italia, tra assembramenti e spostamenti.

I famosi party, vietati da Conte, ma ammessi dalla Azzolina!

Secondo problema. La ragione.

Invece di indire altri concorsi, perché non attingere e portate a termine le due graduatorie di merito dei concorsi 2016 e 2018?

Perché non smaltire le gae (graduatorie ad esaurimento)?

E’ necessario dare il ruolo subito ai vincitori del concorso 2016 nella regione dove hanno superato il concorso, prima di creare dei nuovi docenti sospesi!

Non ci sono già abbastanza abilitati in condizione precarie, itineranti sulle varie scuole? Perché non stabilizzare questi che già hanno maturato esperienza e competenza, soprattutto in questo periodo della DaD?

Perché congelare le graduatorie di istituto e licenziare gente che già lavora, per illudere altri, promettendo un posto che non c’è?

Tant’è vero che, l’ha detto la stessa Azzolina “Chi non risulterà vincitore, otterrà comunque l’abilitazione alla professione che consentirà la partecipazione futura a concorsi ordinari”.

Ciak, si gira!, diciamo noi…

Le domande per questa prova si potranno inviare dal 28 maggio al 3 luglio e, secondo la ministra Lucia Azzolina, il concorso si potrà svolgere sempre nel mese di luglio:

“Dobbiamo portare i vincitori in cattedra già a metà settembre”

E dunque…

Terzo problema. Il tempo.

A settembre?

A tale proposito, diamo la parola al senatore Mario Pittoni, presidente della commissione Cultura a palazzo Madama e responsabile Istruzione della Lega.

“Il bando appena pubblicato non ha alcuna possibilità di centrare il risultato, già poco più che simbolico con 200 mila precari, di portare 24 mila docenti in cattedra a settembre con un contratto a tempo indeterminato.

Il documento chiarisce infatti che la presentazione delle domande scade il 3 luglio e, visto che gli Uffici scolastici regionali hanno bisogno di almeno 3 settimane per porre in atto le complesse procedure propedeutiche all’effettuazione della prova, è scontato che l’iter si concluderà fuori tempo massimo.

È la conferma che solo il grande piano di stabilizzazione che porteremo al voto la settimana prossima in commissione al Senato può garantire insegnanti definitivi dall’inizio dell’anno scolastico, per affrontare l’emergenza sanitaria con la necessaria efficacia”.

Quarto problema. La modalità

Innanzitutto, il quizzone di 80 quesiti in 80 minuti è una lotteria e non si può sottoporre alla sorte un precario che ha investito parte della sua vita nella scuola.

Per consentire ai 77.000 candidati di poter svolgere la prova (test a crocette) con il distanziamento necessario, il ministero dell’Istruzione ha previsto di utilizzare ottomila istituti sul territorio.

Ma dove?!? Con tutte le scuole che necessitano di interventi di edilizia straordinaria, necessari per la difficile fase di riapertura di settembre!

Saranno 33.000 le postazioni disponibili.

Nei singoli plessi potranno entrare solo dieci candidati alla volta. 

Le prove si svolgeranno in diversi giorni, divise per classi di concorso: una procedura simile a quella che sarà adottata dal ministero dell’Università per l’ingresso nelle specializzazioni mediche, sempre a luglio.

Le aule utilizzate saranno sanificate prima dell’ingresso dei candidati.

Bene, ammesso e non concesso che tutto funzioni, ma, qualcuno si è preso la briga di calcolare quanti giorni ci vogliono?!?

E poi, la batteria di test è sempre la stessa? E qui, comunque si faccia, si sbaglia.

Sempre gli stessi quiz? Poco serio, gli ultimi hanno già ricevuto le risposte ed affrontano la prova facilitati.

Quiz ogni volta diversi?

Poco corretto, perché le domande, cambiate ogni volta, possono essere più o meno facili, e la prova non è oggettivamente equivalente come difficoltà.

Quinto problema. Il calcolo del punteggio dei titoli e del servizio

Il punteggio minimo attribuito agli anni di servizio è ingiusto, non c’è una giusta spiegazione logica, a parte quella non giusta di far fuori i precari più anziani;

Addirittura, il titolo di dottorato è valutato, per il concorso straordinario, cinque volte tanto un anno di insegnamento nella scuola e, per il concorso ordinario, è valutato dieci volte tanto un anno di insegnamento nella scuola.

Anche in questo caso non c’è una giusta spiegazione logica, a parte quella non giusta di sistemare nella scuola qualche dottore di ricerca per il quale non si trova un posto accademico.

Sesto problema. Il contributo d’esame

 

Un’altra cosa astrusa è relativa al contributo d’esame: nel caso del concorso ordinario, per le tre prove, più eventuale preselettiva, il contributo di esame è di 10 euro; invece, nel caso del concorso straordinario, per una sola prova computer based, il contributo è di 40 euro (procedura per il ruolo) o di 15 euro (procedura per l’abilitazione).

L’unica spiegazione logica è quella perversa di boicottare il più possibile per impedire immissioni in ruolo, mantenendo lo status quo di precariato che fa bene alle casse dello Stato e a chi ci guadagna attraverso i ricorsi, i corsi universitari, i corsi telematici per l’acquisizione di punteggio, ecc.

 

Settimo problema. Gli insegnanti di sostegno

 

La prova straordinaria abilitante è riservata a tutti gli insegnanti con un’anzianità di servizio di almeno tre anni, anche sul sostegno, però ASSOLUTAMENTE ne serve almeno uno trascorso nella classe di concorso per la quale affronteranno la selezione.

È FATTO GRAVISSIMO AVER ESCLUSO I DOCENTI CON TRE O PIÙ ANNI DI SERVIZIO ESCLUSIVO SUL SOSTEGNO.

 

Insegnanti con esperienza magari decennale, avrebbero POTUTO PARTECIPARE QUANTOMENO ALLA PROCEDURA STRAORDINARIA AI FINI ABILITANTI PER LA CLASSE DI CONCORSO DA CUI SONO STATI CHIAMATI DA GRADUATORIE INCROCIATE. SEGUIRANNO MIGLIAIA E MIGLIAIA DI RICORSI

Ottavo problema. L’idoneità

Per l’idoneità gli aspiranti docenti dovranno ottenere una votazione minima di 28 punti su 40 nella prova scritta al computer.

I vincitori andranno subito in cattedra e saranno ammessi a sostenere un anno di prova che sarà rinforzato con una formazione universitaria mirata per 24 crediti formativi universitari.

L’anno si concluderà con un colloquio di verifica in cui bisognerà conseguire il punteggio minimo (i 7/10, appunto), ALTRIMENTI, il ruolo non sarà confermato.

I vincitori del concorso dovranno restare almeno cinque anni nella sede di prima assegnazione per assicurare la continuità didattica.

Nono problema. Il merito

Tutti insieme, appassionatamente, precari storici e neolaureati, senza nessuna meritocrazia

Perché lo scopo è ben altro…

I docenti che risulteranno “idonei”, ma non collocati in posizione utile per la nomina in ruolo, potranno abilitarsi all’insegnamento nella classe di concorso per la quale hanno partecipato e sosterranno una prova orale (sempre con un punteggio minimo di 7/10) e un anno di formazione per l’acquisizione dei 24 crediti.

Poi potranno partecipare a nuovi concorsi.

Noi di betapress ci limitiamo a dire che è vergognoso.

Tutti sappiamo che sarà impossibile svolgere le procedure del concorso straordinario prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, che a settembre gli attuali precari saranno ancora tali e le classi saranno ancora scoperte.

Nella fase in cui la riapertura richiederà stabilità delle cattedre e certezze, il ministero scarica sulle scuole l’onere di nominare quasi 200.000 supplenti.

E la cara Ministra Azzolina si riempie la bocca di propaganda politica pigliando in giro, chi, anche adesso sta facendo i salti mortali per far funzionare la scuola, DaD compresa!…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo

 

Buona Notte, cara Ministra, vada a dormire, che è meglio…




Riaprire la Scuola

Scuola ombelico delle riforme post covid 19

Oggi le principali scelte che la tutela della salute impone sono:

a) ridurre gli assembramenti

b) igienizzare e sanificare in modo quotidiano e continuo

c) allontanare tra loro le persone

d) conciliare le esigenze dei bambini e degli studenti con gli altri dispositivi di sicurezza che sono propri dei luoghi in cui ci sia compresenza e movimento di persone.

Dunque il ritorno a scuola implica rispondere a dei bisogni precisi.

Ma, a tale proposito, esistono domande, sinora inevase, che è doveroso da parte dei Comuni porre, perché ne saranno investiti:

a) Si deve ragionare degli spazi

Tutti gli ambienti scolastici dovranno essere predisposti in modo adeguato, specie negli spazi comuni di passaggio e nei servizi igienici o negli impianti: areazione sterilizzata, igienizzazione …

Il problema si aggiunge a tutti i problemi edilizi pregressi del patrimonio degli edifici scolastici.

b) Si deve ragionare di Bisogni Educativi Speciali

Oggi con la scuola a distanza “chi è avanti continua ad esserlo, chi è a metà continua ad esserlo, chi è indietro rimane molto più indietro” (Mila Spicola).

La riapertura delle scuole, se è per tutti gli studenti e le studentesse auspicabile, per chi era in difficoltà già prima, è essenziale.

Gli studi ci diranno poi quali effetti, in positivo come in negativo, possa aver avuto sugli alunni con disabilità la sostituzione della classe reale con una virtuale.

Ma di certo, per molti ragazzi in condizioni di disagio e privi di una buona mediazione familiare, l’esperienza è stata pesante.

c) Si deve ragionare di trasporti

La mobilità è sicuramente uno dei temi da affrontare prioritariamente e con maggiore forza: investire su mobilità pubblica e tecnologie digitali, e incentivare mobilità ciclo pedonale, anche con azioni decise di contenimento e contrasto all’utilizzo dell’auto.

La città avrà necessità di rivedere il sistema dei trasporti.

Per consentire agli alunni (ad esempio quelli delle secondarie superiori, ma non solo) di andare a scuola, il contingentamento obbligato dei numeri dentro autobus e metropolitane, andrà confrontato con la necessità che i ragazzi ci arrivino, alla loro scuola.

Alcune proposte ci vengono dai tanti comitati e associazioni impegnati sull’ambiente e sulla mobilità sostenibile.

Ebbene, ognuna comporta costi:

  • Prevedere servizi “circolari” da coordinare con la partecipazione delle associazioni di categoria per l’individuazione di itinerari predefiniti nelle principali città.
  • Favorire, anche finanziariamente e con l’utilizzo di giovani come accompagnatori, l’attivazione di servizi di “pedibus” per gli spostamenti degli alunni delle scuole.
  • Prevedere finanziamenti per l’attivazione in tempi brevi di servizi di bike e car sharing nelle principali città

 Ma, in tal senso, sono previsti investimenti o finanziamenti per implementare il servizio di trasporto scolastico o la mobilità in sicurezza o si pensa che sarà tutto a carico dei Comuni?

Se alcuni interventi sembrano facili o semmai già esistenti in alcuni Comuni, per quelli meno popolosi, non si può immaginare che ciascuno si “arrangi” da solo, semplicemente ampliando la scala dei servizi!

Si stanno ipotizzando a livello governativo investimenti sulla mobilità sostenibile e sicura?

d) Si deve ragionare di sicurezza e prevenzione igienico-sanitaria

Per le igienizzazioni, superata la fase iniziale su cui il MIUR ha investito 43 milioni di euro a livello nazionale, si pensa di assicurare in modo regolare anche nei bilanci regionali fondi per il mantenimento degli standard previsti o viceversa si ipotizza che poi le spese se le caricheranno le singole scuole o i Comuni o, ancor peggio, le famiglie?

Partiamo per esempio dai dispositivi di protezione e dall’accertamento sanitario: mascherine e guanti per studenti e personale, sistemi di test efficaci e ripetuti.

Parliamo di dieci milioni di persone, che anche se diventassero la metà con una scuola a tempi alterni sono comunque tanti.

Al primo focolaio indotto da dentro la scuola o portato fuori dalla scuola a casa o altrove, si scatenerebbe di certo nel Paese una bufera di polemiche difficili da contenere.

Una guerra di tutti contro tutti alla ricerca della “responsabilità”, intesa come colpa.

Lo sanno gli Enti, lo sanno le scuole, lo temono i Dirigenti scolastici, datori di lavoro.

e) Si deve ragionare di inclusione sociale

La scuola è anche uno degli spazi di welfare più significativi di questo Paese, spazio di inclusione per eccellenza: ad essa si affianca il lavoro del privato sociale, di tante associazioni, di tanti centri che la supportano senza sostituirla, o almeno così dovrebbe essere.

Quale destino si ipotizza per i centri educativi diurni?

E per tutte le attività di accompagnamento basate ovviamente sulla vicinanza fisica (educative territoriali, progetti extracurricolari, campi estivi, solo per fare qualche esempio)?

L’elenco delle domande potrebbe continuare…ma, non vogliamo scoraggiare i nostri lettori dal pensare che ce la faremo.

La scuola deve riaprire.

Per tutti, non uno di meno.

Le soluzioni vanno trovate insieme.

Ma insieme alla riapertura delle scuole dobbiamo chiedere un cambio di passo alla gestione del presente e del futuro prossimo, e non può bastare una caritatevole attenzione verso il mondo della scuola e verso le difficoltà dei Comuni (quella è stata poca in verità, finora).

Come redazione di betapress, rivolgiamo un monito a chi sta governando i processi e ipotizzando soluzioni.

Il governo deve riaprire le scuole, ma deve guardare alla questione con una prospettiva ampia, aprendo il dialogo agli enti locali e al mondo vivo della scuola “reale” e di chi le ruota intorno, per garantire misure veramente efficaci; e perché siano efficaci deve mettere in conto risorse consistenti, non meno di quante ne servano per la Sanità.

Perché la salute e l’istruzione viaggiano insieme. 

Sono diritti ineliminabili della persona.

Lo dice la nostra Costituzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo




quando è troppo è troppo!

Adesso basta! L’esasperazione della Confcommercio

Confcommercio replica al nuovo Decreto del presidente del consiglio Giuseppe Conte: “Tutti gli imprenditori si aspettavano di riaprire i battenti dal 4 maggio.

Invece sono stati liquidati un’altra volta, come contassero poco o nulla, quando è chiaro a tutti che il Paese si regge su di loro”

La presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini e il direttore regionale Franco Marinoni commentano il nuovo Decreto del presidente del consiglio Giuseppe Conte.

La loro è una forte critica e una precisa presa di posizione.

Siamo governati da incompetenti senza coraggio, senza visione, senza rispetto.

Il discorso del premier Conte di ieri sera – approssimativo e confuso, per nulla rassicurante – è solo la punta dell’iceberg di una situazione insostenibile.

Di questo passo il tracollo del sistema Paese è vicino, a partire da quello dell’economia”.

“Sconcerto e dolore. Queste sono le uniche emozioni che provo dopo una intera notte insonne –  prosegue la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini – in questi due mesi abbiamo fatto la nostra parte con responsabilità, come era giusto e doveroso, abbiamo stretto la cinghia sforzandoci di riporre fiducia in una classe dirigente che, a dire il vero, ormai da molti anni mostra purtroppo tutte le sue inadeguatezze, che la pandemia non ha fatto altro che portare alla luce.

Ora, però, ha messo un’altra volta all’angolo il mondo delle imprese, rinviando ancora una volta la ripartenza ma soprattutto, ed è quello che più ci preoccupa, senza illustrare piani concreti di sostegno e di modulazione del futuro prossimo.

Le nostre imprese sono allo stremo e non hanno più margini per navigare a vista come ci viene richiesto”.

“Dietro il paravento delle norme di sicurezza anti-contagio questa classe politica pare nascondere l’incapacità di assumersi responsabilità nei confronti del Paese e l’incapacità a progettare una vera ripresa – aggiunge il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni – Tutti gli imprenditori si aspettavano di riaprire i battenti dal 4 maggio.

Certo, con molte prescrizioni e molti veti, ma almeno cominciando a prendere dimestichezza con la situazione che si presenterà da qui ai mesi a venire, fino a che non finirà l’epidemia.

Invece sono stati liquidati un’altra volta, come contassero poco o nulla, quando è chiaro a tutti che il Paese si regge su di loro. 

E quello che più sconcerta è che gli interventi di sostegno al sistema economico restano poco più che proclami, incapaci di incidere nella realtà delle cose.

Credito a fondo perduto, moratoria fiscale e su tutti i pagamenti, sostegno al reddito: di questo ha bisogno l’Italia.

Ma anche di progetti seri per la ripartenza”.

I due rappresentanti di Confcommercio continuano: “Se la prima preoccupazione di tutti deve essere la salute, qualcuno ci spieghi perché aprire un negozio, un bar o una qualunque altra attività nella quale entrerebbero al massimo una o due persone alla volta, con guanti e mascherine e nel rispetto di tutte le regole necessarie, viene considerato più pericoloso che aprire una fabbrica con centinaia di lavoratori.

Credo proprio che il buon senso abbia abbandonato chi ci governa –  prosegue aspra la presidente Lapini – I commercianti, i baristi, i ristoratori, gli agenti di viaggio, quelli immobiliari e di commercio, i tour operator, gli albergatori, le guide turistiche, i parrucchieri, le estetiste e tanti altri imprenditori, insieme ai loro collaboratori e alle loro famiglie, non sono più disposti a sopportarlo.

Si chiede al mondo delle piccole imprese un sacrificio troppo grande senza dare in cambio misure concrete compensative”.

“Siamo stati in casa, abbiamo spento le luci delle nostre attività in silenzio, con un sacrificio enorme, abbiamo passato il nostro tempo ad organizzarci con le aziende, con le banche, con le scadenze, con la certezza che, dopo una prima fase di sgomento che sarebbe durata un mese (e sarebbe stato già terribile!) avremmo potuto riprendere a lavorare – spiega la presidente –

ma quello che Conte ha detto ieri sera senza dare nessuna spiegazione scientifica e tecnica, è inaccettabile.

Ha scambiato la nostra ubbidienza, il nostro senso del dovere in sudditanza.

Non è così!

Noi non faremo la fine della rana bollita.

Non siamo disposti ad abituarci a questa situazione senza farne parola”.

“Non ci condannerete al fallimento trovandoci inermi – conclude la presidente di Confcommercio Toscana – siamo pronti a reagire con la forza della disperazione, con la forza del nostro orgoglio, con la forza della nostra onestà, lealtà, determinazione, passione e desiderio di ricominciare per il benessere della nostra collettività”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lettera di un medico al Ministro Conte