Perché è importante utilizzare l’intelligenza emotiva?

Vogliamo affrontare il tema dell’intelligenza emotiva (IE), argomento questo  complesso, in quanto entrano in gioco le emozioni con la loro influenza sulla vita  relazionale.

Ma cos’è la IE? Mettere in campo l’intelligenza emotiva significa essere in grado di riconoscere i sentimenti propri ed altrui gestendo positivamente le nostre emozioni al fine migliorare le relazioni sociali.

L’intelligenza emotiva ha messo in discussione i risultati dei test intellettivi predittivi di successo smantellando l’idea che   elevati QI corrispondano a migliori performance e bassi QI a limitate performance.

Parlare di IE significa richiamare alla mente i concetti chiave di autostima, di motivazione, di auto efficacia con conseguente capacità da parte del soggetto di saper gestire le proprie emozioni.

Gli psicologi americani Salovey e Mayer introdussero tra i primi il costrutto della IE anche se il tema del riconoscimento e della gestione delle  emozioni si è diffuso grazie allo psicologo cognitivista Daniel Goleman celebre per il  suo testo “Emotional Intelligence”.

L’autore in questione definisce la IE come “La capacità di motivare se stessi, di persistere nel raggiungimento di un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici, di sperare”.

Goleman evidenzia nel costrutto della IE alcuni domini quali: l’autocontrollo, l’automotivazione, l’empatia e la gestione delle relazioni sociali. Si tratta dunque di apprendere un buon uso della IE, ossia l’attitudine emozionale o la meta-abilità – come Goleman la definisce – che ci permette di fronteggiare gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di vita.

L’uomo attivo si inserisce in un processo costante e complesso di scoperta, riscoperta e costruzione di significati, il tutto sempre mediato dal contesto e dalle relazioni sociali che è in grado di costruire ma anche dalla cultura in cui è immerso.

In questo processo continuo ogni azione messa in gioco risulta essere filtrata attraverso le percezioni, i pensieri e le emozioni soggettive. Ma come funziona il nostro cervello in relazione all’intelligenza emotiva?

Le strutture cerebrali considerate cruciali per l’elaborazione e la regolazione emozionale sono quelle che appartengono al lobo limbico, il quale è situato in profondità nella parte più interna, cioè mediale, dei lobi temporale e frontale di ciascun emisfero.

Il sistema limbico non è un circuito chiuso poiché è caratterizzato da un alto livello di interazione con molte aree corticali e strutture sottocorticali e l’amigdala è la struttura nervosa che rappresenta la base neurologica per eccellenza degli stati emotivi e si attiva sempre per esperienze emozionali molto intense.

Le esperienze emozionali intense non sempre sono negative anzi, se ben canalizzate, possono arricchire la nostra vita.

Scegliere il canale dell’intelligenza emotiva ci permetterà di affrontare in modo  creativo gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di crescita.

Si può dunque ipotizzare che l’intelligenza emotiva sia in relazione con la sfera della creatività.  

L’arte, in quanto espressione della creatività, può divenire uno strumento per aiutare le persone che ne fruiscono attraverso i canali  sensoriali  o che la mettono in pratica attraverso la produzione.

L’arte permette dunque – nelle sue espressioni di fruizione e produzione – di conoscere ed interpretare le proprie emozioni utilizzando il canale della IE e a questo proposito possiamo ritenere che tutto questo sia fondamentale per il mantenimento di uno stile di vita sano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Mes o Italexit inutili senza un Nuovo Contratto Sociale

La primavera sta passando via avvolta  nella distrazione e come ogni anno arriverà l’estate.

La gente torna nelle strade, nei negozi e nei ristoranti deserti per mesi.

Il tempo del corona-virus non è finito ma la normalità cerca disperatamente di recuperare un posto nelle nostre vite.

Un giorno si troveranno le parole per raccontare i mesi trascorsi tra paure ed incertezze.

Un giorno si riusciranno a spiegare meglio i limiti dello sviluppo sostenibile e la fragilità del pianeta e del consorzio umano.

Un giorno, ma non ora.

È troppo presto.

I contagi diminuiscono ed i reparti di rianimazione per la prima volta tornano a liberare qualche posto letto.

Eppure il virus è ancora tra noi, ci accompagna nelle nostre attività e frequenta probabilmente i nostri amici ed i nostri spazi di lavoro.

La scoperta di un vaccino risolverebbe parte dei problemi ma i protocolli di ricerca in Cina, Europa e Stati Uniti  non sono ancora in grado di presentare risultati definitivi.

La Pandemia ha soffiato via ogni certezza, attribuito poteri inediti alle classi di governo e messo in evidenza le criticità della politica e dei modelli di produzione e distribuzione della ricchezza in Italia e nel resto del mondo.

Il distacco, il “decoupling” tra paese reale e lo Stato dei pieni poteri è enorme e rischia di esplodere generando conflitti sociali profondi e permanenti.

La tempesta virale, infatti, ha colpito un mondo già alle prese con il rischio della recessione globale.

Il rallentamento dell’economia cinese con i suoi effetti di contagio globale  ha dominato l’agenda economica per tutto il 2019 pre covid.

Il blocco economico imposto dall’isolamento sociale per contrastare la diffusione del Virus si è abbattuto su una trama economica già indebolita con il risultato che molte attività produttive e commerciali non riapriranno le porte a lavoratori e clienti.

Il Fondo Monetario Internazionale è cauto e non sembra essere molto generoso con le previsioni macro economiche.

Gli economisti si limitano ad evocare il rischio evidente di un rallentamento di un 3% per l’economia globale ed un 9% per il nostro paese, con una ripresa incerta per il 2021 (Fonte FMI).

Il Word Economic Forum è andato oltre stimando un ribasso del pil mondiale del 20% ed il conseguente impatto sulle condizioni di vita nell’intero pianeta.

Il risultato è agghiacciante: la recessione mondiale potrebbe produrre oltre 500 milioni di nuove persone in condizioni di estrema  povertà.

 

Una previsione che, stando ai timori diffusi dalla Caritas, non risparmierà l’Italia.

Un immagine sbiadita che non sembra intimorire la politica italiana e neanche quella comunitaria che vivono in una realtà concettuale dominata da antichi totem e tabù.

Una tela di penelope riversa su sé stessa.

Del resto non potrebbe essere altrimenti se dopo mesi di isolamento sociale, migliaia di morti e fasce di popolazione alle prese con l’emergenza della povertà,  non sono ancora arrivate misure di sostegno economico concrete.

La situazione in ambito comunitario non sembra meno contraddittoria.

Il confronto, infatti, ha preso la direzione di un dibattito che vede l’Europa divisa non tanto sulla necessità di sostenere le comunità locali ma sulla declinazione giuridica degli interventi di supporto.

Si discute di Mes con o senza condizioni, di prestiti assistiti da garanzie o aiuti a fondo perduto, dimenticando che dietro sintassi e sostantivi c’è il dramma della sofferenza.

La paura ed il rischio della morte e della miseria non spaventano le “elites” di comando.

Il nemico pubblico diventa il timore evocato dalla ipotesi di parziale redistribuzione della ricchezza tra i paesi e le classi sociali della vecchia Europa.

I principi di unità e solidarietà alla base della mutualizzazione del debito non sono sufficienti a fare breccia nel cuore dei paesi rigoristi del blocco nordico e non c’è più molto tempo, ormai.

L’Unione europea, infatti, dovrà  finalizzare le misure già annunciate (Sure, Mes prestiti Bei e Recovery Fund)  in tempo utile con le ultime riunioni calendarizzate prima della lunga pausa estiva (18 e 19 giugno).

Sorge il dubbio che il termine del primo luglio, per la fase attuativa degli interventi delineati, potrebbe finire per non essere adeguato se si vorrà estendere il dibattito sui regolamenti attuativi e che il Recovery Fund potrebbe restare fuori dall’agenda delle prossime riunioni della Commissione essendo ancorato al bilancio pluriennale europeo per il quale  gli accordi tra gli stati membri e le regole di fiscalità comune sono ancora in alto mare.

In ambito domestico lo scenario politico si ripete e convive, con estrema disinvoltura, tra gli annunci trionfalistici delle conferenze stampa e l’inadeguatezza degli stimoli economici realizzati.

Il decreto “Rilancio” che il governo in carica ha adottato per sostenere il paese non aiuterà le imprese e le famiglie come sperato.

Ancora una volta il buon senso svela l’altra faccia della frattura tra paese reale e legale: quella della verità sommersa nei contenuti dell’informazione.

La percezione è che il nemico contro il quale misurarsi ogni giorno non sia più il Covid-19 ma la superficialità delle classi politiche al comando ferme alla gestione dei privilegi e dei maggiori poteri acquisiti nella fase dell’emergenza e più interessate alla forma che alla sostanza.

Una realtà che dovrebbe scuotere la coscienza popolare ed imporre un limite alla pazienza ed alla rassegnazione.

Le soluzioni per riappropriarsi dei sogni e alimentare la speranza di un futuro migliore ci obbligano ad una riflessione di ampio respiro.

La realtà economica e sociale post pandemica non sarà più quella di prima.

Un modello di crescita e di progresso sostenibile dovrà guardare ad un “Nuovo Contratto sociale” che ponga le premesse per una democrazia aggiornata alle sfide in atto ed ai ritmi della società digitale.

All’ordine del giorno dovranno porsi i principi di una nuova identità collettiva che riformi gli schemi ed i contenuti della rappresentanza istituzionale, della scuola, del lavoro, degli istituti di fiscalità ,

degli incentivi all’iniziativa economica, della lotta alle nuove povertà e alle moderne forme di criminalità.

I cardini portanti di un Contratto Sociale post covid dovranno trovare il migliore equilibrio tra una nuova carta dei diritti e dei doveri ed uno slancio altruista e solidale che valorizzi la promozione della “persona” in un pianeta sempre più digitale e connesso

In questa direzione occorre  dare vita ad “governo di solidarietà nazionale” che si occupi dell’emergenza e delle riforme indispensabili senza svendere i sogni e le speranze degli italiani.

Non abbiamo bisogno di inventarci nulla: sarà sufficiente recuperare la nostra storia ed i nostri valori.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fabio Delibra

 

 

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

Piano Marshall oggi più che mai!!

 




Sport: investimenti non elemosina.

Se un giorno incontraste per la strada il Dott. Larry Page e vi dicesse che per due mesi ha dovuto tenere chiuso le sue attività ed ora ha delle difficoltà economiche, vi verrebbe in mente di dargli qualche monetina?

Probabilmente no, nessuno gli darebbe l’elemosina.

Elemosina, citando il dizionario Treccani, “Quello che si dà alle persone bisognose, secondo il precetto cristiano della carità”

Non lo farebbero nemmeno i religiosi più osservanti, non certo per mancanza di fede o disprezzo verso quell’uomo, nessuno metterebbe in dubbio lo stato di bisogno ma per il semplice motivo che, essendo Larry Page tra gli uomini più ricchi del mondo, alcune monetine sarebbero assolutamente ininfluenti rispetto alle perdite che potrebbero aver avuto le sue attività e, con tutta probabilità, sarebbe lui stesso a declinare l’offerta, dicendo che potrebbero aiutare di più altre persone. 

Lui e Google non avrebbero bisogno di qualche monetina per riprendere la corsa ma investimenti, progetti e finanziamenti di tutt’altra portata.

Non augureremmo mai una situazione del genere a Google ed al Dott. Page, ma questo è esattamente successo allo Sport nel nostro Paese ed il paragone non è casuale; l’americano è l’ottavo uomo più ricco del mondo e l’Italia è l’ottava potenza sportiva mondiale. 

Sentir parlare, almeno si leggesse qualcosa di scritto, di aiuti con importi tra i 200mln, 400mln, 600mln in piccola parte a fondo perduto ed in gran parte come finanziamento è molto simile ad un elemosina, con la differenza che quella almeno non devi darla indietro. 

Utilizzando stime anche volutamente contrarie alla tesi di chi scrive, prendendo il massimo prospettato € 600.000.000 e dividendolo per una stima, sicuramente troppo bassa, del numero di società sportive in Italia (130.000) non farebbero nemmeno 5000 Euro a società.

Quei soldi ne prolungherebbero l’agonia di qualche giorno, salvo poi doverli restituire.

Collaboratori sportivi che non ricevono un bonus di €600 da settimane, che non ricevono stipendi da mesi, non si sa ancora se riprenderanno alcuni campionati a partire dalla serie A di calcio che muove e consente di vivere lavorando, a tante persone, non solo i 22 in campo.

DPCM che trattano con poca attenzione le peculiarità delle diverse discipline e, nessuna proroga per esempio per i pagamenti delle utenze dei centri sportivi – forzatamente fermi – e, altro esempio, per i contributi del calcio femminile – tre anni volano via in fretta – . 

Non è questo il momento di imparare a conoscere il mondo dello Sport ma di imparare dal mondo dello Sport utilizzando progettualità, investimenti e finanziamenti congrui, un po’ come per la storiella di Page e Google.

Bene la legge Olimpica.

Dobbiamo Investire nell’impiantistica sportiva, nell’educazione fisica/motoria nelle scuole, nella formazione, nei dirigenti, nei grandi eventi e sostenere economicamente, ma davvero, le società che hanno progetti seri per il futuro.

Ora è il momento di farlo, prima che sia troppo tardi, magari rivedendo quella riforma/rivoluzione dello Sport partita e mai finita a dimostrazione che di questi tempi i ritmi della Politica, non coincidono con quelli di chi, ogni giorno scende in campo, lavora, si allena e vince, facendo grande il nostro Paese nel mondo.

 

 




Bentornata a casa??

Silvia Romano è viva ed è stata liberata.

 E gli italiani come reagiscono?

Sollevo, gioia, stupore la reazione di alcuni.

Perplessità, smarrimento, incredulità quella di altri.

Rabbia, odio, xenofobia, sessismo quella di altri ancora.

E la reazione suscitata non c’entra con il credo politico, l’identità sessuale o il potere economico di chi la prova.

E’ un brivido che ci scorre lungo la schiena quando la vediamo.

“E’ lei, è viva, ce l’ha fatta!”

“Ma com’è vestita? Ma cosa dice? Ma cosa le hanno fatto?”

Fino a ”Non è possibile! Ma chi abbiamo liberato e perché?”

E così succede che Silvia non abbia nemmeno finito di scendere la scaletta dell’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata in Italia, che centinaia di benpensanti (ma altrettanto mal scriventi) si scatenino già sui social con illazioni e offese di ogni tipo. 

Perché? Per la sua immagine killer, così stridente da quella a cui eravamo abituati.

Avevamo in mente una ragazza in canottiera, abbronzata e sorridente, con in braccio un bimbo africano, ed invece, ci siamo trovati di fronte una donna coperta, quasi irriconoscibile, se non fosse stato per il sorriso, e, per alcuni, persino il sorriso è sembrato provocatorio.

Certo, per molti, è bastato vedere lo jilbab, quel lungo velo, verde come il colore dell’Islam, a incorniciarle il viso e a coprirle il corpo, perché Silvia Romano, da eroina si trasformasse in traditrice.

O quantomeno “ingrata”, proprio come oggi l’ha bollata la prima pagina del Giornale: 

“Islamica e felice, Silvia l’ingrata” ha titolato il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, mentre Libero non è stato da meno gridando: “Abbiamo liberato un’islamica”.

Già perché in queste ore, in cui l’hashtag Silvia Romano continua a imperversare, c’è un fatto che è chiaro ed evidente e cioè che Silvia Romano ha smesso di essere una persona, una cittadina italiana con tutti i suoi sacrosanti diritti, per diventare un simbolo da agitare nell’incessante guerra razzista e sessista che purtroppo non conosce tregua.

Neanche il tempo di festeggiarla, di accoglierla nella sua città che altri due hashtag, quello di Aisha, il suo nome islamico, e quello di Silvia Romano incinta, sono entrati in circolo, nel catalogo infinito dell’odio da tastiera.

Che cosa si rimprovera alla giovane cooperante milanese che era in Kenya, lei specializzata in psicologia infantile, per aiutare i bambini orfani e che è stata rapita e tenuta prigioniera per oltre 18 mesi? 

 

Di sicuro il sorriso: nel conformismo ipocrita imperante, un ostaggio deve essere a pezzi, deve farsi vedere distrutto, possibilmente in lacrime.

E poi la conversione all’Islam, la religione più odiata, oltre che la seconda più praticata nel mondo.

Un affronto per molti italiani che confondono le frange dell’estremismo islamico con la stragrande maggioranza dei musulmani e che, evidentemente, non ricordano che la nostra Costituzione, quella di un Paese laico, prescrive la libertà di culto.

Per cui ognuno di noi è libero di professarsi cattolico, buddista, ateo o musulmano senza che questo debba diventare materia di dibattito o, ancor peggio, di scandalo per chiunque altro.

 

Inoltre, dulcis in fundo, Silvia è una donna.

Una donna forte, come lei stessa ha ricordato nelle prime parole che ha pronunciato dopo la liberazione.

E, si sa, niente è più insopportabile per molti sessisti che da giorni si sbizzarriscono in truci doppi sensi ed illazioni offensive, da quella secondo la quale Silvia sia incinta a quella che la vuole vittima della sindrome di Stoccolma. Ma, credetemi, il linguaggio utilizzato è ben altro.

Perché, si sa, il salto da esperto in virologia a quello in psicologia, nel magico mondo dei social, lo si può fare in un attimo, a stretto giro di tweet.

Va detto però che sono tanti, tantissimi i giornalisti ed i commentatori che in queste ore stanno cercando di spegnere questa ignobile polemica. 

Andrea Purgatori, ad esempio, scrive: “Se il problema è il vestito, occupatevi di quelli in nero col braccio alzato. Se il problema è il riscatto, la prossima volta vi scambiamo volentieri. Se il problema c’è l’avete nella testa, andate da uno bravo. E fate presto”.

Myrta Merlino interviene così: “Mi sfugge il senso del dibattito su #SilviaRomano, diventata Aisha. Se avessimo saputo prima della sua conversione all’#Islam, non avremmo dovuto salvarla?!?”. 

Tranchant come sempre Selvaggia Lucarelli: “Si è convertita all’Islam, non dice mezza parola d’odio, sorride anziché piangere. È una donna. Non glielo perdoneranno mai”.

Nell’attesa che gli odiatori trovino un altro osso da spolpare, ci sentiamo di dare un consiglio a Silvia Romano, quello cioè di stare alla larga dalla Rete.

I traumi di un sequestro sono lunghi e difficili da superare.

Ma quelli del cyber-bullismo non sono da meno. 

In quanto alla conversione, resta un fatto intimo, di estrema importanza, per ogni persona.

Un percorso che doloroso o liberatorio che sia, va rispettato, comunque. Sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipi da social

 




La creatività come compensazione positiva nei momenti di crisi

In un momento di crisi dovuto allo sconvolgimento creato da un virus aggressivo che può non lasciare scampo a chi non rispetta le regole, diviene sempre più impellente la ricerca di una strategia per gestire i vissuti di criticità che accompagnano le persone.

Il termine crisi è legato ai nostri spazi vitali che possono essere compromessi proprio dall’arrivo di un qualcosa che separa.

“Crisi” tradotto dal greco κρίσις indica proprio la separazione che implica anche una scelta.

La crisi inizialmente è vissuta con disagio perché collegata ad una situazione di malessere.

Sono in crisi perché ho perso degli affetti, sono in crisi perché non lavoro, sono in crisi perché ho fatto investimenti  sbagliati.

Una crisi non risolta può sviluppare effetti di grave disagio psichico ma nel  momento in cui si supera ci troviamo di fronte alla rinascita.

La crisi diviene quindi tappa di un processo evolutivo perché è un momento decisivo per attivare il cambiamento.

Nel termine essere in crisi è proprio insito il senso di mutamento e di trasformazione che permette di passare da un’accezione negativa ad una positiva.

La crisi è dunque qualcosa di perturbante che entra nell’esistenza di una persona producendo effetti più o meno gravi, si tratta di un turbamento profondo spesso anche della collettività e della società.

La crisi può altresì riguardare specifici  settori e si parla infatti di crisi dei valori, crisi dell’arte, crisi della letteratura e più in generale crisi esistenziale.

Entrare in crisi significa anche porre termine ad una situazione problematica e avviare un processo di risoluzione che passa attraverso  strategie di problem solving.

Oggi il virus ha creato l’improvviso passaggio da una situazione di  discreto benessere economico ad uno stato di depressione economica che crea nell’uomo stati emotivi quali la paura, l’inquietudine, l’ansia e l’angoscia nei casi più gravi.

La negata libertà di proiettarsi attraverso una progettualità nel futuro ci paralizza. La crisi può però rappresentare anche un’opportunità in quanto strumento necessario ed efficace per promuovere un cambiamento.

Albert Einstein nel suo testo “Il mondo come lo vedo io” dedica molte riflessioni al tema della crisi e la vede come occasione necessaria per il cambiamento. Si ritiene infatti che la creatività sia più  attiva  nei momenti di  elevata difficoltà.

Come afferma Einstein: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”.

In quest’ottica l’attività creativa può essere considerata life skills, indispensabile per un buon equilibrio psicofisico e per un positivo adattamento all’ambiente.

Per life skills si intendono tutte le abilità di carattere cognitivo, emotivo, sociale che supportano le persone  nel  fare fronte in maniera efficace ed utile ai bisogni ed alle sfide della vita di tutti i giorni.

La creatività viene dunque oggi riconosciuta come un’abilità cognitiva, che può servire alla persona per cambiare il suo punto di vista su una certa situazione e per trovare dunque soluzioni creative ai problemi che gli si  presentano nella vita.

Reagire alla distruzione causata dal Covid-19 significa promuovere un cambiamento dove il processo creativo assume un ruolo di primo piano.

Si tratta di reinventarsi in nuovi ruoli spesso trascurati o sconosciuti.

La “sindrome della capanna” che ci ha accomunato in questi  mesi ci ha permesso di esprimere la nostra creatività in ambiti diversi quali: l’arte culinaria, la pittura, la scultura, il gioco, la scrittura, il  collezionismo e tanto altro.

Non solo i giovani già predisposti in quanto nativi  digitali ma anche gli anziani hanno scoperto che è possibile socializzare creando  eventi con l’aiuto della tecnologia.

L’incontro con l’altro diviene in quest’ottica un processo creativo che ci permette di visitare l’amico e il parente con un semplice collegamento telematico.

L’abbraccio è virtuale ma nel nostro immaginario, se vogliamo, ne possiamo sentire il  calore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sperimentiamo! Dirigente Professori ed alunni per scrivere in modo creativo.

 




Maestra mi manchi…..

“Maestra mi manchi”

“Guarda la mia foto maestra ,mi sono caduti tre denti!”

“Mi scusi maestra, volevamo salutarla, Mattia in questi giorni di quarantena, ha iniziato a mangiare
tutto!”

… e via così.

Viviamo la nostra vita a distanza, maestre, genitori e alunni, ma ci manchiamo.

Il Coronavirus ci ha divisi e, anche se, dal giorno successivo alle parole del Presidente del Consiglio, noi insegnanti della Scuola dell’Infanzia di Castiglione in Teverina, ci siamo attivate per stringerci in un cerchio virtuale e affettivo, con le famiglie, per rimanere uniti, alla Scuola, quella con la S maiuscola manca la sua anima.

Ci manca l’essenza dell’ insegnamento : la presenza.

Ci mancano le bocche “cioccolatose”, gli occhi felici per le grandi conquiste, i disegni bellissimi, gli abbracci altezza ginocchio, le impronte di quelle piccole mani. Ci mancano i sorrisi giganti, per le caramelle, o gli esulti per andare in giardino. Ci manca sfogliare insieme un bel libro.

“Prendete asciugamano e bicchiere, oggi è venerdì e domani non c’è scuola!”, è un po’ che non
pronunciamo questa frase.

Ulisse nel suo viaggio e nel nostro progetto è rimasto all’isola delle Sirene o poco più in là e per
noi, la sveglia non suona più da quasi due mesi, ma stranamente, non siamo tranquilli.

Spesso mi chiedo come si possano sentire chiusi in casa, mi dispiace saperli tristi, ma poi, arriva la foto.

Arrivano le foto della vita quotidiana, dei loro lavori meravigliosi, frutto del grande impegno dei
genitori che, ci seguono e si dedicano a loro con amore.

Si lavora da casa tutti, maestre, genitori e bambini, per portare a compimento la progettazione
annuale, alla quale in questo, seppur, breve anno scolastico, ci siamo tanto dedicati……
dobbiamo ritornare a Itaca!

I nostri telefoni e computer sono incandescenti la sera, perché è così che ci siamo organizzati,
inviando attività didattiche, messaggi vocali, registrazioni video di storie lette da noi.

Abbiamo rivisitato e ridimensionato la nostra progettazione, per permettere alle famiglie di gestirla al meglio.

Siamo entrati nelle loro case, principalmente, per trasmettere vicinanza, non è importante
essere al pari con tutte le attività inviate, ma è importante che esse ci siano, che in un momento
così difficile, la Scuola sia l’ancora a cui aggrapparsi per non mollare.

Sembrava di vivere un film la sera del blocco, cercavamo certezze in famiglia, gli uni negli occhi
degli altri, ma non c’ erano.

Quelle che avevamo si sono dissolte nel nulla, come gli esami di maturità di mia figlia o quelli
all’Università del maggiore.

Metabolizzare i rimi delle nuove giornate e conciliare le proprie esigenze di studio con le circostanze attuali, non è semplice, neanche per loro anche se ormai, sono grandi.

Dopo colazione, ognuno nelle proprie stanze, la nostra vita scandita dai pasti, dai
collegamenti online con la scuola, con i colleghi, con amici o familiari.

Le grandi abilità tecnologiche dei nostri giovani, verso le quali, talvolta, abbiamo espresso criticità,
ci stanno salvando dall’isolamento, permettendoci, di mantenere i rapporti con il mondo e di
continuare a lavorare per non farlo fermare.

Da inguaribile ottimista, voglio pensare che, presto tutto questo finirà e torneremo tra i banchi a
pitturare, nel salone a ballare e a recitare, a cantarci gli auguri per i compleanni, a tornare a casa
senza voce e a desiderare il silenzio, a progettare cose belle da insegnare per entusiasmare coloro
che saranno il nostro futuro.

” Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo
aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo”.

M. Montessori

 


Anna Lisa Lattanzi
Insegnante Scuola dell’Infanzia-Castiglione in Teverina
IST.OMNICOMPRENSIVO F.LLI AGOSTI BAGNOREGIO

 

 

 

 

 

 

Esame sì, esame no, esame boom…

Educare la Mente, il Corpo e lo Spirito, oggi qualcuno ne è ancora capace?

 




Complottismo, o mio complottismo…

Complotto sì o complotto no?

Benché ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi, più o meno comprovate a seconda dell’autorevolezza degli analisti, credo sia opportuno porsi questa domanda, perché è strettamente legata a quello che ci accadrà dopo, ossia dopo la fine dell’emergenza, sia sul piano economico che politico.

Infatti, sulla base dei dati e dell’analisi di cui siamo conoscenza, a mio parere, è urgente comprendere se, dietro tutto questo, c’è un disegno, e di quale disegno si tratta, oppure, se gli sviluppi del capitalismo degli ultimi decenni, lasciati per così dire a briglia sciolta, siano responsabili di quanto sta accadendo. 

In entrambi i casi, ci viene data l’opportunità di mostrare, anche dinanzi a chi è più chiuso nel suo piccolo mondo antico, sperando illusoriamente di salvarsi, che questo sistema non regge, è foriero di morte e di distruzione per l’umanità tutta intera e per la natura stessa, dal cui grembo siamo stati partoriti.

Prima di andare avanti nella direzione tracciata, vorrei soffermarmi brevemente sulla cosiddetta teoria del complotto.

Come è noto, di complotti, è seminata la storia, basta pensare alle attività di Catilina contro il Senato romano, o all’assassinio di Giulio Cesare da parte di un gruppo di congiurati, tra cui il figlio adottivo Bruto.

Chi ha un po’ di sensibilità storica, sa benissimo che le grandi trasformazioni storiche non si realizzano per le scelte politiche episodiche di gruppi più o meno agguerriti; il complotto, se effettivamente viene orchestrato nel segreto, non è che l’ultimo atto di una strategia politica elaborata da una certa forza sociale, forza sociale a cui corrispondono, in termini marxisti, ben precise classi o alleanze tra classi.

Per esempio, il colpo di Stato del Termidoro, termine poi divenuto paradigmatico, con cui furono arrestati e giustiziati RobespierreSaint JustCouthon, rappresentanti della sinistra giacobina, fu attuato da un’altra fazione del Comitato di Salute pubblica che, benché avesse partecipato al Terrore, si opponeva all’estremismo dei sanculotti e faceva gli interessi della nuova borghesia.

Ma torniamo al caso nostro, ossia all’ormai tanto famoso coronavirus, il cui tasso di letalità secondo calcoli sbagliati, forniti dall’Istituto superiore di sanità, è stato individuato nel 5,8% dei contagiati. 

Notizia che inevitabilmente (e volutamente?) ha terrorizzato la popolazione.

In questi giorni, siamo stati inondati dai pareri più disparati, di esperti veri e falsi, di personaggi noti al grande pubblico, di analisti politici, di propagandisti, che ci elargiscono tesi, ci dispensano consigli (vorrei sapere quanto paghiamo gli spot televisivi), e ci invitano ad essere un tutt’uno contro la pandemia, come se fossimo in guerra, contro un nemico comune.

 Ma non è così!

Altro che bandiere italiane ed inno di Mameli, il vero nemico è interno all’Italia ed è rappresentato da individui ben precisi e dagli interessi che essi rappresentano.

Come, per esempio, chi ha emanato lo stato di emergenza nella Gazzetta ufficiale, il primo febbraio per 6 mesi, in seguito alla presa di posizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, senza mettere in risalto questa notizia e facendola seguire da misure a singhiozzo e spesso contraddittorie, come ha dimostrato il persistere di attività lavorative in settori non essenziali (armi), la mancata disponibilità di strumenti protettivi che lo Stato stesso avrebbe dovuto distribuire alla popolazione.

Oppure, chi in nome del privato che è più efficiente (in realtà più redditizio), ha chiuso ospedali, strutture sanitarie e dato agevolazioni fiscali a privati.

O ancora, chi ha tagliato i fondi alla ricerca e all’università, facendo sì che – secondo la stessa OMS – oggi ci manchino 50.000 infermieri e probabilmente 45.000 medici, creando così un buco stratosferico che cerchiamo di riempire con aiuti provenienti da “odiati” paesi (Cuba, Cina, Venezuela), che, evidentemente, di fronte alle emergenze, funzionano meglio della “democratica” Italia.

Ma torniamo al nocciolo della questione, cioè al tema principale dell’articolo.

Esistono due tesi fondamentali:

1) “la distruzione sempre più veloce degli habitat”;

2) la costruzione in laboratorio del coronavirus che ha generato l’attuale pandemia, o la sua diffusione voluta o casuale, indipendentemente dalla sua origine.

Questi due tesi, che non credo si escludano reciprocamente, sono sostenute da vari studiosi, esperti, analisti internazionali.

In un articolo uscito su Le Monde diplomatique (Contro le pandemie, l’ecologia, marzo 2020) la giornalista statunitense, di origini indiane, Sonia Shah, scrive: “Dal 1940, centinaia di microbi patogeni sono comparsi o riapparsi in aree in cui in alcuni casi non si erano mai visti prima.

È il caso dell’immunodeficienza umana (Hiv), dell’Ebola nell’Africa occidentale e della Zika nel continente americano.

La maggior parte di essi (60%) è di origine animale.

Alcuni provengono da animali domestici o da allevamento; più di due terzi da animali selvatici”.

Come altri studiosi, la giornalista statunitense ritiene che: “la maggior parte di questi microbi vive al loro interno [degli animali] senza far loro alcun male.

Il problema è un altro: con il dilagare della deforestazione, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per arrivare fino al corpo umano e adattarsi”.

Altri studiosi convergono su questo tipo di riflessione, sottolineando che alcune zone della Cina sono state caratterizzate da questi processi come rapida urbanizzazione, industrializzazione dell’attività agropecuaria, integrazione alle nuove catene del valore sviluppati in maniera accelerata, dai quali sono scaturite le condizioni per la rapida mutazione del virus e per il cosiddetto “passaggio di specie”.

Come scrive il periodico on line Scienzainrete, questo fenomeno “sempre avvenuto, da quando esiste la vita, è favorito principalmente da due fattori”: i ricettori cellulari sono simili in specie diverse e la prolungata vicinanza fra uomini e animali.

Da queste considerazioni, si evince la ragione per la quale la Lombardia costituisce il centro dell’infezione, proprio per il semplice fatto che probabilmente, per la sua intensità industriale, costituisce la regione più inquinata d’Europa.

Si tenga inoltre presente che il contesto descritto negli ultimi decenni ha dato vita ad epidemie che si sono susseguite con maggiore frequenza, come la SARS (2002-03), influenza suina H1N1 (2009), il MERS Covid (2012), l’Ebola (2014-16), lo zika (2015) e il dengue (2016).

Epidemie di cui dobbiamo attribuire tutta responsabilità al capitalismo e alle sue dinamiche distruttive e perverse.

A questo punto, vorrei rispondere alla seconda domanda: il SARS-COVID-2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2), noto più semplicemente come COVID-19, è stato prodotto in un laboratorio, innescandone la mutazione, e poi involontariamente o volontariamente diffuso o disperso, anche nel caso in cui costituisca un organismo non manipolato?

L’ipotesi della diffusione involontaria dei virus non è del tutto scartata dal Bulletin of Atomic Scientists, nel quale si può leggere la descrizione del laboratorio di Plum Island, situato alla foce del Long Island Sound vicino a New York, il cui obiettivo è quello di operare nel campo della bio-sicurezza, altamente sviluppatasi dopo l’11 settembre.

Secondo questo studio, è affare dato che “nessun laboratorio è perfetto”, e dunque che è possibile che gli agenti patogeni delle malattie lì studiate possano in qualche modo sfuggire e colpire gli abitanti circostanti per poi espandersi ulteriormente.

Passiamo invece alla tesi assai discussa della diffusione volontaria del virus.

Come è noto, il presidente Trump insiste nel chiamare il Covid-19 il “virus cinese”, in questo seguito da settori filoamericani, che intendono cogliere ancora una volta l’occasione di demonizzare la Cina, considerando addirittura gli aiuti pervenutici da questo paese una sorta di cavallo di Troia.

Ovviamente tale associazione (Cina/virus) è fortemente respinta dal governo cinese, che nella persona del portavoce del Ministero degli Esteri, Lijan Zhao, in un tweet del 12 marzo, ha accusato gli Stati Uniti di non aver informato il mondo sulle numerose morti lì avvenute, sulla data del ritrovamento del cosiddetto paziente zero, insinuando che sia stato lo stesso esercito statunitense ad aver introdotto il virus a Wuhan in occasione dei giochi sportivi militari tenutosi a in questa città nell’ottobre del 2019.

L’ipotesi formulata dai cinesi è sposata dal giornalista brasiliano Pepe Escobar, il quale scrive che, essendo la Cina oggi il centro dell’economia mondiale, essendo diventata il socio commerciale di circa 130 paesi e avendo firmato solo nel 2019 contratti per la costruzione di infrastrutture per 128 miliardi di dollari, costituisce effettivamente – come ha affermato Trump – la più grande minaccia economica e militare per gli Stati Uniti.

Come si può ben capire, ci troviamo costretti a questo punto a parlare di guerra batteriologica o biologica, ossia di qualcosa di cui, nei tempi della cosiddetta guerra ibrida, bene o male tutti noi abbiamo sentito parlare o visto rappresentare magari in qualche film commerciale.

Ma che dati abbiamo su questo aspetto della questione?

Inevitabilmente ne menzionerò solo alcuni che mi sembrano importanti disposta ad accettare ulteriori informazioni da chi vorrà fornirmele.

La storia ci ricorda vari episodi di guerra batteriologica/biologica, di cui si resero responsabili gli antichi greci, i cartaginesi, gli spagnoli e gli inglesi nel Nuovo Mondo; infatti, sappiamo con certezza che questi due ultimi gruppi scientemente regalarono ad esponenti delle nazioni originarie indumenti appartenuti ad individui infettatati dal vaiolo, che – come è noto – fu una delle più rilevanti cause dello sterminio degli indo-americani.

Ernesto Burgio, medico pediatra, esperto di epigenetico e medicina molecolare, presidente del Comitato scientifico della Società italiana di Medicina ambientale (SIMA), fa notare che vi sono ragioni economiche (rapporto costi/benefici) che fanno delle armi biologiche un utile strumento: “Secondo stime un po’ semplicistiche, ma attendibili, la potenzialità bio-distruttiva di un grammo di spore di antrace è pari a quella di 700 grammi di plutonio da fissione, di 70 chilogrammi di gas nervino, di tre tonnellate di bombe al cluster”.

Detto in soldoni, ciò significa che con un po’ di spore di antrace si fanno fuori milioni di esseri umani a bassissimo costo (V. Armi biologiche e guerra (infinita) al pianeta).

Purtroppo per chi ha intenzione di far uso di tali strumenti di morte, scrive sempre Burgio, le armi biologiche “sono praticamente incontrollabili”, giacché “ogni volta che un microrganismo patogeno comincia a circolare all’interno della biosfera, la durata della sua permanenza in essa e il suo percorso sono assolutamente imprevedibili” (Ibidem).

E quindi è del tutto possibile che il diffusore stesso rischi di infettarsi e di infettare i suoi compatrioti.

Secondo la costituzionalista venezuelana M. Alejandra Díaz, intervistata da Telesur, vi sono delle ricerche, per esempio, quella di uno studioso venezuelano di nanotecnologie che ha tracciato la mappa genetica del virus, arrivando alla conclusione che esso sarebbe il risultato della combinazione di vari virus; mentre dalla ricerca di uno studioso cinese si ricaverebbe che il Covid-19 scaturisce dall’unione di segmenti tratti dall’HIV e dalla SARS.

La Signora Díaz, membro dell’Assemblea nazionale costituente del Venezuela, è convinta – come il già citato giornalista brasiliano – che il virus responsabile dell’epidemia in Cina sia uscito dai laboratori statunitensi, in effetti numerosi a partire dal secondo dopoguerra e moltiplicatisi dopo l’11 settembre.

La costituzionalista latino-americana sostiene che gli Stati Uniti stanno distruggendo il sistema di ordine internazionale da loro stessi creato dopo la Seconda guerra mondiale, e che stanno imponendo uno stato di eccezione mondiale, in cui il diritto viene sospeso e conta solo la forza.

In particolare, secondo questa ipotesi il Covid-19 sarebbe stato creato per colpire la Cina, facendone rallentare l’economia e danneggiando così anche quei paesi, come la Russia e l’Iran, che riforniscono l’ex impero celeste di petrolio e di gas.

Con questo atto, gli Stati Uniti avrebbero attaccato contemporaneamente i loro più acerrimi nemici: la Russia che li sfida sul piano tecnologico-militare e la Cina che li sta surclassando sul piano economico.

D’altra parte, fonti autorevoli, come il giornale Nature Medicine, considerano improbabile che il nostro virus sia il prodotto di una manipolazione fatta in un laboratorio di virus dello stesso tipo, perché tali cambiamenti possono anche avvenire per via naturale.

Inoltre, diversi esperti ci spiegano che è possibile distinguere tra le mutazioni dei virus prodotte in laboratorio attraverso l’inserimento nel genoma di un virus di pezzi del RNA di altri agenti patogeni, e quelle prodotte secondo il principio della selezione naturale, che avvengono in maniera graduale e uniforme.

Da parte sua, il biologo Paolo Massucci, ritiene che l’origine naturale o artificiale di un virus si può desumere, su basi probabilistiche, dallo studio delle sequenze variate di materiale genetico.

L’eventuale presenza, ad esempio, in un nuovo virus, di sequenze provenienti dai virus normalmente utilizzati nei laboratori a scopi di ingegneria genetica, fa propendere per l’ipotesi di una manipolazione umana.

Ma si tratta di un’indagine complessa che non sempre fornisce risultati certi e definitivi.

In ultima istanza, quindi sembrerebbe che, nonostante il dibattito sia acceso, gli epidemiologi e altri studiosi del settore sembrano escludere la produzione artificiale del COVID-19, mentre considerazioni di carattere geopolitico potrebbero suffragare una diversa ipotesi non necessariamente fondata sulla manipolazione del virus, ma più probabilmente sull’idea della diffusione casuale e/o volontaria del virus.

Richiamandomi un’altra volta al Burgio, vorrei aggiungere qualche altra rapida riflessione sulla storia della guerra biologica / batteriologica.

L’eminente studioso ricorda che durante la Seconda guerra mondiale giapponesi e tedeschi sperimentarono gli effetti di agenti patogeni su cavie umane, e che molti di loro furono assoldati successivamente dagli Stati Uniti, con la mediazione di Henry Kissinger e Allen Dulles, per lavorare nei laboratori di quel paese.

Scrive Burgio: “il programma americano per la guerra biologica, partito con un certo ritardo nel 1942, fu in grado di recuperare il tempo perduto nell’immediato dopoguerra, anche grazie alla preziosa collaborazione degli scienziati giapponesi della famigerata Unità 731, che avevano disseminato la Cina di pulci portatrici del bacillo della peste”.

Nel periodo della Guerra fredda entrambe le parti in lotta portarono avanti queste ricerche sviluppando “batteri, virus e tossine sempre più micidiali”, fino al momento in cui Stati Uniti ed Inghilterra presero la decisione di vietare le cosiddette armi dei “poveri” e sviluppare sempre più la guerra tecnologicamente più costosa, promuovendo la Biological Weapons Convention del 1972, per tenere a freno i paesi più litigiosi.

La Convenzione fu poi osteggiata da Clinton e da Bush, osserva Burgio, perché – riassumendo -: “proprio in quegli anni e proprio nei laboratori americani, si stava realizzando la rivoluzione tecnologica che avrebbe sconvolto il mondo della genetica e fornito agli scienziati gli strumenti necessari a trasformare innocui microrganismi in microscopiche bombe intelligenti, più potenti di qualsiasi arma mai costruita”.

Con questa rivoluzione gli scienziati, dotati o no di una sensibilità etica, si trovarono in mano i mezzi forniti dall’ingegneria genetica, con i quali è possibile “modificare e manipolare con una certa precisione il codice stesso della vita”.

Ovviamente queste scoperte trovarono immediatamente applicazioni che garantivano a imprese come la Geniatech, fondata dal premio Nobel Paul Berg, immensi profitti e mostrarono l’impossibilità di opporre ostacoli al proliferare di ricerche in questo campo, in cui per di più non è facile distinguere tra il loro uso difensivo e quello offensivo.

Quali sono le conclusioni che traggo da queste informazioni?

Molto rapidamente vorrei osservare che nessuno nega che il tardo capitalismo sta vivendo una crisi letale, dalla quale si può uscire solo trasformando dalle fondamenta il sistema attuale basato su micidiali conflitti e su strategie distruttive.

Purtroppo, l’unica via di uscita che immaginano i decisori mondiali, è quella di far pagare, ancora una volta, la terribile crisi alle masse popolari, attraverso politiche di austerità draconiana e con l’uso dello stato di eccezione mondiale, come suggeriva la Signora Díaz.

Dunque, il panico suscitato dalla diffusione volontaria o involontaria del COVID-19 sembra risultare assai utile a farci tacere e sottomettere ancora una volta, senza scartare l’ipotesi della guerra ibrida tra potenze.

Almeno avessimo imparato dalla storia…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italexit?

Trump Presidente: l’america segue Clint Eastwood

Coronavirus, stare dall’altra parte!

 




Esame sì, esame no, esame boom…

Ragazzi, avete il cervello elastico? Usatelo. E soprattutto divertitevi…

Sembra il gioco delle tre carte.

Prendi l’esame, togli l’esame, rimetti l’esame.

Tutti in presenza, Tutti a distanza, ognuno a casa sua.

Noi a scuola, voi a casa, i genitori lì a suggerire.

Voi a casa, noi a scuola” che è giusto così, con quello che paghiamo i prof per stare a casa, almeno li facciamo un po’lavorare “

Tesina scritta, tesina parlata, tesina consegnata, tesina spiegata.

In formato cartaceo, in formato digitale, in formato “Andate tutti a c ….e.

Che intanto chi mi boccia più?!?”

Sorpresa: l’esame di terza media, come già detto è saltato, ma la tesina, almeno quella, potrà (e dovrà) essere discussa con i propri prof, anche se in modalità telematica.

Pensa che ti ripensa, quelli del Miur, si sono detti “Ma vogliamo far vedere che ci pensiamo noi ad affrontare e risolvere i problemi reali di un Paese allo sbando?!?”

Ecco a voi, un piccolo brivido, per mezzo milione di quattordicenni italiani e per le loro famiglie.

Fino a ieri, poveri alunni, tutti convinti – perché così lasciava intendere il decreto scuola emanato il mese scorso – che bastasse consegnare la tesina ai prof, come un qualunque altro compito fatto da casa, e ciao.

E invece no.

Mai dire mai, nella scuola, come nella vita.

Non ci sarà il tema, né i due scritti di matematica e di lingue, perché, quello, oramai, l’avevamo detto e non si può più tornare indietro.

Ma almeno una specie di orale si farà.

E lo si farà prima dello scrutinio finale, non in presenza, ma lo si farà.

Sarà una specie di simulazione dell’orale saltato, che d’altronde anche in tempi normali si fa sempre e solo con i propri prof (in terza media, a differenza della Maturità, non ci sono mai stati i commissari esterni).

Per i ragazzi sarà un modo per mettersi alla prova, ma anche un’ultima occasione per salutare i propri insegnanti, che dall’anno prossimo non vedranno più.

Ma attenzione, quest’idea, vincente, è stata partorita dal basso, non dall’ alto, è nata direttamente dagli addetti al lavoro, che nella scuola ci vivono e ci lavorano, sul serio.

L’istituto Manin di Roma, infatti, aveva già deliberato qualche giorno fa, di far fare comunque l’esame orale a distanza ai propri alunni per non privarli di questo rito di passaggio.

Sin dall’inizio, i professori e la dirigente di questa scuola, hanno detto no alla sola tesina consegnata, ma non discussa, scegliendo, contro corrente, di prevedere, anche per gli studenti più giovani che si preparano alle scuole superiori, un rito di passaggio un po’più formale.

Così, la tesina è diventata una sorta di mini-maturità per dare, anche ai ragazzi più giovani, come a quelli più grandi, l’idea di superare un «reale» ostacolo, forse un po’ più difficile della «semplice» tesina, ma che faccia provare davvero quell’emozione e quel pizzico di sana paura, tipica della notte prima degli esami.

L’idea è stata avanzata direttamente dai professori.

«Sono loro – racconta fiera la dirigente dell’Istituto Manuela Manferlotti – a fare la differenza, a garantire una marcia in più alla nostra scuola, dove la didattica a distanza, pur con tutti i limiti strumentali del caso, sta funzionando».

«Ho accolto di buon grado la proposta dei miei insegnanti perché trovo giusto non far defluire troppo in fretta questo momento di crescita importante, questa emozione – spiega la Manferlotti –

E’un modo per dare maggior concretezza e dignità ad un esame che altrimenti si prospetta completamente anonimo e a distanza».

Applaude l’iniziativa il presidente dei presidi del Lazio Mario Rusconi:

«Mi sembra particolarmente interessante che, pur nel rispetto di tutte le disposizioni normative, durante il periodo della didattica a distanza, si dia impulso a questa sorta di simulazione dell’interrogazione orale, un modo professionale e innovativo di accogliere le giuste aspettative di alunni e famiglie».

Per fortuna che qualcuno l’ha capito ed ha agito di testa propria, dando un input al ministero!

Ma attenzione!

Quanto peserà la discussione della tesina nel voto finale?

Come ha spiegato ieri nell’incontro con i sindacati il nuovo uomo forte del ministero Max Bruschi, già consulente della ministra Gelmini scelto da Azzolina per guidare il Dipartimento del sistema educativo di istruzione e formazione, la tesina sarà il tassello finale di un processo di valutazione «olistica», in cui il consiglio di classe prenderà in considerazione l’intero percorso svolto dagli alunni nel corso dei tre anni.

Ma davvero?!?

Soppesando insieme alle competenze acquisite (leggi: i voti nelle singole materie) anche la maturazione raggiunta (leggi: il giudizio sulla condotta).

Il voto finale, come sempre, sarà in decimi, con anche la lode per i più bravi (e responsabili).

Ma guarda, non ci avevamo pensato, per fortuna che quelli del Miur, ce lo dicono loro, dall’alto…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona Notte, cara Ministra, vada a dormire, che è meglio…

Riaprire la Scuola

 




Talento Sharona

THE KNACK: IL FENOMENO “SHARONA”

THE KNACK, “IL TALENTO”: questo è il nome della band di Los Angeles capitanata da Doug Fieger (chitarra e voce) e Berton Averre (chitarra) che ha segnato il mondo della musica a partire dalla fine degli anni settanta!

A completare il quartetto Prescott Niles (basso) e Bruce Gary (batteria).

Una delle band meno prolifiche del panorama Rock, ma sicuramente tra le più incisive.

Una sola canzone che ha reso THE KNACK immortali: My Sharona! Con questo capolavoro THE KNACK del compianto Fieger (Doug Fieger è morto nel 2010 all’età di 57 anni per un tumore cerebrale; n.d.a.) hanno scalato le vette delle classifiche di quasi tutti i paesi del mondo rimanendoci fino ai giorni nostri.

My Sharona è infatti la canzone più ascoltata da intere generazioni.

Sono disposto a sfidare chiunque abbia più di 12 anni a non conoscere questo simbolo del Rock targato anni settanta… ottanta, novanta, duemila, duemilaedieci e pure venti!

Moltissimi sono i musicisti che hanno adorato le canzoni di Doug & Co. ed alcuni hanno continuato a suonare la cover di My Sharona nei loro concerti, ricordo solo questi mostri sacri del Rock: METALLICA, FOO FIGHTERS, NIRVANA e ci metto pure i TIMORIA dell’amico Omar Pedrini.

THE KNACK sono stati spesso sottovalutati, nonostante abbiano prodotto pezzi di grandissimo valore come Good Girls Don’t e Baby Talks Dirty.

Solo My Sharona però ha tributato al Combo californiano un successo strabiliante.

Il riff iniziale è uno dei più celebri e riconoscibili del Rock, forse anche più famoso dell’intro di Smoke on the Water dei DEEP PURPLE. My Sharona NON è un brano POP come gli “etichettatori” vorrebbero…

My Sharona è pura potenza di suono, puro Rock’n’Roll! Come molti artisti dell’epoca (succede purtroppo anche ai nostri giorni, anzi oggi in modo vergognoso, n.d.a.) anche THE KNACK hanno subito una certa manipolazione artistica voluta dalle case discografiche (Capitol in testa), che imponevano alla Band produzioni più “radiofoniche” di quelle contenute in Get the Knack, il loro primo lavoro in studio del 1979.

Purtroppo già dall’anno seguente, con l’album …But the Little Girls Understand, la band ammorbidisce le chitarre e alleggerisce pure il groove della sezione ritmica. Sulla falsa riga del secondo disco, THE KNACK produrranno Round Trip (1981), Serious Fun (addirittura 1991), Zoom (1998), Normal as the Next Guy (2001) ed infine Re-Zoom. (2008).

La straordinaria fiammata con cui THE KNACK hanno scritto My Sharona li ha portati ad avere uno spazio importante nell’olimpo del Rock.

La canzone parla della bellissima (e giovanissima!) Sharona Alperin di cui Doug si innamorò perdutamente (Sharona Alperin, canottiera bianca, jeans ed in mano una copia dell’album della band, compare nella copertina del 45 giri; n.d.a.) e che dopo un breve periodo di fidanzamento rimase amica fino al giorno delle morte di Doug.

Chi vi scrive ha amato, suonato e cantato centinaia di volte questa canzone dal ritmo travolgente, un singolo praticamente perfetto e, come già detto, mai fuori moda.

Avevo dodici anni quando la sentii per la prima volta, era un disco 45 giri regalato da un amico a mio padre ed una domenica mattina, lo ricordo come fosse ieri, misi sul piatto del “giradischi” (rigorosamente Philips), il pezzo di THE KNACK. In quell’istante ho capito che avrei voluto suonare quella musica affascinante, nei mesi ed anni successivi infatti sarebbe diventata realtà.

Un aneddoto da raccontare: quante volte un profumo o un suono ci hanno riportato alla mente ricordi ed immagini del passato?

Beh, per citare Marcel Proust, celebre autore de La Recherche du Temps Perdu: «Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente, e solitamente nascosta, delle cose sia liberata (…)».

Così mi accade quando oggi riascolto My Sharona. In febbraio 2010 poi la triste notizia: nel bel mezzo di un CdA apprendo dal mio Nokia 9000 Communicator che era morto Doug Fieger, mi ha preso una strana malinconia, quella malinconia che viene quando un grande artista ci lascia dopo aver riempito il mondo con il suo genio.

Vi voglio salutare con un omaggio a Sharona e ai THE KNACK di una delle più grandi artiste italiane: Mina.

 

https://www.youtube.com/watch?v=jcfgx4nxHXE

 

 

PERTH

GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE

JON BON JOVI: I LUSTRI(NI) DELL’HAIR METAL

 




La vera Guerra inizia adesso

L’orribile pandemia ha seminato morte e sofferenza ma anche cambiato il nostro dizionario quotidiano, forse, per sempre.

La “Fase Uno” e la “Fase due” ci tormentano da mesi: la prima con il suo carico di ansia e terrore, la seconda con trame intrise di speranza.

La speranza di un ritorno alla normalità, al lavoro, agli aperitivi con gli amici dove trovare il tempo perfino di annoiarsi.

Il Mondo è tornato a vivere, nei parchi e negli spazi pubblici si gioca e si corre forse per dimenticare il confino quella realtà aliena vissuta sin dal giorno della pubblicazione del decreto di marzo sul distanziamento e l’isolamento sociale.

Eppure non stiamo sognando.

La fase due ci permette di pensare che sia tutto finito, ma non è cosi.

Il Virus ancora circola liberamente e nessun vaccino è stato ancora messo a punto nei centri di ricerca.

Cosi’, accanto ai morti, balzano ai nostri occhi i danni economici.

Molti esercizi commerciali, quelli dove per anni abbiamo preso il caffè o mangiato il gelato, non riapriranno più.

Si è perso tempo.

L’emergenza è stata gestita con il ricorso ad un “management by necessity” culminato con decisioni non condivise e nomine di consiglieri economici e staff tecnici senza prestare attenzione alle indicazioni esistenti, si pensi al “Piano Nazionale di risposta a una pandemia influenzale”, operativo già dal 2008.

La debolezza del paese, unita alla opacità degli intenti messi in campo dalla sua classe dirigente, hanno trovato la massima forma espressiva in sede europea.

Cosi’ il tema degli aiuti all’emergenza sanitaria diretti e indiretti ed il sostegno ai sistemi economici sono diventati merce di scambio per l’unica cosa che interessa all’Unione a trazione tedesca:

l’attivazione delle condizionalità previste dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e che consentiranno di imporre ai paesi aderenti in difficoltà “ricette” di politica economica draconiane per ricondurre in equilibrio i conti pubblici. (Art.7 Reg 472/2013).

Una vera e propria usurpazione di sovranità già tristemente sperimentata dalla Grecia per la quale, nella crisi nel 2010, i programmi di aggiustamento macroeconomico imposti dalla Troika (Commissione

europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Europea degli Investimenti) hanno portato a forti riduzioni della spesa pubblica e tasse fino al taglio dei crediti detenuti dal settore privato nella misura di oltre il 50%.

D’altronde i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

Dal picco dell’epidemia l’Unione europea si è chiusa intorno alle analisi sugli effetti delle asimmetrie finanziarie piuttosto che sulle cause e sulle misure di sostegno dividendo cosi popoli e paesi.

Il Consiglio d’Europa del 23 aprile scorso alla presenza dei capi di stato e di governo, convocato per superare l’impasse nella quale erano finiti i lavori dell’eurogruppo ha soltanto puntualizzato i termini del dibattito.

Il varo dei Recovery Fund (collegati al bilancio della Unione 2021-2027), la concessione di 540 miliardi euro suddivisi tra il fondo Sure (Support to mitigate Unemployment risck in an emergency),

una sorta di cassa integrazione europea, per 100 md, Mes fino a 240 miliardi per spese sanitarie dirette ed indirette ed un pacchetto di aiuti per 200 miliardi destinati a piccole e medie imprese con l’intervento diretto della Banca Europea degli Investimenti (BEI).

Non c’era bisogno di ribadire, nella riunione, il rifiuto alla proposta italiana incentrata sulla emissione di euro bond (coronabond) o l’intento di spedire in soffitta le condizionalità del Fondo Mes.

A quest’ultimi, infatti, si erano già date ampie risposte con la votazione del parlamento europeo del 17 aprile che sulla “risoluzione sulla azione coordinata della UE per lottare contro

la pandemia del covid19” ha escluso il varo dei coronabond ed esortato i paesi aderenti all’uso del Mes con un’ampia maggioranza.

E’ evidente che la Germania ed i paesi del blocco nordico abbiano fatto diventare il Mes un’autentica “Linea Gotica”.

Negli ultimi mesi la politica italiana si è dovuta confrontare con un forte fuoco di sbarramento sui meccanismi condizionati voluti dall’Unione provenienti dalle opposizioni ma anche da gruppi del Movimento 5 stelle, dentro e fuori del parlamento.

La votazione sull’ordine del giorno presentato dalla formazione politica Fratelli d’Italia il 24 aprile contro l’adozione del Meccanismo Europeo di Stabilità in forma originaria o “light” ha fatto definitivamente chiarezza anche in casa nostra.

Con il voto contrario il governo italiano ha ribadito, questa volta senza alchimie comunicative, la propria disponibilità all’adozione del Mes.

 

La Germania, tuttavia, nonostante la formale adesione dell’Italia ai meccanismi di sostegno evocati, teme uno scollamento del paese reale una volta che le politiche di controllo macroeconomico imposte al paese produrranno i loro effetti.

Timori resi più forti dalla tenuta nei sondaggi di opinione delle opposizioni, Lega e Fratelli d’Italia che rappresentano ancora una problema per la tenuta del governo e potrebbero far esplodere fermenti nazionalisti ed anti europeisti di eccezionale portata.

Non è quindi un caso se dopo tanto parlare le misure di sostegno da varare in sede europea, siano state diluite all’interno di appelli alla solidarietà e molteplici riunioni al momento soltanto convocate creando di fatto uno slittamento progressivo delle decisioni.

Cosi, il 6 maggio si riunirà la Commissione europea per formulare una proposta di funzionamento del Recovery Fund.

Seguirà la riunione dell’Eurogruppo dell’8 maggio per un’ulteriore analisi dei Recovery Fund e l’adozione di nuove misure di credito per i paesi che richiederanno l’attivazione del Mes.

La riunione riprenderà molto probabilmente in seduta comune con l’Ecofin (organismo che racchiude i Ministri delle finanze degli stati membri) il 18 maggio per esaminare le proposte della Commissione europea.

Poi sarà il turno del Consiglio europeo convocato per il 1° giugno per regolare l’erogazione dei 540 miliardi di aiuti discussi lo scorso 23 aprile.

L’11 giugno sarà ancora la volta dell’Eurogruppo e dell’Eurofin per attivare il progetto dei Recovery Fund.

Il 18 e 19 giugno il Consiglio europeo si riunirà per dare il via, ma non prima del 1° luglio, ai fondi di sostegno messi a punto nelle riunioni precedenti ed assistiti, finalmente,

dall’adesione incondizionata dell’italia alla tecnicalità giuridica inserita nelle norme fondative del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes).

Potrebbe sembrare tutto facile oppure la partita non è stata ancora vinta ed i fautori del nuovo ordine europeo si riservano di continuare ad usare a loro vantaggio  la leva degli eventi sfavorevoli, circostanze o casualità che siano.

La situazione economica, del resto, è disastrosa.

Il crollo della produzione industriale, del prodotto interno lordo e dell’occupazione, l’aumento del deficit e del debito pubblico sono ormai dati a tutti noti.

Circostanze gravi ma che non sono sufficienti per sopraffare definitivamente l’opinione pubblica e assicurare un cammino senza ostacoli alla politica rigorista che i paesi del blocco nordico vorrebbero imporre.

In quest’ottica, la recentissima sentenza della corte costituzionale tedesca che ha accolto “parzialmente” i ricorsi contro il Quantitative Easing,

a suo tempo messo in opera dalla BCE guidata da Mario Draghi

e che arriva proprio a ridosso delle prossime riunioni di Commissione ed Eurogruppo non servirà di certo a placare gli animi degli scettici alimentando il sentimento di abbandono delle economie periferiche.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda potrebbe essere colto il declassamento del debito pubblico italiano ad opera di Fitch previsto dal calendario ufficiale per il 10 luglio 2020 ma anticipato al 23 aprile scorso

(lo stesso giorno in cui si è tenuta la seduta del Consiglio europeo).

La Commissione europea, il prossimo 7 maggio, si riunirà per fare il punto sulla stima attesa dell’impatto del virus sui paesi dell’unione mentre per il prossimo  8 maggio sono previsti gli aggiornamenti dei rating di DBRS  e Moody’s.

Vale la pena di ricordare che per quest’ultima società di rating il merito di credito del nostro paese è già considerato prossimo al livello speculativo.

Casualità o meno sono ormai diverse le circostanze che irrompono, con cadenza quasi simbolica, nel dibattito di una comunità in lotta con sé stessa e che lasciano presagire un finale senza sorprese.

 

Sun-tzu nell’”Arte della Guerra” afferma che il vero stratega sconfigge il nemico prima ancora di impegnarlo nel combattimento.

In altri momenti dell’opera il generale vissuto nella Cina tra il V ed il IV secolo A.C., ricorda come non sia necessario che i soldati conoscano i fondamenti della strategia preferendo l’ignoranza delle truppe alla condivisione delle informazioni e fa, dell’astuzia e della flessibilità, armi letali.

Alla fine del capitolo II si legge “un comandante intelligente si sforza di sottrarre i viveri al nemico” e ancora “…chi uccide il nemico prova rancore. Chi invece lo prende prigioniero, trae vantaggio dalle risorse dell’avversario”.

Il dubbio è che il dibattito in sede comunitaria si sia cinto delle vesti del generale cinese e che la politica italiana abbia mostrato la debolezza di quei soldati per i quali l’ignoranza è preferita alla conoscenza ed alla partecipazione.

La lotta contro il virus non è ancora vinta.

Ci attende ancora una lunga battaglia ma la comunità sociale ed economica sarà ricostruita con audacia e passione.

Cosi hanno fatto i nostri nonni ed i nostri genitori.

Cosi faremo noi ed i nostri figli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

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