LA FASE 2 A SCUOLA: magheggio o logica?

 

ANCODIS: la ripartenza della scuola nell’A.S. 2020/2021.

Tornare a scuola in presenza ed in piena sicurezza: sincero auspicio o azzardata ipotesi?

 

Riprendiamo il nostro viaggio nella scuola vera, quella degli addetti ai lavori, per parlare senza ipocrisie, né reticenze di cosa sta succedendo.

Se guardiamo alla scuola del mese di settembre è chiara una cosa: sarà un grande punto interrogativo per quanto riguarda l’organizzazione, il funzionamento, la didattica.

Sono state pubblicate, sul sito del Ministero, le attese indicazioni del Comitato tecnico-scientifico che sembrano dare spazio all’autonomia scolastica (prevista dal DPR 275/1999), considerandola però solo come autonomia didattica ed organizzativa, senza alcun riferimento a quella finanziaria.

Chi conosce la realtà scolastica, sa bene che, la gestione e l’organizzazione di un sistema complesso quale è la scuola di oggi, saranno messe a dura prova, se non si metteranno in campo dei protocolli organizzativi e didattici (spazi e numero di allievi, attività didattica in presenza integrata a quella a distanza, orari flessibili).

E’ necessario un CCNL, innovato e coerente ai nuovi bisogni organizzativi, sulle adeguate e necessarie risorse finanziarie, sulla conoscenza degli elementi di criticità e dei punti di forza che connotano ogni IS.

Chiunque ha la minima percezione della complessità di una scuola, non può non riconoscere che sarà un’ardua impresa coniugare aspetti organizzativi, gestionali, didattici con quelli derivanti dalla sicurezza anche sanitaria (protocollo antisismico, antincendio, antinfortunistico, antistress ed oggi anti contagio).

Ecco perché, come redazione di betapress, abbiamo incontrato ROSOLINO CICERO Presidente dell’ANCODIS (ASS. NAZ. COLL. DIR. SCOL.)

Betapress– Prof. Cicero, buongiorno, iniziamo dalle indicazioni formulate dal C.T.S. per il rientro a scuola in sicurezza…

Cicero– Il C.T.S. segnala, con apparente semplicità, che le misure organizzative in tutte le scuole si dovranno fondare sul distanziamento fisico.

Ma è evidente che il distanziamento fisico presenta i caratteri di una enorme complessità che dovrà tradursi in scelte organizzative delle quali occorrerà valutare l’impatto nei confronti del personale, degli alunni (sulla base dell’età e dell’autonomia) e dei genitori (conciliazione tempo scuola con il lavoro), prevedere e progettare adeguate misure di igiene e di prevenzione. 

Betapress– Ma nelle scuole, ci sono gli spazi per garantire il distanziamento sociale?

CiceroAttualmente no! Di sicuro, bisognerà valutare gli ambienti di apprendimento, gli spazi interni ed esterni che dovranno essere rimodulati.

Ci saranno nuove necessità organizzative e didattiche, con dotazione di arredi e di postazioni degli alunni e del personale rispettose del prescritto distanziamento e della previsione di una superficie di almeno 3.14 mq per alunno.

Betapress– E chi penserà a tutto questo?

Cicero– Tutto questo sarà in capo alle autonome IS che dovranno farsi carico di ideare e progettare soluzioni organizzative per la gestione degli spazi (aule, laboratori, palestre, mense, teatri), per la  fruizione degli stessi secondo tempi e possibili turnazioni, per l’attività didattica in presenza e non, per la prevenzione di assembramenti di persone negli spazi scolastici esterni ed interni, per la predisposizione di percorsi idonei a garantire la necessaria sicurezza anche attraverso adeguata segnaletica, per la differenziazione delle fasi di ingresso e di uscita degli alunni sulla base dell’età e delle aree di accesso disponibili nei plessi e compatibilmente con le caratteristiche strutturali e di sicurezza dell’edificio scolastico, per l’individuazione di uno spazio idoneo ad accogliere tempestivamente eventuali casi di personale o alunni con temperatura superiore ai 37.5°.

Betapress– Ma è un lavoro immane!

Cicero- Appunto! Nessuno, al MIUR, si pone il tema di chi si dovrà fare carico di tutto questo: ci permettiamo di dire che disconoscere questo significa non conoscere come funziona oggi una scuola oppure fare finta di non conoscerla (ed è questo secondo caso ciò che più ci preoccupa).

Betapress– Prof. Cicero, cosa si sente di dire alla ministra Azzolina?

CiceroI Collaboratori di Ancodis che vivono la scuola anche nelle sue emergenze e criticità chiedono alla Ministra, alle forze politiche, alle OO.SS., a chi si occupa di informazione scolastica di porre attenzione a quanti saranno impegnati nei mesi estivi ad organizzare la ripartenza di settembre insieme ai DS, ai DSGA, agli RSPP ed avranno poi l’incarico di coordinare, vigilare e monitorare per un intero anno scolastico l’organizzazione, i comportamenti di alunni, del personale e dei genitori, il rispetto dei protocolli di sicurezza, il corretto sviluppo delle attività didattiche in tutti i plessi.

Betapress- Sembra proprio che la scuola vera sia lontana anni luce da quella della propaganda istituzionale…

Cicero- Nella scuola della ripartenza non si possono ignorare le decine di migliaia di docenti che si spendono per le loro IS ed assumono oneri e responsabilità restando – a causa di una insopportabile indifferenza – fuori da ogni attenzione da parte delle Istituzioni e delle OO.SS..

Betapress– Qual’ è il rischio maggiore?

Cicero– Alle condizioni odierne, senza alcun riconoscimento professionale e nessuna tutela legale, molti potrebbero – già al termine di questo anno scolastico – rinunciare all’incarico di collaborazione mettendo in crisi l’organizzazione ed il funzionamento delle loro scuole.

Chi conosce davvero la scuola del giorno dopo giorno, la scuola dell’emergenza, la scuola dei conflitti, la scuola dei servizi generali ed amministrativi, la scuola delle reggenze, la SCUOLA reale insomma, è ben consapevole che i Collaboratori del DS e le figure di sistema con grande spirito di servizio e professionalità assumono ruoli onerosi di tempo e di responsabilità senza alcuna attenzione né giuridica né contrattuale.

Dunque, come redazione di betapress non possiamo che sottoscrivere e divulgare il comunicato stampa di Ancodis, con delle specifiche e puntuali richieste al C.T.S. per il rientro a scuola in sicurezza.

Per Ancodis, alle azioni previste nelle indicazioni del Comitato tecnico scientifico, occorre aggiungere le seguenti proposte:

  • abrogazione dell’articolo 1, commi 332 e 333, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (divieto supplenza per il primo giorno di assenza e nei primi sette giorni di assenza per la sostituzione dei collaboratori scolastici per poter garantire il controllo e la sicurezza degli alunni in tutti gli spazi scolastici);
  • rendere fruibili e sicuri TUTTI gli spazi presenti in un plesso scolastico poiché risultano edifici utilizzati in misura ridotta per inadeguatezza dei locali o per abbandono manutentivo ordinario;
  • prevedere – in caso di assenza dei necessari spazi ed ove possibile – strutture prefabbricate adatte allo svolgimento in sicurezza delle attività didattiche;
  • esonero del Collaboratore principale con unità di potenziamento in tutte le IS per monitorare l’applicazione delle misure di sicurezza e di prevenzione sanitaria e collaborare a tempo pieno con il DS ed il DSGA nella gestione e nell’organizzazione;
  • tutela legale a carico della scuola di tutti i Collaboratori che assumono incarichi di preposti ai sensi del D. Lgs 81/08 (Fiduciari/Responsabili di plesso distaccato);
  • ed, infine, istituire l’area del middle management nel sistema scolastico italiano del quale tanti parlano ma nessuno prova davvero a mettere la prima pietra.

Ancodis ritiene queste proposte URGENTI, NECESSARIE, COERENTI ed economicamente SOSTENIBILI per poter finalmente dire che nella scuola della convivenza con Covid 19 chi si occupa di organizzazione, funzionamento e didattica merita rispetto ed attenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maestra mi manchi…..

La scuola ai tempi del coronavirus

 




Recovery found, il paese che dice ed il paese che c’è.

La proposta relativa al Recovery Fund, il principale strumento di intervento elaborato dei paesi dell’Unione durante l’intera fase pandemica, alle fine è arrivata.

L’iniziativa verrebbe assunta per un ammontare di fondi rilevante: circa 750 miliardi di cui 500 a fondo perduto e 250  sotto forma di prestiti.

 

Al nostro paese andrebbero circa 170 miliardi di cui 81 a fondo perduto e circa 90 miliardi sotto forma di prestiti a lunga scadenza.

Gli aiuti, nella modalità del finanziamento, verranno concessi prevalentemente ad Italia, Spagna  Grecia, Polonia e Portogallo, per gli altri, i “paesi virtuosi”, Germania in testa, ci saranno solo finanziamenti a fondo perduto (grants).

Le misure di sostegno per i paesi membri dell’Europa si articoleranno su un asse principale di aiuti, il Recovery and Resilience Facility, ed altre misure per sostenere le politiche di coesione, la transizione ecologica, le economie rurali, la ricapitalizzazione delle imprese in difficoltà, la sanità e la ricerca.

 

 

Le modalità per accedere alle misure di sostegno dovranno assumere la forma di Piani di recupero e Resilienza (Recovery and Resilience Plans) che gli Stati membri dovranno presentare annualmente per avere accesso alle tranche di contributi messi a disposizione.

I Piani annuali dovranno contenere riferimenti precisi alle riforme che ogni paese dovrà avviare per rinforzare il potenziale di crescita dell’economia attraverso riforme ed investimenti, rinsaldare la coesione dell’Unione ed accelerare la transizione green e digitale.

La Commissione per i  prossimi quattro anni verificherà la coerenza dei Piani di rilancio nazionali con gli obiettivi del bilancio europeo.

Il Recovery fund o meglio il Recovery and Resilience Facility verrà discusso dai paesi aderenti nel prossimo Consiglio del 18 giugno ma non è chiaro quando diventerà operativo.

Si temono gli agguati dei paesi del blocco nordico (Svezia, Finlandia Danimarca, Belgio) ed eventuali impasse amministrative che potrebbero far slittare le decisioni finali dopo la pausa estiva.

Si tratta di un pacchetto di aiuti ridondante che nasconde tuttavia insidie e parziali verità che separano, da mesi, il paese legale da quello reale.

Un gioco delle parti al quale, purtroppo, la comunità civile ha finito per abituarsi.

Il rituale, del resto, è sempre lo stesso: da un lato il problema da gestire, dall’altro la soluzione che arriva sulle ali della ribalta e usa moduli comunicativi da “social media”, quanto più celebrativi tanto meno credibili.

Un rituale andato in scena nei giorni più difficili della pandemia con il varo delle prime misure di contrasto al virus e improntate alla gestione della necessità da un governo goffo che non conosceva minimamente l’esistenza di un Piano nazionale pandemia già operativo dal 2002 la cui attuazione avrebbe evitato inganni ed errori molto gravi.

Un rituale riproposto nei decreti inadeguati emanati a sostegno del nostro paese stretto da una crisi pandemica e da uno shock di liquidità finanziaria senza precedenti che ha investito famiglie, lavoratori ed imprese seminando terrore e povertà.

Un rituale, infine, che i politici al governo hanno rappresentato per mesi in ordine al reale  funzionamento degli aiuti europei attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità “senza condizioni” e più in generale sulle iniziative politiche avviate in ambito comunitario senza  l’ampio coinvolgimento delle assemblee legislative del nostro paese.

Ci troviamo di fronte ad una fase molto complessa del funzionamento democratico delle nostre istituzioni rappresentative perché lo stato d’emergenza

 ha sdoganato definitivamente il valore morale e politico della comunicazione  dando legittimità alle verità confuse, alle ritrattazioni più o meno pubbliche, agli annunci plateali e smentiti il giorno seguente, alluso dell’informazione mediatica per esclusive finalità di bottega.

In questa direzione non ha più importanza affermare chiaramente che il Meccanismo Europeo di Stabilità prevede programmi di aggiustamento economico imposti ai paesi in difficoltà o che il rifinanziamento delle imprese, garantito con i soldi pubblici, sarà principalmente a beneficio dei grandi gruppi con le sedi legali nei paradisi fiscali piuttosto che delle piccole imprese artigiane ed industriali in avanzate condizioni di epossia finanziaria.

Non servirà molto parlare delle complesse misure presentate il 27 maggio scorso dalla Commissione con un titolo ambizioso che evoca un’immagine d’Europa forte e resiliente da consegnare alle prossime generazioni, Next Generation EU, ma che dimenticano di dire che gli interventi non avranno effetti immediati e che non ci sarà un Piano Marshall per imprese e privati in difficoltà.

La stessa idea di un’Italexit brandita come una risposta populista alla crisi delle istituzioni comunitarie e per la quale è in corso la presentazione di un progetto di legge costituzionale d’iniziativa popolare  da parte del Movimento Italia Libera, potrebbe macchiarsi delle stesse asimmetrie comunicative in voga nei salotti del potere rendendo più impervio un percorso di rilancio delle economie periferiche.

La sensazione è che la Politica stia tradendo la sua stessa natura e che dietro ogni parola si annidino duplici obiettivi lasciati volutamente aperti al malinteso ed alle interpretazioni parziali.

Il Piano Recovery and Recilience Facility presentato, così come il Mes, sarà accompagnato da condizioni e da programmi di condizionamento e di indirizzo delle riforme dei paesi membri che dovranno essere in linea con le ipotesi e le proiezioni della Commissione e delle istituzioni europee, Consiglio e Parlamento.

L’immagine di un Europa a doppia velocità, diversa da quella raccontata e rappresentata, ritorna prepotente e questa volta porta con sé la complicità della classe dirigente e di parte dell’opinione pubblica.

Del resto la società civile è distratta dalla complessità della fase 2 dove la paura dei nuovi focolai infettivi, le bollette da pagare, gli avvisi bonari di Equitalia, la macchinosità delle riaperture, il grave shock di liquidità e  l’assenza di politiche concrete di sostegno agiscono da potente narcotico civile e sociale.

La gente non ha più tempo per arrabbiarsi e protestare, non ha più voglia di decifrare il politichese ed il senso recondito dei twitter che hanno sostituito l’informazione politica ufficiale e democratica.

Non stupisca in questo contesto che la frattura tra lo Stato di diritto ed il paese reale diventi sempre più profonda.

Non stupisca che in questa dimensione “sospesa” la democrazia lasci scoperto il fianco liberale a rigurgiti di un populismo estremo che porterà alla nascita di nuovi movimenti di contestazione o peggio ad iniziative politiche inopportune e premature.

La pandemia ha dato risalto alle contraddizioni da tempo esistenti nella società parallela, evidenziando i limiti della Politica, dei Partiti Politici, del sistema pubblico e  dello Stato.

E’ in crisi l’apparato pubblico con le sue istituzioni prese d’assalto e saccheggiate per anni dalle classi al potere.

Per questo motivo prima di pensare ad un nuovo assetto politico in Italia ed in Europa è   necessario riscoprire le costituenti di una coscienza individuale e collettiva per dare vita ad un Nuovo Contratto Sociale che aggiorni i diritti ed i doveri del principio di cittadinanza nella società, nell’economia, nell’amministrazione pubblica, nel mondo del lavoro e della formazione, nella sanità e nella giustizia.

La “next generation”, in italia in Europa e nel Mondo,  non può nascere con il peccato originale dell’inganno: merita decisamente di più.

Per questa responsabilità collettiva, al di là delle divisioni, si dovrà ricominciare a dare senso e contenuti alle “parole”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La sottomissione di Gregge

 

Luci ed ombre sul nuovo assetto della storia

 

 

Mes o Italexit inutili senza un Nuovo Contratto Sociale

 

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Rosolino Cicero: la DAD non è di sistema…

Come redazione di beta press vogliamo portarvi a fare un viaggio nella scuola vera di questo periodo, al di là di ogni propaganda politica ed oltre ogni mistificazione mediatica.

E lo faremo parlando con gli addetti ai lavori, intervistando professionisti del mondo della scuola alle prese con i veri problemi di quest’importantissima agenzia formativa e strategica realtà sociale.

Partiamo con un’intervista a Rosolino Cicero, Presidente Ancodis Palermo ( Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici) per scoprire insieme quale tsunami abbia investito le scuole in epoca Covid19.

Betapress- Prof. Cicero come si sta trasformando la scuola in questi ultimi mesi?

Cicero-In questa tragica esperienza del contagio da coronavirus Covid 19, la scuola si è trovata improvvisamente a trasformarsi da reale e concreta a “virtuale e digitale” ed ha dovuto rimettere in discussione regole, modelli, programmazioni, relazioni ponendosi la domanda di come continuare ad essere la principale agenzia educativa dello Stato.

Betapress- Secondo lei con la DaD è garantito il diritto allo studio per tutti?

Cicero-Il diritto alla scuola è di tutti e per tutti: oggi, però, ci poniamo la domanda se il fare scuola attraverso la didattica a distanza è di tutti e per tutti oppure – come possono dimostrare le tante realtà scolastiche che operano nelle grandi e complicate periferie delle città – per tanti!

Betapress– Eppure il Ministro parla della Dad come di un successo…

Cicero-In queste settimane sentiamo parlare e vediamo raccontare sui media esperienze di scuola virtuale che fanno onore a chi le ha progettate, organizzate ed applicate in favore delle loro comunità scolastiche.

Sembra però che non ci sia la consapevolezza che una percentuale non indifferente degli alunni – OGGI – sia rimasta “fuori” dalla scuola!

Betapress- Quali sono i problemi verificati in questi alunni rimasti fuori dalla Dad?

Cicero– C’è una parte di alunni che oggi non possono fare didattica a distanza secondo i canoni previsti dalle piattaforme digitali per assenza di adeguati dispositivi che possano consentire loro di sentirsi protagonisti attivi nel loro percorso di formazione.

Dobbiamo dirlo senza reticenza alcuna: rischiano di essere gli “ultimi” non per scelta ma per necessità!

Betapress- Il Miur ha condotto sondaggi per monitorare il territorio…

Cicero-Siamo curiosi di sapere quanti dispositivi idonei alla DaD hanno chiesto le scuole nell’ultimo questionario che è stato proposto ai Dirigenti scolastici! Sarà la dimostrazione del deficit di dispositivi digitali che si registra nelle famiglie dei nostri alunni!

Betapress– Come Presidente dell’Ancodis, cosa vuole segnalare?

Cicero-Ancodis vuole porre all’attenzione della comunità scolastica e delle sue Istituzioni la preoccupazione di tanti uomini e donne che vivono queste dolorose realtà sociali e che nonostante tutto con onore e forte etica professionale – non guardando a codici e codicilli normativi né agli obblighi contrattuali – si adoperano per non lasciare fuori nessuno.

Betapress– Lei vive e lavora a Palermo, è vicepreside dell’I.C. Giuliana Saladino, com’è la realtà scolastica locale?

Cicero-In tante realtà scolastiche che operano nelle cosiddette “aree a rischio”, istruire in modo non virtuale in stretta relazione fisica dei docenti con i loro alunni e con tutte le ben note criticità è una quotidiana conquista sul campo.

Oggi dopo aver sconfitto o quasi la dispersione scolastica saremo costretti forse ad iniziare una nuova battaglia ben più difficile da contrastare: la “dispersione digitale”.

Betapress– In questa battaglia, basta l’impegno, direi quasi la missione dei docenti sul campo?

Cicero– No, purtroppo no, in questa battaglia noi docenti possiamo fare ben poco.
Qui deve entrare in campo, con determinazione e con tutte le forme possibili, lo STATO per mettere in condizioni e consentire, nel più breve tempo possibile, a TUTTI gli alunni di poter rispondere PRESENTE all’appello che ogni docente sarà chiamato a fare prima dell’inizio della sua attività didattica.

In questo modo avremo reso onore all’art. 34 della Costituzione anche in tempo di didattica digitale!

Betapress– Gli esami di terza media sono imminenti, in modalità telematica e sincrona, cosa ne pensa?

Cicero- A tal proposito, al fine di assicurarne la regolarità e la trasparenza evitando probabili ricorsi, penso sia necessario che ciascuna scuola abbia un Regolamento SVOLGIMENTO ESAMI CONCLUSIVI PRIMO CICLO IN MODALITÀ; TELEMATICA SINCRONA a tutela del Consiglio di classe e dell’alunno/candidato privatista (per quest’ultimo non sono previsti altri elementi di valutazione!)?
Da non dimenticare, infine, nell’organizzazione e nella conduzione dell’esame conclusivo, l’obbligo della presenza di tutti i docenti del Consiglio di Classe (alias Commissione di esame) che certamente – in considerazione dell’esperienza degli anni precedenti – sarà elemento di grave criticità.

Betapress– E per la valutazione?

Cicero-Valutazione! Qui viene il bello! Poiché ai sensi dell’art. 4 comma 5 è possibile la non presentazione in modalità sincrona dell’elaborato, come si fa a valutare ai sensi del successivo art. 6?
Si creerebbe una evidente condizione di disparità nella valutazione finale tra gli alunni/candidati!

E come non possiamo non tenere conto del tema del contesto socio familiare dell’alunno/candidato che certamente condizionerà favorevolmente o negativamente la qualità dell’elaborato?

 

Betapress- Insomma, sembra proprio che al Miur non sappiano neanche di cosa stanno parlando…

Cicero-Come Ancodis continuiamo a scrivere all’Azzolina!

Speriamo di aver posto all’attenzione della Ministra, dei suoi tecnici e di tutti i protagonisti a diverso titolo interessati osservazioni che siano motivo di riflessione e di positività.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

sdidatticamente parlando e non solo

 




Perché è importante utilizzare l’intelligenza emotiva?

Vogliamo affrontare il tema dell’intelligenza emotiva (IE), argomento questo  complesso, in quanto entrano in gioco le emozioni con la loro influenza sulla vita  relazionale.

Ma cos’è la IE? Mettere in campo l’intelligenza emotiva significa essere in grado di riconoscere i sentimenti propri ed altrui gestendo positivamente le nostre emozioni al fine migliorare le relazioni sociali.

L’intelligenza emotiva ha messo in discussione i risultati dei test intellettivi predittivi di successo smantellando l’idea che   elevati QI corrispondano a migliori performance e bassi QI a limitate performance.

Parlare di IE significa richiamare alla mente i concetti chiave di autostima, di motivazione, di auto efficacia con conseguente capacità da parte del soggetto di saper gestire le proprie emozioni.

Gli psicologi americani Salovey e Mayer introdussero tra i primi il costrutto della IE anche se il tema del riconoscimento e della gestione delle  emozioni si è diffuso grazie allo psicologo cognitivista Daniel Goleman celebre per il  suo testo “Emotional Intelligence”.

L’autore in questione definisce la IE come “La capacità di motivare se stessi, di persistere nel raggiungimento di un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici, di sperare”.

Goleman evidenzia nel costrutto della IE alcuni domini quali: l’autocontrollo, l’automotivazione, l’empatia e la gestione delle relazioni sociali. Si tratta dunque di apprendere un buon uso della IE, ossia l’attitudine emozionale o la meta-abilità – come Goleman la definisce – che ci permette di fronteggiare gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di vita.

L’uomo attivo si inserisce in un processo costante e complesso di scoperta, riscoperta e costruzione di significati, il tutto sempre mediato dal contesto e dalle relazioni sociali che è in grado di costruire ma anche dalla cultura in cui è immerso.

In questo processo continuo ogni azione messa in gioco risulta essere filtrata attraverso le percezioni, i pensieri e le emozioni soggettive. Ma come funziona il nostro cervello in relazione all’intelligenza emotiva?

Le strutture cerebrali considerate cruciali per l’elaborazione e la regolazione emozionale sono quelle che appartengono al lobo limbico, il quale è situato in profondità nella parte più interna, cioè mediale, dei lobi temporale e frontale di ciascun emisfero.

Il sistema limbico non è un circuito chiuso poiché è caratterizzato da un alto livello di interazione con molte aree corticali e strutture sottocorticali e l’amigdala è la struttura nervosa che rappresenta la base neurologica per eccellenza degli stati emotivi e si attiva sempre per esperienze emozionali molto intense.

Le esperienze emozionali intense non sempre sono negative anzi, se ben canalizzate, possono arricchire la nostra vita.

Scegliere il canale dell’intelligenza emotiva ci permetterà di affrontare in modo  creativo gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di crescita.

Si può dunque ipotizzare che l’intelligenza emotiva sia in relazione con la sfera della creatività.  

L’arte, in quanto espressione della creatività, può divenire uno strumento per aiutare le persone che ne fruiscono attraverso i canali  sensoriali  o che la mettono in pratica attraverso la produzione.

L’arte permette dunque – nelle sue espressioni di fruizione e produzione – di conoscere ed interpretare le proprie emozioni utilizzando il canale della IE e a questo proposito possiamo ritenere che tutto questo sia fondamentale per il mantenimento di uno stile di vita sano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Mes o Italexit inutili senza un Nuovo Contratto Sociale

La primavera sta passando via avvolta  nella distrazione e come ogni anno arriverà l’estate.

La gente torna nelle strade, nei negozi e nei ristoranti deserti per mesi.

Il tempo del corona-virus non è finito ma la normalità cerca disperatamente di recuperare un posto nelle nostre vite.

Un giorno si troveranno le parole per raccontare i mesi trascorsi tra paure ed incertezze.

Un giorno si riusciranno a spiegare meglio i limiti dello sviluppo sostenibile e la fragilità del pianeta e del consorzio umano.

Un giorno, ma non ora.

È troppo presto.

I contagi diminuiscono ed i reparti di rianimazione per la prima volta tornano a liberare qualche posto letto.

Eppure il virus è ancora tra noi, ci accompagna nelle nostre attività e frequenta probabilmente i nostri amici ed i nostri spazi di lavoro.

La scoperta di un vaccino risolverebbe parte dei problemi ma i protocolli di ricerca in Cina, Europa e Stati Uniti  non sono ancora in grado di presentare risultati definitivi.

La Pandemia ha soffiato via ogni certezza, attribuito poteri inediti alle classi di governo e messo in evidenza le criticità della politica e dei modelli di produzione e distribuzione della ricchezza in Italia e nel resto del mondo.

Il distacco, il “decoupling” tra paese reale e lo Stato dei pieni poteri è enorme e rischia di esplodere generando conflitti sociali profondi e permanenti.

La tempesta virale, infatti, ha colpito un mondo già alle prese con il rischio della recessione globale.

Il rallentamento dell’economia cinese con i suoi effetti di contagio globale  ha dominato l’agenda economica per tutto il 2019 pre covid.

Il blocco economico imposto dall’isolamento sociale per contrastare la diffusione del Virus si è abbattuto su una trama economica già indebolita con il risultato che molte attività produttive e commerciali non riapriranno le porte a lavoratori e clienti.

Il Fondo Monetario Internazionale è cauto e non sembra essere molto generoso con le previsioni macro economiche.

Gli economisti si limitano ad evocare il rischio evidente di un rallentamento di un 3% per l’economia globale ed un 9% per il nostro paese, con una ripresa incerta per il 2021 (Fonte FMI).

Il Word Economic Forum è andato oltre stimando un ribasso del pil mondiale del 20% ed il conseguente impatto sulle condizioni di vita nell’intero pianeta.

Il risultato è agghiacciante: la recessione mondiale potrebbe produrre oltre 500 milioni di nuove persone in condizioni di estrema  povertà.

 

Una previsione che, stando ai timori diffusi dalla Caritas, non risparmierà l’Italia.

Un immagine sbiadita che non sembra intimorire la politica italiana e neanche quella comunitaria che vivono in una realtà concettuale dominata da antichi totem e tabù.

Una tela di penelope riversa su sé stessa.

Del resto non potrebbe essere altrimenti se dopo mesi di isolamento sociale, migliaia di morti e fasce di popolazione alle prese con l’emergenza della povertà,  non sono ancora arrivate misure di sostegno economico concrete.

La situazione in ambito comunitario non sembra meno contraddittoria.

Il confronto, infatti, ha preso la direzione di un dibattito che vede l’Europa divisa non tanto sulla necessità di sostenere le comunità locali ma sulla declinazione giuridica degli interventi di supporto.

Si discute di Mes con o senza condizioni, di prestiti assistiti da garanzie o aiuti a fondo perduto, dimenticando che dietro sintassi e sostantivi c’è il dramma della sofferenza.

La paura ed il rischio della morte e della miseria non spaventano le “elites” di comando.

Il nemico pubblico diventa il timore evocato dalla ipotesi di parziale redistribuzione della ricchezza tra i paesi e le classi sociali della vecchia Europa.

I principi di unità e solidarietà alla base della mutualizzazione del debito non sono sufficienti a fare breccia nel cuore dei paesi rigoristi del blocco nordico e non c’è più molto tempo, ormai.

L’Unione europea, infatti, dovrà  finalizzare le misure già annunciate (Sure, Mes prestiti Bei e Recovery Fund)  in tempo utile con le ultime riunioni calendarizzate prima della lunga pausa estiva (18 e 19 giugno).

Sorge il dubbio che il termine del primo luglio, per la fase attuativa degli interventi delineati, potrebbe finire per non essere adeguato se si vorrà estendere il dibattito sui regolamenti attuativi e che il Recovery Fund potrebbe restare fuori dall’agenda delle prossime riunioni della Commissione essendo ancorato al bilancio pluriennale europeo per il quale  gli accordi tra gli stati membri e le regole di fiscalità comune sono ancora in alto mare.

In ambito domestico lo scenario politico si ripete e convive, con estrema disinvoltura, tra gli annunci trionfalistici delle conferenze stampa e l’inadeguatezza degli stimoli economici realizzati.

Il decreto “Rilancio” che il governo in carica ha adottato per sostenere il paese non aiuterà le imprese e le famiglie come sperato.

Ancora una volta il buon senso svela l’altra faccia della frattura tra paese reale e legale: quella della verità sommersa nei contenuti dell’informazione.

La percezione è che il nemico contro il quale misurarsi ogni giorno non sia più il Covid-19 ma la superficialità delle classi politiche al comando ferme alla gestione dei privilegi e dei maggiori poteri acquisiti nella fase dell’emergenza e più interessate alla forma che alla sostanza.

Una realtà che dovrebbe scuotere la coscienza popolare ed imporre un limite alla pazienza ed alla rassegnazione.

Le soluzioni per riappropriarsi dei sogni e alimentare la speranza di un futuro migliore ci obbligano ad una riflessione di ampio respiro.

La realtà economica e sociale post pandemica non sarà più quella di prima.

Un modello di crescita e di progresso sostenibile dovrà guardare ad un “Nuovo Contratto sociale” che ponga le premesse per una democrazia aggiornata alle sfide in atto ed ai ritmi della società digitale.

All’ordine del giorno dovranno porsi i principi di una nuova identità collettiva che riformi gli schemi ed i contenuti della rappresentanza istituzionale, della scuola, del lavoro, degli istituti di fiscalità ,

degli incentivi all’iniziativa economica, della lotta alle nuove povertà e alle moderne forme di criminalità.

I cardini portanti di un Contratto Sociale post covid dovranno trovare il migliore equilibrio tra una nuova carta dei diritti e dei doveri ed uno slancio altruista e solidale che valorizzi la promozione della “persona” in un pianeta sempre più digitale e connesso

In questa direzione occorre  dare vita ad “governo di solidarietà nazionale” che si occupi dell’emergenza e delle riforme indispensabili senza svendere i sogni e le speranze degli italiani.

Non abbiamo bisogno di inventarci nulla: sarà sufficiente recuperare la nostra storia ed i nostri valori.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fabio Delibra

 

 

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

Piano Marshall oggi più che mai!!

 




Sport: investimenti non elemosina.

Se un giorno incontraste per la strada il Dott. Larry Page e vi dicesse che per due mesi ha dovuto tenere chiuso le sue attività ed ora ha delle difficoltà economiche, vi verrebbe in mente di dargli qualche monetina?

Probabilmente no, nessuno gli darebbe l’elemosina.

Elemosina, citando il dizionario Treccani, “Quello che si dà alle persone bisognose, secondo il precetto cristiano della carità”

Non lo farebbero nemmeno i religiosi più osservanti, non certo per mancanza di fede o disprezzo verso quell’uomo, nessuno metterebbe in dubbio lo stato di bisogno ma per il semplice motivo che, essendo Larry Page tra gli uomini più ricchi del mondo, alcune monetine sarebbero assolutamente ininfluenti rispetto alle perdite che potrebbero aver avuto le sue attività e, con tutta probabilità, sarebbe lui stesso a declinare l’offerta, dicendo che potrebbero aiutare di più altre persone. 

Lui e Google non avrebbero bisogno di qualche monetina per riprendere la corsa ma investimenti, progetti e finanziamenti di tutt’altra portata.

Non augureremmo mai una situazione del genere a Google ed al Dott. Page, ma questo è esattamente successo allo Sport nel nostro Paese ed il paragone non è casuale; l’americano è l’ottavo uomo più ricco del mondo e l’Italia è l’ottava potenza sportiva mondiale. 

Sentir parlare, almeno si leggesse qualcosa di scritto, di aiuti con importi tra i 200mln, 400mln, 600mln in piccola parte a fondo perduto ed in gran parte come finanziamento è molto simile ad un elemosina, con la differenza che quella almeno non devi darla indietro. 

Utilizzando stime anche volutamente contrarie alla tesi di chi scrive, prendendo il massimo prospettato € 600.000.000 e dividendolo per una stima, sicuramente troppo bassa, del numero di società sportive in Italia (130.000) non farebbero nemmeno 5000 Euro a società.

Quei soldi ne prolungherebbero l’agonia di qualche giorno, salvo poi doverli restituire.

Collaboratori sportivi che non ricevono un bonus di €600 da settimane, che non ricevono stipendi da mesi, non si sa ancora se riprenderanno alcuni campionati a partire dalla serie A di calcio che muove e consente di vivere lavorando, a tante persone, non solo i 22 in campo.

DPCM che trattano con poca attenzione le peculiarità delle diverse discipline e, nessuna proroga per esempio per i pagamenti delle utenze dei centri sportivi – forzatamente fermi – e, altro esempio, per i contributi del calcio femminile – tre anni volano via in fretta – . 

Non è questo il momento di imparare a conoscere il mondo dello Sport ma di imparare dal mondo dello Sport utilizzando progettualità, investimenti e finanziamenti congrui, un po’ come per la storiella di Page e Google.

Bene la legge Olimpica.

Dobbiamo Investire nell’impiantistica sportiva, nell’educazione fisica/motoria nelle scuole, nella formazione, nei dirigenti, nei grandi eventi e sostenere economicamente, ma davvero, le società che hanno progetti seri per il futuro.

Ora è il momento di farlo, prima che sia troppo tardi, magari rivedendo quella riforma/rivoluzione dello Sport partita e mai finita a dimostrazione che di questi tempi i ritmi della Politica, non coincidono con quelli di chi, ogni giorno scende in campo, lavora, si allena e vince, facendo grande il nostro Paese nel mondo.

 

 




Bentornata a casa??

Silvia Romano è viva ed è stata liberata.

 E gli italiani come reagiscono?

Sollevo, gioia, stupore la reazione di alcuni.

Perplessità, smarrimento, incredulità quella di altri.

Rabbia, odio, xenofobia, sessismo quella di altri ancora.

E la reazione suscitata non c’entra con il credo politico, l’identità sessuale o il potere economico di chi la prova.

E’ un brivido che ci scorre lungo la schiena quando la vediamo.

“E’ lei, è viva, ce l’ha fatta!”

“Ma com’è vestita? Ma cosa dice? Ma cosa le hanno fatto?”

Fino a ”Non è possibile! Ma chi abbiamo liberato e perché?”

E così succede che Silvia non abbia nemmeno finito di scendere la scaletta dell’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata in Italia, che centinaia di benpensanti (ma altrettanto mal scriventi) si scatenino già sui social con illazioni e offese di ogni tipo. 

Perché? Per la sua immagine killer, così stridente da quella a cui eravamo abituati.

Avevamo in mente una ragazza in canottiera, abbronzata e sorridente, con in braccio un bimbo africano, ed invece, ci siamo trovati di fronte una donna coperta, quasi irriconoscibile, se non fosse stato per il sorriso, e, per alcuni, persino il sorriso è sembrato provocatorio.

Certo, per molti, è bastato vedere lo jilbab, quel lungo velo, verde come il colore dell’Islam, a incorniciarle il viso e a coprirle il corpo, perché Silvia Romano, da eroina si trasformasse in traditrice.

O quantomeno “ingrata”, proprio come oggi l’ha bollata la prima pagina del Giornale: 

“Islamica e felice, Silvia l’ingrata” ha titolato il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, mentre Libero non è stato da meno gridando: “Abbiamo liberato un’islamica”.

Già perché in queste ore, in cui l’hashtag Silvia Romano continua a imperversare, c’è un fatto che è chiaro ed evidente e cioè che Silvia Romano ha smesso di essere una persona, una cittadina italiana con tutti i suoi sacrosanti diritti, per diventare un simbolo da agitare nell’incessante guerra razzista e sessista che purtroppo non conosce tregua.

Neanche il tempo di festeggiarla, di accoglierla nella sua città che altri due hashtag, quello di Aisha, il suo nome islamico, e quello di Silvia Romano incinta, sono entrati in circolo, nel catalogo infinito dell’odio da tastiera.

Che cosa si rimprovera alla giovane cooperante milanese che era in Kenya, lei specializzata in psicologia infantile, per aiutare i bambini orfani e che è stata rapita e tenuta prigioniera per oltre 18 mesi? 

 

Di sicuro il sorriso: nel conformismo ipocrita imperante, un ostaggio deve essere a pezzi, deve farsi vedere distrutto, possibilmente in lacrime.

E poi la conversione all’Islam, la religione più odiata, oltre che la seconda più praticata nel mondo.

Un affronto per molti italiani che confondono le frange dell’estremismo islamico con la stragrande maggioranza dei musulmani e che, evidentemente, non ricordano che la nostra Costituzione, quella di un Paese laico, prescrive la libertà di culto.

Per cui ognuno di noi è libero di professarsi cattolico, buddista, ateo o musulmano senza che questo debba diventare materia di dibattito o, ancor peggio, di scandalo per chiunque altro.

 

Inoltre, dulcis in fundo, Silvia è una donna.

Una donna forte, come lei stessa ha ricordato nelle prime parole che ha pronunciato dopo la liberazione.

E, si sa, niente è più insopportabile per molti sessisti che da giorni si sbizzarriscono in truci doppi sensi ed illazioni offensive, da quella secondo la quale Silvia sia incinta a quella che la vuole vittima della sindrome di Stoccolma. Ma, credetemi, il linguaggio utilizzato è ben altro.

Perché, si sa, il salto da esperto in virologia a quello in psicologia, nel magico mondo dei social, lo si può fare in un attimo, a stretto giro di tweet.

Va detto però che sono tanti, tantissimi i giornalisti ed i commentatori che in queste ore stanno cercando di spegnere questa ignobile polemica. 

Andrea Purgatori, ad esempio, scrive: “Se il problema è il vestito, occupatevi di quelli in nero col braccio alzato. Se il problema è il riscatto, la prossima volta vi scambiamo volentieri. Se il problema c’è l’avete nella testa, andate da uno bravo. E fate presto”.

Myrta Merlino interviene così: “Mi sfugge il senso del dibattito su #SilviaRomano, diventata Aisha. Se avessimo saputo prima della sua conversione all’#Islam, non avremmo dovuto salvarla?!?”. 

Tranchant come sempre Selvaggia Lucarelli: “Si è convertita all’Islam, non dice mezza parola d’odio, sorride anziché piangere. È una donna. Non glielo perdoneranno mai”.

Nell’attesa che gli odiatori trovino un altro osso da spolpare, ci sentiamo di dare un consiglio a Silvia Romano, quello cioè di stare alla larga dalla Rete.

I traumi di un sequestro sono lunghi e difficili da superare.

Ma quelli del cyber-bullismo non sono da meno. 

In quanto alla conversione, resta un fatto intimo, di estrema importanza, per ogni persona.

Un percorso che doloroso o liberatorio che sia, va rispettato, comunque. Sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipi da social

 




La creatività come compensazione positiva nei momenti di crisi

In un momento di crisi dovuto allo sconvolgimento creato da un virus aggressivo che può non lasciare scampo a chi non rispetta le regole, diviene sempre più impellente la ricerca di una strategia per gestire i vissuti di criticità che accompagnano le persone.

Il termine crisi è legato ai nostri spazi vitali che possono essere compromessi proprio dall’arrivo di un qualcosa che separa.

“Crisi” tradotto dal greco κρίσις indica proprio la separazione che implica anche una scelta.

La crisi inizialmente è vissuta con disagio perché collegata ad una situazione di malessere.

Sono in crisi perché ho perso degli affetti, sono in crisi perché non lavoro, sono in crisi perché ho fatto investimenti  sbagliati.

Una crisi non risolta può sviluppare effetti di grave disagio psichico ma nel  momento in cui si supera ci troviamo di fronte alla rinascita.

La crisi diviene quindi tappa di un processo evolutivo perché è un momento decisivo per attivare il cambiamento.

Nel termine essere in crisi è proprio insito il senso di mutamento e di trasformazione che permette di passare da un’accezione negativa ad una positiva.

La crisi è dunque qualcosa di perturbante che entra nell’esistenza di una persona producendo effetti più o meno gravi, si tratta di un turbamento profondo spesso anche della collettività e della società.

La crisi può altresì riguardare specifici  settori e si parla infatti di crisi dei valori, crisi dell’arte, crisi della letteratura e più in generale crisi esistenziale.

Entrare in crisi significa anche porre termine ad una situazione problematica e avviare un processo di risoluzione che passa attraverso  strategie di problem solving.

Oggi il virus ha creato l’improvviso passaggio da una situazione di  discreto benessere economico ad uno stato di depressione economica che crea nell’uomo stati emotivi quali la paura, l’inquietudine, l’ansia e l’angoscia nei casi più gravi.

La negata libertà di proiettarsi attraverso una progettualità nel futuro ci paralizza. La crisi può però rappresentare anche un’opportunità in quanto strumento necessario ed efficace per promuovere un cambiamento.

Albert Einstein nel suo testo “Il mondo come lo vedo io” dedica molte riflessioni al tema della crisi e la vede come occasione necessaria per il cambiamento. Si ritiene infatti che la creatività sia più  attiva  nei momenti di  elevata difficoltà.

Come afferma Einstein: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”.

In quest’ottica l’attività creativa può essere considerata life skills, indispensabile per un buon equilibrio psicofisico e per un positivo adattamento all’ambiente.

Per life skills si intendono tutte le abilità di carattere cognitivo, emotivo, sociale che supportano le persone  nel  fare fronte in maniera efficace ed utile ai bisogni ed alle sfide della vita di tutti i giorni.

La creatività viene dunque oggi riconosciuta come un’abilità cognitiva, che può servire alla persona per cambiare il suo punto di vista su una certa situazione e per trovare dunque soluzioni creative ai problemi che gli si  presentano nella vita.

Reagire alla distruzione causata dal Covid-19 significa promuovere un cambiamento dove il processo creativo assume un ruolo di primo piano.

Si tratta di reinventarsi in nuovi ruoli spesso trascurati o sconosciuti.

La “sindrome della capanna” che ci ha accomunato in questi  mesi ci ha permesso di esprimere la nostra creatività in ambiti diversi quali: l’arte culinaria, la pittura, la scultura, il gioco, la scrittura, il  collezionismo e tanto altro.

Non solo i giovani già predisposti in quanto nativi  digitali ma anche gli anziani hanno scoperto che è possibile socializzare creando  eventi con l’aiuto della tecnologia.

L’incontro con l’altro diviene in quest’ottica un processo creativo che ci permette di visitare l’amico e il parente con un semplice collegamento telematico.

L’abbraccio è virtuale ma nel nostro immaginario, se vogliamo, ne possiamo sentire il  calore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sperimentiamo! Dirigente Professori ed alunni per scrivere in modo creativo.

 




Maestra mi manchi…..

“Maestra mi manchi”

“Guarda la mia foto maestra ,mi sono caduti tre denti!”

“Mi scusi maestra, volevamo salutarla, Mattia in questi giorni di quarantena, ha iniziato a mangiare
tutto!”

… e via così.

Viviamo la nostra vita a distanza, maestre, genitori e alunni, ma ci manchiamo.

Il Coronavirus ci ha divisi e, anche se, dal giorno successivo alle parole del Presidente del Consiglio, noi insegnanti della Scuola dell’Infanzia di Castiglione in Teverina, ci siamo attivate per stringerci in un cerchio virtuale e affettivo, con le famiglie, per rimanere uniti, alla Scuola, quella con la S maiuscola manca la sua anima.

Ci manca l’essenza dell’ insegnamento : la presenza.

Ci mancano le bocche “cioccolatose”, gli occhi felici per le grandi conquiste, i disegni bellissimi, gli abbracci altezza ginocchio, le impronte di quelle piccole mani. Ci mancano i sorrisi giganti, per le caramelle, o gli esulti per andare in giardino. Ci manca sfogliare insieme un bel libro.

“Prendete asciugamano e bicchiere, oggi è venerdì e domani non c’è scuola!”, è un po’ che non
pronunciamo questa frase.

Ulisse nel suo viaggio e nel nostro progetto è rimasto all’isola delle Sirene o poco più in là e per
noi, la sveglia non suona più da quasi due mesi, ma stranamente, non siamo tranquilli.

Spesso mi chiedo come si possano sentire chiusi in casa, mi dispiace saperli tristi, ma poi, arriva la foto.

Arrivano le foto della vita quotidiana, dei loro lavori meravigliosi, frutto del grande impegno dei
genitori che, ci seguono e si dedicano a loro con amore.

Si lavora da casa tutti, maestre, genitori e bambini, per portare a compimento la progettazione
annuale, alla quale in questo, seppur, breve anno scolastico, ci siamo tanto dedicati……
dobbiamo ritornare a Itaca!

I nostri telefoni e computer sono incandescenti la sera, perché è così che ci siamo organizzati,
inviando attività didattiche, messaggi vocali, registrazioni video di storie lette da noi.

Abbiamo rivisitato e ridimensionato la nostra progettazione, per permettere alle famiglie di gestirla al meglio.

Siamo entrati nelle loro case, principalmente, per trasmettere vicinanza, non è importante
essere al pari con tutte le attività inviate, ma è importante che esse ci siano, che in un momento
così difficile, la Scuola sia l’ancora a cui aggrapparsi per non mollare.

Sembrava di vivere un film la sera del blocco, cercavamo certezze in famiglia, gli uni negli occhi
degli altri, ma non c’ erano.

Quelle che avevamo si sono dissolte nel nulla, come gli esami di maturità di mia figlia o quelli
all’Università del maggiore.

Metabolizzare i rimi delle nuove giornate e conciliare le proprie esigenze di studio con le circostanze attuali, non è semplice, neanche per loro anche se ormai, sono grandi.

Dopo colazione, ognuno nelle proprie stanze, la nostra vita scandita dai pasti, dai
collegamenti online con la scuola, con i colleghi, con amici o familiari.

Le grandi abilità tecnologiche dei nostri giovani, verso le quali, talvolta, abbiamo espresso criticità,
ci stanno salvando dall’isolamento, permettendoci, di mantenere i rapporti con il mondo e di
continuare a lavorare per non farlo fermare.

Da inguaribile ottimista, voglio pensare che, presto tutto questo finirà e torneremo tra i banchi a
pitturare, nel salone a ballare e a recitare, a cantarci gli auguri per i compleanni, a tornare a casa
senza voce e a desiderare il silenzio, a progettare cose belle da insegnare per entusiasmare coloro
che saranno il nostro futuro.

” Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo
aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo”.

M. Montessori

 


Anna Lisa Lattanzi
Insegnante Scuola dell’Infanzia-Castiglione in Teverina
IST.OMNICOMPRENSIVO F.LLI AGOSTI BAGNOREGIO

 

 

 

 

 

 

Esame sì, esame no, esame boom…

Educare la Mente, il Corpo e lo Spirito, oggi qualcuno ne è ancora capace?

 




Complottismo, o mio complottismo…

Complotto sì o complotto no?

Benché ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi, più o meno comprovate a seconda dell’autorevolezza degli analisti, credo sia opportuno porsi questa domanda, perché è strettamente legata a quello che ci accadrà dopo, ossia dopo la fine dell’emergenza, sia sul piano economico che politico.

Infatti, sulla base dei dati e dell’analisi di cui siamo conoscenza, a mio parere, è urgente comprendere se, dietro tutto questo, c’è un disegno, e di quale disegno si tratta, oppure, se gli sviluppi del capitalismo degli ultimi decenni, lasciati per così dire a briglia sciolta, siano responsabili di quanto sta accadendo. 

In entrambi i casi, ci viene data l’opportunità di mostrare, anche dinanzi a chi è più chiuso nel suo piccolo mondo antico, sperando illusoriamente di salvarsi, che questo sistema non regge, è foriero di morte e di distruzione per l’umanità tutta intera e per la natura stessa, dal cui grembo siamo stati partoriti.

Prima di andare avanti nella direzione tracciata, vorrei soffermarmi brevemente sulla cosiddetta teoria del complotto.

Come è noto, di complotti, è seminata la storia, basta pensare alle attività di Catilina contro il Senato romano, o all’assassinio di Giulio Cesare da parte di un gruppo di congiurati, tra cui il figlio adottivo Bruto.

Chi ha un po’ di sensibilità storica, sa benissimo che le grandi trasformazioni storiche non si realizzano per le scelte politiche episodiche di gruppi più o meno agguerriti; il complotto, se effettivamente viene orchestrato nel segreto, non è che l’ultimo atto di una strategia politica elaborata da una certa forza sociale, forza sociale a cui corrispondono, in termini marxisti, ben precise classi o alleanze tra classi.

Per esempio, il colpo di Stato del Termidoro, termine poi divenuto paradigmatico, con cui furono arrestati e giustiziati RobespierreSaint JustCouthon, rappresentanti della sinistra giacobina, fu attuato da un’altra fazione del Comitato di Salute pubblica che, benché avesse partecipato al Terrore, si opponeva all’estremismo dei sanculotti e faceva gli interessi della nuova borghesia.

Ma torniamo al caso nostro, ossia all’ormai tanto famoso coronavirus, il cui tasso di letalità secondo calcoli sbagliati, forniti dall’Istituto superiore di sanità, è stato individuato nel 5,8% dei contagiati. 

Notizia che inevitabilmente (e volutamente?) ha terrorizzato la popolazione.

In questi giorni, siamo stati inondati dai pareri più disparati, di esperti veri e falsi, di personaggi noti al grande pubblico, di analisti politici, di propagandisti, che ci elargiscono tesi, ci dispensano consigli (vorrei sapere quanto paghiamo gli spot televisivi), e ci invitano ad essere un tutt’uno contro la pandemia, come se fossimo in guerra, contro un nemico comune.

 Ma non è così!

Altro che bandiere italiane ed inno di Mameli, il vero nemico è interno all’Italia ed è rappresentato da individui ben precisi e dagli interessi che essi rappresentano.

Come, per esempio, chi ha emanato lo stato di emergenza nella Gazzetta ufficiale, il primo febbraio per 6 mesi, in seguito alla presa di posizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, senza mettere in risalto questa notizia e facendola seguire da misure a singhiozzo e spesso contraddittorie, come ha dimostrato il persistere di attività lavorative in settori non essenziali (armi), la mancata disponibilità di strumenti protettivi che lo Stato stesso avrebbe dovuto distribuire alla popolazione.

Oppure, chi in nome del privato che è più efficiente (in realtà più redditizio), ha chiuso ospedali, strutture sanitarie e dato agevolazioni fiscali a privati.

O ancora, chi ha tagliato i fondi alla ricerca e all’università, facendo sì che – secondo la stessa OMS – oggi ci manchino 50.000 infermieri e probabilmente 45.000 medici, creando così un buco stratosferico che cerchiamo di riempire con aiuti provenienti da “odiati” paesi (Cuba, Cina, Venezuela), che, evidentemente, di fronte alle emergenze, funzionano meglio della “democratica” Italia.

Ma torniamo al nocciolo della questione, cioè al tema principale dell’articolo.

Esistono due tesi fondamentali:

1) “la distruzione sempre più veloce degli habitat”;

2) la costruzione in laboratorio del coronavirus che ha generato l’attuale pandemia, o la sua diffusione voluta o casuale, indipendentemente dalla sua origine.

Questi due tesi, che non credo si escludano reciprocamente, sono sostenute da vari studiosi, esperti, analisti internazionali.

In un articolo uscito su Le Monde diplomatique (Contro le pandemie, l’ecologia, marzo 2020) la giornalista statunitense, di origini indiane, Sonia Shah, scrive: “Dal 1940, centinaia di microbi patogeni sono comparsi o riapparsi in aree in cui in alcuni casi non si erano mai visti prima.

È il caso dell’immunodeficienza umana (Hiv), dell’Ebola nell’Africa occidentale e della Zika nel continente americano.

La maggior parte di essi (60%) è di origine animale.

Alcuni provengono da animali domestici o da allevamento; più di due terzi da animali selvatici”.

Come altri studiosi, la giornalista statunitense ritiene che: “la maggior parte di questi microbi vive al loro interno [degli animali] senza far loro alcun male.

Il problema è un altro: con il dilagare della deforestazione, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per arrivare fino al corpo umano e adattarsi”.

Altri studiosi convergono su questo tipo di riflessione, sottolineando che alcune zone della Cina sono state caratterizzate da questi processi come rapida urbanizzazione, industrializzazione dell’attività agropecuaria, integrazione alle nuove catene del valore sviluppati in maniera accelerata, dai quali sono scaturite le condizioni per la rapida mutazione del virus e per il cosiddetto “passaggio di specie”.

Come scrive il periodico on line Scienzainrete, questo fenomeno “sempre avvenuto, da quando esiste la vita, è favorito principalmente da due fattori”: i ricettori cellulari sono simili in specie diverse e la prolungata vicinanza fra uomini e animali.

Da queste considerazioni, si evince la ragione per la quale la Lombardia costituisce il centro dell’infezione, proprio per il semplice fatto che probabilmente, per la sua intensità industriale, costituisce la regione più inquinata d’Europa.

Si tenga inoltre presente che il contesto descritto negli ultimi decenni ha dato vita ad epidemie che si sono susseguite con maggiore frequenza, come la SARS (2002-03), influenza suina H1N1 (2009), il MERS Covid (2012), l’Ebola (2014-16), lo zika (2015) e il dengue (2016).

Epidemie di cui dobbiamo attribuire tutta responsabilità al capitalismo e alle sue dinamiche distruttive e perverse.

A questo punto, vorrei rispondere alla seconda domanda: il SARS-COVID-2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2), noto più semplicemente come COVID-19, è stato prodotto in un laboratorio, innescandone la mutazione, e poi involontariamente o volontariamente diffuso o disperso, anche nel caso in cui costituisca un organismo non manipolato?

L’ipotesi della diffusione involontaria dei virus non è del tutto scartata dal Bulletin of Atomic Scientists, nel quale si può leggere la descrizione del laboratorio di Plum Island, situato alla foce del Long Island Sound vicino a New York, il cui obiettivo è quello di operare nel campo della bio-sicurezza, altamente sviluppatasi dopo l’11 settembre.

Secondo questo studio, è affare dato che “nessun laboratorio è perfetto”, e dunque che è possibile che gli agenti patogeni delle malattie lì studiate possano in qualche modo sfuggire e colpire gli abitanti circostanti per poi espandersi ulteriormente.

Passiamo invece alla tesi assai discussa della diffusione volontaria del virus.

Come è noto, il presidente Trump insiste nel chiamare il Covid-19 il “virus cinese”, in questo seguito da settori filoamericani, che intendono cogliere ancora una volta l’occasione di demonizzare la Cina, considerando addirittura gli aiuti pervenutici da questo paese una sorta di cavallo di Troia.

Ovviamente tale associazione (Cina/virus) è fortemente respinta dal governo cinese, che nella persona del portavoce del Ministero degli Esteri, Lijan Zhao, in un tweet del 12 marzo, ha accusato gli Stati Uniti di non aver informato il mondo sulle numerose morti lì avvenute, sulla data del ritrovamento del cosiddetto paziente zero, insinuando che sia stato lo stesso esercito statunitense ad aver introdotto il virus a Wuhan in occasione dei giochi sportivi militari tenutosi a in questa città nell’ottobre del 2019.

L’ipotesi formulata dai cinesi è sposata dal giornalista brasiliano Pepe Escobar, il quale scrive che, essendo la Cina oggi il centro dell’economia mondiale, essendo diventata il socio commerciale di circa 130 paesi e avendo firmato solo nel 2019 contratti per la costruzione di infrastrutture per 128 miliardi di dollari, costituisce effettivamente – come ha affermato Trump – la più grande minaccia economica e militare per gli Stati Uniti.

Come si può ben capire, ci troviamo costretti a questo punto a parlare di guerra batteriologica o biologica, ossia di qualcosa di cui, nei tempi della cosiddetta guerra ibrida, bene o male tutti noi abbiamo sentito parlare o visto rappresentare magari in qualche film commerciale.

Ma che dati abbiamo su questo aspetto della questione?

Inevitabilmente ne menzionerò solo alcuni che mi sembrano importanti disposta ad accettare ulteriori informazioni da chi vorrà fornirmele.

La storia ci ricorda vari episodi di guerra batteriologica/biologica, di cui si resero responsabili gli antichi greci, i cartaginesi, gli spagnoli e gli inglesi nel Nuovo Mondo; infatti, sappiamo con certezza che questi due ultimi gruppi scientemente regalarono ad esponenti delle nazioni originarie indumenti appartenuti ad individui infettatati dal vaiolo, che – come è noto – fu una delle più rilevanti cause dello sterminio degli indo-americani.

Ernesto Burgio, medico pediatra, esperto di epigenetico e medicina molecolare, presidente del Comitato scientifico della Società italiana di Medicina ambientale (SIMA), fa notare che vi sono ragioni economiche (rapporto costi/benefici) che fanno delle armi biologiche un utile strumento: “Secondo stime un po’ semplicistiche, ma attendibili, la potenzialità bio-distruttiva di un grammo di spore di antrace è pari a quella di 700 grammi di plutonio da fissione, di 70 chilogrammi di gas nervino, di tre tonnellate di bombe al cluster”.

Detto in soldoni, ciò significa che con un po’ di spore di antrace si fanno fuori milioni di esseri umani a bassissimo costo (V. Armi biologiche e guerra (infinita) al pianeta).

Purtroppo per chi ha intenzione di far uso di tali strumenti di morte, scrive sempre Burgio, le armi biologiche “sono praticamente incontrollabili”, giacché “ogni volta che un microrganismo patogeno comincia a circolare all’interno della biosfera, la durata della sua permanenza in essa e il suo percorso sono assolutamente imprevedibili” (Ibidem).

E quindi è del tutto possibile che il diffusore stesso rischi di infettarsi e di infettare i suoi compatrioti.

Secondo la costituzionalista venezuelana M. Alejandra Díaz, intervistata da Telesur, vi sono delle ricerche, per esempio, quella di uno studioso venezuelano di nanotecnologie che ha tracciato la mappa genetica del virus, arrivando alla conclusione che esso sarebbe il risultato della combinazione di vari virus; mentre dalla ricerca di uno studioso cinese si ricaverebbe che il Covid-19 scaturisce dall’unione di segmenti tratti dall’HIV e dalla SARS.

La Signora Díaz, membro dell’Assemblea nazionale costituente del Venezuela, è convinta – come il già citato giornalista brasiliano – che il virus responsabile dell’epidemia in Cina sia uscito dai laboratori statunitensi, in effetti numerosi a partire dal secondo dopoguerra e moltiplicatisi dopo l’11 settembre.

La costituzionalista latino-americana sostiene che gli Stati Uniti stanno distruggendo il sistema di ordine internazionale da loro stessi creato dopo la Seconda guerra mondiale, e che stanno imponendo uno stato di eccezione mondiale, in cui il diritto viene sospeso e conta solo la forza.

In particolare, secondo questa ipotesi il Covid-19 sarebbe stato creato per colpire la Cina, facendone rallentare l’economia e danneggiando così anche quei paesi, come la Russia e l’Iran, che riforniscono l’ex impero celeste di petrolio e di gas.

Con questo atto, gli Stati Uniti avrebbero attaccato contemporaneamente i loro più acerrimi nemici: la Russia che li sfida sul piano tecnologico-militare e la Cina che li sta surclassando sul piano economico.

D’altra parte, fonti autorevoli, come il giornale Nature Medicine, considerano improbabile che il nostro virus sia il prodotto di una manipolazione fatta in un laboratorio di virus dello stesso tipo, perché tali cambiamenti possono anche avvenire per via naturale.

Inoltre, diversi esperti ci spiegano che è possibile distinguere tra le mutazioni dei virus prodotte in laboratorio attraverso l’inserimento nel genoma di un virus di pezzi del RNA di altri agenti patogeni, e quelle prodotte secondo il principio della selezione naturale, che avvengono in maniera graduale e uniforme.

Da parte sua, il biologo Paolo Massucci, ritiene che l’origine naturale o artificiale di un virus si può desumere, su basi probabilistiche, dallo studio delle sequenze variate di materiale genetico.

L’eventuale presenza, ad esempio, in un nuovo virus, di sequenze provenienti dai virus normalmente utilizzati nei laboratori a scopi di ingegneria genetica, fa propendere per l’ipotesi di una manipolazione umana.

Ma si tratta di un’indagine complessa che non sempre fornisce risultati certi e definitivi.

In ultima istanza, quindi sembrerebbe che, nonostante il dibattito sia acceso, gli epidemiologi e altri studiosi del settore sembrano escludere la produzione artificiale del COVID-19, mentre considerazioni di carattere geopolitico potrebbero suffragare una diversa ipotesi non necessariamente fondata sulla manipolazione del virus, ma più probabilmente sull’idea della diffusione casuale e/o volontaria del virus.

Richiamandomi un’altra volta al Burgio, vorrei aggiungere qualche altra rapida riflessione sulla storia della guerra biologica / batteriologica.

L’eminente studioso ricorda che durante la Seconda guerra mondiale giapponesi e tedeschi sperimentarono gli effetti di agenti patogeni su cavie umane, e che molti di loro furono assoldati successivamente dagli Stati Uniti, con la mediazione di Henry Kissinger e Allen Dulles, per lavorare nei laboratori di quel paese.

Scrive Burgio: “il programma americano per la guerra biologica, partito con un certo ritardo nel 1942, fu in grado di recuperare il tempo perduto nell’immediato dopoguerra, anche grazie alla preziosa collaborazione degli scienziati giapponesi della famigerata Unità 731, che avevano disseminato la Cina di pulci portatrici del bacillo della peste”.

Nel periodo della Guerra fredda entrambe le parti in lotta portarono avanti queste ricerche sviluppando “batteri, virus e tossine sempre più micidiali”, fino al momento in cui Stati Uniti ed Inghilterra presero la decisione di vietare le cosiddette armi dei “poveri” e sviluppare sempre più la guerra tecnologicamente più costosa, promuovendo la Biological Weapons Convention del 1972, per tenere a freno i paesi più litigiosi.

La Convenzione fu poi osteggiata da Clinton e da Bush, osserva Burgio, perché – riassumendo -: “proprio in quegli anni e proprio nei laboratori americani, si stava realizzando la rivoluzione tecnologica che avrebbe sconvolto il mondo della genetica e fornito agli scienziati gli strumenti necessari a trasformare innocui microrganismi in microscopiche bombe intelligenti, più potenti di qualsiasi arma mai costruita”.

Con questa rivoluzione gli scienziati, dotati o no di una sensibilità etica, si trovarono in mano i mezzi forniti dall’ingegneria genetica, con i quali è possibile “modificare e manipolare con una certa precisione il codice stesso della vita”.

Ovviamente queste scoperte trovarono immediatamente applicazioni che garantivano a imprese come la Geniatech, fondata dal premio Nobel Paul Berg, immensi profitti e mostrarono l’impossibilità di opporre ostacoli al proliferare di ricerche in questo campo, in cui per di più non è facile distinguere tra il loro uso difensivo e quello offensivo.

Quali sono le conclusioni che traggo da queste informazioni?

Molto rapidamente vorrei osservare che nessuno nega che il tardo capitalismo sta vivendo una crisi letale, dalla quale si può uscire solo trasformando dalle fondamenta il sistema attuale basato su micidiali conflitti e su strategie distruttive.

Purtroppo, l’unica via di uscita che immaginano i decisori mondiali, è quella di far pagare, ancora una volta, la terribile crisi alle masse popolari, attraverso politiche di austerità draconiana e con l’uso dello stato di eccezione mondiale, come suggeriva la Signora Díaz.

Dunque, il panico suscitato dalla diffusione volontaria o involontaria del COVID-19 sembra risultare assai utile a farci tacere e sottomettere ancora una volta, senza scartare l’ipotesi della guerra ibrida tra potenze.

Almeno avessimo imparato dalla storia…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italexit?

Trump Presidente: l’america segue Clint Eastwood

Coronavirus, stare dall’altra parte!