foibe

Oggi si celebra IL GIORNO DEL RICORDO.

Una solennità dedicata a ricordare le vittime dell’odio, italiane, gettate vive o moribonde dagli jugoslavi di Tito nelle crepe carsiche dette ‘foibe’.

Gli oltre 350.000 italiani, profughi di quelle terre, spinti alla fuga dalle loro terre cadute in mano dei comunisti titini, dovettero abbandonare ogni cosa, dirigendosi in massa verso l’Italia.

È Storia che troppi furono gli italiani, intrisi e corrotti dall’ideologia comunista, che negarono ogni aiuto: persino negando la sosta nelle stazioni, negando l’acqua ai bambini e agli anziani, a tutti.

Drammi collettivi e individuali leniti – nel tempo, e solo in parte – dallo slancio e dalla generosità di Italiani che aiutavano altri Italiani, più sfortunati di loro.

Quanti uccisi così barbaramente e gettati nelle foibe, furono ritrovati alcuni anni dopo, e il recupero dei corpi suscitò dolore e sdegno negli Italiani. Il governo italiano insediatosi nel dopoguerra si era impegnato a corrispondere aiuti a quanti tutto avevano dovuto abbandonare in mani nemiche. Ma la “pratica” è ancora aperta, nonostante gli impegni solenni.

Quelli che sono qui sotto riportati, sono i pensieri di un Italiano, legato da sentimenti patri e famigliari a quegli Italiani cacciati da terre italiane cedute a mani ostili e avverse.

Le sue lucide, scarne ma pesanti parole, sono frutto dei suoi ricordi diretti: scavano drammaticamente, ancora oggi, l’animo di chi legge condividendo sofferenze e delusioni di altri nostri Fratelli Italiani.

Ma anche una ricorrenza solenne che deve aiutarci a cacciare dalle menti, dai cuori, dalle labbra, la parola “”guerra””: fin troppo frequentemente usata, in questi ultimi tempi.

Occorre lavorare per la PACE, respingendo ogni tentativo di fare passare le guerre ora come buone ora come cattive.

Le guerre tali sono, con tutti ciò che di tragico e luttuoso trascinano con sé.

L’Italia ripudia la guerra, recita solennemente la nostra Costituzione: ma la guerra, ogni guerra, è un puzzle composito, con mille sfaccettature.

Deve invece SCOPPIARE LA PACE, riconducendo gli Uomini dall’odio (troppo spesso immotivato) verso un Amore Universale condiviso con animo fraterno.

Questo è l’unico modo degno per celebrare le vittime di tutte le guerre. Che il grido possente MAI PIÙ GUERRE salga possente nel Cielo, riecheggiando di valle in valle.

 

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Mio bisnonno, italiano d’Istria, fu deportato sotto l’Austria nel campo di Katzenau, vicino Linz

Mio zio, della Regia Marina, rifiutandosi di collaborare coi tedeschi fu deportato allo Stalag B, tra Germania e Polonia.

Mia mamma, perché espresse compiacimento per Trieste italiana, fu incarcerata dalla polizia politica Yugoslava, la famigerata OZNA.

Mio padre, fuggito in quanto italiano dalla Yugoslavia, è stato sbattuto tra un campo profughi ed un altro fino ad arrivare nell’orfanotrofio di don Orione, a Roma.

Io e mia sorella, coi miei genitori, abbiamo vissuto al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma in una casa popolare di 48 mq per 30 anni.

Non una vita, ma tre generazioni in salita.

Antonio Ballarin

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