“Spegni la TV, riaccendi la speranza”

Triennio 2020-2022: responsabilità di istituzioni e media nel sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A quanto pare, le restrizioni adottate e una cattiva gestione dell’informazione hanno influito in modo significativo sul benessere mentale delle persone più fragili, specialmente se intolleranti all’incertezza, o con disagio mentale preesistente.

In Italia, si assiste tuttora a un sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A confermarlo sono i risultati di ricerche scientifiche e studi condotti dall’ISS e dall’OMS, di cui condivido i link per chi volesse approfondire l’argomento.

Il fattore determinante è la paura

Raggiungo a Milano la dott.ssa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista dal 1982 e Consigliere Nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, per fare il punto della situazione.

Le chiedo quale sia, a suo avviso, il fattore determinante. “Nel 90% dei casi è la paura. Prima eravamo abituati all’idea di poter fare qualsiasi cosa, come se la morte non esistesse o fosse una lontanissima probabilità, che comunque non accade mai a noi. Improvvisamente siamo stati colti dalla paura di morire. Ed è questa paura ad aver schierato le persone in fazioni, alimentando divisioni e discriminazione.”

 

Le categorie più fragili

In base all’esperienza dell’intervistata, ad essere più colpiti sono gli adolescenti, molti dei quali manifestano forme di fobia patologica a tutto.

“La paura della morte è primordiale e ne siamo tutti più o meno toccati. Da ragazzi ci crediamo immortali. Col passar del tempo, si fa sempre più vicina. Il grande dramma al quale assisto nel mio lavoro è che il 90% dei miei giovani pazienti, alla domanda ‘Come va?’, risponde ‘Boh’. In generale sembra non abbiano più parole per ‘documentare’ ciò che provano, chi sono. L’unica parola che riescono a dire è ‘Boh’. I giovani d’oggi crescono senza conoscere se stessi” prosegue “E questo vale per tutti noi: non ci conosciamo più. ‘Grazie’ al computer e più in generale alla tecnologia, è come se viaggiassimo con un bigino in tasca della vita. Non abbiamo più una vita ‘vera’ dove incontrare le persone, conoscerle, capirle, confrontarci con loro sui fatti della vita. Molti di noi  – continua – tendono a chiudersi in ‘bolle’ in cui tutto va bene, tutto è perfetto …  Ma non è vero: sembrano ‘cadaveri’ che camminano. Non c’è la voglia di conoscersi, di ascoltarsi: ci si interrompe continuamente. Gli ascoltatori sono circa il 10%. Troppo pochi.” 

Riguardo alla donna, la Dott.ssa Pagliacci Cipriani non concorda con i risultati degli studi che ne evidenzierebbero una maggiore vulnerabilità. Pur essendo più sensibile al cambiamento, infatti, la donna ha sempre dimostrato una maggiore forza e resistenza rispetto all’uomo. Quest’ultimo, per sua natura, tenderebbe all’ipocondria, sottoponendosi a mille esami e analisi per accertare l’eventuale presenza di una malattia. Comunque l’uomo, più abitudinario rispetto alla donna, farebbe più fatica ad accettare e gestire il cambiamento.  

Per quanto attiene alla categoria sociale più colpita, la dott.ssa Pagliacci individua nella classe più abbiente una maggiore vulnerabilità alla sofferenza provocata dall’idea della morte, non più vista come lontanissima probabilità ma come qualcosa che può accadere da un momento all’altro. Di qui la corsa al vaccino vissuto come qualcosa di taumaturgico, in grado di salvarti la vita. Senza tener conto del fatto che, essendo in fase sperimentale, le conseguenze del suo utilizzo non erano e non sono tuttora pienamente prevedibili. 

Le fasce sociali media e bassa invece, più abituate alla “sofferenza”, hanno a suo avviso reagito molto meglio rispetto alla classe “alta”.

 

Il ruolo delle Istituzioni

Alla mia domanda sul modo in cui le restrizioni imposte abbiano influito sull’aumento degli individui colpiti da ansia, depressione e stress, la Psicanalista risponde che a tutt’oggi, nonostante non sia più obbligatorio, in ambiente ospedaliero rimane l’imprinting di indossare le mascherine. Questo, ovviamente, mantiene vivo il ricordo dei peggiori momenti del triennio trascorso, alimentando ulteriormente l’ansia.

E qui la dottoressa, che premette di odiare le etichette “pro vax” / “no vax” e i protocolli*, racconta un episodio della sua vita personale. Il fratello aveva avuto un tumore al polmone. Era stato operato e l’intervento era andato benissimo. Stava bene. Tuttavia il protocollo esigeva per lui la somministrazione di più dosi di vaccino. “È morto in ospedale in seguito a questi protocolli” conclude la Dottoressa Pagliacci Cipriani, convinta che se fosse rimasto a casa, curato da un medico “come quelli di una volta” che ti guardavano e capivano subito quello che avevi, e avesse preso le sue medicine, molto probabilmente oggi sarebbe ancora in vita.  

 

Il ruolo dei giornalisti e dei Media

Su quale sia la responsabilità dei giornalisti e dei media riguardo alla diffusione della paura, l’intervistata non ha dubbi: “È immensa: l’informazione trasmessa da radio e televisione nell’arco del triennio è tutta all’insegna della paura. Rare sono le persone che si azzardano a dire: ‘Tranquilli …’ e quei pochi vengono additati come quelli della contro informazione. 

“Quando muore qualcuno – prosegue –  tu stai bene al momento. È dopo che viene fuori il lutto. La stessa cosa è successa con il Covid. All’inizio si sono avuti dei drammi reali. È in un secondo tempo che sono emersi tutto l’immaginario e una scenografia deleteria: l’informazione aveva minato alla base tutto ciò in cui credevi. Accendevi la tv e sentivi, una dopo l’altra, centomila cose deleterie. In meno di un anno si è arrivati a non avere più fiducia in niente, soprattutto nei riguardi dei media e delle istituzioni. Dal patriottismo sanitario del ‘volemose bene’ – bandiera alla finestra, ‘Evviva l’Italia’, ‘Siamo tutti uniti’, ‘Che bello, siamo insieme’ – si è passati, nel giro di pochi mesi, a ‘Basta (cattive notizie ndr), non ce la faccio più’. Alla stanchezza e a un generale senso di impotenza si sono aggiunte, nel tempo, le fazioni. Senza ahimè comprendere che nelle guerre non ci sono mai né vinti, né vincitori. Gli schieramenti hanno generato incomprensioni, che hanno messo fine a rapporti di amicizia e di amore. Da un giorno all’altro, persone che credono di conoscersi da una vita si ritrovano improvvisamente ‘nemiche’. Anche quando dici di conoscere qualcuno, infatti, in realtà non lo conosci affatto. È solo nei momenti più drammatici che puoi conoscere davvero una persona: nelle malattie, nella lotta per la vita, nelle difficoltà economiche. Allora ti rendi conto che l’altro è simile a te non perché ne condividi per forza le idee, ma perché le manifesta con la stessa libertà con cui tu esprimi le tue.”

 

L’elaborazione del lutto

Affrontiamo ora il tema del dolore emotivo e della sua metabolizzazione.

“Nel primo periodo si sono avute molte morti in terapia intensiva, causate dal sovradosaggio di ossigeno che ha distrutto i polmoni dei pazienti”, dice l’intervistata, che entra nel merito del tipo di dolore affrontato. “Il dolore causato dal dramma vissuto dai parenti è quello di chi perde un proprio caro non in seguito a una lunga malattia, ma da un momento all’altro, a causa di un incidente. Nel primo caso c’è tutto il tempo per abituarsi all’idea della morte. Nel secondo si vive un ‘dramma’, e si cerca un colpevole da accusare. L’informazione, diffondendo un minestrone di idee contrastanti, non ha certo aiutato le persone a reggere il dolore per l’improvvisa, inaspettata perdita dei propri cari. A tutto questo si aggiunge la scarsità o l’assenza addirittura di iniziative, da parte delle istituzioni, tese a offrire un sostegno di carattere psicologico al maggior numero possibile di persone.”

 

La nuova normalità

Oggi si parla tanto di “nuova normalità”. Ma che cos’è e quanto ci costa, a livello mentale, accettare e adattarci a questa nuova normalità?

“Non è una nuova normalità – risponde la Dott.ssa Pagliacci Cipriani – è convivere con il pensiero che, dietro alla porta, possa sempre capitare qualcosa. Guarda caso, subito dopo il Covid c’è stata la guerra: è un continuum. E questo pensiero è comune in tutte le fasce d’età. Anche i giovani, interrogati sui loro progetti e sul loro futuro, non sanno più cosa rispondere. È forse questa la ‘nuova normalità’ di cui tanto si parla? Certamente no. È una ‘sopravvivenza’ aspettando qualcosa che magari non arriverà mai più e che se arriva, è un qualcosa che stavi comunque aspettando. È bruttissimo.”

 

Il miglior antidoto alla paura

Per concludere chiedo alla Psicanalista quale sia, a suo parere, il miglior antidoto alla paura. “La speranza. Se nutri speranza, per esempio riguardo a un progetto, puoi ancora pensare che ogni cosa si risolverà. Ma se la speranza viene a mancare, soggiogata dai ‘Boh’, c’è poco da fare. Dovrebbe però, a mio parere, rinascere in una forma nuova, all’insegna del ‘basta con l’apparenza’. Non ne possiamo più dell’apparenza!”

 

Il modus operandi

“La scuola americana cognitivo comportamentista dice: ‘Cosa hai fatto? Ti spiego’. Io sono assolutamente certa che se tu non hai capito cosa precede il cosa è successo e poi vediamo cosa fare, non potrai mai guarire davvero. Perché sarà un cerotto. Quello che vedo, tra molti dei miei colleghi, è una superficialità ormai così forte per cui ciò che interessa è innanzitutto il guadagnare … Sono pochissimi i colleghi che si rendono conto che il paziente non ha neanche gli occhi per piangere. Oggi c’è: quanto ti deve dare, cosa deve fare … Anche qui parliamo di protocollo. Non parliamo di umanità, è come se l’umanità fosse scomparsa. Perché? Perché non si guarda oltre all’apparenza: quello che è ricco, quello che conta … ma chi se ne frega? Io devo guardare quello che c’è dentro. Devo aiutare questi ragazzi che urlano in silenzio.”

 

Le fonti

Dai risultati di uno studio condotto dall’ISS e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Padova, pubblicata dalla rivista accademica Bmj Open, si apprende che in Italia, durante il lockdown, l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio.  

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6898844

https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2022-04-26/covid-iss-il-lockdown-e-aumentata-depressione-soprattutto-giovani-160507.php?uuid=AE6GUTUB

L’OMS, nel testo della sua Costituzione firmata a New York il 22 luglio 1946, dà della salute questa definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Eppure, nel Survey pubblicato il 5 ottobre 2020, il Direttore Generale Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, ammette che il “COVID-19 ha interrotto i servizi essenziali di salute mentale in tutto il mondo proprio quando erano più necessari. I leader mondiali – continua – devono muoversi in modo rapido e deciso per investire di più in programmi di salute mentale salvavita, durante la pandemia e oltre”. 

https://www.who.int/news/item/05-10-2020-covid-19-disrupting-mental-health-services-in-most-countries-who-survey#:~:text=Bereavement%2C%20isolation%2C%20loss,outcomes%20and%20even%20death

Sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite si legge un riassunto del documento emesso dall’OMS il 10 marzo 2022: “Covid-19 aumenta del 25% i casi di ansia e depressione”. L’articolo mette in evidenza chi è stato maggiormente colpito e riassume l’effetto che la pandemia ha avuto sulla disponibilità dei servizi di salute mentale e su come questi siano cambiati durante il triennio.

https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/

 

 




Riprenditi presto, Ornella!

È di pochi minuti fa la notizia dell’annullamento del concerto della nota cantante Ornella Vanoni previsto per venerdì 3 febbraio alle ore 20:45 al Palazzo dei Congressi a Lugano.

L’organizzatore Denis Mazzotta ci fa sapere che lo Show “Le Donne e la Musica” è stato cancellato a causa dell’indisposizione dell’Artista e che non è prevista una data sostitutiva.

Questo il comunicato stampa: “La signora Ornella Vanoni presenta uno stato febbrile che la rende impossibilitata nella realizzazione della tappa del tour ‘Le Donne e la musica 2023’, programmata per la data 03/02/23 presso il Palacongressi di Lugano.”

Quella di domani sera sarebbe stata l’ultima tappa di una tournée che ha visto la Signora della canzone d’autore italiana, accompagnata da un ensemble di cinque musiciste, girare l’Italia cantando e raccontandosi ai suoi amati fan.

Colgo l’occasione per invitarvi a leggere l’articolo dedicato all’Artista, da noi pubblicato proprio ieri.

A Ornella va l’augurio mio e di tutta la Redazione di Betapress.it, di una prontissima guarigione.

 

 

 

 

 




Il coraggio eroico di Ornella Vanoni

 

Il 3 febbraio prossimo, al Palazzo dei Congressi di Lugano, farà tappa l’imperdibile show di Ornella Vanoni: “Le Donne e la Musica”.

Ad accompagnare la Signora della canzone d’Autore italiana, una piccola orchestra di cinque musiciste d’eccellenza: Sade Mangiaracina (pianoforte e arrangiamenti), Eleonora Strino (chitarra), Federica Michisanti (contrabbasso), Laura Klain (batteria), Leila Shirvani (violoncello).

Il concerto è un’ottima occasione per riascoltare – oltre ai più recenti – i motivi che ne hanno decretato il successo nel mondo godendo, tra un brano e l’altro, del suo schietto modo di raccontarsi.

“Unica”

Ornella Vanoni, oggi, è limpida espressione e compendio di una vita vissuta con audacia alla scoperta di se stessa e dei suoi straordinari, multiformi Talenti. Il suo percorso umano e artistico, eccezionalmente ricco e longevo, è costellato di mete riservate a pochi. Comunque, in quasi settant’anni di carriera, di lei è stato scritto e detto tutto. Mi chiedo come sia possibile renderle omaggio, tenendo desti i lettori fino all’ultima riga dell’ennesimo articolo a lei dedicato. 

Ebbene: rivisitando alcuni momenti della sua vita alla luce del “Viaggio dell’Eroe” di Vogleriana memoria, ho individuato tre degli ingredienti del suo Successo: il Coraggio, l’Amore e l’Autoironia. Valori tutt’altro che scontati, che possono ispirare anche noi a trarre il meglio dall’esperienza che chiamiamo “vita”.

“Il Coraggio”

In ogni Viaggio dell’Eroe che si rispetti, non è facile all’inizio. Timidissima, insicura, ignara del proprio potenziale, O. non sa che fare di sé. Parla cinque lingue ma si sente “ignorante”. Eppure è già dotata di tutte le risorse necessarie per realizzarsi in pieno nella sua Identità più vera. C’è già tutto! Deve solo prenderne atto. “Non avevo nessun fuoco – racconta in un’intervista – ero inconsapevole di qualsiasi talento … Ero una ragazza da inventare.” 

“Hai una bella voce, perché non fai l’attrice?” le dice un giorno un’amica della madre. Se la vita è un groviglio di strade tutte virtualmente praticabili, a ogni incrocio c’è un segnale e sta a noi interpretarlo e prendere la giusta direzione. Ornella prepara la poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese e un pezzo dell’Elettra di Sofocle. Quindi si presenta all’esame di ammissione alla scuola del Piccolo Teatro. Davanti a sé ha dei “giganti”: oltre al regista Giorgio Strehler, ci sono l’impresario teatrale Paolo Grassi e l’attrice Sarah Ferrati che, dietro all’impaccio e alle interruzioni dell’aspirante allieva, percepisce “qualcosa”. Infatti, viene presa.   

È con Strehler che Ornella intraprende il Viaggio alla scoperta di se stessa. “Ragazza da inventare”, in lui trova un maestro, un mentore, un uomo nel cui abbraccio sentirsi al sicuro. Per usare una metafora a lei cara, è un pezzo di legno che, nelle mani del suo Geppetto, si lascia trasformare in Pinocchio.

Il Piccolo Teatro è una ventata di cultura per la giovane Ornella. Parla pochissimo. Ascolta. Osserva. Assiste alle prove dei “grandi”, rubandone gesti e intonazioni. Impara. Cresce in fretta.

Ma la prova più grande da affrontare è il dissidio interiore fra la sua timidezza e una “missione” che la vuole sotto i riflettori, esposta all’attenzione, alla curiosità e al giudizio del pubblico.

Di questo Strehler è consapevole fin dall’inizio: “Amore hai un grande talento ma se sali sul palco è un miracolo, perché non hai i nervi per fare questo mestiere.” Il regista ha un’idea geniale: creare per lei un personaggio su misura. Nasce la “ragazza della mala” e un repertorio di finti traditional, in uno dei più famosi falsi storici della canzone italiana.

L’immagine della cantante intellettuale, dai modi scostanti e dall’aria un po’ snob è costruita, certo, ma funzionale a coprire la sua insicurezza. D’altra parte il pubblico, incuriosito, si lascia ammaliare dal suo fascino naturale, da questa sua moderna bellezza e soprattutto, da un timbro di voce unico al mondo. (A me ricorda tanto il sax soprano). 

Negli anni a seguire il cliché della cantante della malavita le sta stretto. La nostra eroina lascia il porto sicuro del Piccolo Teatro, il suo “creatore” e i suoi eccessi. Ha paura? Probabilmente sì. Ma è più forte in lei il desiderio di cimentarsi in cose nuove: la canzone d’autore, il jazz, il Brasile …

Seguono anni d’ansia, notti insonni, tre crisi depressive. Alla fine, la Vanoni si arrende al suo destino di eclettica Artista. “A un certo punto mi sono detta: ‘Magari sono brava’”. È la resa essenziale alla vittoria. 

Gli strepitosi risultati da lei ottenuti in campo teatrale, musicale, televisivo e cinematografico, sono tutti in rete.   

Ciò che di lei qui mi preme evidenziare è l’aver risolto, nel tempo, l’interiore incoerenza fra essere e apparire. Il duello fra paura e coraggio che assorbiva così tanta energia, ormai è un lontano ricordo. Basta ansia, insonnia, depressione! Non ce n’è più motivo.

“L’Amore”

Probabilmente è stato il padre a ispirare, in lei, la sua prima idea di Amore.

Di lui conserva, indelebile, il ricordo dell’eroe che, nel suo cappotto grigio, la prende per la vita e porta in salvo facendole scudo con il corpo, in una Milano sotto i bombardamenti. 

Quella del padre per la figlia è la forma d’amore più puro. Esistono, tuttavia, varie forme d’amore, come vari sono i personaggi che lo interpretano.

Strehler è il mentore, la guida, il faro nella nebbia. “Hai vent’anni, arriva il tuo maestro che è un genio assoluto e ti dichiara il suo amore. Che fai, non ti innamori?” Alzi la mano chi non si è mai innamorata del proprio professore, a scuola! 

Gino Paoli è l’amore irraggiungibile per cui lottare. “È stato un casino, un amore molto travagliato e forse ho amato Paoli così tanto proprio per questo. Non lo possedevo, non lo avevo” – confessa Ornella al giornalista  Malcom Pagani per Vanity Fair – “Quando non hai una persona sei portato a credere che l’amore più grande sia quello che ti fa soffrire di più. E invece, caxxo, dovrebbe essere il contrario. Dovresti amare chi ti rende felice». Qualcuno di noi ci è già passato? 

Lucio Ardenzi è l’errore di percorso che però ti fa un regalo, anzi, due: il debutto in teatro e un figlio. Nel 1960 Ornella si sposa in giallo (a quei tempi il suo colore preferito). Ha ventisei anni, l’età giusta per metter su famiglia. Ma non è vero amore. La verità è che è ancora innamorata di Paoli. Alla nascita di Cristiano, lei e il marito sono già separati. 

Hugo Pratt è l’amore platonico. Anche se tra loro non c’è stato mai nulla a livello fisico, la Cantante lo ricorda come l’uomo più affascinante che abbia mai incontrato. Quando ne parla le si illuminano gli occhi. “Avrei voluto seguire tutta la vita lui e morire vicino a lui” racconta in un’intervista. “E poi quando parlava, quando scriveva, quando raccontava … era un po’ come Borges … non capivi mai quale era la verità, quale era la finzione, quale era l’invenzione … Poi questa sua curiosità … Tu ti sedevi davanti a lui e il mondo era lì.”

Pino Roveredo (scrittore recentemente scomparso) è l’amore intellettuale, poetico, virtuale. “Un amico vero – ha confessato ad Alex Pessotto per “Il Piccolo” – ma quante litigate! La sua era un’intelligenza creativa. Parlare con lui era un piacere”.

Francesco Leto è l’amore non convenzionale. Nonostante i quasi quarant’anni di differenza d’età i due hanno trascorso, nello stesso letto, notti intere a chiacchierare.

Negli anni della maturità, l’amore acquista sfumature bellissime. È l’Amore che abbraccia il Tutto e si fa dolce come un frutto maturo. È l’amore incondizionato che Ornella prova per suo figlio Cristiano e i suoi nipoti Matteo e Camilla. È a loro che è dedicato il suo cinquantesimo disco: “Unica”.

Gesù è l’Amore che sposa, dell’Artista, la parte animica. Riempie, mitigandoli, i momenti di solitudine e malinconia. Riaccende nel suo cuore la speranza. A Ornella piace immaginarlo stanco, la sera, per il tanto camminare. Lei lo accoglie e lo rincorre per casa. Gli lecca i piedi nella certezza che non potrà ammalarsi: dopotutto, per quanto sporchi e impolverati, sono i Suoi piedi!

E poi c’è l’amore per gli amici, pochi ma veri. L’amore per gli ultimi, i vulnerabili, i sofferenti. L’amore che si esprime nell’abbraccio di qualcuno che ti stringe forte. “Perché l’abbraccio scioglie tutti i nodi. Ed è la cosa più bella che esista.”

L’amore per Ondina – il suo barboncino nero – inseparabile compagna di serate da “ragazze sole” trascorse giocando, mangiando, guardando la TV.

E poi c’è l’amore per l’Arte, per la Bellezza in tutte le sue forme e modalità espressive, per la Cultura, la Poesia, la Musica. Riguardo a quest’ultima, la Vanoni non è innamorata di un genere specifico: ama la musica di qualità. E ama il Talento, soprattutto quando è raro e straordinario.

L’Autoironia

Ornella si autodefinisce “spudorata”. Certo, un po’ lo è sempre stata, ma è finito il tempo in cui l’eccesso di franchezza serviva a mascherare il terrore del giudizio o di non essere all’altezza. Oggi Ornella si racconta senza tabù, mettendo in luce le sue umane debolezze, le idiosincrasie, le delusioni … soffermandosi a volte sugli episodi più buffi, o imbarazzanti, che la vedono protagonista. E qui l’autoironia, che è frutto di una piena accettazione di se stessa e del proprio intrinseco valore, la fa da padrona. 

Chi ha avuto la fortuna di conoscerla, di frequentarla per un periodo o anche soltanto di imbattersi in lei in centro a Milano a spasso con Ondina, sa benissimo che è “unica”: unica nella sua coerenza, perché è la stessa persona in pubblico e in privato. 

Oggi è tranquilla, serena, pienamente soddisfatta di sé e delle cose che ha fatto. Non ha alcun rimpianto. “Sono libera, sono lieve. Mi occupo più degli altri che di me stessa”. Meno egotica, più generosa, l’Artista si sente molto più felice di quand’era giovane. Anzi, la sua “vecchiaia” le piace tantissimo!

Il segreto della sua (invidiabile!) libertà di oggi, forse, è nell’aver trovato il coraggio di essere se stessa e, soprattutto, nel non prendersi troppo sul serio. Indubbiamente, basta un pizzico di autoironia per rendere la vita un’esperienza più “leggera” – che non vuol dire superficiale! – divertente e sopportabile, anche nei momenti più delicati. 

Non ci rimane che raggiungerla il 3 febbraio alle 20:30 al Palazzo dei Congressi di Lugano, in occasione dell’ultima tappa del suo concerto “Le Donne e la Musica”. Ascolteremo dalla sua viva voce le canzoni e i momenti che hanno costellato la sua lunga storia di Donna e Artista, rendendola “Unica”. 

 




Un “Aspern” che passerà alla storia

Prologo

“Strano, certamente, oltre ogni stranezza / che nell’inseguire tracce su tracce / ci fossimo imbattuti in fantasmi e polvere / meri echi di echi …”

Con queste parole, pronunciate dal narratore al microfono che rende la voce solenne come quella di un prete durante l’omelia, prende l’abbrivio uno spettacolo mai visto né sentito prima in questo modo: “Aspern”, “Singspiel” in due atti di Giorgio Marini e Salvatore Sciarrino, tratto dal racconto di Henry James “Il carteggio di Aspern”. Musica di Salvatore Sciarrino.

 

 

Una geniale Edizione

L’idea della giovane regista Sara Flaadt consiste nel celebrare il felice connubio fra prosa e musica contemporanea in uno degli auditorium più apprezzati d’Europa, quello della sede di Lugano della Radio Svizzera Italiana.

Accanto al fondale c’è l’Ensemble900, diretto dal Maestro Arturo Tamayo, costituito da due flauti (Benedetta Ballardini e Ilaria Torricelli), viola (Charlotta Westerback), violoncello (Elide Sulsenti), clavicembalo (Marco Borghetto) e percussioni (Igor Tiozzo Netti).

Nel proscenio si muovono e alternano gli attori a impersonare, rispettivamente: il poeta e narratore Henry Jarvis (Daniele Ornatelli), Giuliana (Giuseppe Palasciano), Titta (Jasmine Laurenti) e l’ermafrodito (Diego Pitruzzella).

A fare da contrappunto, fuori campo e in campo, è lo “spirito” impersonato dalla cantante soprano Elisa Prosperi.

Per consentire al pubblico di immergersi nell’atmosfera intessuta da strumenti e voci – grazie a sette microfoni collocati in quattro differenti postazioni, due intorno alla “testa”, due nell’area del “dialogo”, uno sul proscenio a mo’ di pulpito, due in cabina per gli ambienti esterni – ogni spettatore è dotato di un paio di cuffie stereo.

 

 

Note dell’Autore: Salvatore Sciarrino

A differenziarlo dal teatro realizzato fino a quel momento è “la scelta di un taglio stilizzato e ironico, al limite del paradossale: l’opera ‘a numeri’… È un singspiel deformato dalla lontananza dai suoi modelli: l’ouverture, le arie, i parlati, i ‘melodrammi’, i brani solo strumentali, si stemperano gli uni negli altri … Nell’insieme lo spettacolo mantiene nettissimi rigore e precisione pur nell’originalità dell’espressione … Abbastanza insolito, almeno per il teatro musicale contemporaneo, è il fatto che una situazione in taluni punti fin mortuaria, possa crescere e svilupparsi ai confini del riso … Altra anomalia è il fatto che l’unico personaggio cantante non abiti la scena – come del resto non alloggia in buca l’orchestrina – ma anzi la diserti d’abitudine. Infine, i testi musicati sono ‘altro’ da ciò che si sarebbe definito il libretto vero e proprio; essi, che pur garbatamente s’attagliano allo svolgersi dell’azione, la mettono in realtà quasi in discussione, offrendosi talvolta persino, più che come commenti, come il senso riposto dei fatti (‘la morale’), con ironia e malizia settecentesche, senza dubbio: tutto diviene finzione”.

Salvatore Sciarrino, dalla nota illustrativa redatta in occasione della première di Aspern, composta su commissione del Maggio Musicale Fiorentino, presso il Teatro della Pergola l’8 giugno 1978.

 

Trentaquattro anni dopo, a Lugano …

… prende il testimone Sara Flaadt, autrice e regista per il settore fiction della RSI. Nonostante la sua giovane età Sara ha un curriculum costellato di radiodrammi, pièces teatrali, opere musicali e il suo primo film, “Rivivendo Baudelaire”, presentato in anteprima al Lux Art House di  Massagno-Lugano lo scorso 9 aprile.

È sua l’idea di fare di “Aspern” un evento sonoro in cui musica e voci, sovrapponendosi e avvicendandosi, accompagnino lo spettatore-ascoltatore a vivere un’esperienza unica e memorabile.

Lo stesso Sciarrino, presente alle prove generali la sera prima del debutto, esprime parole di encomio per ogni singolo membro dello staff tecnico e artistico: un premio prezioso per l’impegno profuso!

Al termine della performance gli spettatori – alcuni di loro estimatori del genere, altri curiosi di provare un’esperienza di questo tipo – condividono il loro apprezzamento per l’originalità e la “fruibilità” dello “singspiel”. Qualcuno di loro mi omaggia con brevi riprese fatte col telefonino. Realizzo allora che, a “orecchio nudo” – senza cuffie – sarebbe impossibile godere di questa meraviglia: la magia, infatti, è frutto della perizia di un team di tecnici audio che, dal mixer in regia, “dosano” musica e prosa con la stessa maestria di un pittore che gioca coi suoi colori.

 

 

La storia, in breve

Uno scrittore – il narratore, che assume di volta in volta anche le voci di Giuliana e di Titta – rievoca la sua ricerca del carteggio del poeta americano Geoffrey Aspern, in possesso dell’ormai decrepita Giuliana Bordereau, un tempo amica – o forse amante – dell’ormai defunto poeta.

Così, con la scusa di doversi trattenere a Venezia per un lavoro letterario, riesce a prendere in affitto a un prezzo esoso alcune stanze della spettrale dimora delle due donne. La sua speranza è quella di potersi impadronire delle carte di Aspern, alla morte della vecchia signora.

In una rara conversazione con Titta, lo scrittore ne conquista il favore ottenendo conferma dell’esistenza delle lettere di Aspern a Giuliana. Quest’ultima le legge nottetempo, se ne prende cura e preferirebbe vederle distrutte piuttosto che cederle ad altri.

Approfittando dell’oscurità e della porta stranamente spalancata, il narratore si introduce nella camera dell’anziana signora nella speranza di trovare il prezioso carteggio.

Purtroppo non riesce nel suo intento: Giuliana si accorge della sua presenza e, in preda alla furia, cade all’indietro, morta, tra le braccia della nipote.

Il giorno dopo lo scrittore chiede a Titta delle fatidiche lettere e lei gli fa capire che, sposandola, potrebbe entrarne in possesso. Il narratore farfuglia un rifiuto e se ne va. Ci ripensa e torna il giorno seguente, ma è troppo tardi. Titta già ha bruciato le lettere, una ad una.

(una sintesi dell’argomento, dal libretto di sala).

 

 

Applausi

Dedico la mia standing ovation, oltre che allo scrittore Henry James, agli Autori Giorgio Marini e Salvatore Sciarrino, alla regia (Sara Flaadt), alla produzione (Francesca Giorzi), ai tecnici audio (Thomas Chiesa, Yuri Ruspini, Lara Persia), al Maestro Arturo Tamayo, ai musicisti dell’Ensemble900 (Benedetta Ballardini, Ilaria Torricelli, Charlotta Westerback, Elide Sulsenti, Marco Borghetto, Igor Tiozzo Netti), alla soprano Elisa Prosperi, agli attori Daniele Ornatelli (narratore), Giuseppe Palasciano (Giuliana), Diego Pitruzzella (ermafrodito), e anche a me nei panni della nipote di Giuliana, Titta.

Dallo spettacolo, andato in scena domenica 27 novembre 2022, verrà estratto un radiodramma. Il video verrà trasmesso dalla Tv Svizzera in data da stabilire.

Per ora è tutto. Alla prossima Pagina di Diario!

Jasmine Laurenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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Julianne and Me

La cronistoria di un sogno che si avvera

Mi ero ripromessa di scriverne al mio ritorno a Lugano ma, colta di sorpresa da un vortice di novità al mio rientro, riesco a farlo solo ora.

L’esperienza veneziana è stata un momento di gloria, un vero e proprio tatuaggio nella memoria.

A cominciare dai preparativi, come la scelta dell’abito e degli accessori.

Il meteo dava pioggia, per l’otto di settembre. Eppure, continuavo a “vedermi” nel mio lungo abito di seta damascata in nuances avorio e champagne con spalline sottili, con sandali d’oro e una micro borsetta dai cangianti riflessi argento e oro. Una chicca.

Si riaffaccia alla mia mente un’antica domanda: “Come potrei sentirmi a Venezia – città che, per me, non ha pari al mondo per carisma, fascino e mistero – passeggiando lungo il Lido brulicante di folla variopinta, in occasione della Biennale del Cinema?”

Quest’anno ho avuto l’ebbrezza di essere Eva in “Sola Nina”, secondo lungometraggio a firma del regista indipendente Massimo Libero Michieletto – il suo esordio alla macchina da presa è avvenuto con “Desiderie”, docufilm di cui abbiamo già parlato – interpretato fra gli altri dalle attrici Carlotta Piraino (Nina) e Maria Casamonti (Maria), coprotagoniste di una storia intrisa d’amore, imprevedibilità e speranza.

Il film, che mentre scrivo è in post produzione, è stato presentato lo scorso otto settembre alla conferenza stampa indetta dalla Treviso Film Commission assieme ad altre nove opere: un altro lungometraggio – “72 ore e …” di Luciano Luminelli – tre format e serie tv – “48 ore” di A_LAB Produttore, “Bottega Reato” di Restera Produzioni, “Drive Up” di Silvia Chiodini – un documentario – “I Colli Asolani” di Piero Cannizzaro – tre cortometraggi – “Until The Last Breath” di Eddy Colucci, “Bianco” di Elena Carnio, “Valdo Hills Meet” di Riccardo Della Vedova – un video promo – “Golfer’s Wide To Italy, GOLF TV Web Channel” IMG Produzione.

A Treviso, la città dei miei felici albori …

Ho scelto di pernottare a Treviso – città dove ho trascorso i miei primi, spensierati anni come “voce” alla radio – così che, a una ventina di minuti di viaggio da Venezia, avrei potuto immergermi nell’atmosfera festivaliera in modo dolce, graduale.

Senonché, sveglia di primo mattino, mi affaccio alla finestra e vedo, sul tetto del palazzo accanto al mio hotel, pozzanghere d’acqua e sopra, piccoli cerchi concentrici. Nell’arco di pochi minuti, è pioggia torrenziale.

Il cielo è bianco e il palazzo di fronte sembra giocare a nascondino in una nube di vapore. A un certo punto, sul davanzale, chicchi di grandine cadono con gran fragore.

Getto uno sguardo sul letto, sui jeans da abbinare a un maglioncino di cotone bianco e poi sul lungo abito, appeso alla specchiera dell’armadio, miracolosamente sopravvissuto al trasporto in valigia.

Mando un messaggio all’amica più cara – la mia “Fata Madrina” – e le chiedo un parere sul da farsi.

La risposta arriva, inequivocabile: “Non cambiare programmi. Comprati un impermeabile lungo, di nylon, da uomo e un paio di ballerine d’oro. Poi magari non piove …”.

Così, mentre fuori continua a diluviare, indosso il mio abito da diva e i sandali d’oro. In un morbido zainetto ripongo jeans e maglioncino, sperando di non dovermi cambiare.

 

A Venezia, la città dei gloriosi approdi …

C’è una canzone che mi piace moltissimo: “Destinazione Paradiso” di Gianluca Grignani. Decido di farne la colonna sonora del mio breve viaggio verso Venezia, di prima mattina, avvolta nel mio abito da sera. “Come se” il sole mi fosse garantito per tutto il giorno; “come se” mi attendesse l’Oscar come migliore attrice non protagonista; “come se” fosse tutto meravigliosamente già scritto, nel libro d’oro del mio Destino.

Mi siedo accanto a Massimo – il regista – e a Eliana – Segretaria di Produzione. Insieme pregustiamo la giornata che ci attende. Al capolinea, Venezia S. Lucia, ci raggiunge Carlotta – “Nina”, l’attrice protagonista. Dopo aver acquistato impermeabili in nylon tascabili, prendiamo il bus navetta che ci porta al Tronchetto e lì, a mezzogiorno, partiamo in battello per il Lido.

 

Un magico incontro

La memoria corre all’ormai lontano 2014, nel piccolo appartamento nel West Village, con la mia compagna di viaggio Lisa. Squilla il mio cellulare italiano. È la casa di doppiaggio che mi chiede la disponibilità per settembre. In direzione, l’attore Claudio Moneta. L’attrice da doppiare è Julianne Moore nella riedizione italiana di “An Ideal Husband”, film del 1999 diretto da Oliver Parker, tratto dall’omonima commedia di Oscar Wilde.

Beh, non capita tutti i giorni di essere scelti come voce senza passare per un provino. Claudio aveva fatto la sua scelta, bontà sua. Non mi restava che dire “sì, ci sono” e quando avrei potuto recarmi in sala di doppiaggio.

Ecco: il mio pensiero va a quel momento, in quel piccolo appartamento condiviso con Lisa a Manhattan. Quale onore poter dare la mia voce all’attrice – e che attrice! – Julianne Moore, nei panni della spregiudicata, elegantissima Mrs Laura Cheveley!

Ma torniamo a noi e alla nostra gloriosa gita veneziana …

Al Lido, sotto un timido sole, ci mettiamo in posa per la foto di rito. Oltre al regista Massimo Libero Michieletto c’è Eliana Boschiero (Segretaria di Produzione) e le attrici Carlotta Piraino (Nina), Giovanna Digito (la ragazza vestita da sposa) e la sottoscritta (Eva, sorella maggiore di Nina). Con noi c’è anche una distinta signora, Lisa, uno degli sponsor del Progetto.

Manca qualche minuto all’inizio della conferenza che si terrà in una delle sale dell’Hotel Excelsior. Temporeggiamo, chiacchierando del più e del meno.

A un certo punto, passa davanti a noi un gruppetto di persone e in mezzo a loro, l’esile figura di una donna in tee shirt e pantaloni blu scuro, un berretto con frontino in tinta ben calcato sulla fronte, e un paio di occhiali neri. Sarà la chioma rossa … sarà l’elegante andatura … ha un’aria familiare. Incrocio il suo sguardo, le sorrido e, per un istante, ho l’impressione che mi stia ricambiando!!!

Ma certo! È Julianne Moore! Condivido felice la mia scoperta con il resto del gruppo, aggiungendo di averle dato la mia voce nella riedizione italiana dell’home video di “Un Marito Ideale”.

Sono contenta e paga di averla vista passare, a pochi metri da me.

 

Se puoi avere di più dalla vita, perché accontentarti?

Alle mie parole, la reazione di Eliana è immediata: “Ma come, le hai dato la tua voce e non glielo dici???!!! Ma quando si ripresenta un’occasione come questa?!?” Eli è un fuoco d’artificio in pieno giorno. Si offre di accompagnarmi. Ci dirigiamo a passo spedito verso l’ingresso principale. A un certo punto dobbiamo correre, perché il gruppetto è a pochi metri dall’entrata e gli basta un attimo per scomparire alla nostra vista, scortato da una guardia del corpo.

Non mi resta che portare la voce, sollevarla come si fa a teatro affinché lo spettatore dell’ultima fila possa udirla: “Hello Mrs Moore, I’m Jasmine Laurenti, your Italian Voice in the Italian re-edition of ‘An Ideal Husband’!!!”.

Silenzio. Nel venticello veneziano, quell’esile creatura si gira verso di me, a un passo dalla porta d’ingresso … scosta con la mano la guardia del corpo pronta a impedire il nostro incontro e mi sorride, come una bambina che scarta il suo regalo di compleanno.

“Really????” “Really”. Segue un abbraccio e un gioioso, reciproco apprezzamento. Penso alla bravissima doppiatrice che le ha dato la sua voce nella prima edizione italiana, la bravissima Roberta Greganti. Col pensiero condivido la mia gioia con lei, sperando che abbia il dono della telepatia.

 

Morale di questa breve, felice storia.

La vita è costellata di felici, inaspettati avvenimenti. Per tutti, nessuno escluso. Anche per te, che stai leggendo queste righe proprio ora. È che pensiamo spesso, ed è questo il nostro errore, di aver già ricevuto “abbastanza”.

Ma la vita ha sempre un asso nella manica e, quando meno te lo aspetti, ti presenta un Regalo.

Io sono stata benedetta doppiamente. Anzi. Triplamente.

Nell’aver colto l’opportunità di fare la mia parte in un Progetto di valore non mio, come se fosse stato un po’ anche mio.

Nell’aver riconosciuto in un’esile figura di passaggio, una delle attrici a cui ho dato la mia voce. Una delle mie preferite.

Nell’aver ricevuto, al momento giusto, una dose di scoppiettante entusiasmo per la Vita: l’entusiasmo bambino di chi in Essa si abbandona e si fida. Grazie Massimo. Grazie Eliana. E grazie Julianne!

Alla prossima,

Jasmine

Incontro Julianne Moore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Diario di Eva sul set di “Sola Nina” – Seconda Parte

Il Viaggio

Questa è la parte che preferisco di un’esperienza: il viaggio, ovvero l’uscita dalla zona di comfort, l'”andare verso” qualcosa di nuovo, l’avventura nell’avventura.

Destinazione: la Grande Mela. Ho un vivido ricordo dei giorni trascorsi in Union Square, nella storica sede della New York Film Academy, e di quei lunghi dopocena consumati nel grazioso loft di Brooklyn, a preparare scene e monologhi per il giorno seguente. Verso mezzanotte rientrava Lisa, la mia compagna di viaggio. Prima di andare a dormire, mi porgeva le battute dei vari personaggi affinché potessi memorizzare le mie.

Mi è sembrato più che naturale invitarla ad accompagnarmi sul set del primo lungometraggio del regista veneto Massimo Libero Michieletto. Il film, dal titolo provvisorio “Sola Nina”, è stato girato nell’alta marca Trevigiana, nella zona del Prosecco di Valdobbiadene e dintorni.

 

Sola Nina o solanina?

È un gioco di parole che ha più di un livello di lettura.

Nina, la protagonista della storia, è una giovane donna lasciata dal marito per un’altra. La sua è la solitudine dolorosa di chi ha sofferto penuria di accoglienza, riconoscimento e amore sia in ambito familiare, sia coniugale. Una solitudine che, se non vista e affrontata a cuore aperto e mente lucida può diventare, nel tempo, un subdolo veleno.

E qui entra in gioco “Solanum Tuberosum”, nome latino della patata che, assieme ai pomodori e alle melanzane, fa parte di una famiglia di vegetali che, per difendersi da predatori vari, producono un glicoalcaloide fortemente tossico per l’Uomo: la “solanina”, appunto.

Ma alla radice di Solanum c’è “solanem”, parola latina che sta per “consolazione”, “conforto”, da cui deriva “cum solare”, “consolare”.

La natura è perfetta e nel veleno nasconde la medicina.

 

Eva

È il personaggio da me interpretato. Sorella maggiore di Nina e madre di Evita, il suo scopo è portarci alla radice da cui trae nutrimento il corpo di dolore della protagonista. Attorno a una tavola spoglia su cui viene servito un imbarazzante pranzo, la radice malata di una pianta sterile e secca viene, finalmente, portata alla luce e offerta all’empatico, misericordioso sguardo dello spettatore.

Nell’egocentrismo di Eva infatti, nell’aridità affettiva, nel suo malcelato rancore verso la sorella minore – considerata a torto la più fortunata – il pubblico può riconoscere la ferita nascosta di una bambina ignorata, destinata a diventare una donna irrisolta, narcisista e invidiosa.

Non ci è dato sapere se Eva intraprenderà il viaggio interiore alla scoperta dell’antidoto al veleno che ancora distorce la percezione che ha di se stessa e della vita. Il focus è su Nina e sulla sua personale “Chiamata dell’Eroe” che, come vuole la migliore tradizione narrativa, si cela in un evento in apparenza disastroso: il tradimento e l’abbandono da parte del marito che credeva di amare così tanto.

 

Sceneggiatura e dialoghi: la cifra stilistica di un geniale regista

Ho trovato geniale e coraggiosa la scelta registica riguardo a sceneggiatura e dialoghi: una vera e propria sfida per attori come noi abituati a storie e battute preconfezionate, da mandare a memoria e “agire”.

Per apprezzare la cifra stilistica di Michieletto è fondamentale innanzitutto comprendere che la sua non è una rinuncia alla sceneggiatura e alla partizione dei dialoghi, per affidarsi all’improvvisazione degli attori.

In lui si è affermata, nel corso del tempo, l’idea che la realizzazione di un film sia un processo costante e non una successione organizzata per fasi. In questo processo la scelta degli attori è il presupposto determinante, anzi, è l’unica fase che precede il processo. Prima viene la comprensione dell’attore, della persona, nelle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche. Poi viene la costruzione del personaggio. La fiducia è totale. Ci vuole fede.

La sceneggiatura, qui, è contemplata come ars aruspicina*. Raccontare una storia per successione di immagini, infatti, è un processo induttivo, non logico deduttivo.

La sceneggiatura sembra non esserci ma esiste. Anzi, solo in questo modo può esistere. Non c’è interpretazione ma azione diretta da parte degli attori, ai quali il regista offre stimoli come frasi, immagini, simboli, musiche, suggestioni di qualsivoglia forma.

Per Michieletto fare un film è un crescente abbandono rabdomantico: il suo unico compito è rimanere fedele alla storia che vuole raccontare, alla più intima aspirazione e ispirazione di sé e degli attori. La sua parola d’ordine è “immaginare”, non sapere.

Per quanto riguarda i dialoghi il Regista li percepisce, in quasi tutti i film, forzati, macchinosi e falsi. Ecco perché la “realtà”, la verità, va costruita ben prima che si parli! La verità non recita: parla! E la scelta delle parole è fondamentale. La sensazione finale è di leggerezza, e ottenerla richiede fatica.

La scelta di Massimo, condivisa con gli attori in un messaggio alcune settimane prima di andare sul set, ha sortito in me l’effetto di un fresco gavettone che, dietro l’angolo, ti piove dall’alto. Con tremore ho accolto la sfida e interrotto la mia rilettura di “How to stop acting”, manuale dell’acting coach Harold Guskin dedicato all’attore che desidera liberarsi della tentazione a “recitare”.

Non ho più avvertito il bisogno di ricercare la verità con tutte le mie forze e a tutti i costi (che poi è sempre stato il mio obiettivo come doppiatrice). All’improvviso ero Eva, e come Eva avrei vissuto ogni singolo giorno della mia avventura, sin da prima di arrivare sul set.

 

“Stop showing: just be!”

“Smetti di mostrare, semplicemente sii chi sei”. Questo è il mio mantra. Serve a ricordarmi che non ho nulla da mostrare o dimostrare. Tutto quello che faccio è conseguenza di chi sono.

Ho abbracciato il Progetto di Massimo Libero Michieletto con l’entusiasmo bambino di chi grida al miracolo.

Venerdì 22 luglio, al nostro arrivo, Lisa – Lisa Mazzotti: la mia amica attrice, doppiatrice e direttrice di doppiaggio ndr – e io siamo state accolte come Thelma e Louise, sopravvissute ai quaranta gradi di temperatura in autostrada. Una doccia rinfrescante e via, tutti a cena in uno dei migliori ristoranti di Valdobbiadene.

Il giorno dopo l’abbiamo dedicato a … boh: qualsiasi espressione io scelga per descrivere il meraviglioso tempo trascorso insieme, non renderebbe giustizia a ciò che abbiamo vissuto.

Un appartamento in centro città, dotato di ogni comfort e ampio terrazzo, ha ospitato noi attori, il regista e la segretaria di edizione per un giorno intero, da mattina a sera inoltrata. Obiettivo: familiarizzare e conoscerci come individui al tempo stesso “reali” e immaginari.

Con sorpresa ho realizzato di avere in comune con Eva, il mio personaggio, molti elementi del mio background personale e familiare. Questo avrebbe sicuramente giocato a mio vantaggio. D’altra parte mi sono sentita … “sgamata”, esposta, vulnerabile. Meno male che per tutto il tempo ho avuto, attorno a me, persone belle e disponibili a un confronto costruttivo.

Adagio adagio i nostri personaggi, interagendo fra loro, hanno preso forma e vita. Questa magia è avvenuta sotto i nostri occhi in modo del tutto spontaneo e naturale.

 

Grazie

Ringrazio Dio e la Vita per aver avuto questa preziosa opportunità di crescita spirituale e personale.

Muovermi sul set come Eva, respirare al ritmo del suo respiro, attraversare le turbolenze dei suoi stati d’animo e il suo antico dolore, mi ha permesso di gettare uno sguardo sul mio passato e di apprezzare il lungo percorso fatto, per diventare oggi la donna che sono.

Ringrazio Massimo Libero Michieletto per la “massima libertà” di cui si è reso responsabile messaggero e fautore. Grazie a lui ho sperimentato il brivido della vita “vera” portata sul set.

Una vita che ha richiesto da parte degli attori ore di conversazione, scherzi, confessioni, sorrisi e abbracci, condividendo tempo, energie, cibo e calici di ottimo Prosecco.

Grazie a Carlotta Piraino (Nina mia sorella), Selene Demaria (mia figlia Evita), David Ponzi (tatuato, misterioso amico) e a tutti gli altri attori del cast di “Sola Nina”.

Grazie a Eliana, segretaria di edizione, il nostro angelo custode sul set.

Il mio ultimo grazie va a Lisa Mazzotti, mia compagna di viaggio.

Cara Lisa, sono passati sette anni dalla nostra ultima esperienza newyorkese. Eppure, condividere con te quest’avventura è stata la cosa più semplice e naturale. Grazie per il tuo sostegno, incoraggiamento e affetto.

 

Prossima tappa: Festival del Cinema di Venezia

Come già preannunciato, Massimo avrà un tempo – circa venti minuti – per presentare la sua Opera a settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il film non sarà ancora pronto, ma il regista potrà disporre di un trailer e di alcuni significativi spezzoni. L’uscita è prevista per gennaio 2023.

Auguro di cuore a Massimo tutto il successo che merita per il coraggio e la generosità (professionale e umana) con cui ci ha accompagnati a vivere questa incredibile esperienza.

A settembre, dunque, per aggiornamenti!

LOve,

Eva … Oooops! Jasmine

 

*L’aruspicina (da ar che significa fegato e spicio che significa guardare) era l’arte divinatoria che consisteva nell’esame delle viscere (soprattutto fegato ed intestino) di animali sacrificati per trarne segni divini e norme di condotta. Chi esercitava l’aruspicina era chiamato aruspice. (Fonte: Wikipedia)

 

Un rapido check, prima di rifare la scena …

 

Quando mi sono sorpresa a chiamare mia figlia Selene (vero nome dell’attrice) invece di Evita.

 

Il pranzo più imbarazzante della mia vita …

 

 

 

 

 

 

 

 




Diario di Eva sul set di “Sola Nina” – Prima Parte

Da reporter ad attrice è un attimo …

Inizia oggi il “Diario di Eva”, cronistoria del mio passaggio da reporter ad attrice, sul set del film “Sola Nina” del regista indipendente Massimo Libero Michieletto.

Il suo esordio alla macchina da presa, assieme al regista Samuele Schiavo, risale a un paio di anni fa con “Desiderie”, opera focalizzata sul rapporto fra il disagio e la cura della mente.

Il docufilm si basa sulle testimonianze di tre donne che vivono la loro quotidianità tra il “dentro” (i dipartimenti di psichiatria di alcuni ospedali della provincia di Treviso) e il “fuori” (la società esterna con la sua ostentata efficienza).

Obiettivo: spostare il nostro sguardo su quanto ci sia di apparentemente normale o anormale in entrambi i contesti.

 

Il link misterioso

La mia avventura inizia la vigilia di Natale del 2021 nella messaggeria di Facebook:  è qui che ricevo il link al trailer di “Desiderie”.

Il nome di Massimo mi è familiare ma il suo messaggio, privo di commenti, finisce nel dimenticatoio.

È solo alla fine di febbraio che riesco a ricomporre il puzzle: ci siamo conosciuti diversi anni prima, in occasione della premiazione di un concorso letterario indetto dalla rivista di cui Massimo, all’epoca, è Art Director.

Giuliana Merotto (mia madre n.d.r.), fondatrice della rivista, mi invita a leggere brani scelti dalle opere dei tre finalisti. Massimo fa parte della giuria e a distanza di qualche anno si ricorda di me.

“Vorrei che tu facessi una parte nel mio prossimo film”, scrive. Il resto è (quasi) storia.

 

Il regista

Nato a Conegliano Veneto in provincia di Treviso nel 1971, Massimo è docente di storia dell’architettura contemporanea e insegnante di “scrittura terapica” presso il Dipartimento di Psichiatria dell’Ulss 2 Marca Trevigiana.

È stato Art Director della rivista “Marca Gioiosa” e della casa di produzione musicale Ambiorami per cui ha diretto e girato diversi videoclip musicali.

Ha pubblicato i romanzi “La Città Errante” (Amande Edizioni, 2012) e “L’abilità” (Libereria, 2018).

Dopo il già citato esordio in “Desiderie”, docufilm diretto assieme al regista Samuele Schiavo, “Sola Nina” – il titolo è provvisorio – è il suo primo lungometraggio per il cinema.

 

La Troupe:

Il regista

Massimo Libero Michieletto

La Segretaria di Edizione

Eliana Boschiero

L’Assistente alla Segretaria di Edizione

Loni Zanatta

Gli attori

Carlotta Piraino – Nina

Maria Casamonti – Maria

Jasmine Laurenti – Eva

Selene Demaria – Evita

Sabino Dell’aspro – Ivan

Giovanna Digito – la sposa

Eliana Boschiero – la fotografa sordomuta

David Ponzi – David

I tecnici

Erik Marcon – riprese video

Luca Dionello – microfonista

Sara Sevestrel – trucco e parrucco

 

“La sorella”

A volte basta così poco per esplorare il mondo interiore di un Essere Umano: un panno sporco di famiglia esposto alla luce di un sole abbacinante di fine luglio. Nel film sono Eva, sorella di Nina, una delle due protagoniste. Ho una figlia poco più che adolescente, Evita. Il mio è un ruolo cameo: entro ed esco di scena giusto il tempo di illuminare l’audience su uno dei motivi per cui oggi mia sorella è la donna che è.

Per ora mi fermo qui. È troppo presto, credo, per dire di più.

 

Chicca finale

Il soggetto di “Sola Nina” è stato selezionato dalla Treviso Film Commission ed è tra le dieci produzioni che saranno presentate a Settembre alla Mostra del Cinema di Venezia.

Ci sarà quindi una conferenza stampa all’Hotel Excelsior del Lido. Per allora il film non sarà ancora ultimato, ma il regista avrà venti minuti di tempo per mostrarne il trailer e qualche clip.

Bene. Per oggi è tutto, dal set. Al prossimo aggiornamento!

La vostra reporter Eva … pardon … Jasmine Laurenti.

Il cast tecnico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Buon Compleanno, Nazionale Italiana Artisti della TV!

Manuela Bresciani
Emanuela Bresciani, responsabile marketing e comunicazione della Nazionale Italiana Artisti TV

Buon Compleanno, Nazionale Italiana Artisti TV!

 

Nata nel 1987 per iniziativa di Osvaldo Giovanni Bresciani e di un nutrito gruppo di artisti televisivi e cinematografici, la Nazionale Italiana Artisti TV ha finora realizzato circa novecento incontri in Italia e all’estero, coinvolto più di quattrocento artisti e sportivi, devoluto quasi sette milioni di euro in beneficenza. 

 

L’Evento Pilota

In occasione del suo trentacinquesimo compleanno lunedì 11 luglio, presso il “Padel Club Tolcinasco” a sud di Milano, si è tenuta la seconda edizione di “Fashion Padel”.

Il “Fashion Padel” è un bellissimo pretesto per riunire, in un unico Evento, gli appassionati di padel del mondo dello sport e dello spettacolo.

L’appuntamento, che ha visto il sold out in tempo record, era un’anticipazione di quello che sarà l’evento ufficiale previsto per il 25 novembre prossimo, in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

La madrina dell’evento di sport, moda, arte e spettacolo è stata l’attrice e conduttrice radiofonica Sarah Maestri, nota al grande pubblico per il film “Notte prima degli esami”.

 

Gli Ospiti

Per l’occasione hanno presenziato, tra i moltissimi ospiti, la conduttrice televisiva, giornalista e attrice Gisella Donadoni, il giornalista sportivo Giordano Brega e Ylenia, nota voce di Radio 105.

I Giocatori

Della Nazionale Italiana Artisti TV hanno partecipato Emanuele Filippini (ex del Brescia), Federica Lodi (SkySport), Giuliano Melosi (ex del Chievo), Gibba (Radio 105) e Nikita (Pechino Express).

Tra i novanta partecipanti di questa seconda edizione c’erano anche gli ex calciatori Billy Costacurta e Cristian Zenoni, Davide Paniate (Zelig) e noti esponenti del mondo imprenditoriale milanese.

Dodici squadre si sono sfidate per ben quattro ore, dalle 20:00 alle 24:00.

 

Un duo vincente

A tessere la trama di queste meravigliose iniziative sono Manuela Bresciani (responsabile marketing e comunicazione della Nazionale Italiana Artisti TV) e il papà Osvaldo Giovanni, che ci danno appuntamento al 25 novembre prossimo!




“Tutta colpa di una moka”

Approda in Ticino il “Moka People Festival”: l’installazione multisensoriale dei “Moka People”

Dal 23 giugno al 3 luglio, nella magica location dell’ex-cementificio Saceba – situato nella parte bassa del Parco delle Gole della Breggia – si terrà il “Moka People Festival”.

All’interno della “Torre dei Forni”, dal pianterreno al quarto piano, si snoderà la mostra – una multisensoriale installazione – con 18 artisti fra pittori, scultori, illustratori, disegnatori …

Nell’area circostante, decine di performer – attori, musicisti e ballerini – doneranno agli Ospiti momenti di Bellezza ad altissima frequenza. Ci saranno anche workshop e momenti di relax.

 

Galeotta fu la moka …

È la moka l’oggetto da cui parte tutto.

Gli Artisti Monica Rush, Brianna Ruland e Roberto Fridel si sono presi il tempo per osservarla da vicino. I preziosi spunti che ne traggono li ispireranno, più avanti, nella scelta del nome di un Progetto.

Ma torniamo alla moka e alle sue molteplici implicazioni.

Per chi fa del caffè il pretesto per incontrarsi e condividere pensieri, idee ed emozioni, la moka è molto più di un semplice “ferraccio” ottagonale: è un album di fotografie, uno scrigno di opportunità, ricordi, immagini, conversazioni …

È tutto questo che di lei ci portiamo dentro sempre e ovunque andiamo.

Il fuoco moderato di cui necessita è come l’amore nella sua espressione più sana: non una fiamma che divampa e si spegne ma un sereno, costante, rassicurante amore.

Quando la moka è pronta lo fa sapere e si autocelebra, spandendo il suo profumo tutt’intorno. Come chi, consapevole del proprio contributo di valore, lo annuncia apertamente e senza falsa modestia.

Come ogni Artista della propria vita, la moka è consapevole del suo Scopo: creare energia positiva che catalizzi energie simili.  

E poi è libera, come lo è ogni essere umano che non nutre aspettative di essere ricambiato.

“Se riusciamo a stare nella vibrazione alta creando attorno a noi felicità, tutto si ferma qui. Ed è tutto più semplice. Non c’è sforzo.” dice Monica.

 

I “Moka People”

In una nuvolosa giornata di maggio, passo a trovare Monica nella sua splendida casa. Mi dice che un giorno Brianna Ruland le racconta di come in certi parchi, in America, la gente si ritrovi munita di moka e fornellino.

Il caffè, ovviamente, è un pretesto, si può anche non bere. L’idea è semplicemente quella di riunire un gruppo di persone con la scusa del caffè e andare oltre i convenevoli del “Come stai?”, oltre la convenzionale chiacchiera su fatti d’attualità e di cronaca: deve essere, per tutti, un momento di scambio dove sentirsi liberi di essere ciò che si è, fare nuovi incontri, arricchirsi.

Nel 2019 – alla vigilia del periodo di emergenza sanitaria – Monica, Brianna e Roberto proseguono l’esplorazione del “mondo moka” alla ricerca del nome ideale da dare a questo progetto. Si passano in rassegna le parole “caffettiera”, “caffè”, “moka” … Nasce “Moka People”: semplice, spontaneo, positivo.

Inizia la pandemia. Il Progetto viene lasciato decantare, e forse grazie al rallentamento della vita Brianna e Monica hanno la possibilità di interagire con altre donne artiste e passare del tempo chiacchierando e condividendo desideri. Nasce proprio in uno di questi incontri, grazie al contributo di tutti, l’idea di prendere in affitto l’ex-cementificio della Saceba per esporre le proprie opere e invitare gli amici.

Un’idea corale che doveva durare solo due giorni e che in poco tempo invece si amplia e diventa Festival. Che nome dargli?  Ecco riapparire “Moka People”: forse perché in fondo parla della stessa cosa, ora il nome trova la sua collocazione. 

 

“Il Moka People Festival”

Gli Artisti prendono in affitto la Saceba, magica location situata nella parte bassa del Parco delle Gole della Breggia.

La scelta dell’ex-cementificio ha il suo perché: il grigio della costruzione e i grandi spazi da riempire sono l’ideale per realizzare una multisensoriale installazione. Al pianoterra e sui quattro piani, i sensi dei visitatori sono stimolati da forme, colori, suoni, immagini, movimento, musica. Nel frattempo, nel suggestivo spazio circostante, attori, musicisti e ballerini si esibiscono in live performance.

Il Progetto conquista ogni giorno più persone: mentre scrivo, gli artisti e i performer hanno superato i cinquanta elementi.

A questi si aggiungono tre stiliste “artigiane” e una quarantina di figuranti, pronti a indossare le loro creazioni.

E poi ci sono i musicisti dell’orchestra della Svizzera Italiana, i poeti, gli attori di fama a recitare, di notte, avvolti dalla morbida luce di bracieri accesi … I ballerini di danza contemporanea, i suonatori di cornamusa in mezzo ai sassi …

Questo è il “Moka People Festival”: una celebrazione non dell’Arte ma della collettiva Creazione di qualcosa di sensoriale, con la speranza che possa arrivare agli altri. A questo servono il suono, le luci, gli odori: oltre che a stimolare i sensi, aiutano i visitatori ad “assorbire” energia buona e a non rimuginare su se stessi e sulla propria rigidità.

Il desiderio è quello di innalzare l’energia degli Ospiti – in un luogo che è già di per sé energetico. Il tutto diffondendo il messaggio che non è Artista chi impara a dipingere, scolpire, recitare, danzare, suonare uno strumento musicale. Ognuno di noi è Artista nell’arte di creare la propria gioia, l’Arte più sofisticata e importante che l’Uomo ha. Basta poco. Il contatto con la natura. L’amicizia. La collaborazione. Tutte le altre forme d’arte sono secondarie.

 

Save the date and the event

Il “Moka People Festival” si svolge nei giorni dal 23 giugno al 3 luglio in Ticino, Svizzera.

Ogni giorno c’è un programma diverso. Il biglietto d’ingresso all’esposizione si acquista all’entrata della Torre mentre le performance all’esterno sono gratuite. Dalle 17.30 si può trovare ristoro al bar con cibo e vino buono.

E poi, nei pressi della Saceba c’è una vallata protetta, ci sono delle rocce scavate dall’acqua che sono diventate gole e offrono una panoramica che è la stessa di duecento milioni di anni fa! Si può entrare nelle cave prenotando il tour con il Parco delle Gole della Breggia: un’esperienza incredibile, da fare preferibilmente in silenzio. C’è il fiume per andare a fare il bagno, se fa troppo caldo.

Ci sono anche i “caffè con l’artista”: momenti interattivi fra gli espositori e il pubblico. Durante il weekend, inoltre, si possono raggiungere gli Artisti alle otto del mattino, per fare colazione insieme. Chi lo volesse può portare la propria moka da casa. Loro ci mettono il fornellino. Quindi ci si siede tutti insieme e si parla di Arte o si ascoltano le campane tibetane. Questo è fare “Moka People”!

E una volta finito l’evento? Beh … di moka eventi se ne possono organizzare tanti e “Moka People” è un modo bellissimo per darsi un obiettivo e condividere il percorso per raggiungerlo.

Alla fin fine … siamo tutti Moka People!

Per saperne di più sull’evento e i suoi protagonisti, visita il loro sito.

Vuoi un’anteprima in immagini e video? Visita il gruppo Facebook “Moka People Festival” .

 

Ex-cementificio Saceba
L’ex-cementificio Saceba, oggi chiamato “Torre dei Forni”




All’anima dell’Italia

L’Italia sta male ma può guarire

L’Italia soffre di un male perfettamente curabile con il ritorno ai princìpi sanciti dalla sua Costituzione.

Dov’è finito il rispetto per il lavoro e la dignità umana?
Che fine hanno fatto i Valori fondanti della Democrazia?

La “guarigione” è possibile, a patto che ci sia una presa di coscienza collettiva.

L’anima del popolo italiano

Se un popolo ha un’anima, questa è la sua Costituzione: la Carta che sancisce i principi ispirati affinché le Istituzioni di un Paese possano garantire la piena realizzazione della persona umana.

L’articolo 3 comma 2 della Costituzione Italiana lo dice espressamente: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

L’Italia – Paese notabile per bellezza, cultura, ingegno, creativa operosità e amore per l’eccellenza in ogni ambito produttivo – soffre le inevitabili conseguenze dell’abbandono dei princìpi su cui si basa la sua esistenza.

Fatta la diagnosi, ecco la cura.

Mauro ScardovelliLo scorso gennaio il giurista e psicoterapeuta Mauro Scardovelli ha lanciato una petizione candidandosi come Presidente della Repubblica italiana.

Consapevole di non poter contare sulla cassa di risonanza dei media e che il popolo, non sufficientemente informato, potesse non scorgere nel ritorno ai valori costituzionali l’opportunità per ripristinarne la sacralità, Scardovelli ha presentato il suo programma chiamato: “Nuovo Rinascimento”.

Eccone i presupposti:

  • Dio ha bisogno di noi, per instaurare il suo Regno: l’Uomo, di fatto, è co-creatore del progetto divino
  • La Cura ai mali che affliggono l’Italia ormai da decenni è assicurata dall’applicazione della “sacra” carta costituzionale, alla quale le Istituzioni dovrebbero ispirarsi per consentire una ripresa economica e sociale del nostro Paese e il benessere dei suoi Cittadini
  • Il Presidente della Repubblica deve riprendere la sua funzione di garante della Costituzione ed essere espressione diretta della volontà popolare

Da troppo tempo ormai i media si rendono portavoce di valori tutt’altro che funzionali allo sviluppo di un’autonoma capacità critica, di una presa di coscienza, di un risveglio spirituale dell’Uomo, reso incapace di discernere la Verità che potrebbe renderlo, finalmente, libero.

Il narcisismo dilaga e riflette il sistema che ne è al tempo stesso radice e frutto.

Le sue caratteristiche sono un basso livello di consapevolezza, sete di potere e di dominio, competitività.

Purtroppo, l’Uomo di oggi – afflitto da un narcisismo etico-psico-spirituale – e il “sistema” generato dal suo subconscio, sono incompatibili con il ripristino di una Democrazia costituzionale.

Il “nuovo Rinascimento”

Secondo Mauro Scardovelli è tempo che le Istituzioni tornino a rispettare la Carta Costituzionale e a educare i Cittadini a incarnarne i valori.

Intellettuali, esperti e giornalisti devono dire al pubblico ciò che lo fa star bene, anziché inondarlo di inutili informazioni.

È necessario che i media – fatti a suo dire da persone che alla competizione preferiscano la cooperazione – adottino un linguaggio chiaro, semplice e sintetico: una comunicazione ad alto livello che stimoli il sistema endocrino dei Cittadini a produrre ormoni del benessere, rafforzando il loro sistema immunitario.

Ai media serve, soprattutto, una visione che introduca la Verità.

Una volta ristabilito, il governo costituzionale deve provvedere a tutti i Cittadini un’adeguata formazione.

La democrazia, infatti, non è possibile senza un pieno sviluppo della persona umana, della coscienza etica e della capacità di amare, in senso cristico, chiunque.

Conclusione

La Rivoluzione Costituzionale è il risultato della trasformazione interiore di ogni singolo Cittadino.

Basta con le lamentele, basta con le critiche inutili e distruttive!

È tempo di assumersi le proprie responsabilità.

È tempo di risvegliarsi a nuova consapevolezza, sviluppando la capacità di amare.

È tempo infine, per i media, di rivoluzionare il loro modo di comunicare e di mettere al primo posto il benessere della loro audience.

Solo così, potremo sperare in un avvento del Regno di Dio sulla terra.