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GRAFFI: E SE L’ITALIA?

Immigrazione clandestina.

La Germania non accetterà più immigrati clandestini provenienti dall’Italia.

La Francia blinda i propri confini.

E l’Italia?

Possibile che la malavita organizzata sfrutti i drammi di Marocco e Libia per favorire sbarchi in massa sulle coste italiane?

E l’Italia?

Le crisi non partono mai da lontano e ignorarne i segnali, fare finta di non ascoltare i campanelli d’allarme o di non vedere le anomalie, non porta lontano.

Il governo Meloni ha avuto in lascito un’eredità pesantissima, per amministrare la quale era chiaro fin da subito che non sarebbe stato sufficiente l’esercizio della pur massima “buona volontà”.

Le situazioni geopolitiche, le dinamiche particolari – globali e particolari – dell’economia e della finanza (estremamente fluide e imprevedibili, in quanto ricchissime di variabili), il modificarsi del conflitto instaurato nell’area ukraina da ‘bellico’ a ‘economico’ (per la non soccombenza del dollaro nel primato di “valuta di riferimento”), hanno determinato disallineamenti importantissimi.

Ossia, la situazione che il subentrato governo Meloni Ha ereditato, è ora profondamente mutata: e per affrontarla non sono sufficienti alleanze strumentali.

Occorre avviare radicali misure strutturali.

A un claudicante non basta unirsi a un gruppo di zoppi, per sperare di non zoppicare più.

A queste variabili si sommano imprevisti in alcune aree del mondo, tali da suscitare ripercussioni dagli sviluppi non prevedibili.

In modo imprevisto, si sta assistendo a fenomeni di portata straordinaria che – i solerti cronisti di una storia malata e corrotta – attribuiscono a presunti mutamenti climatici innescati base da inquinamenti vari.

Terremoti devastanti, inondazioni straordinarie, tempeste violentissime, incendi diffusi e irrefrenabili, piogge e grandinate eccezionali, persino la minaccia di possibili eruzioni vulcaniche, scuotono la superficie terrestre provocando migliaia e migliaia di morti oltre che danni inimmaginabili e incalcolabili.

Tali fatti, sommati al perdurare di anomale epidemie, scuotono il mondo dalle fondamenta.

Ma hanno certamente un risvolto immediato: la malavita organizzata entra subito in azione.

Prevedere che dalla Libia e dal Marocco ci possano essere masse imponenti di potenziali clandestini verso l’Europa, verso l’Italia in primis, prevedere quindi l’acuirsi di una crisi già pesantissima, è esercizio agevole.

Meno , le misure per fronteggiare la situazione.

E l’Italia?

Blocco terrestre e navale, quindi?

Forse sarà inevitabile, o saremo invasi da una massa ingovernabile di “clandestini” e forsanche “finti profughi”.

In situazioni di emergenza, non si deve e non si può ragionare in termini “normali”.

Ma l’Italia, saprà reagire e quindi agire?




Imito ergo sum

Il Processo Imitativo nei Bambini: Sviluppo, Importanza e Implicazioni

L’imitazione è una delle prime abilità cognitive che i bambini sviluppano fin dalla loro più tenera età, da non confondere con il processo di imprinting di cui abbiamo parlato già.

Questo processo, apparentemente semplice, gioca un ruolo cruciale nello sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dei bambini, ed è importante per esplorare il processo imitativo nei bambini, analizzando come si sviluppa, l’importanza di questa abilità e le implicazioni per l’apprendimento e lo sviluppo futuro.

L’imitazione è una caratteristica fondamentale del comportamento umano che nasce fin da subito ed assume importanza successivamente, con l’appartenenza ad una etnia sociale e per i riferimenti gergali della comunità di appartenenza.

Nei neonati, i primi segnali di imitazione possono essere osservati già nelle prime settimane di vita, quando imitano le espressioni facciali dei genitori.

Da osservare comunque che il processo di imitazione potrebbe non essere consapevole almeno dall’inizio, ovvero nelle prime settimane di vita.

In questo primo periodo potrebbe subentrare il comportamento dei cosiddetti neuroni a specchio che ci permettono di comprendere gli stati d’animo altrui proprio perché li “specchiamo” con i nostri.

Quindi il bambino nelle sue primissime fasi di vita potrebbe non tanto imitare il comportamento degli adulti, cosa che avviene invece dopo i primi mesi, ma solo una serie di reazioni che lui stesso sente come proprie rispetto a quel particolare sentimento o emozione.

Questo concetto dei neuroni a specchio è un modo per spiegare i processi empatici che ci fanno comprendere lo stato d’animo altrui, riconoscendo degli atteggiamenti fisiognomici che identifichiamo simili ai nostri in quel particolare momento (piangere, ridere, sospirare, etc.).

Tuttavia, l’imitazione diventa più complessa e intenzionale con il passare del tempo, contribuendo a formare quella che oggi definiamo la personalità dell’individuo.

Fondamentale quindi l’ambiente e le persone che affianchiamo al bambino fin dalle sue prime fasi di crescita.

L’imitazione, pertanto, è un processo di autoapprendimento che parte fin da subito e viene utilizzato per forgiare anche il carattere e non solo.

Gli stessi meccanismi di difesa personale legati agli atteggiamenti aggressivo, remissivo, etc. si formano nelle prime fasi di vita imitativa.

Il primo tipo di imitazione che possiamo identificare è quella Neonatale definita spesso anche  sindrome del cucciolo: fin dai primi mesi di vita, i neonati iniziano a imitare alcune espressioni facciali e gesti dei loro genitori.

Questa imitazione precoce contribuisce a stabilire un legame emotivo tra il bambino e i suoi genitori ed ha il significato di legare il cucciolo al suo riferimento protettivo nelle prime fasi di vita.

Il primo vero imprinting imitativo si ottiene comunque con l’imitazione Sociale verso i 9-12 mesi, dove i bambini iniziano a imitare attivamente i comportamenti degli altri.

L’importanza di questa fase è fondamentale, anche perché abilita nel bambino i primi atti motori consapevoli come il camminare o il correre, questa imitazione sociale include in fase iniziale azioni come battere le mani, agitare la testa e pronunciare suoni, quindi anche il parlare nel linguaggio della comunità di riferimento.

Ricordiamo che spesso la mancanza di questa fase è strumento utile per la diagnosi di disabilità importanti come l’autismo.

Una volta strutturati i primi passi verso un’autonomia fisica, ove si intenda l’attivazione degli strumenti sensoriali completi e del linguaggio, incomincia nel bambino l’attivazione di quella che possiamo definire imitazione Simbolica completa o avanzata.

Intorno ai 18-24 mesi, i bambini iniziano a mostrare un’imitazione simbolica più avanzata, quindi uscendo dai confini di un’imitazione empatica, iniziano ad imitare azioni che non sono presenti nel loro repertorio quotidiano, come fingere di parlare al telefono o di cucinare.

Questo tipo di comportamento imitativo è fondamentale perché permette al bambino di collegare azioni a strumenti e comunque ad agevolare i processi astrattivi nonché “favolistici” che permettono al bambino di sviluppare la fantasia e tutta una serie di strumenti interpretativi della realtà che lo circonda.

Questa fase è importantissima perché permetterà al bambino di superare tutti i successivi step di crescita, garantendo una corretta rielaborazione degli input che riceverà dal contesto comprendendo pian piano la differenza tra reale e fantastico.

Questo processo si realizza pienamente nei primi cinque anni di vita e permette al bambino di strutturarsi per poter gestire un confronto con le realtà  che incontrerà quando il bambino uscirà dalla fase 0 – 5 anni, fase delle favole, per confrontarsi con i suoi coetanei e altri adulti, nella seconda fase 5 – 10 anni, fase del copia incolla, ove cercherà di imitare, con gli strumenti in suo possesso, quelle che riterrà simbologie migliori della sua.

Questo mondo nuovo a cui si affaccia il bambino attiva definitivamente quella che possiamo chiamare l’imitazione di Ruoli, che inizia già verso i 2-3 anni, quando i  bambini iniziano a imitare ruoli sociali.

Ad esempio, possono fingere di essere un insegnante o un medico durante il gioco.

Quest’ultimo modello imitativo si strutturerà poi come un modello di riferimento che utilizzeremo in tutta la vita e sul quale ci confronteremo spesso anche da adulti.

E’ il modello finale che ci porta ad imitare e quindi ad inseguire quello che vorremmo e non quello che siamo.

Un modello che, se non tarato correttamente, sarà l’Armageddon di tutta la nostra vita adulta, spesso sbilanciata tra invidie e supponenza.

L’imitazione è pertanto cruciale per lo sviluppo dei bambini sotto molti aspetti e proprio per questo deve essere indirizzata o comunque orientata in modo sano ed equilibrato.

Proprio grazie all’apprendimento Sociale possiamo iniziare a definire modelli che poi i bambini potranno prendere come riferimento, infatti l’imitazione consente ai bambini di apprendere dai loro modelli, inclusi genitori, insegnanti e coetanei.

Attraverso l’imitazione, acquisiscono conoscenze, competenze e valori sociali, pertanto sia gli ambienti che le persone che mettiamo a far parte del loro mondo, oltre noi stessi ovviamente, sono strumenti di costruzione della loro personalità.

L’imitazione ha anche un ruolo chiave nello sviluppo del linguaggio.

I bambini imitano i suoni e le parole dei loro genitori, contribuendo così alla formazione delle basi linguistiche, pertanto una corretta impostazione linguistica deriva anche dai modelli che vengono affiancati ai bambini nel loro percorso di crescita.

Lo stesso sviluppo cognitivo deriva dall’imitazione che aiuta a sviluppare abilità cognitive come l’attenzione, la memoria e la risoluzione dei problemi.

I bambini imparano a pensare in modo astratto e a elaborare concetti complessi attraverso l’imitazione di comportamenti e giochi di ruolo.

Senza voler semplificare troppo ma tutto questo porta alla costruzione dell’Identità personale.

L’imitazione di ruoli contribuisce alla formazione dell’identità del bambino, che, attraverso il gioco di ruolo, esplora diverse identità e sviluppa un senso di sé.

Ma ricordiamoci un elemento importante: l’imitazione nei bambini non è solo un fenomeno di breve termine, ha implicazioni durature per il loro apprendimento e sviluppo futuri. 

Conseguenze di un buon processo imitativo sono l’apprendimento Sociale Continuo, che trasforma l’imitazione in un meccanismo di apprendimento sociale anche nell’età adulta. Gli individui imitano comportamenti e abitudini degli altri per adattarsi alla cultura e alla società.

Anche lo sviluppo empatico è conseguenza di una buona e corretta impostazione imitativa, infatti l’imitazione contribuisce allo sviluppo dell’empatia, non per altro i bambini che imitano comportamenti di gentilezza e compassione diventano adulti più empatici.

Per garantire un buon comportamento imitativo è importante investire sull’apprendimento Tramite il Gioco.

Il gioco di ruolo e l’imitazione nel gioco aiutano i bambini a sviluppare competenze importanti come la risoluzione dei problemi, la creatività e la cooperazione.

L’imitazione nei bambini è un processo complesso e cruciale per il loro sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo.

Attraverso l’imitazione, i bambini apprendono, esplorano il mondo che li circonda e costruiscono la propria identità.

I genitori, gli insegnanti e gli adulti devono riconoscere l’importanza dell’imitazione nei bambini e fornire modelli positivi per influenzare in modo costruttivo il loro apprendimento ed il loro sviluppo.

In ogni caso una semplice riflessione per tutti i genitori: se vogliamo far crescere dei giovani felici e con buon senso dobbiamo costruire i loro processi imitativi, che è la cosa più semplice, portarli a riflettere, che è la cosa più onorevole,  ed insegnare loro a convivere con l’esperienza, che è la cosa più difficile di tutte.

 

 

 

Interferenza ed Imprinting: i pilastri dell’apprendimento efficace

 




Separazione e Maturità: un binomio troppo spesso dissolubile.

La separazione può essere un evento altamente stressante e traumatico, sia per gli adulti che per i bambini nel quale troppo spesso maturità e separazioni diventano un binomio dissolubile, al contrario di quello che sarebbe necessario.

Dal punto di vista psicologico, ci sono diversi motivi che possono influenzare le reazioni e le sfide durante una separazione, ma in ogni caso la separazione spesso comporta una sensazione di perdita significativa, anche quando siamo noi stessi a volerla.

Gli individui vivono comunque una separazione come (ed in effetti in molti casi è così) se stessero perdendo non solo il loro partner, ma anche una parte importante della loro vita, dei loro sogni e delle loro aspettative.

La separazione può innescare un processo di lutto, simile a quello che si verifica con la morte di una persona cara.

Le persone possono passare attraverso diverse fasi del lutto, tra cui negazione, rabbia, negoziazione, depressione e accettazione, che vedremo più avanti.

L’incertezza e il cambiamento associati alla separazione possono causare ansia e paura, ed ingenerare la preoccupazione per il futuro, la sicurezza finanziaria, lo stato emotivo e la reazione dei figli.

Di conseguenza è facile giungere a sintomi depressivi perché si sperimentano tristezza prolungata, perdita di interesse nelle attività quotidiane, cambiamenti nell’appetito e nell’umore, e talvolta persino pensieri suicidi.

Nella maggior parte dei casi si sperimentano colpa e vergogna durante una separazione, e la vergogna può derivare dal giudizio sociale o dalle aspettative culturali.

Anche la rabbia è spesso una risposta naturale alla separazione, soprattutto se ci sono stati conflitti o ferite emotive nella relazione, ma di certo, con un aiuto, il più delle volte si può arrivare a riesaminare la propria identità e il senso di sé, iniziando a chiedersi chi sono ora senza il partner e come ridefinire la propria vita.

Nonostante che il processo innescato da una separazione possa comunque portare a risultati positivi, è bene considerare che nelle prime fasi alcune persone tendono a isolarsi dagli amici e dalla famiglia , il che può peggiorare la loro salute mentale; non è da sottovalutare la causa di questa “depressione” può essere dovuta alla vergogna, alla paura del giudizio o semplicemente alla difficoltà di condividere le proprie emozioni con gli altri.

In questa fase che spesso avviene prima di tutte si potrebbe avere difficoltà a prendere decisioni ed a vedere le cose in modo obiettivo, ed è proprio in questo momento che si possono adottare diverse strategie per far fronte alla separazione, alcune delle quali possono essere poco sane, come l’abuso di sostanze o comportamenti autodistruttivi.

È importante riconoscere che la reazione alla separazione può variare notevolmente da persona a persona, e non tutti sperimenteranno tutti questi motivi psicologici allo stesso modo.

Il supporto psicologico, come la terapia, può essere fondamentale per aiutare le persone a gestire questi aspetti emotivi e psicologici della separazione e per favorire un processo di adattamento più sano.

Nel caso in cui la separazione avvenga in ambito genitoriale può essere un momento difficile sia per i figli, che spesso non hanno le strutture mentali adatte per capire cosa stia succedendo, questo elemento dipende anche dall’età dei figli, che per l’entourage della famiglia, che perde riferimenti spesso cardini nelle relazioni.

La chiarezza è un elemento essenziale durante questo processo, in quanto aiuta i figli a comprendere meglio la situazione e ad affrontarla in modo più sano e meno traumatico, è necessario rispondere e stimolare le loro domande, affrontandole in modo sincero il che potrebbe aiutarli a comprendere meglio la situazione, tenendo però conto che la chiarezza non significa coinvolgere i figli nei conflitti tra i genitori.

Evitare di discutere i dettagli delle dispute o delle ragioni della separazione con i figli è la modalità più opportuna per il bene stesso dei figli.

Ovviamente è necessario contenere quel senso di rivalsa verso l’altro che porterebbe al coniuge la ricerca ostinata dell’appoggio dei figli.

Non sempre all’interno della coppia (anzi quasi mai) i due coniugi riescono a mantenere un livello di freddezza che possa giovare psicologicamente alla prole.

Mantenere le conversazioni sui problemi tra adulti, lontano dagli occhi e dalle orecchie dei bambini è una forma di maturità che dovrebbe essere agita sempre, non solo durante le separazioni, ma anche nella normale vita di coppia.

Durante un periodo di separazione maggiormente in quanto è proprio la fase che destabilizza i bambini che vedono crollare un mondo di certezze appena costruito.

Mantenere una routine stabile e prevedibile può fornire un senso di sicurezza, ad esempio assicurandosi che gli impegni scolastici, le attività extracurriculari e le abitudini quotidiane siano mantenuti il più possibile.

Oltre a comunicare, è importante ascoltare attentamente i sentimenti e le preoccupazioni dei tuoi figli, fornendo uno spazio sicuro per esprimere le emozioni che di sicuro può aiutarli a elaborare meglio la situazione e a sentirsi ascoltati.

Se la situazione è particolarmente complessa, ad esempio se non c’è modo che i due genitori si orientino al bene della prole pèiù che alla loro rivalsa personale, o se i figli stanno fortemente lottando emotivamente, può essere utile coinvolgere un consulente o un terapeuta familiare.

Questi professionisti possono aiutare a facilitare la comunicazione e a fornire supporto emotivo ai membri della famiglia ed a rendere maggiormente neutrale la comunicazione dell’evento.

Anche se la separazione è inevitabile, è importante conservare il rispetto reciproco tra i genitori.

Questo aiuterà i bambini a mantenere una visione equilibrata e amorevole di entrambi i genitori.

La chiarezza e la comunicazione aperta durante una separazione possono aiutare i figli a sentirsi più sicuri e a gestire meglio la situazione.

Tuttavia, ogni situazione è unica, quindi è importante adattare le tue azioni alle esigenze specifiche dei tuoi figli e cercare supporto professionale quando necessario.

Vediamo infine alla luce di quanto sopra le cinque fasi della perdita, anche conosciute come il “modello delle fasi del lutto,” sono una teoria proposta da Elisabeth Kübler-Ross nel suo libro del 1969 intitolato “On Death and Dying.”

Questo modello rappresenta una serie di reazioni emotive attraverso cui molte persone passano quando affrontano una perdita significativa, come la morte di una persona cara. 

Negazione: In questa fase iniziale, le persone possono avere difficoltà ad accettare la realtà della perdita. Potrebbero sentirsi increduli o pensare che sia solo una cattiva notizia temporanea. Questa fase può servire come meccanismo di difesa temporaneo per aiutare a tamponare l’emozione travolgente della perdita.

Rabbia: Quando la negazione cede il passo, molte persone sperimentano rabbia. Possono arrabbiarsi con il mondo, con se stesse o persino con la persona deceduta. La rabbia è spesso una reazione alla sensazione di impotenza e ingiustizia.

Contrattazione: In questa fase, le persone cercano spesso di trattare o negoziare con una forza superiore o con il destino per cercare di evitare o invertire la perdita. Possono fare promesse o chiedere “Se solo avessi fatto…” o “Per favore, fammi tornare indietro al tempo prima della perdita…”. Questa fase può essere un tentativo di riprendere il controllo.

Depressione: La depressione nella fase del lutto non è necessariamente la stessa cosa della depressione clinica, ma è una risposta emotiva alla perdita. Le persone possono sentirsi tristi, disperate o svuotate. È un periodo in cui affrontano la profondità della perdita e possono passare attraverso un lutto profondo.

Accettazione: Nella fase finale, le persone cominciano ad accettare la realtà della perdita. Non significa che dimentichino o smettano di amare la persona deceduta, ma raggiungono un punto in cui riescono a vivere con la perdita. L’accettazione non significa che non ci saranno alti e bassi emotivi, ma indica che la persona ha fatto progressi nel processo di lutto.

Va notato che queste fasi non sono necessariamente lineari o universali, infatti le persone possono attraversarle in modo diverso e in diversi tempi, ed inoltre, non tutte le persone attraversano necessariamente tutte e cinque le fasi, poiché il lutto è un processo individuale e varia da persona a persona.

Alcune persone possono sperimentare altre emozioni o reazioni durante il loro processo di lutto.

La comprensione delle fasi del lutto può aiutare a fornire una cornice per comprendere e affrontare il dolore, ma è importante rispettare la diversità delle esperienze di lutto di ciascuno.

 

Separati per il bene.




Psicologia e pedagogia: cui prodest?

 

Pedagogia e Psicologia, due linee di sviluppo delle azioni umane che studiano i percorsi dell’individuo, ma in modalità differenti.

La pedagogia e la psicologia sono due discipline strettamente correlate che si concentrano sull’educazione, lo sviluppo e il benessere degli individui, ma hanno obiettivi, approcci e ambiti di studio diversi. 

 La pedagogia è la scienza dell’educazione, si concentra principalmente su come insegnare e come apprendere.

Gli studi pedagogici riguardano la progettazione di programmi educativi, le strategie di insegnamento, l’organizzazione delle scuole e il miglioramento dei metodi educativi.

 La pedagogia è più orientata all’educazione ed all’insegnamento, si preoccupa di come trasmettere conoscenze, valori e abilità agli studenti in modo efficace ed etico; ovviamente per far questo deve anche comprendere il contesto, lo status dell’individuo ed il suo profilo.

La pedagogia si applica principalmente all’ambito dell’istruzione formale, come scuole, università e programmi di formazione, si concentra su come le persone apprendono all’interno di contesti educativi.

L’obiettivo principale della pedagogia è migliorare il processo di apprendimento e insegnamento, ottimizzando l’esperienza educativa per gli studenti.

La psicologia è la scienza dello studio del comportamento umano e dei processi mentali, essa si concentra su come le persone pensano, sentono, si comportano e si sviluppano nel corso della vita, pertanto include anche lo studio delle emozioni, delle motivazioni e delle interazioni sociali.

La psicologia è più ampia e generale rispetto alla pedagogia proprio perché inevitabilmente comprende diverse aree di specializzazione, come la psicologia clinica, la psicologia dello sviluppo, la psicologia cognitiva, la psicologia sociale, evidentemente la psicologia studia il comportamento umano in un contesto più ampio, non limitandosi all’educazione.

La psicologia si applica pertanto in una vasta gamma di contesti, tra cui la salute mentale, la psicoterapia, la consulenza, l’ambito organizzativo, lo sport, la ricerca scientifica e l’istruzione.

È pertinente in qualsiasi situazione in cui si analizzano o si influenzano i comportamenti umani e i processi mentali.

L’obiettivo della psicologia è comprendere il comportamento e i processi mentali umani, spesso per scopi di diagnosi, intervento terapeutico, ricerca scientifica o miglioramento della qualità della vita.

In sintesi, mentre la pedagogia si concentra principalmente sull’educazione e sulla trasmissione di conoscenze, la psicologia si occupa di un’ampia gamma di aspetti legati al comportamento umano e ai processi mentali.

Mentre le due discipline possono sovrapporsi in alcuni settori, soprattutto quando trattano sullo stato dell’individuo nell’intraprendere azioni,  hanno scopi e metodi di studio distinti.

Entrambe svolgono un ruolo importante nell’ambito dell’educazione, ma in modi diversi.

Ci piace rappresentare l’interazione tra le due scienze come un meccanico ed un gommista: il primo deve garantire che il motore funzioni e che niente all’interno della macchina abbia problemi, mentre il secondo deve garantire che la macchina vada dritta e non sbandi.

E’ evidente che per il benessere di un giovane ma anche di un adulto sono necessarie entrambe, riuscireste voi a sistemare la vostra macchina andando solo dal meccanico?

 

Pedagogia ed inclusione: strumenti per combattere il disagio giovanile.

 

 




Interferenza ed Imprinting: i pilastri dell’apprendimento efficace

 

Quando occorre ragionare su un metodo didattico o sul percorso educativo di una classe o di un singolo discente è obbligatorio fare una valutazione d’insieme che tenga conto di molteplici fattori legati al nostro “alunno”, vi sono fattori sociali, personali, emotivi, di contesto, ma in primis occorre valutare e ragionare su due pilastri importanti che poi a ruota legano tutti gli altri, Interferenza ed Imprinting.

Cerchiamo di capire quali differenze vi siano tra le due categorie nelle seguenti poche righe.

L’interferenza è un concetto chiave nella psicologia dell’apprendimento e della memoria ed è importante comprenderlo quando si tratta di ottimizzare il processo di studio.

L’interferenza si riferisce al fenomeno in cui l’apprendimento o la memorizzazione di nuove informazioni è ostacolato o influenzato negativamente dalla presenza di informazioni precedenti o simili.

Questo può avere un impatto significativo sullo studio.

Ecco come l’interferenza può influenzare l’apprendimento e cosa si può fare per gestirla, ovviamente occorre distinguere i differenti tipi di casus di fronte ai quali ci troviamo.

Potremmo partire con l’interferenza retroattiva, che spesso si verifica quando le nuove informazioni ostacolano la memoria delle informazioni precedenti.

Ad esempio, se stai studiando materiale nuovo prima di un esame, potresti dimenticare alcune delle informazioni che hai appreso in precedenza.

Per gestire l’interferenza retroattiva, è utile prendere delle pause durante lo studio per consolidare le informazioni apprese in precedenza.

La ripetizione spaziata, in cui si ripassa il materiale in intervalli di tempo sempre più lunghi, può aiutare a contrastare questo tipo di interferenza.

Nemmeno da sottovalutare l’incidenza dell’interferenza proattiva che si verifica quando le informazioni precedenti ostacolano la memorizzazione di nuove informazioni.

Ad esempio, se hai già imparato un elenco di parole in una lingua straniera e stai cercando di apprendere un nuovo elenco di parole, le parole precedenti potrebbero influenzare la tua capacità di ricordare quelle nuove.

Per gestire l’interferenza proattiva, è utile cercare di separare le informazioni simili nel tempo o nello spazio.

Ad esempio, puoi studiare il materiale relativo a una lezione precedente in una stanza diversa rispetto a quella in cui stai studiando il nuovo materiale.

La nostra mente poi spesso cade nell’interferenza delle informazioni simili.

Le informazioni che sono simili tra loro, come concetti o fatti correlati, possono generare interferenza.

Per gestire questo tipo di interferenza, è importante fare chiarezza tra le informazioni simili.

Puoi farlo creando mappe concettuali, riassunti o diagrammi che evidenziano le differenze tra le informazioni simili.

Vi sono differenti strumenti per aiutare il nostro cervello ad evitare i problemi di interferenza, tra i primi citiamo la variazione delle fonti di apprendimento.

Utilizzare diverse fonti di apprendimento e approcci di studio può aiutare a ridurre l’interferenza.

Ad esempio, se stai studiando per un esame di storia, potresti leggere un libro di testo, guardare video didattici e partecipare a discussioni di gruppo.

Questo approccio può aiutare a creare una variazione nell’apprendimento, riducendo così l’interferenza tra le diverse fonti di informazione.

Ma non basta, occorre affiancare alla variazione delle fonti anche una attività di Test frequenti.

Il testing frequente, o il quiz di sé stessi, può aiutare a identificare le informazioni che sono soggette a interferenza.

Quando ti testi su ciò che hai appreso, puoi scoprire quali informazioni potrebbero essere state influenzate dall’interferenza e quindi concentrarti su di esse durante lo studio successivo.

 In estrema sintesi, l’interferenza può essere una sfida nell’apprendimento e nello studio, ma ci sono diverse strategie che si possono utilizzare per mitigarla.

Queste strategie includono la gestione del tempo e dello spazio tra le informazioni simili, la variazione delle fonti di apprendimento ed il testing frequente per identificare le lacune nella memoria.

Non di così facile analisi invece è il concetto di imprinting che, già da subito, deve essere osservato ed analizzato in modo differente in base che si tratti di comportamento animale o umano.

L’imprinting è un concetto chiave nello studio del comportamento animale, in particolare degli uccelli e dei mammiferi precoci come anatre, oche e alcune specie di mammiferi come gli agnelli.

L’imprinting è un processo attraverso il quale i giovani animali sviluppano un forte legame con la prima figura che incontrano, spesso la madre o una figura materna sostitutiva.

Questo legame è solitamente stabilito nelle prime fasi della vita del giovane e può influenzare significativamente il comportamento futuro dell’animale.

Vi sono differenti stati dell’imprinting animale, tra cui è opportuno considerare la sensibilità temporale del fenomeno.

L’imprinting è più probabile che si verifichi durante un periodo specifico, noto come “periodo sensibile” o “periodo critico”.

Durante questo periodo, il giovane animale è particolarmente suscettibile a formare un legame con la figura materna.

La sensibilità temporale può variare tra le specie, ma solitamente si verifica nelle prime ore o giorni di vita.

Altro elemento chiave del fenomeno è la stabilità del legame, che, una volta stabilito, tende a essere molto forte e duraturo, infatti gli animali imprinteranno su quella figura materna e tenderanno a seguirla, cercarla e sviluppare un forte attaccamento emotivo.

Come valore assoluto il fenomeno ha una funzione di sopravvivenza importante.

Per molti animali, la madre fornisce cibo, protezione e insegnamenti essenziali per la sopravvivenza.

L’imprinting, in effetti ed a pensarci bene, garantisce che i giovani animali seguano e rimangano vicino alla madre, aumentando così le loro possibilità di sopravvivenza.

L’imprinting è spesso specie specifico, il che significa che un giovane animale imparerà a riconoscere e ad attaccarsi a individui della sua stessa specie.

Ad esempio, un pulcino di anatra imprinterà su un’altra anatra, non su un essere umano o su un animale di un’altra specie, anche se tolto dall’ambiente di riferimento il cucciolo può cambiare la specie di imprinting.

Lo studio dell’imprinting ha fornito importanti insight sullo sviluppo del comportamento animale e sulla psicologia comparata.

Il biologo Konrad Lorenz è stato uno dei pionieri nello studio dell’imprinting e ha condotto ricerche fondamentali su anatre e oche.

L’imprinting è stato utilizzato in alcune applicazioni pratiche, come il rilascio di animali selvatici allevati in cattività.

Ad esempio, i giovani uccelli possono essere “imprintati” su un pilota ultraleggero e guidati nella migrazione per migliorare il loro successo nella natura.

 In sintesi, l’imprinting è un processo comportamentale cruciale nei giovani animali che contribuisce alla loro sopravvivenza e all’adattamento al loro ambiente.

È uno dei modi in cui gli animali apprendono a riconoscere e a legarsi alle figure materna o caregiver durante le prime fasi della loro vita.

 Nell’uomo, il concetto di “imprinting” viene utilizzato in un contesto diverso rispetto a quello degli animali.

L’imprinting umano non riguarda solo il legame instaurato con una figura materna o caregiver nelle prime fasi della vita, come avviene negli animali, ma invece fa più riferimento a un processo di apprendimento e sviluppo in cui gli individui acquisiscono conoscenze, schemi di pensiero o comportamenti specifici attraverso l’osservazione e l’interazione con figure di riferimento.

Uno degli esempi più evidenti di imprinting nell’uomo è l’apprendimento del linguaggio.

I bambini acquisiscono la lingua materna attraverso l’osservazione e l’interazione con i genitori, i membri della famiglia e le persone che li circondano nelle prime fasi della vita.

Questo processo è essenziale per lo sviluppo delle capacità di comunicazione.

 Gli individui imparano i valori, le norme sociali e le abitudini culturali attraverso l’interazione con la loro comunità e la loro cultura di appartenenza.

Questo tipo di imprinting aiuta a plasmare la moralità ed il comportamento sociale delle persone.

Molte persone acquisiscono le loro credenze religiose e spirituali da figure di riferimento, come genitori, familiari o leader religiosi, attraverso insegnamenti, cerimonie e pratiche rituali.

 L’osservazione e l’interazione con figure di riferimento possono influenzare lo sviluppo di schemi di comportamento specifici.

Ad esempio, i bambini possono imparare a rispettare l’autorità, la gentilezza o l’altruismo attraverso il comportamento dei loro genitori o dei loro modelli di riferimento.

I giovani spesso sviluppano interessi e passioni basati su ciò che vedono o sperimentano nell’ambiente che li circonda.

Un bambino, infatti, potrebbe sviluppare un interesse per la musica se è stato esposto a strumenti musicali o a esibizioni musicali in tenera età.

L’apprendimento sociale è un processo attraverso il quale le persone imparano dagli altri attraverso l’osservazione e l’imitazione.

Questo tipo di imprinting si verifica quando le persone apprendono nuove abilità o comportamenti osservando gli altri.

Gli individui spesso sviluppano modelli di ruolo basati su figure di riferimento che ammirano o rispettano.

Questi modelli di ruolo possono influenzare le aspirazioni e le scelte di carriera.

È importante notare che l’imprinting nell’uomo è influenzato da una serie di fattori, tra cui la cultura, l’ambiente familiare, la comunità di appartenenza e l’esperienza individuale.

Non è un processo rigido come quello osservato negli animali e può variare notevolmente da persona a persona.

Ma proprio perché l’uomo è più complesso e possiede capacità analitiche ed astrattive più alte che ilr esto del mondo animale, ci piace considerare una ulteriore forma di imprinting ovvero l’imprinting educativo.

Quest’ultimo è un termine che può essere utilizzato per descrivere il processo attraverso il quale gli individui acquisiscono idee, valori, credenze e atteggiamenti specifici durante la loro educazione e sviluppo.

Questo processo è spesso influenzato dalle figure di autorità, dai modelli di riferimento e dalle esperienze educative che una persona ha durante la sua crescita e formazione.

I genitori svolgono un ruolo fondamentale nell’imprinting educativo dei loro figli, perché oltre a formare le prime figure di riferimento in un certo senso formano anche l’ambiente in cui il giovane si muove fin dalla tenera età.

Le loro azioni, i loro valori, le loro aspettative e il loro stile di genitorialità possono influenzare in modo significativo lo sviluppo dei bambini che come tutti i cuccioli non solo umani, tendono a copiare le figure adulte nella certezza che nell’ambiente a loro non ancora conosciuto, il comportamento delle figure adulte sia quello adatto alla sopravvivenza.

Ecco quindi che l’ambiente in cui un individuo cresce può avere un impatto duraturo sul suo imprinting educativo, in congiunzione con le figure di riferimento che vi si muovono all’interno.

Ad esempio, una famiglia che promuove l’apertura al dialogo e la comunicazione aperta può influenzare positivamente l’atteggiamento dei bambini verso la comunicazione.

L’istruzione formale in scuole e istituti possono essere una fonte importante di imprinting educativo.

Gli insegnanti, i programmi scolastici e le esperienze accademiche possono contribuire a plasmare le opinioni e le abilità degli studenti, specie perché divengono in fase di apprendimento educativo e non esperienziale schemi e modelli.

La cultura di appartenenza e la società in cui si vive svolgono un ruolo cruciale; infatti le norme sociali, i valori culturali e le aspettative della comunità possono influenzare ciò che viene considerato importante e appropriato nell’educazione.

All’interno di questo crogiolo educante i mezzi di comunicazione di massa, inclusi la televisione, i social media e Internet, hanno un forte impatto sull’imprinting educativo, spesso dannoso perché avulsi dal contesto educativo di riferimento in cui si muove il giovane.

In realtà molto spesso questi strumenti diventano elemento di ribellione rispetto al contesto educativo in essere, creando notevoli danni in quanto incontrollabili ma soprattutto non sotto il controllo dei responsabili educativi.

L’imprinting educativo non è un processo statico, infatti le persone possono continuare a imparare, adattarsi e cambiare le loro convinzioni e i loro valori nel corso della vita in risposta a nuove esperienze ed esposizioni.

In sintesi, l’imprinting educativo è il processo attraverso il quale le persone acquisiscono le loro conoscenze, le loro credenze e i loro valori durante la loro crescita e formazione lungo tutto l’arco di vita.

Questo processo è influenzato da una varietà di fattori, tra cui l’ambiente familiare, l’educazione formale, la cultura, i modelli di riferimento e le esperienze personali.

In conclusione di questa prima analisi appare evidente che la definizione di un modello educativo debba tenere in considerazione una pletora di variabili e di elementi statici che proprio perché tali, spesso influenzano le variabili presenti, obbligando a cambi di modelli ed all’inserimento di nuovi algoritmi educativi.

Solo con una attenta considerazione di tutti questi elementi sarà possibile definire percorsi efficaci di apprendimento.




Ribellione e patto educativo, strumenti intelligenti per i genitori (ed anche per i docenti).

Spesso non riusciamo a comprendere i modelli di ribellione che portano avanti i giovani, e la conseguenza di questa incomprensione viene poi riassunta dalla ormai celebre frase ” … con tutto quello che ho fatto per te…”, frase evidentemente inadatta ad un dialogo costruttivo, ma solo ad una serie di conseguenze da incriminatori, che porta poi ad una necessaria frase di ritorno “… e chi te l’ha chiesto…”.

Il comportamento di ribellione nei giovani è un fenomeno complesso che può essere influenzato da molteplici fattori psicologici, sociali ed emotivi molti non alla portata della comprensione della famiglia, ma questo comportamento è una parte normale dello sviluppo adolescenziale, e può variare notevolmente da individuo a individuo, da contesto a contesto, da ambiente educativo ad ambiente educativo.

Servono tre chiavi per aprire questo scrigno del tesoro dei giovani, la prima è un ascolto intelligente, aperto e senza sovrastrutture, la seconda una necessaria ed inevitabile dote di comprensione dell’altrui problema: inutile guardare agli altri con il filtro della nostra esperienza (… se negli occhi l’altrui affanno tu potessi rimirar, quanti che or invidia fanno, ti farebbero pietà … Metastasio) perché non capiremmo, e comunque non a fondo, non pienamente, per l’altro, ricordiamocelo, il suo problema è comunque più importante del nostro, anche solo perché è il suo; la terza una buona capacità analitica e rielaborativa, un pensiero positivo continuo che avvolga il giovane in una tunica di affetto comprensione e saggezza esercitando un dialogo costruttivo e pertanto chiaro ed illustrativo.

Ma cerchiamo di fare due riflessioni, durante l’adolescenza, i giovani stanno cercando di sviluppare la propria identità e autonomia, tanto che la ribellione può essere un modo per affermare l’indipendenza e cercare di capire chi sono.

I giovani di solito cercano di sperimentare con comportamenti ribelli parte del loro processo di esplorazione, questo può includere esperimenti con abbigliamento, musica, stili di vita e scelte sociali non conformi alle aspettative degli adulti, proprio perché il conflitto tra giovani e adulti è spesso un aspetto normale dell’adolescenza.

Gli adolescenti in generale cercano di ribellarsi contro le regole imposte dai genitori o dall’autorità come parte di questo processo, proprio perché regole non fatte da loro e comunque poco chiare e comprensibili, specie alla luce della scarsa quantità di esperienza e quindi di informazioni che un giovane possiede rispetto ad un adulto.

Può essere una colpa questa inclinazione giovanile? Ma proprio per niente, anzi è un valore positivo (ovviamente fino a quando non diventa un comportamento patologico che sfocia in forme di dipendenza), ed è in realtà un comportamento da appoggiare e sostenere perché fortemente bisognoso di informazioni, e  quindi positivo.

La ribellione diviene pertanto un indicatore di disagio informativo da parte dei nostri ragazzi, che deve essere affrontato non solo dai genitori ma anche dalla parte educativa (scuola) in cui il ragazzo si trova.

Noi stessi (adulti) quando non abbiamo risposte o siamo a disagio in una situazione generiamo forti segnali che vanno dallo stress all’irritazione, sfociando spesso anche in forme di malattie e comunque, in ogni caso, manifestiamo comportamenti emotivi anomali.

Ora proviamo a pensare a come affrontino i ragazzi certe situazioni (dalle separazioni famigliari, a lutti, ma anche solo a cambi di realtà sociale, come trasferimenti et similia) senza tutto il set informativo che noi invece già possediamo, o che siamo in grado di recuperare.

Ecco perché prima parlavamo di una tunica di affetto, comprensione e saggezza, perché questi sono i meccanismi necessari per poter instaurare un dialogo; anche noi cerchiamo affetto e comprensione quando abbiamo un problema e se non lo troviamo nelle persone che per noi sono dei punti di riferimento ecco che anche per noi scatta l’irritazione.

Le tre chiavi di cui parlavamo sono il vero grimaldello per aprire quella serratura che a volte ci sembra peggio di Fort Knox.

In ogni caso dobbiamo anche considerare che i coetanei possono esercitare una forte influenza sul comportamento dei giovani, così come l‘appartenenza a gruppi sociali o sottoculture che può portare a comportamenti ribelli con l’obiettivo di adattarsi o distinguersi dagli altri.

Talvolta, il comportamento ribelle può essere una reazione a situazioni stressanti, traumi passati o problemi emotivi non risolti.

Gli adolescenti durante questo turbine emotivo, anche solo come messa a terra di emozioni ingovernabili, possono cercare sensazioni forti e stimoli emozionanti.

Questa ricerca di eccitazione può portare a comportamenti estremi come l’uso di droghe, l’abuso di alcol o il coinvolgimento in comportamenti a rischio.

La ribellione può servire come una sorta di meccanismo di coping per affrontare queste difficoltà.

È importante notare, come già detto, che la ribellione nei giovani non è sempre negativa o dannosa, ma lo è la sua mancata “gestione” da parte degli adulti.

Può essere un mezzo attraverso il quale gli adolescenti esplorano il mondo, sviluppano una maggiore consapevolezza di se stessi e delle loro convinzioni, e acquisiscono capacità di gestione del conflitto.

L’ascolto attento, il sostegno emotivo ed un dialogo sincero da parte degli adulti possono anche aiutare a mitigare i conflitti durante questa fase dello sviluppo.

Durante questa crescita dei giovani, ribellione o meno, subentra un tema importante che sottende al dialogo tra generazioni che è l’unico vero strumento educativo oggi disponibile, ovvero la condivisione del sistema di rispetto delle regole, aspetto importante della pedagogia e dell’educazione.

I Genitori e gli educatori possono utilizzare diversi strumenti e metodi per insegnare ai loro ragazzi il rispetto delle regole in modo efficace, primo tra tutti è fondamentale comunicare chiaramente le regole e le aspettative ai ragazzi.

Qui è fondamentale la collaborazione tra scuola e famiglia, perché le regole devono essere regole di vita e pertanto applicabili dai ragazzi in tutto il loro ambiente, non solo in una parte, pur grande che sia.

Queste definizioni delle regole devono coinvolgere i ragazzi, aumentando il loro senso di responsabilità permettendo in tal modo che le regole siano condivise, comprensibili e comunicate in modo coerente a tutti.

Creare contratti comportamentali con i ragazzi in cui vengono definiti chiaramente i comportamenti attesi e le conseguenze per il mancato rispetto delle regole diviene strumento abilitante per il superamento di quelle tensioni che nascono dall’incomprensione e dalla mancata condivisione degli obiettivi finali.

Esistono alcune indicazioni che esterniamo sinteticamente:

  • Utilizzare risorse visive come poster, cartelloni o diagrammi per illustrare le regole in modo chiaro e visivo.
  • Gli educatori possono agire da modelli di ruolo, dimostrando il rispetto delle regole e delle norme comportamentali.
  • Gli studenti spesso imparano attraverso l’osservazione e l’imitazione.
  • Condurre discussioni in classe o attività di riflessione sugli obiettivi delle regole e sul loro significato.
  • Chiedere agli studenti di condividere le loro opinioni sulle regole e come possono contribuire al benessere della comunità.
  •  Assicurarsi che le conseguenze per il mancato rispetto delle regole siano appropriate e proporzionate.
  • Le conseguenze dovrebbero essere chiaramente definite in anticipo in modo che gli studenti siano consapevoli delle conseguenze delle loro azioni.
  • Ricompensare e riconoscere il comportamento positivo e il rispetto delle regole.
  • Gli incentivi positivi possono motivare gli studenti a seguire le regole.
  • Quando gli studenti partecipano alla creazione delle regole, sono più propensi a rispettarle.
  • Insegnare agli studenti i principi di giustizia e equità, in modo che comprendano l’importanza di rispettare le regole per garantire un trattamento equo per tutti.
  • Utilizzare storie, esempi e scenari reali o immaginari per illustrare i concetti di rispetto delle regole e le conseguenze del mancato rispetto.
  • Offrire consulenza e supporto agli studenti che possono avere difficoltà nel rispettare le regole a causa di problemi personali o emotivi.

L’ascolto e il sostegno possono aiutare gli studenti a comprendere meglio l’importanza del rispetto delle regole, di conseguenza è importante adattare gli strumenti e gli approcci all’età, alle esigenze e alle circostanze specifiche degli studenti.

Inoltre, il dialogo aperto tra educatori, studenti e genitori può contribuire a rafforzare il rispetto delle regole all’interno di una comunità educativa.




Adolescenti, stupri, alcol, violenza, ma che generazione è questa?

L’adolescenza è un periodo di transizione cruciale nella vita di ogni individuo, caratterizzato da cambiamenti fisici, emotivi e psicologici.

Durante questo periodo, i giovani cercano di definire la propria identità e di comprendere il proprio ruolo nella società.

Tuttavia, spesso si riscontra un crescente disagio giovanile, che può essere attribuito in gran parte alla mancanza di regole chiare e coerenti.

Sicuramente la moderna società educante ha fallito nel definire i meccanismi e le regole che la nuova generazione poteva fare propri; di sicuro non è stata aiutata da un eccessivo liberismo, da un politically correct che spesso ha invece come risultato una confusione indotta, una spersonalizzazione dell’individuo che lo estrania da tutte le responsabilità sociali.

Ragioniamo su come l’interconnessione tra il disagio giovanile e la mancanza di regole, analizzando le cause e gli effetti di questa situazione, sia strumento importante per trovare soluzioni efficaci.

Le regole e le strutture forniscono ai giovani un senso di stabilità e di orientamento, specie se queste fanno parte della loro vita sin da subito.

Abituare i giovani ad affrontare un mondo di regole ed a comprenderle è in realtà il passo genitoriale fondamentale per dare un futuro ai giovani.

L’età giusta è: fin da subito.

Quando mancano regole adeguate, i giovani possono sentirsi smarriti e confusi, e questo avviene in tutti gli stadi della vita, perché le regole evolvono con la crescita del ragazzo.

Per poter essere efficaci e costanti noi dobbiamo considerare che il concetto di regola è in realtà una struttura composta: semplificando la regola ha alla base un principio etico e come risultato un comportamento attuato.

Non basta pertanto dire non fare così, perché i meccanismi analitici del cervello dei ragazzi, oggi sempre più stimolati da una tecnologia molto invasiva, prendono frase e contesto (anche se a noi non sembra) e ne analizzano tutte le strutture presenti giudicandole istantaneamente fino a decidere se seguire o meno le indicazioni ricevute.

Ecco, pertanto, che le regole divengono non sono solo limitazioni imposte dall’esterno, ma devono fungere da guida interiore per aiutare i giovani a comprendere i confini dell’accettabile e sviluppare un senso di responsabilità.

La mancanza di regole può portare di conseguenza ad una sensazione di anarchia, dove i giovani possono sentirsi persi e indifesi, ma soprattutto giustificati su qualsiasi cosa.

La mancanza di regole nella vita dei giovani può derivare da diverse fonti.

La società moderna spesso promuove l’individualismo e la libertà personale, che possono essere interpretati dai giovani come un’assenza di limiti.

Inoltre, le famiglie possono essere sovraccariche di impegni e stress, il che può portare a una scarsa applicazione di regole coerenti e spesso non hanno gli strumenti adatti per intervenire nei confronti di una generazione che ha perso valori come rispetto e empatia.

Le istituzioni educative spesso si indirizzano maggiormente sul curriculum accademico piuttosto che sull’educazione sociale ed emotiva, lasciando un vuoto nella formazione dei giovani.

La mancanza di regole adeguate sfocia in un grave disagio giovanile, con diverse modalità.

Senza regole, i giovani sperimentano una mancanza di struttura nella loro vita quotidiana, portando a una scarsa gestione del tempo e all’incapacità di stabilire obiettivi realistici.

Inoltre, la mancanza di regole può aumentare il rischio di comportamenti anomali o devianti, come l’abuso di sostanze o la delinquenza giovanile, poiché i giovani potrebbero sentirsi liberi dalle conseguenze delle loro azioni.

La spersonalizzazione dell’identità personale verso le responsabilità è uno degli atti più gravi che la società educante può generare verso le giovani generazioni.

La mancanza di regole o meglio la loro mancata metabolizzazione nella crescita del giovane, porta poi alla partecipazione a fatti gravi magari collettivi (come le azioni delle bande) o individuali (bullismo etc.) che vengono perpetrati senza nessuna consapevolezza oggettiva; salvo poi stracciarsi le vesti davanti all’indignazione popolare.

Per affrontare il disagio giovanile derivante dalla mancanza di regole, è essenziale un approccio olistico.

Le famiglie possono svolgere un ruolo cruciale nell’instaurare regole chiare e consistenti, fornendo supporto emotivo e comunicando apertamente con i loro figli.

Le scuole dovrebbero integrare maggiormente l’educazione sociale ed emotiva nel curriculum, in modo da aiutare i giovani a sviluppare competenze di vita essenziali.

La società nel suo complesso può promuovere un equilibrio tra libertà individuale e responsabilità sociale, fornendo opportunità strutturate per il coinvolgimento dei giovani nella comunità.

Il disagio giovanile legato alla mancanza di regole è un problema complesso che richiede un approccio multifattoriale.

L’equilibrio tra libertà individuale e regole ben definite è fondamentale per il benessere dei giovani.

Fornire loro una guida strutturata durante l’adolescenza può contribuire a formare individui responsabili, consapevoli e ben adattati che affrontano le sfide della vita con fiducia.




98 mucche per l’arte Masai

Il Pitt Rivers Museum di Oxford contro i pastori Masai

Il 4 luglio 2023 è stata resa ufficiale la notizia che il Pitt Rivers Museum di Oxford dovrà risarcire i Masai del Lenya per un furto coloniale di 138 fa.

La notizia ha destato scalpore per le modalità risarcitorie dei danni causati.

Il famoso museo Pitt Rivers della Università di Oxford

Il Pitt Rivers Museum è un famoso museo della università di Oxford ubicato nella località di Parks Road.

La sede attuale del famoso museo è allestita nel palazzo neogotico all’interno del quale sono esposte anche le esposizioni del Museo di scienza naturale.

Il museo ospita le collezioni archeologiche e antropologiche del tenente generale Augustus Henry Lane Fox Pitt Rivers, un ufficiale inglese dell’esercito britannico etnologo e archeologo vissuto nel 1800.

Il palazzo è stato edificato nel 1885 su progetti di Thomas Manly Deane e Benjamin Woodward.

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Neolaureati a Oxford davanti alla Radcliffe Camera

L’ufficiale inglese amante della archeologia

Il museo fu istituito nel 1884 dallo stesso Augustus Pitt Rivers, morto nel 1900.

L’ufficiale archeologo decise, infatti, di donare le proprie collezioni archeologiche e antropologiche alla Università di Oxford.

Pitt è stato notato dagli studiosi per le innovazioni nella metodologia archeologica e della esposizione museale di collezioni archeologiche ed etnologiche.

Una collezione di tutto rispetto

Inizialmente la collezione contava 22.000 oggetti.

Oggi le opere ivi custodite ammontano a 5000.000 molte delle quali donate da studenti viaggiatori e missionari.

Il nobile obiettivo perseguito da Augustus Pitt era di esporre la cospicua collezione ai fini di studio educativo e didattico al servizio della società.

Una vicenda che nasce anni fa

Ma vediamo come l’ufficiale inglese è stato coinvolto in questa anomala vicenda.

L’idea di riportare a casa il tesoro che custodisce la storia e i segreti dei Masai è di Samwel Nangiria, un attivista per i diritti degli indigeni.

 

La visita del museo

Tutto nacque cinque anni fa.

Il keniano si reca nel 2017 in visita al “Pitt Rivers Museum” di Oxford.

Durante la visita del museo, nella collezione da 500mila pezzi provenienti da tutto il mondo, nota alcuni cimeli appartenuti ai pastori della parte orientale della Great Rift Valley.

Immediatamente avvia le pratiche per richiedere all’ateneo la restituzione degli oggetti d’arte masai.

 

La Great Rift Valley culla dell’umanità

La Great Rift Valley non a caso è considerata la culla dell’umanità.

Nel 1974, in Etiopia, vi furono ritrovati i resti fossili dello scheletro dell’australopiteco più famoso del mondo, denominato “Lucy”.

Ora la nostra antenata più celebre è esposta al museo di Addis Abeba.

La richiesta della comunità Masai

La comunità indigena che vive nella Great Rift Valley, in Africa, tra il nord della Tanzania e il sud del Kenya, richiede ufficialmente al museo etnologico britannico la restituzione di 148 antichi manufatti che espone da 138 anni.

Oggetti che il Regno Unito, negli anni dello splendore imperiale, agli inizi del Novecento, avrebbe trafugato e portato Oltremanica.

PASTORI Masai
Pastori masai

I reperti archeologici e i numerosi precedenti del passato coloniale inglese

Questo dei Masai è solo uno dei tanti fronti su cui Londra è chiamata a fare i conti con il proprio passato coloniale.

La controversia assomiglia molto a quella di cui sono protagoniste Grecia e Nigeria.

Atene chiede la restituzione dei marmi del Partenone esposti al British Museum.

Abuja vuole riappropriarsi invece dei suoi famosi bronzi di Benin in mostra permanente, sempre a Oxford.

 

Il Partenone trafugato

Sono passati più di 200 anni da quando il conte di Elgin trafugò le opere senza un vero consenso del Sultano.

Solo la furia degli abitanti di Atene impedì il completo smantellamento dell’Eretteo del Partenone.

Era previsto che venisse rimontato in Inghilterra.

I bronzi del Benin

I bronzi del Benin sono un gruppo di diverse migliaia di placche e sculture in metallo che decoravano il palazzo reale del Regno del Benin, in quello che oggi è lo Stato di Edo, in Nigeria.

Correva l’anno 1897 e le ambizioni coloniali britanniche in Africa si stavano espandendo.

Il palazzo reale fu raso al suolo e le opere d’arte al suo interno furono rubate.

I famosi bronzi di Benin city si trasformarono ben presto in bottino di guerra.

 

La replica della direttrice del museo

Il direttore del museo oxfordiano, Laura van Broekhoeven, ammette che l’istituzione possiede 148 manufatti Masai di epoca coloniale.

Si tratta di spade, frecce, bracciali e cavigliere.

Sottolinea altresì che in passato quei manufatti sono stati acquisiti per mezzo di funzionari, missionari e antropologi di era coloniale.

L’acquisizione a quei tempi era legale.

 I masai contestano

Non la pensa così il governatore keniano della contea di Narok, Patrick Ntutu, convinto che i proprietari di quelli oggetti siano stati uccisi o mutilati prima che gli ornamenti gli fossero portati via.

PASTORI DEL MASAI MARA. FOTO DI VITTORIA BACCHI
Pastori del Masai Mara 

Il museo si difende: solo 5 i reperti trafugati

La direttrice allora ammette che la sottrazione illegittima ci sarebbe stata.

Ma interesserebbe solo ed esclusivamente cinque reperti, identificati come cimeli di sensibile importanza culturale.

Novantotto mucche come risarcimento, scrive la testata del Nairobi Nation

La testata di Nairobi Nation scrive i che due clan Masai di Narok, Sululu e Mpaima, hanno ricevuto dall’Università di Oxford, che gestisce l’esposizione, 49 bovini ciascuna.

La notizia riporta che, precisamente, due famiglie della tribù dei Masai del Kenya hanno ricevuto in dall’Università britannica di Oxford 98 mucche.

I bovini sono stati portati in processione da impiegati dell’Università di Oxford ai capifamiglia.

L’insolito tributo è stato considerato come risarcimento “amichevole” per una collezione di manufatti originali sottratti ai loro antenati in epoca coloniale.

 

Il Pitt Rivers Museum di Oxford contro i pastori Masai

La mossa, è stato precisato da Oxford, è puramente simbolica.

Segno di volontà alla riconciliazione.

Fa parte di un processo di dialogo tra le parti.

Si ispirerebbe ai principi della diplomazia che insegna a misurare gesti e parole al contesto sociale e culturale della controparte.

 

I bovini come moneta

La trovata con cui il museo ha pensato di fare pace con i Masai è però unica e difficilmente riproponibile.

È vero che i bovini hanno rappresentato a lungo per i Masai una sorta di moneta.

I bovini da sempre, infatti, sono venduti o barattati in cambio di beni e servizi.

Sono utilizzati persino per “pagare” ammende per comportamenti disonorevoli o criminali.

La società Masai è cambiata

Ma le cose, a Oxford lo sanno di certo, sono un po’ cambiate.

Nella società Masai ha fatto capolino il concetto di proprietà privata e titolarità della terra.

Vaste aree della savana, precedentemente gestite collettivamente, sono state suddivise e adibite a nuovi usi, tra cui il commercio.

Il dono delle 98 mucche è insufficiente. Le critiche della comunità masai

Il dono delle 98 mucche è stato apprezzato, hanno mandato a dire i pastori, «ma non è abbastanza per compensare» il furto e l’esposizione illegittima di oggetti appartenuti ai propri avi.

I rappresentanti delle famiglie del clan Loita di Narok hanno dichiarato al quotidiano Daily Nation di apprezzare il gesto, ma che non è sufficiente.

Si aspettano “un risarcimento adeguato”.

Nessuna guerra, ma solo risarcimento decoroso

La comunità non vuole fare causa ai “signori” di Oxford.

Un portavoce delle famiglie Maasai, Seka ole Sululu, ha dichiarato che è stata presa la decisione di perseguire una riconciliazione pacifica con la celebre Università inglese.

I masai non hanno intenzione di fare causa al museo.

Per tradizione preferiscono sempre la pace alla guerra.

Ma si aspettano, quantomeno, un risarcimento decoroso.

 




Bandecchi, Terni, giunta comunale, incompatibilità… che fare???

Bandecchi, Terni, giunta comunale, incompatibilità… che fare???

 

In Italia negli ultimi anni abbiamo assistito a molti scioglimenti delle Giunte comunali per infiltrazioni criminali o di mafia.

Terni, una città di appena centomila abitanti, potrebbe trovarsi a fare i conti con lo stesso destino.

Questa volta, tuttavia, le ragioni non troveranno fondamento nelle infiltrazioni criminali ma nelle incompatibilità politiche del Sindaco Bandecchi eletto in flagrante conflitto d’interessi, nelle recenti elezioni amministrative.

La storia è molto complessa ed una sintesi è necessaria.

Stefano Bandecchi, classe 1961, sale alla ribalta nazionale come imprenditore scolastico.

Raggiunge il successo  con l’Università privata Unicusano che ottiene sul filo del rasoio, con un Governo dimissionario, l’autorizzazione dal MIUR a concedere lauree triennali e magistrali.

Una fabbrica di diplomi ben presto coinvolta in reclami di giovani ingannati dalle promesse nella fase di vendita.

Ciò che fa, tuttavia, del manager Bandecchi, un’emergente nella bocca di tutti, dal Gennaio 2023, è l’indagine della Guardia di Finanza che contesta alla Università un’evasione fiscale di 80 milioni di euro con la confisca di beni per 20 milioni di euro.

Il carosello elusivo, oggetto d’imputazione, riguarda l’utilizzo delle quote corrisposte dagli studenti delle sue facoltà e tassate da un’aliquota ridotta.

I proventi raccolti sarebbero stati invece destinati a investimenti immobiliari e utilizzati per spese voluttuarie o di lusso, in flagrante evasione d’iva.

Un macigno che non preoccupa, tuttavia, il Manager Bandecchi che aveva già mostrato, da tempo,  di avere le idee ben chiare: scendere in politica e conquistare potere politico e le influenze che ne derivano.

Per un progetto vincente occorrono un contenitore politico, un po’di denaro offerto alle forze politiche per non mettersele contro, l’acquisto di una Società calcististica per catalizzare consensi, un programma elettorale populista, una fonte di finanziamento meglio se “off-shore” per le transazioni rilevanti a cui dare vita, dei fans o sostenitori stanchi delle solite promesse e facilmente illudibili, opere pubbliche visibili a cui legare il proprio nome durante la campagna elettorale e magari anche dopo.

Sembra che gli ingredienti ci siano tutti.

Bandecchi aderisce ad Alternativa Popolare il movimento fondato da Angiolino Alfano e lo riempie di burocrati in cravatta.

Comincia a dare la scalata alla politica nazionale, finanziandoTajani (Forza Italia) e Di Maio (M5S) e forse altri ma senza ritorni immediati.

Deve quindi rivedere la sua strategia e partire dai Comuni e  dalle Regioni con un programma populista e molte promesse.

Qualche mese prima, nell’ottobre del 2020, il Sindaco contestato aveva già costituito la UNICUSANO  GLOBAL ALTERNATIVE INVESTEMENT FUNDS, una Sicav a capitale variabile registrata a Cipro con un capitale di 50.000 euro, al momento capitalizzata un po’ meno di 125.000 di euro ma autorizzata a raccogliere fino ad 1 miliardo di dollari.

La Sicav a capitale variabile sembrerebbe il motore finanziario del progetto.

La Unicusano la promuove anche tra i dipendenti del gruppo ed all’interno dei documenti si evidenziano, tra i diversi “assets” (Immobiliare, Sanità, Stadio Liberati e Clinica Privata convenzionata), gli investimenti specifici a cui Bandecchi vuole destinare fondi: il rifacimento dello Stadio Libero Liberati di Terni definito Progetto Pubblico e la casa di cura da convenzionare con la Regione dell’Umbria, definibile progetto privato ma di evidente interesse pubblico (Delibera Comune di Terni n. 139 del 13 maggio 2021).

A questo punto è chiaro il progetto politico e la dimensione territoriale da cui cominciare la scalata: l’Umbria ed i Comuni di Terni e Perugia.

L’Unicusano, il polmone finanziario del Gruppo, già proprietaria della Ternana Calcio dal 2017, chiama a sé il Tecnico Lucarelli e compra i giocatori giusti.

Promette la serie A.

Per prendere molti voti alle elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale a Terni, infatti, servono molti consensi.

La Ternana tornata finalmente in B, macina successi nella prima parte della stagione 2022/2023 per poi rischiare la retrocessione ma tutto va secondo i piani.

La campagna elettorale non oppone alla lista di Bandecchi alcuna resistenza.

Il manager si affermerà come Sindaco con oltre 16.000 voti, anche se nella sua giunta siederanno assessori come la Mascia Aniello con un misero attivo di 37 voti.

Un assessore uscente della precedente Giunta, la Elena Trotti Proietti, ne avrebbe presi quasi 700, solo per dare un’idea della debole rappresentanza del nuovo esecutivo.

Ciò non importa.

Bandecchi ha vinto le elezioni.

È il nuovo sindaco ma nella prima riunione del Consiglio Comunale del 19 giugno del 2023 qualche cosa comincia ad andare storto.

La relazione del Segretario Comunale solleva l’incompatibilità del Sindaco sulla base dell’ articolo 63, commi 1 e 2 del TUEL (Testo Unico Enti Locali).

Il Sindaco e la Giunta hanno una maggioranza sovietica e affossano la relazione.

Bandecchi procede prontamente a vendere la Ternana Calcio e dimettersi dall’incarico di amministratore della società che controlla l’università Unicusano per rimuovere le incompatibilità contestate.

Tentativo inutile.

Il parere del dott. Sgaraglia del Ministero dell’interno del 3 agosto conferma la relazione del Segretario Comunale: Bandecchi, in qualità di dominus del Gruppo Unicusano e ancora intimamente legato a società del Gruppo, resta incompatibile con la carica di Sindaco.

Un “assists” per le opposizioni consiliari che tuttavia non prendono, per il momento, posizione.

IL 7 agosto, in qualità di cittadino, prendo l’iniziativa inviando al Prefetto una pec dove richiamo la necessità di una decisione tempestiva che abbia il coraggio di andare oltre il dettato normativo dell’articolo 70 del Tuel (scioglimento Comune o trasmissione atti alla magistratura civile).

Quello che emerge, infatti, dall’esame dei documenti relativi alla Sicav cipriota è l’esistenza di un disegno strutturato di Bandecchi, sin dal 2020, volto ad acquisire consenso nel Comune di Terni  pur nella consapevolezza di evidenti cause di incompatibilità politica con un eventuale incarico di primo cittadino.

Una circostanza che potrebbe proiettare la realtà fattuale lungo l’impervio sentiero di un’indagine penale.

Alla Pec del 7 agosto seguiranno le Pec delle opposizioni consiliari ma che resteranno confinate alla procedura del Tuel.

Nella mia denuncia, invece, si solleva il dubbio che potrebbero essere stati commessi i reati di usurpazione di Potere Politico e usurpazione di Funzione Pubblica, rispettivamente articoli 287 e 347 del codice penale.

La mia intervista, dell’8 agosto alla emittente AM television, rende l’eventuale , notitia criminis” pubblica e a disposizione della Procura della Repubblica per le verifiche del caso.

La giurisprudenza penale, sentenze 48754/2011 e 43789/2022, del resto, sembrano confermare i dubbi espressi.

In particolare la seconda appare illuminante:

“Integra il reato di usurpazione di funzioni pubbliche la condotta del consigliere comunale che partecipi alle sedute del Consiglio nonostante l’intervenuta conoscenza del provvedimento amministrativo che lo abbia dichiarato decaduto della carica sebbene non avvenuto nelle forme della notificazione”.

È noto che il parere del Ministero dell’Interno non abbia natura provvedimentalema non può altrimenti non considerarsi la rilevanza della fonte giuridica da cui proviene.

In conclusione, nelle more della decisione del Prefetto si preannuncia un autunno molto caldo per Il Sindaco Bandecchi, il Comune e l’intera comunità ternana.

 

 

AMTG SPECIALE – Intervista esclusiva Stefano Bandecchi | AMTG … https://g.co/kgs/pkPCsH




Pedagogia ed inclusione: strumenti per combattere il disagio giovanile.

L’inclusione deve essere considerata come un vero e proprio strumento pedagogico, rendendola una pratica educativa estremamente importante e vantaggiosa.

Occorre, in realtà, ripensare l’approccio, mirando a coinvolgere e supportare attivamente tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro differenze o abilità, all’interno dello stesso ambiente educativo.

Questo approccio promuove l’uguaglianza, il rispetto reciproco e la valorizzazione delle diversità, creando un ambiente di apprendimento ricco e stimolante per tutti.

E’ inevitabile oggi iniziare seriamente a trasformare l’inclusione in un fattore positivo nell’ambito pedagogico, coinvolgendo studenti e famiglie.

La Valorizzazione delle Diversità che è inevitabile in un buon processo inclusivo permette agli studenti di apprendere a conoscere e rispettare le diverse prospettive, background culturali, abilità e bisogni dei loro compagni di classe.

Questo promuove la comprensione e la tolleranza, preparando gli studenti per una società inclusiva e multiculturale.

Per poter avere successo occorre lavorare sull’empatia e sull’autorevolezza.

Empatia quale dote importante di studenti e docenti ed autorevolezza quale riconoscimento del ruolo per i docenti ed educatori.

Un percorso che passa obbligatoriamente per l’Apprendimento Collaborativo, che tramite il concetto di inclusione incoraggia la collaborazione tra studenti con diversi livelli di abilità.

Gli studenti imparano non solo dai loro insegnanti, ma anche l’uno dall’altro, sviluppando abilità sociali, empatia e competenze comunicative.

Vi è anche un aspetto che aiuta ad insegnare, infatti l’inclusione spinge gli educatori a adattare le loro pratiche per soddisfare una varietà di bisogni degli studenti.

Questo li sfida a cercare nuovi metodi di insegnamento e valutazione, potenziando ulteriormente la loro capacità di adattamento.

Un forte strumento di crescita personale che si attiverebbe  sugli studenti con bisogni speciali o con diversi stili di apprendimento, attivando la completa opportunità di partecipare pienamente all’istruzione regolare.

Questo aiuta a sviluppare una maggiore fiducia in se stessi ed a migliorare le loro abilità sociali ed accademiche.

Serve prestare attenzione alla preparazione per la Vita Reale, l’attuale società è variegata e inclusiva, ed i luoghi di lavoro e la comunità in generale riflettono questa diversità.

L’inclusione in ambiente scolastico prepara gli studenti a interagire e collaborare con persone diverse, contribuendo alla loro futura riuscita sociale ed economica.

Comprendere i sistemi di inclusione e viverli in prima persona, possono favorire una complessiva riduzione dell’emarginazione.

Infatti l’inclusione come strumento pedagogico può contribuire a ridurre l’emarginazione e l’esclusione sociale che spesso affliggono gli studenti con bisogni speciali, ma non solo.

Occorre infatti riflettere sul fatto che l’emarginazione oggi non è solo legata alla disabilità ma anche a d’importanti fattori socio-emotivi spesso irrisolti se non addirittura sommersi.

Appare evidente che stimolare, nei nostri giovani, meccanismi che aiutano a comprendere fenomeni che potremmo chiamare “isolanti” o “estranianti” potrebbe essere la chiave di successo per aiutare tutti i giovani, e far in modo che si possano anche aiutare fra loro.

Anche l’accesso a un’istruzione di alta qualità può migliorare le opportunità nella vita.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che l’inclusione richiede risorse adeguate, formazione per gli educatori e un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti.

Ogni studente ha bisogni unici e l’adattamento delle pratiche pedagogiche può richiedere tempo ed energie.

Inoltre, potrebbe essere necessario bilanciare l’inclusione con il bisogno di supporto specifico per gli studenti con bisogni particolarmente complessi.

In sintesi, l’inclusione come strumento pedagogico promuove una società più giusta, rispettosa e aperta.

Implementarla richiede un approccio attento e impegnato, ma i benefici a lungo termine per gli studenti e per la società nel suo complesso sono inestimabili.

 

La Pedagogia al Servizio delle Famiglie: Una Partnership per il Successo Educativo