Elezioni americane 2024: “Di vero dicono il venti per cento.”

A dirlo è il giornalista, scrittore ed esperto di comunicazione Alessandro Nardone, assurto a fama mondiale in occasione delle Presidenziali Americane del 2016.

“Il caso Alex Anderson”

Chi seguì le Elezioni Presidenziali americane otto anni fa, ricorderà certamente il giovane e rampante Alex Anderson che, accanto ai “giganti” Hillary Clinton e Donald Trump, correva per la nomination a Presidente degli Stati Uniti.

Caso volle che anche il protagonista del thriller fantapolitico a stelle e strisce “Il predestinato” di Alessandro Nardone si chiamasse così e che l’Autore, spinto dal desiderio di lanciare il suo romanzo sul mercato anglofono e di promuoverlo in modo originale e divertente, avesse avuto la brillante idea di offrire al suo avatar un’entusiasmante avventura nel mondo “reale”: una vera e propria campagna elettorale.

L’operazione, a dir poco geniale, aveva un altro ambizioso obiettivo: dimostrare al mondo intero la “craccabilità” del sistema dell’informazione. Di questo Nardone avrebbe dissertato nel suo libro “Orwell”, nel cui glossario digital dà delle “fake news” la seguente definizione:  “Contenuti falsi o parzialmente veri diffusi al fine di manipolare la pubblica opinione”.

Il sistema di dis-informazione

“Un tempo la notizia si poteva verificare in modo minuzioso.” Confessa Nardone. “Oggi invece, fare il giornalista è diventato difficilissimo: si è quotidianamente bombardati da una mole enorme di notizie, si viene pagati poco o niente, si ha pochissimo tempo per valutare se la notizia è vera o meno e comunque, in nome del numero dei clic, vince chi arriva per primo”.

E infatti ci vollero ben nove mesi prima che le istituzioni americane, i media e il grande pubblico si accorgessero che Alex Anderson – il cui nome è l’anagramma di Alessandro Nardone – era un “fake”. Proprio come le “fake news” nelle quali, se non stiamo attenti, rischiamo di imbatterci ogni giorno nel web e attraverso i canali tradizionali di informazione.

E veniamo alle Elezioni presidenziali USA 2024

Quanto di vero ci stanno raccontando i media riguardo alle presidenziali americane, previste per il 5 novembre prossimo? 

Non più del venti per cento. Quello che arriva alle nostre latitudini dai cosiddetti “mainstream”, è filtrato dalle lenti della partigianeria a senso unico contro Trump. Utilizzano la tecnica del “framing”, quindi o mentono spudoratamente, o utilizzano solo la parte della notizia che è funzionale alla loro narrazione. 

Qual è il tuo punto di vista su Donald Trump e su ciò che rappresenta, rispettivamente, per i “patrioti” conservatori e per i suoi detrattori?

Per i patrioti Trump è il baluardo che può “salvare l’occidente” dalla deriva woke. Per i suoi detrattori rappresenta il maggiore ostacolo. Tieni conto che, con la sua vittoria elettorale nel 2016, di fatto ha sancito la nascita di questo nuovo bipolarismo: a livello mondiale, quanto meno occidentale, non più destra – sinistra ma popolo contro establishment, patrioti contro globalisti. Chiaramente il ruolo di Trump, per chi come il sottoscritto è conservatore, rappresenta una grande speranza.

… Establishment che ingloba tutto: dai media alle multinazionali, alla sanità, al mondo dello showbusiness…

Comunque, tutti noi conservatori continuiamo a essere la maggioranza silenziosa, perché rappresentiamo quello che è la realtà nei fatti. Non il modello di società che questo insieme di interessi e di lobby vorrebbe costruire, ma un tessuto sociale che è fatto di famiglie, papà, mamme, figli, lavoratori che si rimboccano le maniche per far quadrare i conti. Persone che non vogliono sentirsi dire da nessuno se devono o possono pronunciare il termine “famiglia”; persone che non si vogliono sentire in colpa per il fatto di essere normali. Oggi, infatti, se non sei gay, trans o nero vieni accusato di essere l’archetipo dell’uomo bianco occidentale. E poi il patriarcato…  Tutte queste bestialità. Noi non vogliamo essere accusati di essere “razzisti” o “xenofobi” perché siamo per la difesa della sicurezza dei nostri confini. Non vogliamo essere considerati “fascisti” perché non la pensiamo come i radical chic di sinistra. Questo siamo noi e questo sono le persone che votano Trump negli Stati Uniti, Giorgia Meloni in Italia, Milei in Argentina. Difendiamo i nostri valori e il nostro modo di essere, molto semplicemente. 

Alessandro, vorrei un tuo bilancio sull’amministrazione Biden dal punto di vista politico (guerre, Afghanistan, Ucraina, Medio Oriente, Cina), economico (inflazione), sociale (immigrazione clandestina), culturale (educazione, istruzione).

Un disastro totale, per l’Occidente. Guerre: l’abbandono dell’Afghanistan. Quelle immagini parlano da sole. Una vergogna, un’onta che una potenza come gli Stati Uniti non cancellerà mai dai libri di storia. Ucraina: ricordiamoci le implicazioni di Hunter Biden, il figlio di Joe Biden, con Burisma… E come Biden abbia soffiato sul fuoco fino all’ultimo giorno, spingendo Putin ad attaccare, facendo il contrario di quello che avrebbe fatto Trump, che avrebbe invece messo Putin e Zelensky a un tavolo finché non si fossero messi d’accordo. Dal punto di vista economico c’è, a mio parere, una totale mancanza di strategia. Anche dal punto di vista culturale c’è decadenza totale. E qui mi riferisco all’ideologia gender, che dal mio punto di vista è veramente un qualcosa di criminale, perché fuorviano i bambini sin dalle scuole elementari con la pornografia e con l’idea che possano cambiare sesso anche senza il consenso dei genitori. Sono bestialità che faccio anche fatica a pronunciare, da papà. Un decadimento totale. Oggi, dopo soli tre anni e mezzo di Biden – che valgono per quanti disastri ha fatto per trent’anni – gli Stati Uniti sono una nazione in declino. Basta andare a farsi un giro a New York, a San Francisco, a Los Angeles, le grandi città amministrate dai democratici, per rendersi conto di quanto sto dicendo. È una nazione in declino.  

Se il bilancio “dem” è fortemente in rosso, quante probabilità ritieni ci siano, per i democratici delusi da Biden, di rivolgersi a Trump nella speranza che possa fare di meglio?

Molti democratici hanno già dichiarato che si tureranno il naso e voteranno per Trump. Gli Americani sono molto pragmatici: se tu chiedessi loro se stanno meglio adesso o quattro anni fa… Il problema è quello che si trascina da anni: i democratici non sono stati capaci o non hanno voluto creare le condizioni affinché emergesse qualche leader credibile. Oggi, se i candidati fossero Biden e Trump, molti democratici o voterebbero per Trump, o non andrebbero a votare e comunque favorirebbero Trump. 

Hai un’idea di quanti siano questi dem, in percentuale, rispetto al totale? 

La situazione attuale ricalca quella del 2016, con Hillary Clinton che era molto, molto impopolare anche presso il suo elettorato. Alcuni sostenitori di Bernie Sanders – avversario alle primarie a cui la Clinton ha scippato la candidatura – dichiaratamente hanno votato per Trump, e molti altri si sono astenuti. 

Qual è il programma politico di Trump in risposta all’evidente flop democratico e quali sono, a tuo avviso, i suoi punti deboli e i suoi punti di forza?

Sicuramente Trump ha le idee molto chiare perché è già stato alla Casa Bianca. Dal punto di vista economico, sicuramente il punto di forza è quello di rimuovere le follie e i fanatismi woke, che in questo caso si traducono in fanatismo green. Anche dal punto di vista energetico, quindi, il ritorno ai combustibili fossili. E poi, un’economia che punti a riportare le aziende negli Stati Uniti e a scoraggiarle dall’”esternalizzare”, come aveva già fatto nel suo primo mandato. In questo modo si avvantaggia chi investe e produce negli Stati Uniti, creando ricchezza e posti di lavoro. E ancora, la ripresa del discorso dei dazi con la Cina. Biden quando è arrivato lo ha criticato, ma non li ha rimossi: vuol dire che anche su questo Trump aveva ragione. Continuare quindi sull’America First. Il punto debole, paradossalmente, è anche il punto di forza: la tentazione di un eccessivo isolazionismo. Ma Trump è un uomo d’affari e io credo che saprà coniugare l’America First con una dimensione internazionale, che gli Stati Uniti dovranno continuare ad avere da protagonisti. 

Cos’è l’“Ideologia Woke” fiorita nel periodo democratico e perché, a tuo avviso, non sta funzionando?

L’ideologia Woke è un insieme di dettami che partono dall’assunto del pensiero unico, il “politicamente corretto”: una sostanziale dittatura delle minoranze –  lgbt, razziali  – che applicano una sorta di razzismo al contrario, utilizzando anche la “cancel culture”. Come la cancellazione della storia da parte dei regimi totalitari, ad esempio. I fautori dell’ideologia woke, che troviamo anche nelle Università di Harvard e di Yale, ritengono tutto quello che deriva dalla cultura occidentale dal Rinascimento in poi, il Male. Estremizzo per chiarire e sintetizzare il concetto: la storia è fatta solo da bianchi che sottomettevano i neri e le donne e quindi è tutto “male”, tutto da cancellare. Harvard che cancella il corso sul Rinascimento, statue di Cristoforo Colombo abbattute… Insomma: tutta una serie di nefandezze che fanno parte dell’ideologia woke, di cui fa parte anche l’ideologia gender. Dal mio punto di vista è quest’ideologia a rappresentare il male, ciò che oggi sta portando al declino gli Stati Uniti. Ideologia che si traduce in negativo anche dal punto di vista economico: ad esempio i criteri di sostenibilità energetica e ambientale… Il falso mito della sostenibilità che introduce dei criteri assolutamente inattuabili per aziende “normali”, che magari sono costrette a chiudere perché non si possono adeguare. Alla fine a essere favorite sono sempre le multinazionali. È una partita di giro.

Quali scenari prevedi, negli States, nel caso in cui venga eletto presidente un democratico che dovesse rendersi, ancora una volta, portavoce delle summenzionate culture e ideologie?

Negli Stati Uniti si potrebbe arrivare anche alla guerra civile. Sì perché… Ribadisco, io sto facendo delle constatazioni oggettive, basta ascoltare un qualsiasi comizio di Biden, o anche leggere i suoi tweet, o quelli degli altri esponenti democratici. Accusano Trump per i suoi toni, però andiamo a vedere come parlano loro. Loro sono assolutamente divisivi. Dopo il trionfo di Trump in Iowa, Biden non ha parlato degli “elettori” repubblicani, ma degli “estremisti” repubblicani. E lui, attenzione, dovrebbe essere e parlare da Presidente di tutti. Quindi prevedo uno scenario, nel caso in cui dovessero affermarsi loro… Apocalittico. Per non parlare poi di tutto quello che potrebbe succedere nelle scuole, per via dell’ideologia gender…

Quali scenari potrebbero aprirsi, invece, per effetto dell’elezione di un presidente americano di fede repubblicana?

Di fede repubblicana ce ne sono diversi. Se vincesse Trump, rimetterebbe i valori tradizionali al centro del villaggio. Dal punto di vista geopolitico, gestirebbe il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente aprendo i tavoli delle trattative. Fermo restando che questo sarebbe sicuramente più semplice con Putin e Zelensky, mentre invece Hamas sappiamo che è un’organizzazione terroristica, quindi… Lì sarebbe un po’ più complicato. 

Parliamo un po’ di Robert Kennedy Junior. Aldilà dell’alto consenso trasversale di cui sembra godere, sia fra i globalisti democratici, sia fra i repubblicani conservatori, quali sono i suoi argomenti e fino a che punto possono far breccia nell’elettorato americano sia globalista, sia conservatore di oggi?

Beh, sicuramente la sua totale avversione al concetto di “guerra”. C’è un passaggio molto bello di un suo discorso che è diventato virale online, in cui dice: “Abbiamo imparato a utilizzare la parola ‘guerra’ in tutti i frangenti: la guerra all’immigrazione, la guerra al virus, la guerra all’inquinamento…” Kennedy ha puntato molto su una pacificazione tra i due elettorati: questo è un tema che può fare presa su entrambi i gruppi, soprattutto sulle persone che sono stanche di questo clima da guerra civile permanente, che da qualche anno a questa parte si vive negli Stati Uniti. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo acquisito la forma mentis che ci ha indotto il web. La “polarizzazione”, il fenomeno che caratterizza il nostro tempo, ci induce a considerare chi la pensa diversamente da noi non come qualcuno che ha idee differenti dalle nostre, ma un nemico vero e proprio. Così, ci si allontana sempre di più e ci si capisce sempre di meno. I media mainstream, infatti, parlano di un certo argomento utilizzando una determinata linea. Si stabilisce quindi un frame, una cornice, entro la quale discutere di quel dato argomento. Ed ecco che chiunque esca da quel frame viene aggettivato come “anti sistema”, “omofobo”, “fascista”, eccetera.

Quali sarebbero le sfide che oggi dovrebbe affrontare il personaggio digitale “Alex Anderson”, rispetto alla sua corsa elettorale del 2016? Il sistema dell’informazione è ancora altrettanto craccabile, riguardo all’infiltrazione e alla conseguente diffusione di fake news o qualcosa è cambiato da allora?

Hai sollevato una questione grandissima. La sua candidatura sarebbe irripetibile, come nel 2016. La sfida dell’informazione si è fatta ancora più difficile perché in questi anni abbiamo capito – e il resto dell’intervista in parte lo testimonia – che i veri conduttori di fake news alla fine sono i media tradizionali, non gli pseudo “complottisti”. Quelli sono in certi casi gli “utili idioti” che servono ai media mainstream. Quindi, la vera sfida che si gioca è quella dell’informazione e della comunicazione. 

Quindi in Europa ci arriverebbero delle notizie vere al 20%?

Quando va bene! Questo te lo firmo e te lo sottoscrivo.

Che frecce avrebbe al suo arco Alex Anderson e come convincerebbe i sostenitori di Trump a votare per lui, anziché riconfermare la loro fiducia all’Autore del motto: “Make America Great Again”? 

Sicuramente l’età. Una maggiore contemporaneità e consapevolezza di quelle che sono le necessità delle nuove generazioni, e anche una maggiore garanzia di proiettare gli Stati Uniti nel futuro. Questo potrebbe essere il suo valore competitivo. Con tutto il rispetto per Trump e per la sua agenda, Alex si proporrebbe come un’alternativa più nuova e anche scevra da quello che è il carico da novanta che, nel bene o nel male, si porta sulle spalle Trump. 

C’è qualcosa che vorresti aggiungere, a conclusione di questa nostra bella chiacchierata?

Alla fine, secondo me, il trait d’union di tutto è la coerenza. La coerenza e il rispetto per le idee altrui, sono due elementi che mancano sempre di più nel dibattito pubblico. E questo non avviene a caso, ma perché qualcuno lo vuole… Del resto, ce l’hanno insegnato i romani con “Dividi et impera”…  Dal mio punto di vista, invece, sono molte di più le cose che uniscono gli esseri umani. Se facessimo delle domande tipo: “Sei d’accordo sul fatto che tutti dovremmo vivere nel benessere? … Sul fatto che non ci dovrebbero essere guerre? … Sul fatto che le nostre città dovrebbero essere sicure? … Che la sanità dovrebbe funzionare?” Chi ti potrebbe dire di no? Nessuno. Dipende anche da come le poni, le questioni. Poi, alla fine, si torna sempre lì. È per questo che io insisto sul fatto dell’importanza dell’informazione e della comunicazione. Perché sono loro, alla fine, a determinare il corso della storia.”

 




Vittorio Emanuele Orlando: un convegno ne ha ricordato le grandi capacità.

Sulla esimia figura di Vittorio Emanuele Orlando ci risponde il Prof.  Avv. Salvatore Sfrecola, Patrocinante in Cassazione, già Presidente di Sezione della Corte dei conti, Presidente dell’Associazione Italiana Giuristi di Amministrazione.

 

Venerdì 15 Dicembre, nei saloni dell’Hotel Mediterraneo, un pubblico attento e preparato ha seguito la presentazione del ‘Centro Studi storici, politici e giuridici’, che ha ricordato la figura prestigiosa dello statista Vittorio Emanuele Orlando; ha gestito la riunione il Presidente del centro studi, il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola, Illustre Giurista e Studioso, giornalista e prolifico scrittore. 

 

 

Prof. Sfrecola come mai questo desiderio di riferirsi all’importante figura di Vittorio Emanuele Orlando?

Il grande statista Vittorio Emanuele Orlando – che ha vissuto in un arco di tempo molto importante – ha partecipato attivamente a gran parte della vita politica e sociale d’Italia.  Fu Primo Ministro dall’ottobre 1917 al giugno 1919, ed è passato alla Storia anche per aver rappresentato l’Italia – questa era tra i quattro protagonisti – alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919, a Versailles, unitamente al suo Ministro degli Esteri Sidney Sonnino. La sua era un’attività quasi febbrile, preso com’era a fare di tutto per curare gli interessi dell’Italia e dei suoi Cittadini, tra l’altro fu anche professore di Diritto e membro di quell’Assemblea Costituente che trasformò la forma di governo italiana in Repubblica. Per molti analisti, la sua figura fu anche controversa, in particolare proprio alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919 e per il sostegno da lui inizialmente dato a Benito Mussolini; sostegno ritirato immediatamente dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti.             

La carriera politica di Orlando si concluse a causa dei suoi disaccordi con altri leader mondiali alla Conferenza di Pace di Versailles: una Conferenza che lasciò in molti la forte percezione di aver perso la Prima Guerra Mondiale, nonostante che l’Italia fosse stata ritenuta parte ‘vincitrice’ del sanguinoso conflitto.                    

Annotiamo che a quella particolare Conferenza presero parte David Lloyd George – Primo Ministro Britannico -, il Premier George Clemençau – in rappresentanza della Francia –, Woodrow Wilson – Presidente degli Stati Uniti –

 

Come arrivò a ricoprire l’incarico di Primo Ministro, Orlando?

Orlando – che fu un liberale convinto e coerente – diventò Primo Ministro nel 1917 in seguito all’umiliante sconfitta patita dell’esercito italiano nella battaglia di Caporetto. Guidò con successo un governo di fronte nazionale patriottico e riorganizzò l’esercito, spingendo il paese a un rinnovato impegno nella guerra. Orlando fu un forte sostenitore dell’entrata in guerra dell’Italia e fu incoraggiato dagli incentivi segreti offerti all’Italia nel Patto di Londra del 1915, che prometteva significative conquiste territoriali.

In verità, in quella Guerra l’Italia pagò un altissimo costo, e la disfatta di Caporetto impose un cambio di passo in seno al Governo.  Avvenne così la nomina di Orlando.

Il suo sforzo fu quello di portare alla Conferenza di Parigi del 1919, mentre era in atto un elevato sforzo bellico, così da avere un ‘peso’ maggiore nelle intense trattative intercorse.

 

Come mai l’Italia non raccolse le promesse fatte dalle altre Nazioni firmatarie del Trattato di Londra?

Nel corso dei colloqui di Versailles, un forte scoglio fu rappresentato dal Presidente americano Woodrow Wilson che si mise di traverso sulle richieste Italiane relative alla riconquista dei territori a Est, in particolare dell’importante città di Fiume.  Il contrasto con Wilson comportò un irrigidimento anche delle altre Nazioni partecipanti, che si unirono agli americani nel non fare alcuna concessione all’Italia, così indebolendo il profilo e la stessa forza contrattuale di Orlando che nel Giugno del 1919, con amarezza, dovette rassegnare le dimissioni dall’incarico di Primo Ministro.

Quali collegamenti quindi nel lancio di questa nuova Associazione e il retaggio di Vittorio Emanuele Orlando?

Gli organizzatori del Convegno hanno ritenuto di riferirsi a V.E. Orlando, nella consapevolezza che sarebbe stato utile collegarsi a una figura di alto profilo, tanto per trattare tematiche d’ordine generale che per meglio affrontare quelle attuali. Per noi studiosi, Vittorio Emanuele Orlando è una figura forte, in quanto fondatore della Scuola Italiana di Diritto Pubblico, con la contestuale adozione di un importante e fondamentale Archivio. A Orlando va riconosciuto il merito di essere stato un profondo studioso delle Leggi elettorali; per lui il modello ottimale era quello britannico, e si batté affinché questo fosse ripreso dall’Italia, al fine di garantire rappresentatività e concretezza nel dare forma e sostanza alla volontà dell’elettorato. Ma va ricordato che Orlando – forte della sua veste di insigne e coerente giurista con all’attivo grandi responsabilità politiche e sociali – fu anche uno tra i protagonisti degli incontri con la Santa Sede finalizzati a raggiungere un’intesa che mettesse fine ai contrasti tra Italia e Santa Sede e conclusisi nel 1929 con i famosi Patti Lateranensi.

Il Vostro obiettivo, Prof. Sfrecola?

Insieme agli altri partecipanti a questa iniziativa, contiamo di mettere a disposizione dei Cittadini, degli studiosi e degli storici, la rilevantissima, comune esperienza maturata da ciascuno nell’espletamento di funzioni e incarichi di tutto rilievo.

Ringrazio S.E. il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola per averci concesso questa intervista, ripromettendoci di seguire gli sviluppi della nuova Associazione, nella certezza che i contenuti e le proposte saranno certamente di tutto rilievo.

 

 




Le parole di Tim Crook sulla triste rivoluzione americana

Le rivoluzioni non sono nemiche dell’informazione.

Riportiamo in questo articolo la dichiarazione de prof. Tim Crook, presidente del Chartered Institute of Journalists (CIoJ) il più antico ordine dei giornalisti del mondo. 

La missione del CIoJ

Il Chartered Institute of Journalists, è il più antico organismo professionale di giornalisti al mondo e ha sede a Londra.

Ha membri in più di 30 paesi in tutto il mondo e  sostiene i principi dell’Istituto di giornalismo onesto, indipendente e apolitico.

È stato fondato come Associazione Nazionale dei Giornalisti nel 1884 e sei anni dopo è stato riconosciuto dalla Regina Vittoria nella sua Carta Reale, come organismo volto a proteggere e servire coloro che lavorano nel campo del giornalismo.

In questo momento storico delicato, davanti al panorama internazionale così surreale, per noi di Betapress, unica testata in Italia la cui redazione è in toto iscritta al CIoJ, è doveroso dare voce alla dichiarazione del nostro presidente professor Tim Crook che ha inviato a tutti i membri la seguente email.

La dichiarazione del presidente del CIoJ

Tim Crook Presidente CIoJ
Tim Crook Presidente CIoJ

Il Chartered Institute of Journalists condanna la violenza nei confronti di giornalisti e operatori dei media che coprono l’assalto al Congresso degli Stati Uniti da parte dei sostenitori di Donald Trump.

Il presidente dell’Istituto, il professor Tim Crook, ha dichiarato:

“I rivoltosi hanno inseguito giornalisti e distrutto attrezzature professionali per i media in scene spaventose condannate ampiamente come attacco e macchia alla democrazia.

Vogliamo lodare e rispettare il coraggio e la professionalità dei giornalisti che hanno riportato gli eventi a Washington DC e hanno consentito un dibattito aperto sulle implicazioni di quanto è accaduto”.

Le troupe dei media sono state costrette ad abbandonare l’area e fuggire mentre i manifestanti hanno fracassato le loro attrezzature.

 

Il professor Crook ha dichiarato:

“Trovo agghiacciante e terribile il filmato degli aggressori che fanno un cappio con il cavo di una telecamera e lo appendono a un albero”.

Questo fa parte di un modello spaventoso di attacchi e intimidazioni nei confronti di giornalisti che si occupano della politica statunitense e degli eventi pubblici negli ultimi tempi.

 

“Tutti i nostri membri sperano che questo finisca e gli Stati Uniti in futuro saranno un paese che rispetta la democrazia e il diritto dei giornalisti di riferire liberamente e in sicurezza”.

 

Betapress sposa l’etica del CIoJ

La linea editoriale di Betapress è sempre stata quella della ricerca della verità a prescindere dalla corrente politica che vuole governarla.

Abbiamo sempre agito nella perfetta etica giornalistica e questo è il motivo per il quale ci siamo trovati subito in linea con l’etica del Chartered Institute of Journalists.

Condividiamo pertanto le parole e allo stato d’animo del prof. Crook e diamo loro massima divulgazione parafrasando il suo messaggio

Tutti noi  speriamo che tutto questo finisca e tutti i paesi in futuro saranno in grado di rispettare la democrazia e il diritto dei giornalisti di riferire liberamente e in sicurezza

Grazie Presidente.

 

Sito dell’CIoJ 

 




1961 i giovani e la patria

DIBATTITO A CINQUE

F. COSSIGA DC 33 ANNI

G.NAPOLITANO PCI 36 ANNI

V.CATANI PSI 33 ANNI

A. NICOSIA MSI 34 ANNI

ESPERTO F. FERRAROTTI MOVIMENTO COMUNITA’ 35 ANNI

 

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La prima tribuna politica in Italia

 

 

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