Il riflesso condizionato ai tempi di facebook
Durante il ‘900 una delle grande domande di chi per dritto o per traverso studiava la mente umana, era perché le persone si comportassero in determinato modo e se fosse possibile riprogrammarle.
Che la risposta fosse sì è stato subito chiaro.
Le uniche variabili erano il tempo e l’etica.
Persino di strumenti ce n’erano a bizzeffe e, successivamente, lo svilupparsi e capillarizzarsi dei media ha dato una mano in più.
“Se mi ami, mettiti nudo”
Il riflesso condizionato ai tempi di facebook: siamo partiti dalla campanella di Pavlov e ora scriviamo Amen sotto ai post.
Non so se chi legge ricorda ancora quel vecchio slogan:
“se mi ami, mettiti nudo”.
Era la pubblicità di una marca di preservativi.
Al di là del prodotto reclamizzato, la frase imprimeva nella mente di chi ascoltava uno dei capi saldi della logica occidentale: il principio di causa ed effetto.
Se vuoi che una cosa avvenga, fanne un’altra in qualche modo ad essa collegata.
Erano gli anni ’80.
Non c’erano gli smartphone, non c’erano i social e i reality sembravano ancora una aberrazione della morbosità umana.
A guardarli così potrebbero sembrare anni innocenti dal punto di vista della manipolazione mediatica adesso così di moda e inflazionata.
In realtà, però, già gli inizi del ‘900 avevano dato lustro agli esperimenti di Ivan Petrovič Pavlov famoso per l’induzione del riflesso incondizionato sui suoi cani.
E Pavlov non era certo il solo.
Fate pure un giro su internet per vedere cosa combinavano John Watson, Stanley Milgram, Bibb Latané e John Darley, Harry Harlow o il più recente Philip Zimbardo…
Durante il ‘900 una delle grande domande di chi per dritto o per traverso studiava la mente umana, era perché le persone si comportassero in determinato modo e se fosse possibile riprogrammarle.
Che la risposta fosse sì è stato subito chiaro.
Le uniche variabili erano il tempo e l’etica.
Persino di strumenti ce n’erano a bizzeffe e, successivamente, lo svilupparsi e capillarizzarsi dei media ha dato una mano in più.
Di certo ci si ricorda degli studi e delle riflessioni sulla propaganda di regime.
In quegli anni, l’arrivo massiccio dei media aveva concentrato molto l’attenzione sui comportamenti umani, il modo di manipolarli e sulle tecniche di propaganda.
Il ‘900 è stato il secolo durante il quale l’uomo si è chiesto come dominare la mente degli uomini.
È stato il secolo durante il quale gli studi sulla mente umana sono nati e fioriti.
Nel ‘900 nasce la psicologia (per noi normalissima ma allora rivoluzionaria).
Più la comunicazione entrava nella vita quotidiana delle persone, più i comunicatori hanno sentito il bisogno di affermare il loro potere a proprio vantaggio.
La propaganda (diventato argomento delicato) si trasformava in pubblicità dicendoci cosa comprare e cosa desiderare.
Poi, col XXI secolo ecco la nuova sfida: insegnarci come pensare e – meglio ancora – insegnarci come reagire agli stimoli emotivi (come osserva spesso il filosofo Umberto Galimberti).
Siamo tutti sotto esperimento, a volte li facciamo noi, altre li subiamo.
Siamo tutti dei cagnolini di Pavlov che reagiscono sincronicamente al suono della campanella; oppure siamo Pavlov che misura l’aumento della salivazione della cavia dopo aver lanciato lo stimolo.
Affascinante a guardarlo da fuori, annichilente se si riuscisse a guardarlo dal di dentro.
E noi che possiamo fare?
Innanzitutto accorgercene è un gran passo avanti.
Questo ci permette di guardare le cose da un passo di distanza.
Fatto questo, prese il possibile le distanze, proviamo a recuperare la più antica delle domande filosofiche: “perché?” e assolviamola dalle paure da benpensanti ben educati ben adattati che negli anni ci hanno impedito di usarla.
Senza cadere nella trappola psicologica del complottismo, proviamo a guardare le cose chiedendoci: “perché?”
Perché penso questo?
Perché desidero quello?
Perché reagisco così?
Perché faccio cosà?
Perché…?
E non sarebbe male neppure condividere queste domande con qualcuno che vuole fare lo stesso esperimento.
Non so se ci si salva del tutto però in compenso di passa il tempo molto gradevolmente e si può anche stare lontani dagli stimoli induttori che, bisogna dirlo, sono naturalmente molto ben fatti.
La prima volta che abbiamo risposto a uno stimolo, è stato perché ci è sembrato molto utile e innocuo.
I social, sotto questo punto di vista, sono un interessantissimo campo di addestramento umano.
Chi sui propri profili social non ha mai fatto degli esperimenti per vedere cosa portava maggiore approvazione?
Chi non si è naturalmente adattato alle regole non scritte che portano ad attirare più “like” o cuoricini?
Fa parte del nostro essere animali social – i
Proprio sui social ci sono decine di campanelli attivi che ci fanno piegare al volere del nostro Pavlov di turno, che non deve necessariamente essere il sistema, a volte basta anche liberarsi da quello che una sola persona vuole indurci a fare.
Non si chiamano più “campanelli”, si chiamano “call to action” “chiamate all’azione”; ed effettivamente il nome è onesto perché si capisce che, checché se ne dica, non si tratta dell’azione che vorremmo che il nostro interlocutore facesse spontaneamente ma è proprio l’azione che vorremmo che facesse quasi a qualunque costo.
Ovviamente alla call to action reale tipo “compra adesso (anche se non ti serve adesso)” ci si arriva perché ci si è prima allenati.
E come ci si allena?
Con le buone cause: il vantaggio comune.
Chi non ha mai visto (condividendoli o meno) post del tipo “preghiamo per questa povera anima, scrivi amen nei commenti”; oppure “questa cosa è vergognosa, condividila affinché tutti lo sappiano”.
Il passo sucessivo è il vantaggio personale:
Selezioni per fantomatici posti di lavoro (la leva più forte in questo periodo sociale):
“se vuoi essere selezionato fai la giravolta, la riverenza e la scappellenza e sbagli una sola cosa sei escluso”
“compila il seguente form: qualunque candidatura giunta diversamente non verrà tenuta in considerazione”
“se vuoi ottenere del materiale esclusivo scrivi SCEMOCHILEGGE nei commenti”
Abbiamo visto tante volte tutto questo in giro.
Abbiamo fatto anche noi azioni induttive di questo tipo.
Ed è normale.
Il terreno dei social è il campo nel quale siamo più disposti a seguire le indicazioni.
Ma adesso, provando a guardare tutto questo (che è normale, che fa parte della nostra quotidianità e che, comunque, non possiamo del tutto rinnegare), ci viene da pensare “ma PERCHÉ devo fare come dicono loro?
Perché devo abituarmi a parlare, scrivere, procedere come gli altri?
Perché non posso avere un tipo di comunicazione eterogenea e imprevedibile fatta da modi diversi di rapportarsi e reagire?”
Scegliere di uscire dai social per non essere manipolati è quasi come non uscire di casa per paura di essere investiti.
Non dobbiamo orientarci alla sospensione delle attività (a meno che non abbiamo animi da eremita) ma dobbiamo abituarci a chiederci cosa davvero vogliamo fare.
Crediti: ?
Link Esperimento di Pavlov sui cani: scheda
John Watson: scheda
Stanley Milgram: scheda
Bibb Latané: scheda
John Darley: scheda
Harry Harlow: scheda
Philip Zimbardo: scheda e ancora il mio articolo La bellezza salverà il mondo