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Competenze non cognitive a scuola.

Ma è una novità?

La Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge n.2372 per l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico, che ora passa al Senato.

È prevista l’introduzione sperimentale e volontaria, nell’ambito di uno o più insegnamenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, delle competenze non cognitive, quali l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale, nel metodo didattico.

Obiettivo specifico è incrementare le cosiddette ‘life skills’, ovvero le abilità che portano a comportamenti positivi e di adattamento, che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni.

Tra questi, la capacità di gestire le emozioni, la comunicazione efficace, il pensiero creativo e quello critico, la capacità di prendere decisioni e quella di risolvere problemi (il problem solving).

Ma dov’è la novità? Si tratta di aspetti dell’ordinaria pratica di insegnamento che un bravo docente disciplinarista promuove a pieno titolo per far acquisire ai suoi allievi un buon metodo di studio.

Un bravo docente ha infatti un “occhio di riguardo” nei confronti dei processi di apprendimento dei propri allievi, spostando l’attenzione dal “che cosa” al “come”, puntando a far riflettere gli allievi su aspetti che riguardano la propria personale capacità di apprendere, di stare attenti, di concentrarsi, di ricordare, di risolvere i problemi, di argomentare, di lavorare in gruppo, di relazionarsi.

Sono pertanto i docenti disciplinaristi, che devono conoscere ed insegnare la loro disciplina scorporandone ed evidenziandone i processi mentali implicati.

Successivamente a turno saranno gli allievi-apprendisti ad essere messi alla prova con la medesima prassi, naturalmente su compiti diversificati ma simili, finché l’abitudine ad esternare processi cognitivi e non cognitivi sarà consolidata e finchè la competenza, che sappiamo si acquisisce “facendo”, quando ancora non si sa fare, un po’ alla volta si rafforzerà anche di fronte all’imprevisto.

Allora per aumentare la qualità dell’offerta formativa non sono necessarie nuove sperimentazioni, ma occorre puntare sulla qualità dei formatori per far acquisire ai nostri ragazzi basi solide del sapere.

Ulteriore riflessione.

La premessa alla nuova proposta di Legge fa riferimento ai test INVALSI 2019, che hanno rilevato una situazione allarmante per quanto concerne il livello di preparazione degli studenti e il «Rapporto sulla conoscenza» del 2018 dell’ISTAT da cui emerge che al termine del primo ciclo di istruzione il 34,4% dei giovani non aveva raggiunto un livello sufficiente di competenze alfabetiche, un dato che saliva al 40,1% se si consideravano le competenze numeriche.

Allora basta con l’eccessiva enfasi sulle “competenze”.

Si possono avere competenze senza conoscenze? È importante riprendere la strada maestra con un primo ciclo d’istruzione che punti sulla struttura del sapere (leggere, scrivere e far di conto!!!) e un secondo ciclo sulle competenze trasversali e specialistiche a seconda del corso di studi frequentato.

La scuola è una cosa seria!

Pio Mirra, DS IISS Pavoncelli di Cerignola (FG)

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