DANTE

Oggi parliamo tanto di fan, di influencer, tifosi, di popolo dei social, ma nulla di tutto questo è paragonabile alla grandezza, all’assoluta impronta nella storia, alla innegabile e sconfinata bellezza intellettuale di Dante.

Boccaccio, forse il primo vero fan della storia, colui che, credo pochi sanno, aggiunse l’aggettivo divina all’opera di Dante, che inizialmente si chiamava solo Commedia.

Firenze, la città intellettuale per eccellenza, la culla della cultura rinascimentale, una sorta di brodo culturale primordiale che favorì la nascita dell’italico idioma e fu asilo delle più grandi opere rinascimentali.

Questi sono i tre personaggi in cerca di autore che Pupi Avati ha voluto fare suoi per raccontare quel Dante che pochi di noi hanno nel cuore.

Il film Dante è bello, ottimo, con qualche libertà nella regia, ma forte, di impatto, ma allora, direte voi, corriamo a vederlo; ed invece qui si apre una prima nota critica, che non vuol essere una colpa, ma piuttosto una riflessione.

Il film è, a nostro avviso, una favola letteraria raccontata magistralmente, ma richiede allo spettatore una buona conoscenza delle basi del mondo che racconta.

Ma è Dante, direte voi, tutti lo conoscono!

E no cari amici, non basta citare “nel mezzo di cammin di nostra vita” per poter dire di conoscere le basi per apprezzare questo lavoro.

Questo è un film a strati e si resta affascinati solo quando si arriva al quinto strato, o meglio, quando si riesce ad arrivare al quinto strato, in quel momento il film diventa una sorta di dimensione poetica che ci avvolge, ci culla, richiama alla nostra mente emozioni scritte nel nostro DNA culturale, ci riporta nella nostra identità culturale facendoci attraversare una foresta endecasillaba, ebbra di ricordi intellettuali del nostro passato e carica di ombre della nostra attuale cultura, persa nella giovanile piattezza aritmica.

Chi vedrà questo film lo apprezzerà, qualcuno lo boccerà, ma sicuramente chi lo capirà non potrà non amarlo, profondamente, pienamente consapevole che la ricchezza della nostra storia culturale è il più grande patrimonio italiano.

Boccaccio, nel suo viaggio per ritrovare la figlia dell’Alighieri e darle una sorta di ricompensa per l’esilio da Firenze del Padre, ripercorre le tappe salienti della vita di Dante, come frammenti di ricordi delle persone che lo hanno incontrato, lasciando allo spettatore il compito di ricucire il vuoto tra un quadro e l’altro, come se ci fosse un filo tra un ricordo ed un altro che lo spettatore deve tenere perché suo, perché implicito nell’essere italiano.

IO mi sono identificato in quel Boccaccio sullo schermo che ricercava lo sguardo puro, la bellezza di quella figura che “sapeva i nomi di tutte le stelle”, mi sono ritrovato in quella necessaria completezza della poesia e della lingua, in quel grande sapere, IO mi sono ritrovato nel sentimento più puro che in poche parole semplici DANTE ha reso immortale “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio”, amicizia, amore, lealtà, patria, tutto in un solo incipit “Guido, i’vorrei…”.

Dante si strugge per la sua Firenze, centro fermo dei mille disii, a cui assegna un valore simbolico, universale, a cui sembra voler dedicare la sua opera, come se tutto da lui fosse stato scritto per poter tornare nel grembo materno dalla sua città.

Chi lo capirà trarrà da questo film un’esperienza profonda, emotiva, insuperabile.

IO sono rimasto in sala dieci minuti dopo la fine, quasi a non volermi staccare da quel momento, e ricordavo continuamente mio nonno che nel suo studio mi raccontava di Dante, Petrarca, Boccaccio, Cavalcanti,  Guinizzelli, e di molti altri che, ora mi rendo conto, sono il mio DNA culturale da italiano.

 

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