star trek

Se penso a com’era ieri, oggi siamo nel futuro.

Eppure io il futuro me lo immaginavo diverso.

Sui giornali si legge la notizia del primo turista nello spazio e il suo nome giapponese; mi guardo intorno e vedo dispositivi che ci connettono con persone in ogni parte del mondo e macchine che scrivono le nostre parole sotto dettatura.

Per quanto ci siamo abituati subito a tutto questo, possiamo dire che il futuro di oggi è davvero stupefacente.

Eppure io, il futuro me lo immaginavo diverso.

Sì, è vero: oggi voliamo, respiriamo sott’acqua, proiettiamo le nostre fantasie sugli schermi rendendole reali… attendo ancora il teletrasporto anche se ci sono situazioni olografiche che riproducono davanti a noi in dimensioni reali le persone richieste.

Ma non mi basta… io immaginavo altro…

La colpa è dei film che guardavo da bambina.

La colpa è del modo in cui tutto mi sembrava plausibile.

Erano i tempi di star Trek, che guardavo la mattina quando non andavo a scuola e restavo a letto a far passare la febbre.

Guardavo e aspettavo.

Di recente, nell’età delle stagioni televisive a disposizione su Netflix, io e il mio fidanzato abbiamo preso l’abitudine di guardare la sera, stagioni di vecchi telefilm.

Abbiamo iniziato con Star Trek e, vista l’infinita quantità di stagioni, ci accompagnerà anche nella nostra vecchiaia.

Ma il punto è che io il futuro me lo immaginavo proprio come quello di Star Trek.

Non parlo nello specifico delle navi spaziali e del lavoro nella flotta stellare (ah come mi sarebbe piaciuto!) e neppure del ponte ologrammi (tanto figo ma che porta solo rogne) e neanche del teletrasporto (che aspetto con un prossimo iPhone)… io parlo delle tante specie differenti all’interno della sala mensa.

Gente proveniente da ogni pianeta che lavora assieme sull’Enterprise, combatte e si incontra, che fa nuove alleanze e che esplora spazi sempre più lontani.

Il mio futuro era sconfinato.

Il futuro per me era quello: conoscere e convivere in piena integrazione universale con altre specie (non inteso come etnia o razza ma come estrazione umana).

Mi aspettavo che da grande sarei stata circondata da persone diverse da me e che ognuno avrebbe mostrato chiaramente la propria originalità (intesa nel doppio senso di origine e di peculiarità) e pensavo negli anni della mia crescita di prepararmi a questo.

Mi sembrava tutto così plausibile…

E invece no.

Ho capito che non era così un giorno che ero “fuori città” per lavoro.

Prima di rinchiudermi in hotel e impallidirmi alla luce del neon, mi ero fermata a pranzare in una piazza affollata in una zona di uffici.

Ero di buon umore perché avevo sete di guardare le persone attorno a me e immaginarne le vite.

Ho scelto un posto che mi permettesse di guardarmi bene intorno, mi sono seduta e ho ordinato.

Mentre aspettavo il mio pranzo ho cominciato a guardarmi attorno.

E ho sentito un crack, come di una corteccia dentro di me.

Ho provato un senso di grande disagio vedendo che erano tutti uguali.

Tutti gli uomini erano uguali, tutte le donne erano uguali.

C’erano di ogni specie un paio di versioni diverse ma sempre omologati.

Tutti gli uomini sembravano alti con l’abito coordinato e tutti le donne magre con borse firmate e un po’ di tacco; anche i bassi sembravano un po’ più alti eppure non sembrava puntassero al cielo.

Altri uomini avevano un abbigliamento più casual con maglia fuori dai jeans e scarpe comode che accompagnavano una postura rilassata, certe donne professavano l’anticonformismo nei capelli arruffati e i vestiti colorati non abbinati tra loro.

Al di là dei vestiti, però, si vedeva che facevano parte tutti della stessa specie… a prescindere dal colore della pelle e dall’accento.

E anche io ero come loro, omologata a loro.

E mi sono sentita incredibilmente sola perché attorno a me c’erano solo persone a cui somigliavo e in quella collettività mi sentivo sparire.

Quel fine settimana sono stata molto triste, perché avevo scoperto che nel mio futuro di quel momento, a pranzo non era possibile incontrare Klingon, Vulcaniani, Romulani o Ferenghi e, in più, come “terreste” non ero neppure troppo distinta.

…Peccato…

Tornando a casa, nel consueto appuntamento serale, mi ha molto colpito una specie di nome Borg.

I Borg sono una Collettività, ovvero sono un sistema composto da parti chiamate droni, una sorta di persone senza un pensiero personale ma che opera e si muove in funzione dell’insieme; i droni operano in comunione e accordo, senza alcun tipo di conflitto.

I Borg, ovviamente avendo tutti le stesse idee e le stesse esigenze, sono potentissimi: è quasi impossibile sconfiggerli e quando l’Enterprise li ha incrociati, la migliore soluzione si è sempre rivelata l’allontanamento strategico.

Il Borg tipo, quando incontra qualunque organismo diverso da sé dice: “Noi siamo Borg, voi sarete assimilati, la resistenza è inutile” (We Are the Borg. You Will be Assimilated. Resistance is futile”) e poi lo assimilano ovvero lo trasformano in Borg acquisendo, a favore della Collettività, tutte le conoscenze di quella specie.

E così, grazie a tutta questa esperienza assimilata, i Borg sono potentissimi e il loro obiettivo finale è la Perfezione.

Non verrebbe neppure da dire che sono cattivi, sono una Collettività e, in quanto tale, è difficile stabilirne la moralità: la morale ha a che fare col bene di uno e col male di un altro, in un viaggio per il miglioramento collettivo, il bene ultimo, che è nobilissimo, è il solo che conta.

I Borg sono quelli che certi filosofi contemporanei chiamerebbero “la specie” intendendo una collettività che opera e agisce all’interno dell’organismo epocale.

I Borg, quando per una serie di motivi si trovano ad essere tirati fuori dalla Collettività, soffrono tantissimo trovandosi a dover pensare a loro stessi come individuo.

Eppure, dopo che provano l’Individualità, ne restano in qualche modo diabolicamente sedotti.

L’individuo ai loro occhi è completamente smarrito: deve innanzitutto trovarsi un nome, accettare di essere un IO e non un NOI, scoprire di avere desideri differenti da quelli della Collettività, dover formulare pensieri propri e, quel che è peggio, si trova a confrontarsi con la contingenza della morte… cosa impensabile all’interno della collettività dove, se un drone smette di funzionare, le esperienze restano comunque nella collettività.

Ogni aspetto di questa specie offre spunti di riflessione e i Borg si rivelano un Simbolo potentissimo, laddove chiamiamo simbolo quel “piccolo” e “limitato” che si rivela universale, il granello di sabbia che rivela l’universo mondo.

Gli autori di Star Trek hanno tutta la mia stima e ammirazione, tra loro, vorrei poter avere ogni sera a cena chi ha inventato il personaggio dei Borg per poter parlare bevendo del buon vino rosso di come questa specie abbia tanto a che fare con noi e con la crescita spirituale e umana.

Noi che ci sentiamo al sicuro solo nelle collettività di un team di lavoro o di un gruppo Facebook, che siamo un unico organismo senza rendercene conto, che non vediamo la morte e, quando la contempliamo, ci spaventa, che non abbiamo idee difformi da quella dei nostri leader spirituali e miriamo a una perfezione senza contraddittorio; noi che cerchiamo la verità che ci dà un organismo fantastico più grande di noi e del quale ci fidiamo (chiamiamolo internet, tv, società, bibbia, corano…)

Noi che sentiamo che, se saremo tutti uniti, saremo invincibili e che ignoriamo e mettiamo a tacere le scomodità della nostra anima perché ogni giorno che passa il pensarla in modo diverso ci sempre inconcepibile.

Noi adesso siamo Borg e siamo stati assimilati, la nostra resistenza è stata inutile.

Ma se ne esce.

Quando incontriamo degli individui, possiamo essere salvati.

In genere sono gli umani che hanno questo desiderio tirare fuori l’Uno.

Non ci piacerà, ma l’ebrezza di sceglierci un nome che sia nostro e non dato da chissà chi, sarà così seducente che di nuovo, con grandissima difficoltà, confusione e paradossi, cercheremo la nostra perfezione che è da tutt’altra parte anche se non sappiamo neppure com’è fatta e in che consiste… e, nell’attesa di capire, si può andare in sala mensa a bere qualcosa con Klingon, Vulcaniani, Romulani o Ferenghi.

 


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