E siamo ancora qua…
Non è tempo di consuntivi, purtroppo, perché il Covid 19 circola ancora tra la gente ed i dispositivi individuali di protezione fanno parte ormai del nostro vivere quotidiano.
Siamo alla Fase II o forse alla Fase III ma il timore di nuovi focolai e dei contagi innescati dagli asintomatici rende possibile il ritorno ad una fase di confino e di isolamento sociale.
Se guardiamo indietro, alla esplosione dei primi casi in Italia alla fine del gennaio scorso ci rendiamo conto che negli ultimi mesi il virus ha cambiato radicalmente le nostre vite e le certezze sulle quali riposavano.
Non sono in discussione le modalità relazionali imposte dalle logiche di prevenzione che hanno accelerato processi già in atto come la digitalizzazione e la progressiva innovazione tecnologica a disposizione dei modelli di consumo.
Gli archetipi dell’immaginario collettivo stravolti dal Covid sono stati i cardini portanti della società del benessere conosciuta dalle economie avanzate dal dopoguerra ad oggi.
Pensiamo al sistema delle certezze, a quello dell’informazione ed infine alla Politica ed al senso di Stato.
Le prime sono state spazzate via dall’emergenza virale e per molto tempo la precarietà potrebbe essere l’humus culturale di ogni scelta individuale e collettiva.
Un mondo senza certezze tuttavia è facile preda della caduta valoriale e materiale.
Una vita senza futuro si consuma nell’attesa e nell’inazione.
In realtà l’incertezza ha fatto il suo ingresso nel linguaggio dell’economia già da un paio di decenni e la società contemporanea è stata già sapientemente descritta come “liquida” dal filosofo Zigmunt Bauman.
Purtroppo il Covid19 ha portato a compimento un processo già in atto con la conseguenza di rendere tutto più incerto e instabile.
L’informazione non è stata risparmiata dagli effetti del Covid19.
La pandemia, infatti, ne ha condizionato la natura e la comunicazione è diventato lo strumento principale per orientare scelte e veicolare decisioni.
Purtroppo ai più attenti non sarà sfuggita la difficoltà di decifrare i contenuti dell’informazione proprio riguardo ai nuclei centrali dell’interesse pubblico degli ultimi mesi: l’andamento dell’epidemia, i protocolli di terapia, i progressi nella ricerca di un vaccino per non citare le questioni economiche sull’agenda della politica nazionale e comunitaria.
Comprendere in modo esaustivo le cifre della comunicazione è stato molto difficile e ciò non a causa dei giornalisti o delle testate editoriali.
Le stesse fonti della informazione sono divenute fluide, instabili, a volte approssimative aprendo la strada ad una comunicazione fatta più di suoni e slogan che di contenuti cognitivi.
Il senso di precarietà e la parzialità delle conoscenze veicolate non sono stati i soli terreni di scontro collaterali della pandemia.
La Politica ed il significato di Stato hanno forse subito contraccolpi ontologici di cui non abbiamo ancora una idea precisa.
La prova è sotto gli occhi di tutti: lo scollamento tra classe politica e paese reale ha raggiunto livelli di estrema gravità.
Nei palazzi del governo si discutono temi urgenti e necessari ma le decisioni non arrivano e la comunità civile ed economica cercano di tirare avanti come possono.
La politica in atto è inadeguata e non serve né ai cittadini né alle proprie prerogative.
In questo contesto lo Stato perde giorno dopo giorno autorevolezza e mostra le proprie debolezze.
Il dibattito politico degli ultimi mesi in ambito nazionale ed europeo fornisce, purtroppo, soltanto conferme.
Per molti mesi abbiamo ascoltato dal Governo e dall’Unione europea promesse di aiuti per il rilancio dell’economia del paese.
Interventi di miliardi di euro mai erogati e per i quali si dovrà attendere ancora a lungo.
È evidente che il modello di Stato liberale e democratico arrivato fino ad oggi si stia mostrando lento e poco reattivo al cambiamento imposto dalla recessione globale e dalla pandemia.
Senza una riforma dello Stato e delle Istituzioni sarà difficile immaginare un rilancio del “sistema paese” sostenibile.
Dietro l’angolo infatti si annidano insidie evidenti nella crisi dei partiti politici e nella deriva verso forme di democrazia diretta e populista.
Sarebbe un errore in questo contesto assistere in silenzio al degrado dei mondi paralleli: lo Stato, le Istituzioni, la Politica e la Società civile.
È ancora possibile fare qualche cosa?
Certo gli scenari descritti incutono timore e disegnano le trame di una tempesta perfetta.
Eppure la pandemia accanto a tanta sofferenza ha cambiato il corso della storia riportando in superficie valori sepolti.
Il senso della Vita, la Felicità, la centralità della famiglia ed il senso di comunità hanno trovato un nuovo collante emotivo nelle vite di ognuno di noi.
Per questo occorre ripartire da un nuovo Patto Sociale nel quale attribuire allo Stato la responsabilità di regolare il progresso umano, civile ed economico, intorno ai nuovi paradigmi della crescita.
Un patto che metta al primo posto la felicità individuale e collettiva nelle sue declinazioni più ampie.
La pandemia ci ha reso più fragili e spaventati ma ha messo dinnanzi ai nostri occhi i limiti di un modello di crescita economico fondato su parametri di natura quantitativa.
Dobbiamo ripartire da quello che abbiamo e non aver timore di sognare un futuro di benessere anche se il cammino sarà ancora lungo e dovremo superare ancora molti ostacoli.