“Guilty”
“Nessuno è sopra la legge”, questo il commento dello staff di Biden avuta la notizia della sentenza di primo grado che ha condannato il Presidente Trump per tutti i 34 capi di imputazione sul caso della “pornostar”.
Donald Trump è rimasto impassibile alla lettura del verdetto, questo narrano i media presenti.
Un verdetto indubbiamente storico.
Le successive dichiarazioni del Presidente Trump sono chiare “noi lotteremo per il Paese, noi lotteremo per la nostra Costituzione, il vero verdetto sarà il 5 novembre”.
Altrettanto immediati i commenti in quell’Europa che vive come un incubo il ritorno dell’inquilino di Mar a Lago nella Stanza Ovale.
“Dovremo vedere l’effetto sulla campagna elettorale soprattutto nei duelli negli Stati in bilico” hanno immediatamente dichiarato.
Altrettanto solerti i sondaggi secondo cui “una fetta di elettori moderati e indipendenti non è disposta a votare un candidato condannato”.
Ritenendo questo processo un deja vu per chi ha la consuetudine a dover constatare un uso politico della giustizia ed un “fatto assolutamente casuale e non ad orologeria”, ovvia la mia italica ironia, il fatto che la pena sarà stabilita in un’udienza fissata per l’11 luglio, vigilia della convention del Partito Repubblicano statunitense che formalizzerà la nomina a candidato alle presidenziali di novembre di Trump, avendo qualche conoscenza in quel di Mar a Lago, subito dopo aver letto la notizia del verdetto sui media nostrani, ho fatto qualche telefonata dall’altra parte dell’oceano.
Indubbia la mestizia nei miei interlocutori, non per la sentenza che ha raggiunto colui che viene chiamato dai suoi sostenitori “il vero presidente” ma per aver dovuto constatare che gli Stati Uniti devono imparare a confrontarsi con una magistratura strumento di una parte politica.
Viene da chiedersi se coloro che in Stati Uniti hanno acquisito questa postura nell’uso della giustizia abbiano imparato in Italia e se coloro che aborrono questa pratica vorranno compulsare il Ministro Nordio che, sempre nella nostra amata Patria, si sta confrontando con una riforma del sistema giudiziario atta proprio a ridurre, speriamo estirpare, certe “ideologizzazioni” del corpo giudiziario a tutto favore della terzietà dello stesso.
I miei interlocutori, oggettivamente assai delusi nel dover prendere atto di come si sia modificata in peggio la loro patria in questi quattro anni, si sono sfogati al telefono con me.
Io, nell’ascoltarli, pensavo a Berlusconi ed alla sua storia, ma non solo.
Durante una di queste conversazioni una agenzia di stampa ha riportato il commento dello staff dell’attuale inquilino della Casa Bianca, quel “Nessuno è sopra la legge” già riportato in questo mio scritto.
Immediato il cambio di tono del mio interlocutore, da mesto a serio, fulminea la risposta “su questo hanno ragione, questo concetto da novembre lo applicheremo ovunque fino in fondo”.
Alla mia domanda sui “danni” per la campagna elettorale del candidato repubblicano, una risposta che fa riflettere “gli americani non sono europei, oggi abbiamo guadagnato un altro milione di voti”, chissà se avrà ragione lui o gli esperti di sondaggi?
In Stati Uniti di tutto questo sono tutti stanchi, tutti anelano delle novità, molti sono convinti che su quei “tre giorni” di ritardo nel conteggio dei voti a causa di un “malfunzionamento” del sistema informatico di calcolo debba essere fatta totale chiarezza per ristabilire la credibilità della democrazia.
Allorquando, da italiano, ho provato a far notare che “il passato è passato, certe volte conviene voltare pagina”, fiera la risposta “noi siamo americani, andiamo sempre fino in fondo, ovunque”.
Dopo le mie conversazioni notturne temo che questa sentenza newyorkese dal sapore italico esacerberà i rapporti in America e che, anche di questo, memore del fatto che è assai più facile incolpare qualcuno lontano piuttosto che qualcuno che vive vicino a te, verranno ritenuti responsabili coloro che avrebbero facilitato quei brogli elettorali del 2020 che ogni giorno più elettori statunitensi ritengono siano realmente avvenuti.
Infine un’ultima considerazione notturna dovuta alle tante dichiarazioni sull’uso delle armi occidentali all’interno dei confini della Federazione Russa, addirittura quella del sito web “Politico” che dichiara che Joe Biden abbia “segretamente” già autorizzato queste attività limitandole ad alcune aree all’Interno dei confini russi, speriamo che a nessuno dei tanti leaders europei amici del Partito Democratico in Stati Uniti ed al trio Obama – Clinton – Biden non venga in mente che con una “bella guerra in Europa” si “risolvono tanti problemi” e, soprattutto, si rimane al potere.
In fondo Zelensky insegna e con buona pace di certi titoli di media filo Biden che hanno riportato una asserita dichiarazione di Trump dei giorni scorsi che suona “da Presidente io avrei bombardato Mosca”, il periodo 2016 – 2020 è l’unico nella storia recente degli Stati Uniti che non ha visto il Presidente in carica iniziare una nuova guerra da qualche parte del mondo.
Ignoto Uno