L’esordio alla regia di Andrea De Sica, figlio del compianto Manuel e nipote del grande Vittorio, con il film “I figli della notte”, unico film italiano in concorso al 34° Torino Film Festival, è autoriale e audace e riesce a fondere insieme con abilità e tensione narrativa costante generi diversi, che spaziano dal romanzo di formazione al thriller.

Il film, uscito in distribuzione solo in una trentina di sale, racconta l’esperienza di due rampolli benestanti della borghesia imprenditoriale italiana che, contro la loro volontà, vengono iscritti in un collegio prestigioso ed austero, che ha il fine di preparare la nuova classe dirigente con metodi duri e militareschi per sfornare  manager disumanizzati e pronti ad esercitare senza esitazioni il cinismo che il loro ruolo nel mondo esigerà.

Giulio, molto più compatibile e predisposto alla vita che il sistema degli adulti sta preparando per lui, viene subito attratto da Edo, molto più fragile e ribelle, confuso e tormentato dalle scelte da compiere nella propria vita.

Insieme si oppongono al bullismo ed ai metodi formativi della scuola e cominciano a frequentare di notte un bordello avvolto da atmosfere gotiche ed horror, comunque sotto il controllo vigile del “grande fratello” del collegio a cui nulla sfugge, impersonificato dall’educatore Mattias, che “non li spia, ma impara a conoscerli”.

Il film si apre con due inquadrature molto originali ed anticipatorie dello sviluppo narrativo e drammaturgico della trama, perché svelano sin dall’inizio il continuo e sotterraneo contrasto tra gli opposti valoriali sul quale il film è costruito, reso cromaticamente con il continuo alternarsi di luce e oscurità.

La prima inquadratura è inondata di luce bianca ed in un angolo fuori centro compare sfuocato il volto di Giulio, uno dei due protagonisti.

La seconda, immersa nell’oscurità, lo riprende di nuca mentre parla con la madre che lo saluta, madre che non compare mai nel resto del film e di cui ogni tanto si sentirà la voce.

Il dissidio centrale sul quale il film si sviluppa è rappresentato dal dramma della scelta che ogni adolescente si trova a vivere quando si affaccia sul liminare della vita adulta: accettare il ruolo che la società degli adulti sta preparando per lui ed i necessari compromessi tra aspirazioni ideali e sogni ed il cinismo che sarà richiesto della vita reale o scegliere una via di fuga, anche quando il prezzo della fuga può essere molto alto? Non è forse un dilemma che, in forme diverse, si presenta nella vita di ciascuno, non solo nell’adolescenza?

Man mano che il film va avanti le scelte ed i comportamenti dei due protagonisti divergono progressivamente fino a rappresentare quasi i due poli opposti di scelte esistenziali tra coraggio e viltà, tra fedeltà romantica ai propri ideali e pragmatismo opportunistico, tra altruismo ed egoismo, tra individualismo e massificazione acritica, tra accettazione rassegnata del proprio destino e fuga a qualsiasi costo.

Un punto di forza del film sta nella rottura delle attese che provoca nello spettatore, perché esso non prende posizione, non esprime alcun giudizio etico o morale sui fatti che racconta e sui diversi comportamenti dei due protagonisti.

Un punto di debolezza si trova, invece, nel fatto che lo sviluppo narrativo è reso meno lineare dall’inserimento improvviso di elementi di parapsicologia, che ricordano le atmosfere stranianti di Lynch, che confondono la comprensione del comportamento di Edo e del significato del suo gesto finale, che sembra dettato più da disturbi psichici che dal suo senso di ribellione.

Giulio, invece, alla fine rappresenterà il “prodotto migliore” del collegio e sorprenderà lo spettatore nella parte finale del film con un comportamento scaltro e spiazzante, ma complementare ed opposto rispetto a quello del suo coetaneo, rivelando la sua vera natura, già irrimediabilmente corrotta dal fascino del denaro e del successo sociale, al quale vende la propria anima senza particolari lacerazioni interiori.

La regia del film riesce ad esprimere con le immagini sia la sospensione di giudizio etico e morale che il film lascia irrisolto sia la diversità di sensibilità, di valori e di destino dei due protagonisti attraverso l’alternanza tra luce ed oscurità, tra i campi lunghi della natura alpina ed i primi piani dei protagonisti senza profondità di campo,  tra la musica straniante (composta dal regista) ed i pezzi solari (Vivere, Ti sento), tra la location del collegio (un albergo dismesso immerso in una valle alpina) e gli interni geometrici e nevrotici dei corridoi (il riferimento a “Shining” è evidente)

Nel complesso un film bello e da vedere, soprattutto per riflettere sui cambiamenti della società degli ultimi 50 anni e magari per domandarsi in che rapporto siano I figli della notte di Andrea De Sica con La mejo gioventù di Marco Tullio Giordana.

 

Stefano Delibra Critico Cinematografico di Betapress

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