Impresa sì, ma umanamente…
Team building e licenziamento
i valori umani dell’imprenditrice Elisabetta Ruffino.
Le coincidenze sono degli avvenimenti che accadono normalmente ma che regolarmente ci lasciano senza parole.
Il termine coincidenza deriva dal latino “cum – incidere” ovvero cadere insieme.
E così avviene che degli avvenimenti apparentemente separati e distanti cadono insieme davanti ai nostri occhi e lasciano un segno profondo nelle nostre vite.
Sono cose che ci stupiscono ma che, a conti fatti, sono perfettamente normali, comuni.
Sappiamo che accadono ma ci piace sempre fermarci a guardarle stupiti, un po’ come facciamo davanti ai fenomeni naturali: li guardiamo ammirati ma sappiamo che non c’è nulla di magico dietro, solo natura.
Bellissima, perfetta natura.
“Caso”, “fato”, “coincidenze”, “sincronie”, “ananke” … sono tutti termini filosofici e letterari che raccontano lo stupore di vedere l’armonia degli avvenimenti e la constatazione lucida della perfezione della realtà.
Personalmente a me le coincidenze piacciono, le aspetto proprio per guardare dove mi porteranno e a che punto arriveranno.
Le aspetto pronta e fiduciosa come Benjamin Franklin aspettava i fulmini col suo aquilone.
Questo articolo parla di un incontro casuale e di quello che mi ha insegnato.
Scrivo di questo insegnamento perché credo che possa essere uno spunto di riflessione, un esempio interessante e una boccata di buona speranza per chi legge.
Voglio raccontare questa storia perché porta in sé delle tracce, qualcosa che può riecheggiare nelle orecchie di chi legge e dare una prospettiva in più.
Chi cerca risposte, la maggior parte delle volte le trova per caso, spesso nelle parole che avrebbero dovuto avere tutto un altro contesto, a volte in un articolo.
Ma andiamo alla storia che voglio presentare.
È una storia che parla di persone che hanno delle aziende e che, attraverso questo strumento, lasciano un segno nella vita di altre persone.
Le riflessioni che riporterò non sono fantasticherie ma riflessioni concrete che hanno riscontro in circostanze effettive ed è questo il motivo della loro eccezionalità.
Mi piace osservare la vita umana e professionale di chi “costruisce lavoro”, scrutarne la realtà e cercare di guardare oltre, perché spesso parla di persone straordinarie.
In una società ideale, l’imprenditore ha una responsabilità sociale importante: deve migliorare la propria vita, quella dei propri dipendenti e quella dei propri utenti finali, i cosiddetti clienti.
La sfera del lavoro, dell’impiego, nell’economia del tempo e dello spazio, interessa una fetta della nostra vita molto grossa e “chi vuol fare la differenza” è chiamato a muoversi anche all’interno di questo campo.
Esistono persone che la pensano così e a me piace andare ad osservarle.
Lei si chiama Elisabetta Ruffino e siamo diventate amiche per caso.
Lei di Torino, io di Palermo, per qualche anno ci siamo incontrate per caso in giro per l’Italia, ci salutavamo da lontano ma niente di ché.
Era sempre così: lei arrivava e io andavo via.
Poi un giorno, per caso e senza un motivo, le ho mandato tramite un amico un biglietto con dei saluti, lei non lo sapeva e il giorno prima di riceverlo, senza un motivo, mi ha chiamata chiedendomi di incontrarci vicino Lugano pochi giorni dopo.
Così, per una serie di coincidenze, abbiamo iniziato a lavorare assieme.
Prima di allora non sapevo molto di lei, la conoscevo come “quella che faceva leggere ai suoi dipendenti i libri motivazionali prima di farli cominciare a lavorare”.
Lei non so come mi vedesse.
Elisabetta Ruffino, assieme a Paolo Pollacino il suo socio e complemento umano e professionale, si occupano di esami dei componenti per il settore dell’automotive.
Detta in parole più semplici, Motivexlab, la loro azienda, si occupa di fare dei test di sicurezza ai componenti dei macchinari in modo da evitare e prevenire eventuali malfunzionamenti pericolosi per l’utente finale e per l’azienda produttrice.
L’ulteriore particolarità di Motivexlab rispetto alle altre aziende dello stesso settore, è la velocità: gli esami richiesti vengono infatti consegnati entro 24 ore contro i giorni o le settimane richieste da altri.
Però quando ho iniziato a conoscere Elisabetta non si parlava di automotive, non lavoravamo neppure per una azienda italiana.
Lei era in un periodo di pausa e di ricerca di nuove sfide, io seguendo il filo della sua telefonata e mi ero fatta portare via dal mio vecchio lavoro e così, dalla Sicilia, ero andata a respirare un po’ di quell’aria alpina che, si diceva, facesse tanto bene.
Lavorare con Elisabetta è stata per me una delle tante cose belle della mia vita.
In termini concreti potrei dire che da Elisabetta, durante quei giorni, ho imparato come gestire uno staff, come prendermene cura, come interessarmi alle persone, come fare le riunioni, come delegare, come fare in modo che le persone diano sempre il meglio e seguano le loro vere vocazioni…
In termini concettuali ho imparato la fiducia, la stima, il tempo dedicato e la comunicazione, la voglia di fare andare le cose per il meglio, il piacere di godere di quello che ho attorno.
Non esiste miglior insegnamento dell’esempio.
E anche di questo che parliamo quando ci sentiamo: “team bulding e licenziamento”.
Due argomenti apparentemente in contrasto tra loro che in lei diventano la caratura umana e l’esempio imprenditoriale.
Senza ipocrisie, senza sotterfugi, senza bugie.
Una volta le ho chiesto: “come devo fare che tenere unita una squadra di persone che devono lavorare assieme?”
“Devi fidarti di loro, stimarle, dirglielo e pensarlo veramente”.
E, devo dire, che ha funzionato, perché quello che mi diceva aveva senso:
quando accettiamo le persone per quello che sono e ne vediamo il vero valore al di là delle nostre fantasticherie ed aspettative, capiamo che per fare un buon lavoro non dobbiamo cambiare chi ci sta attorno ma cambiare la nostra prospettiva.
Ovviamente può capitare che le persone non ci piacciano, ci facciano antipatia perché, magari, ci ricordano il compagno antipatico delle elementari, ma questo non ha a che fare con il lavoro che svolge quella persona ma con noi.
È questo il dovere del Leader: guardare le persone e vederle come tali, non come quello che noi vorremmo che fossero.
Tutti quanti vorremmo un nostro clone a fare le cose al posto nostro, ma non abbiamo a che fare con automi bensì con persone che, spesso, sono spaventate dai nostri atteggiamenti e dalla nostra insicura aggressività e, per questo, non eseguono un lavoro nel migliore dei modi.
Quando invece diamo fiducia alla persona e glielo diciamo, quella non solo si sentirà più sicura ma avrà voglia di dimostrarci che la nostra fiducia è ben riposta.
Forse il punto di vista di Elisabetta sembrerà un po’ troppo filosofico ma quando si ha a che fare con le persone, è importante uscire dagli schemi meccanici e guardare gli aspetti umani.
Ma entriamo un po’ più nello specifico, qualcos’altro che possa essere riprodotto anche all’interno dello staff di persone con le quali interagiamo normalmente.
Il presupposto fondamentale è che le persone, per lavorare bene, devono stare bene.
Quindi, in ingresso, dobbiamo considerare che, se quella persona ci piace e desideriamo che lavori con noi, deve essere pagata, deve avere delle sicurezze e un piano di crescita all’interno dell’azienda e non deve pensare di star subendo delle ingiustizie.
Sappiamo benissimo che, al di là delle belle parole dette da tanti, questo non è affatto un presupposto scontato.
Una volta definita questa base andiamo a vedere come Elisabetta si occupa di gestire il fattore umano all’interno dell’azienda e costruire così di una squadra.
Lei lo sa (e si comporta di conseguenza) che le persone che lavorano sono fondamentali per il buon esito dell’azienda.
Lei sa (anche se spesso le dispiace) che le persone non sono automi programmabili da lei, che ognuno ha il proprio carattere e le proprie vite.
Più persone lavorano all’interno dell’azienda, più saranno i caratteri diversi, in conflitto e le possibili antipatie.
Questa è una cosa da evitare e può essere fatto con la condivisione di un obiettivo.
La prima cosa che trasmette è che non bisogna temere se “l’ultimo arrivato” viene ad imparare il “tuo lavoro” perché chi apparentemente ti toglie lavoro, ti da al possibilità di crescere, di fare altro.
La paura che prende tutti quando arriva qualcuno a fare il nostro lavoro che rischiamo diventare inutili ma non vediamo che con più tempo a disposizione possiamo dedicarci ad incarichi e percorsi molto più gratificanti.
Dobbiamo accettare, per crescere, che tutti sanno fare il nostro lavoro meglio di noi.
È un concetto difficile da accettare ma è la strada per poter fare sempre meglio.
Team building è anche questo: permettere all’altra persona di farci crescere.
Spiega sempre Elisabetta e probabilmente è la strada giusta se Motivexlab, viene definita dai giornali la “piccola Google”.
Un’altra delle cose che hanno reso famosa l’azienda è il fatto che al suo interno ci sia una piccola palestra a disposizione dei dipendenti.
Il fatto di poter fare dell’attività fisica, oltre a tutti i vantaggi noti (abbassamento dello stress, aumento del benessere fisico, produzione di serotonina, ovvero del buon umore, la crescita dello spirito di squadra…), porta un altro vantaggio più sottile profondo e umano: improvvisamente il luogo di lavoro non è più il posto in cui il dipendente si sente “spremuto” per poter portare soldi al “datore di lavoro sfruttatore”, ma diventa il luogo in cui il tuo datore di lavoro ti permette di stare bene per poter dare il meglio di te.
E l’attiva età fisica non è l’unica delle attenzioni legate al benessere.
Mens sana in corpore sano scriveva Giovenale e, infatti, oltre a fare attività fisica, in azienda, si legge pure.
Ogni mattina, a Torino, prima di iniziare a lavorare, viene fatta una riunione alla quale partecipano tutti i dipendenti dell’azienda, si condividono successi e obiettivi, si pianifica la giornata lavorativa e si leggono dei brani di libri utili per indicare l’obiettivo comune del gruppo.
Da un po’ di tempo, c’è da dire, il momento della lettura del mattino ha assunto una conformazione vagamente campanilistica: in azienda si legge “Tutto e Subito” di Elisabetta Ruffino e Paolo Pollacino, è la storia di Motivexlab, di come è nata e come ha fatto a diventare quello che è.
Una squadra, per essere tale, ha bisogno di condividere uno scopo e questo non può essere solamente un valore economico o un oggetto.
L’obiettivo è quello di “salvare il mondo” come diciamo ogni tanto, scherzando ma non troppo, con Elisabetta.
L’obiettivo è cambiare la vita delle persone, cambiarla in meglio e ogni volta che uno dei suoi dipendenti lavora, pensa a questo: fare qualcosa di buono per sé e per gli altri.
Per Elisabetta e Paolo, fare impresa oggi in Italia vuol dire cambiare la vita a un piccolo numero di persone che entrano in contatto con loro e ne escono più simili a loro stesse.
E il licenziamento?
Il licenziamento, non ci si pensa mai, ha a che fare con l’identità della persona.
L’identità più profonda, quella che ha a che fare con le proprie ambizioni personali e con i propri desideri.
Spesso con Elisabetta ci siamo trovate a parlare di questo argomento.
Licenziare una persona è, per il tipo di imprenditori come lei e Paolo, un momento difficile e di crisi umana.
E così il momento in cui si capisce che una persona all’interno dell’azienda non è al suo posto, si affronta il problema e si guarda l’aspetto umano.
Sì perché, alla fine il punto è proprio questo.
Non si parla di lavoratori universalmente capaci o incapaci, ma si persone che sono al proprio posto o meno in quel ruolo o in quell’azienda.
Spesso ci troviamo a fare lavori che in realtà non ci piacciono, che non hanno a che fare con noi, li facciamo solo per accontentare mamma e papà, i coniugi e gli amici.
Spesso accettiamo un lavoro solo per la busta paga.
Ma tutti questi non sono ragioni valide per il nostro Essere, per la nostra Identità.
Un lavoro che non vogliamo fare ci logora e non viene bene come dovrebbe.
Ogni giorno diventa pesante e vedere i colleghi una tortura.
Ogni notte è insonne perché vediamo i nostri sogni allontanarsi.
Ovviamente alle persone arriva solo l’ultima parte: un lavoratore che non svolge bene il suo incarico oppure un lavoro odioso e annichilente.
In realtà c’è un aspetto umano molto più profondo.
E l’aspetto umano della filosofia aziendale e professionale di Motivexlab è l’attenzione per la persona prima che per l’incarico che ricopre.
In tanti fanno questa riflessione, di Elisabetta e Paolo a me piace che loro lo fanno per davvero.
Il momento del licenziamento non è un momento di fallimento del datore di lavoro e dell’impiegato.
Il momento del licenziamento è un momento di scoperta della propria vocazione per il dipendente e di sostegno per l’azienda.
Tante volte Elisabetta mi ha raccontato storie belle di dipendenti andati via per inserire un ipotetico sogno e poi tornare in azienda (dove vengono riaccolti a braccia aperte), di dipendenti che vanno via perché desiderano mettersi in proprio o seguire altri sogni, oppure di ex dipendenti aiutati da loro a reinvestirsi in altre aziende.
Storie belle di una Italia che fa impresa in modo bello, umano, storie che ci dicono che esistono aziende in cui è bello lavorare e persone che pensano ancora che è bello (anche se difficilissimo) lavorare in squadra.
Apparentemente sembrano poche ma mi riservo di raccontare altre belle storie come questa.
Storie che raccontano di aziende che non annichiliscono ma arricchiscono.
Esempi veri di una speranza ben riposta.
Puoi leggere altri post di Chiara Sparacio su https://chiarasparacio.wordpress.com
Riferimenti.
È possibile avere ulteriori informazioni su Elisabetta Ruffino e Paolo Pollacino a questi link
https://www.amazon.it/Tutto-subito-Paolo-Pollacino/dp/B071S6RKZC