Kamala Harris e il diritto all’aborto
Kamala Harris e il diritto all’aborto
Le elezioni USA in novembre sanciranno non soltanto chi sarà il candidato vincitore tra l’ “America profonda” dei grandi stati del Midwest, per lo più repubblicani e conservatori, e invece le due sponde “progressiste” che affacciano su Atlantico e Pacifico, per lo più democratiche e iper-libertarie.
Molte sono le differenze di tesi, valori e proclami politici tra la Harris, “incoronata” nei giorni scorsi alla convention dem quale candidata “della gioia”, e il tycoon repubblicano Trump, che invece incarna il desiderio di riconoscimento delle classi subalterne, “periferiche”, quelle più povere dell’America agricola, industriale, delle piccole comunità identitarie, religiose, laboriose del cuore degli Stati Uniti. Forzando un po’ la sintesi politica, potremmo fermarci a una differenza: quella sull’aborto.
La Harris ne ha parlato come del diritto principale da tutelare, visto che in diversi stati a guida repubblicana i tribunali hanno deliberato restrizioni su questo “diritto”, sollevando l’ira del femminismo di sinistra.
Quello che preme qui mettere in luce è una specie di profonda, insanabile contraddizione tra la rivendicazione dei “diritti” che la Harris ha posto come elemento qualificante della sua candidatura, e la violenza intrinseca, insanabile che l’aborto rappresenta nei confronti dei “nuovi americani” che l’aborto uccide prima ancora che possano uscire dal grembo materno.
Come è possibile sostenere che l’aborto sia una “diritto”? Sia esso praticato per via chirurgica, sia attuato per via chimica, esso lede brutalmente e irrimediabilmente, per giunta con la benedizione dello Stato, il diritto supremo alla vita che questo bimbo ha acquisito dal momento del concepimento.
Lo diciamo non in rapporto alla verità di fede cattolica, secondo la quale Dio instilla nell’ovulo fecondato (quindi già potenzialmente uomo o donna completi) l’anima immortale.
Invece lo diciamo in rapporto all’altra verità di carattere civile, politico, democratico, che è altrettanto incontrovertibile: sin dal primo istante il nascituro è già un uomo a tutti gli effetti, contiene nel suo piccolo grumo di cellule (come si dice di solito) tutti i requisiti per diventare un uomo completo, una donna perfetta, un futuro Einstein oppure una futura Madre Teresa di Calcutta.
Negli Stati Uniti, così come in tutti gli altri paesi dove l’aborto è divenuto legge (Italia compresa) siamo di fronte a una palese violenza dei più forti rispetto ai più deboli
Quindi la campagna della Harris che si presenta come “della gioia”, con i suoi rumorosi e quasi esagerati sorrisi, in realtà è basata su un assunto di morte e prevaricazione: noi adulti, noi donne, noi “progressisti” possiamo decidere chi può nascere e chi no. Verrebbe da chiedersi cosa ci sia di più violento e fascista dell’uccidere un bambino nella pancia della mamma, fosse anche con la “pillola del giorno dopo” che nessuno vede in azione e che viene spacciata come “innocua”.
Come pensiero sovra-storico, diciamo che gli amici della vita, ad ogni latitudine e in ogni regime politico, dovrebbero puntare al vero traguardo delle società davvero democratiche e inclusive: riconoscere i diritti di base al nascituro sin dal momento del suo concepimento.
Vedremo chi tra Trump e la Harris la spunterà, se gli americani saranno più inclini a difendere la ricca e articolata tradizione religiosa del paese con le sue diverse confessioni cristiane per lo più orientate alla tutela della vita nascente, oppure se si imporrà una America che vuole accanto all’aborto anche il matrimonio omosessuale, la manipolazione genetica, le gravidanze a pagamento, l’eutanasia, la transizione sessuale libera, insomma quell’insieme di disvalori sessuali e relazionali che stanno corrompendo dall’interno le società occidentali cosiddette “avanzate”.
In conclusione: l’aborto non dovrebbe essere un diritto, perché contrappone due entità giuridiche entrambe complete, la madre e il figlio. Toccherebbe agli stati, ai parlamenti regolamentare e finalmente dare vita all’istituto della personalità giuridica del nascituro. Se non lo faranno, saranno colpevoli della propria intima implosione, perché saranno popoli e nazioni che divoreranno se stessi e i propri figli.