Le armi made in Italy ed è subito Boom economico: aumento dell’85,7% dell’esportazioni
Se qualcuno di noi non ci avesse mai pensato, beh è ora che lo faccia! La nostra economia nel 2016 ha avuto uno scossone nella produzione ed esportazione delle armi passando dai 7,9 miliardi del 2015 ai 14,6 miliardi di euro.
Un’incredibile impennata di esportazioni di armi, soprattutto nello Yemen, Kuwait e altri paesi del golfo Persico dove oltre alla vendita dei poderosi Eurofighter della Leonardo ed elicotteri si è ulteriormente incrementata anche la categoria di armamenti (da sempre più venduta dall’Italia) di “bombe e missili”.
Per questo motivo non deve quindi destare stupore se L’Italia è nell’elites mondiale della controversa classifica della produzione, vendita e acquisto di armi e soprattutto non dobbiamo mostrarci stupiti quando leggiamo che L’Italia è prima in Europa per incremento delle spese militari, con un più 11 % nel 2016.
Ora, prendendo spunto dalla categoria di armamenti di “bombe e missili” va sicuramento evidenziato il movimento “no bombe”, formato da varie associazioni ambientaliste, che in Sardegna è stato portato alla ribalta dai media nazionali, e che vede incentrato il proprio operato nella proposta di riconversione di una delle principali fabbriche implicate in questo commercio, si tratta della RWM Italia S.p.A. una società del gruppo Rheinmetall Defence che ha la sua sede nel Comune di Iglesias.
Parlare di riconversione in Sardegna è materia molto tosta dopo il fallimento della riconversione del settore minerario, soprattutto in una delle province più povere d’Italia. Parlo del Sulcis Iglesiente, zona in cui persiste una situazione molto più intricata rispetto ad altri territori italiani dove una semplice riconversione potrebbe rappresentare la perdita di centinaia di posti di lavoro.
Risulta quindi ovvio che una discussione di questa portata stritola più che in qualunque altra regione le posizioni etiche e le difese tout court dei livelli occupazionali, creando una sorta di scontro sociale tra ambientalisti e lavoratori della fabbrica e dell’indotto.
Ma facciamo un po’ di chiarezza, la discussione e le prese di posizione del Comitato per la riconversione della RWM puntano il dito contro esportazioni e vendita degli armamenti nel conflitto che vede coinvolta la coalizione araba a guida saudita contro lo Yemen – un conflitto con numeri da brivido con oltre 10mila morti, 40mila feriti e 2 milioni di sfollati.
Il comitato richiede l’intervento delle forze politiche locali, regionali e nazionali trovando in prima battuta trova appoggio dal Comune di Iglesias che con un ordine del giorno, votato quasi all’unanimità, chiede a “Stato e Regione un impegno concreto affinché vengano ricreate le precondizioni per la possibile riconversione degli stabilimenti della Rwm”, stabilimento da cui partono le bombe impiegate dai sauditi nella guerra dello Yemen.
Naturalmente “nell’assoluta garanzia e implementazione dei livelli di occupazione”. Ma se appare ovvio che una tale riconversione non possa avvenire in un breve lasso di tempo appare altrettanto chiaro il messaggio politico: Iglesias e l’Italia attraverso il proprio operato, sempre improntato alla guida delle missioni di pace, deve mirare alla costruzione di rapporti internazionali di solidarietà.
Dopo questa presa di posizione del Comune di Iglesias è seguita anche quella della Camera dei deputati dove si è gia discusso e si continuerà a discutere di questo tema nei prossimi giorni attraverso due mozioni presentate in cui si chiede l’introduzione di un blocco sulle esportazioni di armi italiane in Arabia Saudita (come già richiesto dal Parlamento europeo in due occasioni) e la riconversione della fabbrica di Iglesias.
Seppure parrebbe che una linea sia stata tracciata non tutti sono dello stesso avviso, parecchi mostrano un netto scetticismo verso la riconversione: Confindustria, Cgil e Cisl si smarcano completamente dalle richieste dei movimenti ambientalisti e politici.
Se una soluzione dovrà essere trovata non sarà quella di spostare la produzione su altri siti regionali, nazionali o europei, piuttosto quella di agire in tutela i diritti umani attraverso soluzioni concrete. L’unica strategia ammissibile sarà quella volta a dirimere pacificamente i conflitti, dando assoluta priorità alle politiche di disarmo e di pace.