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Sono convinto che l’origine di questa crisi sia stato il colossale fallimento del mercato e delle politiche neoliberali che hanno intensificato i profondi problemi socio-economici.

Si sapeva da tempo della possibilità che si verificassero pandemie dovute soprattutto alle trasformazioni dell’epidemia di SARS.

Per limitare i danni avrebbero potuto lavorare sui vaccini, sullo sviluppo di una protezione per potenziali pandemie da coronavirus, e con lievi modifiche avremmo potuto avere i vaccini disponibili oggi ma è più redditizio fare nuove creme per il corpo che trovare un vaccino che protegga la gente dalla distruzione totale.

La crisi sanitaria del coronavirus è molto grave e avrà gravi conseguenze, ma sarà temporanea, mentre ci sono altri due gravi orrori per l’umanità: la guerra nucleare e il riscaldamento globale.

Il problema più complesso da risolvere, però è quello che riguarda il cambiamento di mentalità, tema trattato ampiamente nella mia tesi di laurea.

Mi riferisco alla transazione di uno sviluppo sostenibile e non solo tanto all’attenzione a chiudere il rubinetto dell’acqua mentre si lavano i denti, a ridurre gli sprechi alimentari, a minimizzare il consumo di energia, ad avere migliori stili di vita, tutti elementi comunque importantissimi “a prescindere”, ma mi riferisco alla trasformazione della cultura e dei modelli con cui interpretiamo, e quindi trasformiamo nella direzione voluta, la realtà.

La trasformazione che dobbiamo operare riguarda i parametri con i quali misuriamo il successo di un Paese e il benessere collettivo e dei singoli, oltre che la sua equità e la sua sostenibilità nel tempo.

Non esiste nessun sistema economico sano se non c’è la biosfera sana. Perché per definire il “profitto” lo si trae dagli elementi economici e dal lavoro delle persone.

Non può crescere il PIL di una nazione all’infinito ma alla fine bisognerà fare i conti con quella stagnazione perché saranno finite le materie prime o le fonti di energia.

Affiancare al PIL indicatori di benessere “a tutto tondo” non è una pura operazione tecnico-statistica, ma un passo fondamentale verso un cambiamento della cultura dominante, il quale può avere impatti rilevanti sulle preferenze collettive e quindi sulle politiche, fermo restando che, per un Paese come l’Italia caratterizzato da un alto debito pubblico, l’esigenza di produrre il reddito necessario per farvi fronte si pone in maniera più pressante rispetto ad altri Paesi meno deboli.

Ci troviamo, quindi, in un momento critico della storia umana e non solo a causa del coronavirus.
Questo dovrebbe portarci alla consapevolezza dei profondi difetti del mondo, delle profonde e disfunzionali caratteristiche dell’intero sistema socio-economico, che deve cambiare se vogliamo sopravvivere nel futuro.

La crisi del coronavirus ci induce a pensare a quale tipo di mondo vogliamo, un mondo in cui dobbiamo assumerci le nostre responsabilità con la consapevolezza che senza un cambiamento radicale non riusciremo mai a realizzare la trasformazione al tempo dell’Antropocene.

D’altronde, questo è esattamente ciò che Papa Francesco intende quando si richiama alla necessità di una “ecologia integrale” in grado di tenere insieme l’ecosistema e quello che ho chiamato “sociosistema”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ing. Raffaele Falzarano

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