MAKE SOME NOISE
MAKE SOME NOISE
Sono tornate le “margherite” di John Coraby.
“Make Some Noise”, il terzo album in studio, uscito il 05 agosto scorso (avevo prenotato l’album già ad aprile! n.d.a.) ha regalato al sottoscritto ed ai fans un capolavoro di puro Rock’n’Roll e soprattutto sancito il concetto che The Dead Daisies non sono un progetto parallelo!
Non sono una parentesi temporanea di un Supergruppo che cerca di arrotondare con un paio di album e relativi live il proprio patrimonio e quello dei promoters.
No!
The Dead Daisies sono una Hard Rock Band che sta trovando larghissimi consensi tra il pubblico soprattutto di giovanissimi e che ha girato il mondo non fermandosi mai (prossime date in Italia il 29 novembre a Milano, il 16 dicembre a Treviso ed il 17 dicembre a Grottammare; n.d.a.).
La ricetta dei The Dead Daisies è semplice: grandi show e grandissima potenza, Hard Rock genuino e carisma autentico!
The Dead Daisies nascono nel 2012 cambiando formazione varie volte ma dal 2014 John Corabi (The Scream, Mötley Crüe, Union, Ratt, ESP) prende di peso la band e ne fa un combo esplosivo.
Rispetto ai primi due album (The Dead Daisies e Revolución), Make Some Noise ha lasciato più spazio alle chitarre e con l’avvento di Doug Aldrich (Lion, House Of Lords, Dio, Whitesnake) il risultato è stato quello di un sound ancor più potente.
Da un primo ascolto l’album risulta essere energico, intenso. Dieci capolavori che spaziano dall’Hard Blues al più granitico Hard Rock anni ’90 e due magnifiche cover (“Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival e “Join Together” degli Who) rivisitate da Corabi & Co. in stile The Dead Daisies.
In “Long Way To Go” i riff di Aldrich e Lowy lasciano immediatamente spazio al groove di Mendoza che ad occhi chiusi pare quasi di sentire il martellante basso di Cliff Williams degli AC/DC.
La potente voce di John Corabi non è invecchiata di un giorno dai tempi di “Let It Scream” (primo album degli Scream del 1991; n.d.a.), assolutamente degno di nota il solo centrale di Aldrich.
La successiva “We All Fall Down” colpisce l’ascoltatore per i toni più melodici ed un bridge veramente moderno, Mendoza propone una linea di basso accattivante ed il muro iniziale e finale di chitarre, basso e batteria è da brividi.
“Song and Prayer”, una ballata energica è in linea con il brano precedente, ritmo classico e moderno sono mixati in modo magistrale, cori seducenti e bridge esplosivi rendono il pezzo una delle best song dell’album, grandioso anche questa volta il superbo solo di Aldrich.
La successiva “Mainline” dal ritmo serratissimo tende a ricordare il punk di “Dookie” dei Green Day, riff e soli velocissimi che farebbero moshare o pogare (mosh e pogo sono sorte di “balli collettivi” che si praticano abitualmente durante i concerti punk, rock e metal; n.d.a.) anche il più sfigato dei nerd.
La titletrack “Make Some Noise” è una dedica al Metal degli anni ’80 da parte di Corabi & Co. Sembra di ascoltare “Tooth and Nail” e “Breakin’ the Chains” dei Dokken (band a me molto cara avendovi militato tra il 2002 ed il 2003 il caro amico e grande chitarrista patavino Alex De Rosso).
Linee di chitarra semplici ma decise e la voce di Corabi all’unisono con il ritmo serrato di crash, timpani e tom della batteria di Tichy.
“Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival ha una piega contemporanea e più veloce dell’originale in puro stile The Dead Daisies, voce roca, grinta e chitarra spinta al massimo.
“Last Time I Saw The Sun” è un autentico inno al Glam, omaggio agli Scream di Corabi e più in là agli Stryper dei fratelli Sweet, l’intro di Aldrich sembra avere il setup di Malcolm Young degli AC/DC in “Flick of The Switch”.
Con “Mine All Mine” e “How Does It Feel”, Corabi & Co. riescono ancora una volta a coniugare la maestria del Class Rock con l’irriverenza del compatto Hard Rock d’oltreoceano ed ancora una volta l’immenso Aldrich in due soli da brividi.
“Freedom” è un’altra dedica al punk rock con choirs che ricordano molto Stanley-Simmons dei KISS di “Monster”, ancora straripante e sparato Rock’n’Roll!
La voce di John Corabi dà veramente il massimo in “All The Same”: pressante e adulatrice fino al ritornello, forse la canzone più ballabile (difficile restare fermi per l’intero album! N.d.a.).
“Join Together”, la seconda cover degli Who, chiude l’album ed è come se ci dicesse: “siete proprio sicuri che il Rock è morto?”.
Un consiglio: ascoltate Make Some Noise con il volume “a palla”.
Mi ringrazierete!
PERTH