Sproloquio ergo sum

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CARTESIO 2018.

Non me ne vogliano i prof di filosofia, e, pace all’anima sua, povero Cartesio, se c’è chi lo disturba per un dubbio metodico, ma anche iperbolico… 

COGITO ERGO SUM, ovvero penso dunque sono, o, anche, penso dunque esisto.

Chi di noi non ha mai citato questa frase?

L’ha detta Cartesio, al secolo René Descartes, vissuto tra il 1596 e il 1650.

Ma, spesso è impiegata con leggerezza, semplicemente per definire l’uomo come soggetto pensante.

In realtà, ha un significato più profondo di quello che può sembrare.

Nel suo Discorso sul metodo, pubblicato nel 1637, all’età di 41 anni, Cartesio si proponeva infatti il compito di trovare una verità fondamentale e solida.

La scienza, il sapere umano avevano bisogno di fondamenta in grado di reggere a qualsiasi urto, anche a quelli della sua epoca, in cui il tribunale dell’Inquisizione, solo quattro anni prima, aveva processato Galileo, portandolo ad abiurare le nuove conoscenze astronomiche.

Per Cartesio, la conoscenza, al pari di una casa, doveva essere in grado di resistere ai colpi avversi. Nel caso del ragionamento, i colpi avversi erano quelli portati dal dubbio.

Per questo motivo Cartesio si propose un unico scopo: provare a mettere in dubbio tutto. Se una qualche verità avesse davvero resistito ai colpi del dubbio, allora sarebbe stata abbastanza solida da costruirci sopra una scienza.

Se invece avesse ceduto, sarebbe stata da scartare.

Dunque, il dubbio metodico era per il filosofo francese il principale metodo d’indagine della realtà, ed il famoso uomo di Cartesio, più che soggetto pensante era un soggetto dubitante.

Insomma, l’uomo, per essere ingannato dai sensi o dagli dei, doveva per forza esistere.

 Scusandomi preventivamente per aver cosi banalmente ridotto il pensiero cartesiano, mi permetto solo di applicarlo a Facebook. Giusto il tempo di un articolo, per qualche considerazione “virtualmente reale”.

Vorrei riproporre ai nostri giorni le quattro regole di conoscenza di Cartesio, quelle valide per tutte le discipline, perché, per lui, morale, geometria, politica, matematica, fisica ed arte erano solo rami diversi di un unico sapere.

E forse esisteva uno stesso metodo, uno stesso insieme di regole, per indagare ciascuno di questi ambiti.

 Prima di tutto, la Regola dell’evidenza, cioè” non prendere mai niente per vero, se non ciò che io avessi chiaramente riconosciuto come tale, ovvero, evitare accuratamente la fretta e il pregiudizio”.

 Che meraviglia! Applicare ogni giorno, che dico, ogni istante, un salutare dubbio nei confronti delle manipolazioni della realtà proposte nei post di Facebook, nonché applicare una salutare perplessità verso i profili Instagram…

Come sarebbe più facile evitare di ingozzarsi di vacuità virtuali, cioè “non comprendere nel mio giudizio, niente di più di quello che si fosse presentato alla mia mente così chiaramente e distintamente da escludere ogni possibilità di dubbio”.

Avremmo finito di confondere il reale con il virtuale, ma avremmo anche finito di vivere nel nulla, perché, sui social, l’apparenza è l’esistenza.

Seconda regola, quella dell’analisi, cioè “dividere ognuna delle difficoltà sotto esame nel maggior numero di parti possibile, e per quanto fosse necessario per un’adeguata soluzione”.

Anche qui, è proprio l’esatto contrario di quanto avviene ogni giorno nel mondo dei social. Di fronte a qualunque problema, anziché scomporlo, tutti sanno tutto. 

I navigatori virtuali s’improvvisano esperti di salute, psicologia e diritto, sparano sentenze e propongono soluzioni, ma, soprattutto si affrettano, in tempo reale, a totalizzare la realtà in un magma di like.

Altro che frazionare la realtà per conoscerla, su Facebook ed Instagram esiste solo un caleidoscopio di dati e d’immagini volti a frullare la realtà.

In una galleria di specchi virtuali, la realtà è sì ridotta in polvere, ma non per essere conosciuta, quanto per essere omogeneizzata.

Terza regola, quella della sintesi, cioè” di condurre i miei pensieri in un ordine tale che, cominciando con oggetti semplici e facili da conoscere, potessi salire poco alla volta, e come per gradini, alla conoscenza di oggetti più complessi; assegnando nel pensiero un certo ordine anche a quegli oggetti che nella loro natura non stanno in una relazione di antecedenza e conseguenza”.

Ma quando mai?!? Sui social esiste una vera compulsione alla banalizzazione, in un vortice mediatico si pretende di comprendere tutto, in tempi immediati, livellando i consigli estetici ai valori etici, parlando della cellulite come dell’eutanasia. In un’ossessione oculo-manuale, non esiste un ordine logico della conoscenza, anzi della pseudo- conoscenza.

Non esiste neanche una consequenzialità dei dati, perché il nostro Ulisse del terzo millennio, rischia di pensare che il riciclo dei rifiuti possa essere antecedente al ritrovamento dei cadaveri, che smacchiare i tessuti possa venire prima di allestire un campo profughi…

E per ultimo, è sempre il caro buon Cartesio che parla,” di fare in ogni caso delle enumerazioni così complete, e delle sintesi così generali, da poter essere sicuro di non aver tralasciato nulla”.

E qui, scopriamo l’acqua calda o l’uovo di Colombo!!! Per noi, l’America è il gossip, il Nuovo Mondo è il buco della serratura del profilo del vicino.

Siamo così capaci di inventariare i fatti altrui, che confondiamo la conoscenza con il voyeurismo, la consapevolezza con l’esibizionismo, la sintesi di un percorso con la generalizzazione di un caso.

Ma, soprattutto, non ci sorge mai il dubbio di conoscere noi stessi, ma questa è un’altra storia…

 

Antonella Ferrari

 

 

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