L’indemoniato dentro le nostre identità
Le scritture sacre nascondo spunti psicologici profondi.
immaginiamo una rivisitazione del brano riportato in Matteo 8; 28-34
Tu non sei quello che credi,
tu non sei quello che racconti,
e, alla fine, non mi interessa neppure sapere chi sei.
Nel senso che ognuno di noi, a meno che non sia una eccezione, è naturalmente composto da una infinità di “io”.
Per questo non dobbiamo parlare di noi in prima persona: perché sappiamo che un secondo dopo avremo mentito.
E per questo motivo quello che scriviamo adesso, tra un secondo non sarà più valido.
Ecco il nostro aspetto diabolico.
Ecco da cosa siamo separati: da noi stessi.
Un giorno Gesù attraversava la Giordania e gli venne incontro un uomo posseduto dal demonio.
Quest’uomo viveva nei sepolcri, spaccava catene, spezzava ceppi, era indomabile, urlava e i percuoteva con pietre.
E lui si chiamava Legione “perché erano tanti” e dichiarava di non voler aver nulla a che fare con Gesù che rappresentava la totalità, ovvero l’unità tra il dire e il fare.
La storia finisce con Gesù che scaccia i demoni nel corpo di porci suicidi che si lanciano da un dirupo.
Ed è la stessa fine che facciamo noi quando le nostre parole non combaciano con le nostre azioni: diventiamo dei porci suicidi.
Suicidi perché prima o poi, correndo all’impazzata tra le nostre incoerenze, ci tufferemo nel burrone.
Gurdjeff diceva che l’uomo è una pluralità e il suo nome è Legione.
“Ad ogni attimo,
ad ogni momento
l’uomo dice e pensa “io”.
Ed ogni volta il suo “io” è differente
[…]
è la tragedia dell’essere umano, che qualunque piccolo “io” abbia così il potere di firmare assegni e cambiali e che sia in seguito l’uomo, ossia la totalità, che debba farvi fronte”
Per questo non dobbiamo parlare o promettere, impariamo a non prendere impegni che altri migliori di noi dovranno saldare.