Pepito Torres: Grande Artista Internazionale.

Il Maestro della fotografia, capace di far brillare la musica con il canto.

 

Il vero artista diventa grande quando sa uscire, con vero coraggio e passione, dal proprio indirizzo, ancor di più, se ha riscosso con esso grandi successi e riconoscimenti, e sa dedicarsi ad altre forme rappresentative.

E’ il caso del Maestro Pepito Torres, eccellente e raffinato fotografo internazionale, capace di cogliere, con l’obiettivo della sua macchina fotografica, particolari emozioni e trasmetterle al grande pubblico.

Carla Fracci, Nureyev, Vassilyev, nomi di chiara fama, sono stati da lui immortalati nel suo lungo percorso che inizia negli anni 70.

Quasi tutti i generi fotografici sono stati sfiorati con grande maestria, arrivando anche a produrre numerosi servizi per PlayBoy, nota rivista USA con edizione Italiana, il cui logo era stilizzato con la testa di coniglio dalle lunghe orecchie con addosso un farfallino da smoking.

Numerosissime le attrici e le personalità di moda e spettacolo che posavano con l’intento di essere la PlayMate del mese in un travolgente mix di erotismo e sensualità che giammai scadeva nel volgare o peggio nella pornografia.

Per questo si affidavano ad artisti dall’elevata professionalità di cui Pepito faceva indubbiamente parte, vista la sua lunga permanenza.

Talent scout di successo, non a caso Heather Parisi è stata fotografata da lui dagli albori della sua carriera con scatti pubblicati sulle principali riviste nazionali ed internazionali.

Fotografo che lo ha portato in giro per il mondo con scatti di elevata particolarità e pubblicati dal Touring Club Italiano al punto da decidere di diventare editore della rivista internazionale Belmondo che ogni anno pubblica il suo numero in ben quattro lingue.

Un’opera che rimarrà nella storia “Roma anno Zero”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, è stata da lui realizzata in uno dei momenti più incredibili ed impensabili per la prima ed unica volta, tanto che ci auguriamo vivamente non tornino più.

“Nei due mesi del lockdown totale, Pepito Torres si è aggirato per le strade e le piazze della città con la sua macchina fotografica, raccogliendo testimonianze inedite di una Roma deserta, vuota, silenziosa, sospesa nell’incanto della sua assoluta bellezza.”

Ma Pepito ha nel cuore un’altra grande passione che lo trascina, lo coinvolge, gli fa ardere il desiderio di esprimersi ed offrire al suo amato pubblico un altro lato della sua grande capacità artistica, non senza prima curare ogni aspetto, ogni risvolto, studiare con grande passione e con grande attenzione, come solo un attento artista sa fare, ma rivolto, questa volta, al canto.

Così grazie a Salvatore Martino, poeta ed attore, che gli suggerisce quelle tecniche di impostazione vocale, per far si che possa venir fuori il meglio dalla voce, e grazie a “Maestro Viko”, Liano Concolino, con il quale, scoltando alcuni brani lo convince a realizzare un concerto, Pepito riesce a dare seguito alla sua grande passione.

Una passione forte, repressa da fattori esterni, personali, molto personali che gli provocano grande dolore interiore, percepibile solo quelle poche volte che ne parla, e che solo nel 2014 dopo una lunga preparazione, fortemente voluta e desiderata, quasi “agognata” riesce a tirar fuori, sorprendendo tutti, esibendosi con un microfono in mano, cantando un repertorio di tutto rispetto di eccellenti brani spagnoli e latino americani.

Al Palazzo Santa Chiara in Roma, ha offerto al suo pubblico il suo canto, passando così da dietro a davanti l’obiettivo, facendo sì che questa volta fosse lui ad essere immortalato.

Numerosissimi i VIP, in un teatro stracolmo, che hanno avuto la possibilità di gustare un vero e proprio concerto di elevatissimo prestigio.

Ma Pepito non vuol fermarsi, ed ancora al Teatro Santa Chiara da prova del Suo personale grande talento nel canto qualche anno dopo.

Circondandosi e scegliendo con grande cura artisti, maestri di elevata fattura, con al pianoforte il Maestro Paolo Iurich, che ha curato gli arrangiamenti, alla chitarra classica ed acustica Gianfranco Federico, al basso Fabrizio Cucco, alla batteria Adamo De Santis, alle percussioni Walter Paiola, alle tastiere Danilo Riccardi, ed al sax e flauto Massimiliano Filosi, il Maestro Pepito Torres ha dato vita ad una serata indimenticabile cantando “Palabras De Amor” per i suoi amici.

Un successo, come riportano le indicazioni tratte dai numerosi commenti che si trovano su tutti i social e dalla grande partecipazione a quel concerto, nato, voluto, realizzato ed eseguito da quel grande fotografo che ha dato lustro a tanti artisti ed a tanti luoghi nel mondo.

Un successo che vuole bissare, convinto, e non a torto, che la musica ed il canto sono quelle espressioni artistiche che più trasmettono emozioni, che trasportano la mente, che fermano il tempo riportandoci in una dimensione di confort.

La scelta accurata dei brani, che a tanti, giovani e meno giovani, suscitano quelle emozioni che trasportano nei più bei ricordi della vita, dell’amore, della tenerezza del romanticismo che portiamo dentro ciascuno di noi, e che purtroppo si allontanano sempre più perdendosi in quello che il rumoroso frastuono oggi ci propone.

Qualcuno direbbe “Chansonnier”, autore ed interprete di canzoni, certo, brani spagnoli, conosciuti anche in Italia e che fanno sognare.

“Tres Palabra”, “Eu sei que vou te amar”, “Historia de un amor”, “Alfonsina y el mar”, “ Amapola”, “Cuando vuelva a tu lado”, “Por el amor de una muijer”, “Cuenta comnigo”, “Les feuilless mortes”, “Lo que me queda por vivir”, “ El porompompero”, “Quien sera la que me quiera a mi”,sono tutti brani che Pepito Torres ha riproposto al Teatro degli Eroi, in via Girolamo Savonarola 36 Roma, il 6 Giugno, mantenendo così la promessa fatta al suo numerosissimo pubblico che ha riempito la platea.

Platea che ha consacrato il Maestro Pepito Torres, come vero punto di riferimento di quella musica, di quei brani eseguiti con grande maestria, che appassionano, che stimolano quella sensualità, pulita, limpida, rispettosa, che lascia trasparire quel forte erotismo, che oggi sembra essersi perduto, specialmente nelle nuove generazioni.

Accompagnato al pianoforte dall’eccellente Maestro Sebastian Marino, che ha eseguito i brani, alternandoli con musiche ed opere classiche di altissimo livello.

Il Maestro Sebastian Marino, musicista compositore ed esecutore, diplomato a pieni voti presso il conservatorio “L. Refice” di Frosinone, dal tocco delicato, leggero e raffinato, spettacolo non solo per le orecchie degli amanti del pianoforte, ma anche per la vista di coloro che amano ascoltare, anche con la vista, estasiati nel vedere le mani del pianista sulla tastiera, volare con grazia e leggerezza.

Per questo considerato talento emergente del panorama italiano.

Il suo album d’esordio “Incipit” è da poco uscito con l’etichetta Indaco Record.

Ma le sorprese della serata non finiscono qui, e nella seconda parte, dimostrando di avere un estro non comune, Pepito Torres introduce “la sorpresa” dell’ultimo momento che ha mandando in visibilio il folto e competente pubblico.

Il Maestro Gino Mariniello, con il quale si accompagnerà esibendosi con il brano “El porompompero” interpetrata in maniera personale e brillante, dando un taglio diverso da come il concerto era stato impostato fino a quel momento, in aggiunta al Maestro Sebastian Marino.

Gino Marinelli, grande chitarrista Italiano, inizia a suonare la chitarra da bambino, a soli sei anni, a nove studia chitarra classica presso l’Accademia Musicale di Varese per poi accedere al conservatorio di Milano, Giuseppe Verdi.

Vari i generi musicali che nel corso del tempo studia, dalla musica jazz, al rock e fusion… così nel 1995 fa il passo in RAI, con varie esibizioni in trasmissioni suonando chitarra classica, chitarra acustica, elettrica e mandolino.

Non è da tutti suonare per artisti come Andrea e Matteo Bocelli, David Foster, Lionel Richie, Philip Bailey, tanto per citarne alcuni.

L’eccellente esecuzione del Maestro Marinelli, con arpeggi veramente di grande capacità, il tocco magistrale del Maestro Marino e la voce dalla raffinata con la tecnica flamenca del Maestro Pepito sono diventati un vero punto di riferimento per la musica latino americana.

E’ nella perfetta sintonia del trio, evidenziata in tutta la seconda parte, che i brani cantati da Pepito hanno assunto una colorazione unica, trasportando il pubblico verso l’Andalusia terra del mediterraneo o verso il bolero, classico di quelle terre lontane, ma proprio grazia alla musica, vicine.

Emozioni che Pepito Torres ha saputo offrire, in maniera diversa dal suo modo visivo, stando dietro l’obiettivo che in questo caso ha lasciato ad altri, ma davanti l’obiettivo curando nei minimi particolari, come solo un vero artista sa fare, la musica per l nostre orecchie.

Ettore Lembo




Caro lettore la critica è attività giornalistica.

Rispondo ad un nostro caro lettore che mi segnala che a volte la critica a questo paese è immotivata.

Mi dica Lei caro lettore se questo paese è scevro da possibilità di critica, che in realtà non andrebbe diretta a questo paese, ma a chi lo governa.

Mi trovo a scrivere queste righe con un misto di amarezza e amore profondo per la nostra amata Italia, una terra che, nonostante tutto, continuo a sentire nel cuore come una parte fondamentale della mia stessa essenza.

È impossibile non notare il degrado morale e politico che ha pervaso la nostra nazione negli ultimi decenni.

La corruzione dilagante, la perdita dei valori tradizionali, l’indebolimento delle istituzioni e la crescente disuguaglianza sociale sono tutte piaghe che minano la grandezza di questo paese che, un tempo, era faro di civiltà e cultura per il mondo intero.

La gloriosa storia della nostra patria sembra essere dimenticata, sepolta sotto un cumulo di decadenza e superficialità.

Non posso nascondere il mio disprezzo per ciò che l’Italia è diventata.

Mi rattrista vedere come il nostro spirito nazionale sia stato eroso da una globalizzazione sfrenata e da un relativismo morale che tutto abbraccia e nulla valorizza.

Siamo diventati una nazione che sembra aver perso il senso di sé, incapace di riconoscere la propria identità e i propri meriti.

Eppure, nonostante tutto, amo profondamente questo paese.

Amo l’Italia non solo per la sua storia gloriosa, ma per ciò che essa rappresenta nella sua essenza più pura.

Le nostre nobili tradizioni, la nostra cultura millenaria, la nostra arte sublime, la nostra lingua melodiosa, sono tutte testimonianze di una grandezza che non può essere cancellata da nessuna crisi contemporanea.

Amo l’Italia dei grandi pensatori, dei poeti, dei musicisti, degli artisti che hanno plasmato il volto della cultura mondiale.

Amo l’Italia dei patrioti, di coloro che hanno combattuto e sacrificato la propria vita per un ideale di libertà e unità.

Amo l’Italia delle persone comuni, dei contadini, degli artigiani, dei lavoratori che, con il loro impegno quotidiano, hanno costruito e continuano a costruire le fondamenta della nostra società.

Critico l’Italia dei maneggioni, dei raccomandati, dei politici incapaci, delle istituzioni insulse ed inutili.

Credo fermamente che, nonostante le difficoltà attuali, l’Italia abbia in sé la capacità di risollevarsi.

Le nostre radici sono profonde e solide; la nostra cultura è un patrimonio che nessuna crisi può davvero distruggere.

Dobbiamo riscoprire i valori che ci hanno resi grandi, rispolverare l’orgoglio di essere italiani e lavorare insieme per costruire un futuro che sia all’altezza del nostro glorioso passato.

Il mio amore per l’Italia è una fiamma che non si spegnerà mai, alimentata dalla speranza che un giorno, non lontano, potremo vedere una rinascita della nostra grande nazione.

Fino a quel momento, continuerò a lottare, a criticare, a sperare e ad amare questo paese con tutto me stesso.

E le aggiungo, amato lettore, che la critica, quando diviene strumento per il miglioramento, è sicuramente Attività giornalistica con la A maiuscola.

 

se ha due lire da splendere compri pure il mio ultimo libro potrebbe essere un aiuto a capire come mai siamo giunti qui.

 

 

 

Il vero partito deve essere l’Italia

 




Caro Direttore,

 

Le scrivo per spiegare per punti le ragioni profonde che mi hanno portato a non esercitare il mio diritto di voto alle recenti elezioni.

Come intellettuale di destra, questa scelta può apparire controintuitiva o addirittura incoerente, ma credo fermamente che sia necessaria una riflessione critica su ciò che sta accadendo nel nostro panorama politico.

Disillusione e Tradimento degli Ideali

Negli ultimi anni, ho osservato con crescente preoccupazione il tradimento degli ideali fondanti della destra italiana.

Il conservatorismo, che dovrebbe essere radicato nei valori di tradizione, ordine e responsabilità, è stato progressivamente svuotato e trasformato in un mero strumento di potere.

I partiti che si professano di destra hanno spesso abbandonato la difesa dei principi morali e culturali in favore di strategie populiste e demagogiche che cercano solo il consenso immediato.

Mancanza di Visione e Leadership

Un’altra ragione che mi ha portato a non votare è la palese mancanza di una visione chiara e di una leadership forte.

I leader attuali sembrano più interessati a mantenere il loro status che a promuovere un progetto politico coerente e lungimirante.

L’incapacità di proporre soluzioni concrete ai problemi reali del Paese – come la sicurezza, l’immigrazione, l’economia stagnante e il declino culturale – ha fatto sì che molti elettori, me compreso, si sentano abbandonati e privi di rappresentanza.

Populismo e Semplificazioni Pericolose

La deriva populista è un altro elemento che mi ha fortemente scoraggiato.

La politica ridotta a slogan e la continua ricerca di capri espiatori non solo sono inefficaci, ma minano anche la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni.

La destra, per essere credibile, dovrebbe invece promuovere un dibattito serio e approfondito, basato su dati e analisi, e non alimentare divisioni e paure irrazionali.

Corruzione e Interesse Personale

Gli scandali di corruzione e l’uso disinvolto del potere a fini personali hanno ulteriormente eroso la mia fiducia nei confronti della classe politica.

La mancanza di etica e di responsabilità, elementi che dovrebbero essere al centro dell’agire politico, sono diventati ormai la norma. Questo comportamento non solo tradisce gli elettori, ma danneggia anche l’immagine della destra e della politica in generale.

Un Richiamo alla Rifondazione

La mia scelta di non votare è un segnale di protesta e un richiamo alla rifondazione.

Credo fermamente che sia necessaria una profonda riforma interna dei movimenti di destra, che recuperi i valori autentici e li traduca in un progetto politico serio e sostenibile.

Solo attraverso un rinnovamento radicale sarà possibile riconquistare la fiducia dei cittadini e costruire una destra forte e credibile, capace di affrontare le sfide del nostro tempo.

In conclusione, non si tratta di apatia o indifferenza, ma di una scelta consapevole e dolorosa.

Mi auguro che questo gesto possa contribuire a un dibattito costruttivo e a una presa di coscienza all’interno della nostra area politica.

Solo così potremo sperare in un futuro migliore per il nostro Paese.

Con stima,

B.M.




Il vero partito deve essere l’Italia

Negli ultimi cinquant’anni, la politica italiana ha visto un susseguirsi di promesse non mantenute e aspettative deluse, un ciclo che ha portato molti intellettuali di destra a una profonda disillusione.

Questa disillusione non è semplicemente una questione di insoddisfazione politica, ma un riflesso della percepita decadenza culturale e sociale del Paese.

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee, queste frustrazioni raggiungono un nuovo apice, poiché si ripropone la speranza, ormai flebile, di un cambiamento significativo.

Le Promesse Tradite: Una Retrospettiva

Le promesse politiche in Italia sono state una costante, un rituale quasi sacro che si ripete ad ogni ciclo elettorale.

Tuttavia, queste promesse sono spesso rimaste tali, senza tradursi in realtà concrete. Analizzando i programmi dei principali partiti dagli anni ’70 ad oggi, emerge un pattern di ambiziose proposte economiche, sociali e culturali che raramente hanno trovato una realizzazione.

Negli anni ’80, ad esempio, il boom economico post-bellico iniziava a mostrare segni di cedimento.

Le promesse di una riforma strutturale del sistema produttivo, di una modernizzazione delle infrastrutture e di una maggiore equità sociale venivano ripetutamente fatte e disattese. Gli anni ’90, con Tangentopoli e la crisi della Prima Repubblica, videro emergere nuove formazioni politiche che promettevano una rottura col passato.

Ma la Seconda Repubblica non fu in grado di mantenere molte delle sue promesse di cambiamento e rinnovamento.

La Decadenza Culturale

Uno degli aspetti più preoccupanti del fallimento politico è stato il declino culturale.

L’Italia, culla del Rinascimento e patria di artisti, filosofi e scienziati, ha visto un progressivo impoverimento del suo patrimonio culturale e intellettuale.

Gli investimenti in cultura e istruzione sono diminuiti drasticamente nel corso degli anni. Secondo i dati dell’OCSE, la spesa pubblica per l’istruzione in Italia è tra le più basse d’Europa, rappresentando solo il 3.9% del PIL nel 2019, rispetto alla media europea del 4.9%.

Le università italiane, un tempo prestigiose, lottano oggi con carenze di fondi e infrastrutture obsolete. Il numero di giovani laureati che emigrano per cercare migliori opportunità all’estero è in costante aumento, con un fenomeno di “fuga dei cervelli” che depaupera ulteriormente il capitale umano del Paese.

I Dati della Decadenza

I numeri parlano chiaro.

Secondo un rapporto di Eurostat del 2022, l’Italia ha uno dei tassi di crescita economica più bassi dell’Unione Europea.

Il tasso di disoccupazione giovanile, sebbene in lieve diminuzione negli ultimi anni, rimane tra i più alti, attestandosi al 29.7% nel 2021.

La produttività del lavoro è stagnante, e il debito pubblico continua a crescere, superando il 155% del PIL nel 2021, un dato preoccupante che limita fortemente le capacità di investimento dello Stato.

La Crisi della Destra Italiana

Per un intellettuale di destra, la delusione è particolarmente acuta.

La destra italiana, storicamente legata a valori di tradizione, ordine e identità nazionale, ha faticato a trovare una coerenza interna e una leadership capace di tradurre i propri principi in politiche efficaci.

Le speranze riposte in figure come Silvio Berlusconi, che prometteva una “rivoluzione liberale”, sono state frustrate da scandali e inefficienze.

I movimenti più recenti, come la Lega, pur avendo catalizzato un notevole consenso, sono spesso accusati di populismo e mancanza di una visione strategica a lungo termine.

Le Elezioni Europee: Un Nuovo Banco di Prova

Le imminenti elezioni europee rappresentano un nuovo banco di prova.

In un contesto di crescente euroscetticismo e frammentazione politica, l’Italia si trova a dover scegliere non solo i propri rappresentanti a Bruxelles, ma anche a definire il proprio ruolo futuro all’interno dell’Unione Europea.

La speranza di molti intellettuali di destra è che queste elezioni possano finalmente segnare l’inizio di un reale cambiamento, ma la storia recente invita alla cautela.

In conclusione, la disillusione degli intellettuali di destra rispetto alla politica italiana è il risultato di decenni di promesse non mantenute e di un declino culturale che sembra inarrestabile.

Le elezioni europee offrono una nuova opportunità, ma senza un serio e profondo rinnovamento della classe politica e delle istituzioni, il rischio è che anche questa sia un’ennesima occasione persa.

Siamo quindi votati al populismo per forza?

l’uomo di destra è incompatibile con il populismo!

La crescente disillusione nei confronti della politica italiana ha spinto molti intellettuali di destra a interrogarsi su quale sia il loro ruolo e la loro posizione nel contesto attuale.

Mentre il populismo ha guadagnato terreno, offrendo risposte semplici e immediate a problemi complessi, gli intellettuali di destra trovano difficile abbracciare questa corrente per una serie di ragioni profonde e articolate.

L’Essenza del Pensiero Conservatore

Per comprendere perché un intellettuale di destra non può votarsi al populismo, è essenziale riflettere sull’essenza del pensiero conservatore.

La destra tradizionale si basa su valori di stabilità, ordine, tradizione e responsabilità.

Promuove una visione del mondo che valorizza le istituzioni consolidate, la continuità storica e il rispetto per la cultura e le tradizioni nazionali. Questo approccio contrasta nettamente con la natura spesso volatile e anti-istituzionale del populismo.

La Complessità delle Soluzioni

Gli intellettuali di destra sono consapevoli della complessità dei problemi socio-economici e culturali che affliggono l’Italia e il mondo contemporaneo.

Sanno che le soluzioni semplicistiche e immediate proposte dai populisti sono raramente efficaci e spesso dannose nel lungo periodo.

Il populismo tende a sfruttare le paure e le frustrazioni della popolazione, offrendo capri espiatori e promesse irrealizzabili.

Gli intellettuali, invece, riconoscono che i problemi complessi richiedono soluzioni ponderate, basate su analisi approfondite e politiche a lungo termine.

Il Rischio della Demagogia

Il populismo è intrinsecamente legato alla demagogia, l’arte di guadagnare consenso attraverso appelli emotivi piuttosto che razionali.

Questo approccio è in netto contrasto con l’etica dell’intellettuale, che cerca di elevare il dibattito pubblico attraverso argomentazioni basate su fatti e ragionamenti logici.

Per un intellettuale di destra, il populismo rappresenta una pericolosa deviazione dalla ricerca della verità e dell’eccellenza intellettuale, preferendo invece il successo immediato e la manipolazione delle masse.

La Difesa delle Istituzioni

Un altro aspetto fondamentale che separa gli intellettuali di destra dal populismo è il loro rispetto per le istituzioni.

La destra tradizionale vede nelle istituzioni un baluardo di stabilità e continuità, essenziali per il mantenimento dell’ordine sociale e della giustizia.

Il populismo, al contrario, spesso si posiziona in opposizione alle istituzioni, dipingendole come corrotte e inefficaci.

Questo atteggiamento distruttivo mina la fiducia nel sistema democratico e può portare a un’erosione delle fondamenta stesse dello Stato.

La Cultura e l’Identità

Per un intellettuale di destra, la cultura e l’identità nazionale sono valori inestimabili che devono essere preservati e promossi.

Il populismo, sebbene possa fare appello a sentimenti nazionalisti, lo fa in modo superficiale e strumentale.

Manca la profondità di comprensione e l’apprezzamento per la ricchezza culturale e storica che caratterizzano la destra tradizionale.

Gli intellettuali vedono il pericolo di una retorica populista che, pur invocando l’orgoglio nazionale, rischia di ridurre la cultura a slogan vuoti e a una visione distorta della realtà.

Un Chiamata all’Integrità Intellettuale

Per un intellettuale di destra, votarsi al populismo significa tradire i propri principi fondamentali.

Significa abbandonare la ricerca della verità, la complessità delle soluzioni, il rispetto per le istituzioni e la profondità culturale.

Significa, in ultima analisi, abbandonare l’integrità intellettuale in favore di un successo politico immediato ma vuoto di sostanza.

La sfida per gli intellettuali di destra è dunque quella di trovare un percorso che, pur riconoscendo le legittime frustrazioni del popolo, sappia offrire soluzioni reali e sostenibili.

Un percorso che non ceda alla tentazione della demagogia ma che, al contrario, riaffermi i valori di stabilità, responsabilità e cultura che sono al cuore del pensiero conservatore.

In un’epoca di crescente populismo, è più che mai necessario che gli intellettuali di destra riaffermino la loro voce, non come eco delle masse, ma come guida illuminata verso un futuro migliore.

Il Generale Vannacci: Un Visionario Tra Realismo e Comprensione delle Necessità del Popolo?

Nel panorama politico e sociale italiano, dominato spesso da figure populiste e discorsi semplicistici, emerge una figura che si distingue per il suo approccio ponderato e realistico: il Generale Roberto Vannacci.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Vannacci non è un populista che cerca consensi facili attraverso slogan vuoti.

Invece, egli si presenta come un leader che ha profondamente compreso le esigenze del popolo italiano, offrendo soluzioni pratiche e concrete ai problemi che affliggono la nazione.

La carriera militare del Generale Vannacci è testimone della sua dedizione e competenza.

La sua lunga esperienza nelle forze armate gli ha fornito una comprensione unica delle dinamiche sociali e delle sfide che il Paese deve affrontare.

La sua capacità di affrontare gli avversarsi sempre con calma, senza attaccarli e senza atteggiamenti ostili gli sta facendo acquisire gran consenso nel paese.

Vannacci ha servito in diverse missioni internazionali, acquisendo una visione globale e una capacità di analisi che trascende il provincialismo e il populismo tipici di molti politici contemporanei.

Le proposte di Vannacci non sono frutto di demagogia, ma di un’analisi attenta e approfondita delle reali necessità del popolo italiano.

Egli riconosce che le soluzioni ai problemi complessi richiedono un approccio pragmatico e realistico.

Ad esempio, nel campo della sicurezza, Vannacci sostiene la necessità di rafforzare le forze dell’ordine non solo in termini numerici, ma anche attraverso una migliore formazione e l’adozione di tecnologie avanzate.

Questo approccio bilancia la sicurezza nazionale con il rispetto dei diritti civili, evitando le scorciatoie autoritarie tipiche dei discorsi populisti.

Uno degli aspetti più distintivi di Vannacci è la sua empatia verso il cittadino comune.

Contrariamente ai populisti, che spesso sfruttano le paure e le frustrazioni del popolo per guadagnare consensi, Vannacci si sforza di capire le radici di queste emozioni.

La sua comunicazione è sempre rispettosa e mirata a trovare soluzioni condivise.

Vannacci vede nella cultura un elemento essenziale per il rilancio del Paese, sostenendo politiche che incentivino l’istruzione e la diffusione del patrimonio culturale italiano, sia a livello nazionale che internazionale.

In definitiva, il Generale Vannacci rappresenta una figura che, pur rasentando i toni e i metodi del populismo, ha saputo cogliere le necessità del popolo.

Non mi ritengo ne un sostenitore ne un detrattore del Generale, ma gli riconosco l’acume politico di aver saputo identificare una figura che ha colmato un vuoto comunicativo nel paese.

Ha profondamente capito che il politicamente corretto è la più grande bufala storica, come peraltro da noi più volte sostenuto non da ultimo qui https://betapress.it/politicallllllly-corrrrrect-che-freno-al-confronto/ , e che il paese ed i suoi cittadini hanno bisogno di sentire chi parla come loro, per loro e con loro.

Pochi altri hanno in precedenza azzeccato questo stile, e bravo Generale, e stolti tutti quelli che lo accusano superficialmente e senza affrontarlo in profondità: le accuse di razzismo e di fascismo, nonché di omofobia, gli fanno solo guadagnare altri punti.

Attaccare oggi il generale Vannacci che parla il linguaggio del popolo solo perché usa un linguaggio vicino al popolo è un poco come accusare il popolo stesso, ed il popolo su queste cose non perdona.

Il mio Dissenso: Un Grido Contro l’Impoverimento Generale del Paese

Nel contesto politico italiano attuale, mi trovo, specie come giornalista, in una posizione di profonda disillusione e frustrazione.

La delusione non deriva solo dalle promesse non mantenute e dalle aspettative disattese, ma anche dalla sensazione di essere perseguitato e isolato dagli stessi alleati politici.

Questo sentimento di alienazione mi spinge quindi ad esprimere un dissenso sempre più marcato contro l’impoverimento generale del Paese, un impoverimento che si manifesta non solo a livello economico, ma anche culturale e sociale.

La Disillusione con il Partito

Per me, ma come per ogni intellettuale di destra, la lealtà al proprio partito è stata tradizionalmente una questione di principio e di coerenza con i valori e le idee che quel partito rappresenta.

Tuttavia, negli ultimi anni, molti hanno assistito con sgomento a un declino della qualità e della serietà delle politiche adottate.

Le speranze riposte in un cambiamento positivo sono state spesso disattese, con promesse elettorali che si sono rivelate vuote e progetti di riforma che sono rimasti lettera morta.

Questa disillusione è aggravata dalla percezione di essere traditi dagli stessi alleati.

Invece di trovare supporto e solidarietà, molti, me compreso, si sentono perseguitati e marginalizzati da coloro che dovrebbero essere i loro naturali compagni di battaglia.

Questo isolamento non è solo politico, ma, soprattutto per me in questo momento, spesso anche personale e professionale, rendendo ancora più acuto il senso di frustrazione.

Il Grido di Dissenso

Di fronte a questa situazione, non posso far altro che esprimere un profondo dissenso.

Questo dissenso non è un semplice sfogo di rabbia, ma un grido di allarme contro l’impoverimento generale del Paese.

L’Italia, una volta faro di cultura e innovazione, sta vivendo un declino che sembra inarrestabile.

L’Impoverimento Economico

L’economia italiana, stagnante da decenni, è uno dei principali fattori di preoccupazione.

La disoccupazione, soprattutto giovanile, rimane elevata, e le opportunità di lavoro qualificato sono sempre più rare.

Le politiche economiche adottate negli ultimi anni non sono riuscite a stimolare una crescita sostenibile e a lungo termine, e il debito pubblico continua a crescere, limitando le capacità di investimento del Paese.

Vedo con preoccupazione l’assenza di strategie economiche solide e lungimiranti, l’eccessivo utilizzo dei fondi PNRR senza una doverosa ossatura che ne ripaghi i costi.

La mancanza di investimenti in settori chiave come l’innovazione, la ricerca e le infrastrutture sta contribuendo a un impoverimento strutturale che mette a rischio il futuro del Paese.

L’Impoverimento Culturale

L’impoverimento non è solo economico.

La cultura italiana, un tempo orgoglio nazionale, sta vivendo una crisi profonda.

I tagli ai finanziamenti per l’istruzione e la cultura hanno portato a un degrado delle istituzioni culturali e a un impoverimento dell’offerta educativa.

Le università e le scuole, che dovrebbero essere il fulcro della formazione delle nuove generazioni, soffrono di carenze strutturali e finanziarie che compromettono la qualità dell’insegnamento e della ricerca.

Questo declino culturale è aggravato dalla mancanza di visione e di politiche efficaci da parte del governo.

Vedo con allarme la diffusione di una cultura di mediocrità e di conformismo, che soffoca il talento e l’innovazione.

La fuga dei cervelli, con molti giovani laureati che emigrano per cercare migliori opportunità all’estero, è un sintomo drammatico di questo impoverimento.

L’Impoverimento Sociale

Infine, l’impoverimento sociale è forse l’aspetto più doloroso per me.

L’Italia è sempre stata un paese con forti legami comunitari e una ricca vita sociale.

Tuttavia, le politiche divisive e la crescente polarizzazione stanno erodendo il tessuto sociale del Paese.

La coesione sociale, un tempo punto di forza, è minata da crescenti disuguaglianze e da un senso di insicurezza e di incertezza per il futuro.

Un Appello alla Rinascita

In questo contesto, mi sento il dovere di alzare la voce e denunciare la situazione.

Il mio dissenso è un atto di amore verso il Paese ed un appello alla rinascita.

È un richiamo a ritrovare i valori fondamentali che hanno reso grande l’Italia e a lavorare insieme per costruire un futuro migliore.

Non voglio assolutamente arrendermi alla disillusione, ma cerco di trasformarla in un’energia creativa e costruttiva.

Cerco di promuovere un dibattito pubblico serio e informato, basato su fatti e argomentazioni, e di coinvolgere tutti i cittadini in un progetto comune di rinascita.

Solo attraverso un impegno collettivo e una visione condivisa sarà possibile invertire la rotta e risollevare il Paese dall’impoverimento economico, culturale e sociale che lo affligge.

A queste elezioni speriamo, anche se sono europee, di iniziare a votare per l’Italia.

 

 




Televannacci

Vannacci Roberto a TeleNord, una intervista che fissa gli obiettivi e fa chiarezza?

Abbiamo esaminato tante interviste televisive sul Generale Vannacci Roberto, ma troppo spesso abbiamo notato che si è cercato di far dire ciò che i “grandi intervistatori” avrebbero voluto che lui dicesse, su questo o altro fatto, tentando di alterare così il Suo pensiero originale.

Solo una preparazione “militare” e la Sua determinata concentrazione, cui bisogna dargli atto di possedere, ha fatto si che non cadesse nella “trappola”, magari vittima di un comprensibile nervosismo.

Le domande, forse strumentali, forse ideologiche, o forse anche di propaganda contraria, che normalmente ed in tantissimi incontri sono state poste e cui spesso non si è lasciato spazio per rispondere adeguatamente, hanno generato confusioni e divisioni, più da stadio, che di effettiva chiarezza sul pensiero dell’intervistato.

Fenomeno assai diffuso ed utilizzato dagli intervistatori di “grido”, basta ascoltare le varie interviste che da anni vengono proposte ad i vari politici, noti e meno noti, dove si parla di tutto, si cercano soluzioni su tutto, magari interrompendo con pubblicità improvvise o con domande a raffica su punti diversi, ma che non fissano gli obiettivi per cui bisogna raggiungere questo o quella meta. Forse perché non vi sono obiettivi?

Infatti, quasi nessuno ha chiesto al Generale Vannacci Roberto, quale fosse il reale obiettivo che lo ha condotto, dopo attenta meditazione, a scendere in campo.

Quindi, tutti grandi navigatori che dicono di conoscere la rotta, senza tuttavia conoscere la destinazione.

Chissà, forse Vannacci Roberto è un po’ come Cristoforo Colombo, che aveva come obiettivo, a differenza di tutti gli altri, di raggiungere le Indie percorrendo una rotta sconosciuta, e finì per scoprire l’America?

Vannacci Roberto l’obiettivo lo ha chiaro, anche se pochi lo hanno a lui chiesto, forse per paura, o forse per non scoprire che è l’unico ad avere una meta da raggiungere, opposta e contraria a quella che in maniera silenziosa, qualche altro ci vorrebbe indurre a raggiungere, utilizzando distrazioni di ogni genere.

L’intervista al Generale Vannacci Roberto che vi proponiamo, tra le tante, e che abbiamo anche trascritto, ci scusiamo per le imperfezioni che potrebbero esserci, è quella effettuata da TeleNord, primo piano: “Liguria Chiama, Europa risponde”.

Un’intervista che aiuta a fare chiarezza sul reale obiettivo del Generale Vannacci Roberto.

Ettore Lembo

Per chi preferisce la trascrizione:

Trascrizione della Video Intervista al Generale Vannacci Roberto per TeleNord.

Moderatore: Benvenuti a questa edizione di primo piano: “Liguria Chiama, Europa risponde”. Proseguiamo il nostro giro dei candidati alle elezioni europee con Roberto Vannacci, 55 anni nato a La Spezia candidato indipendente nelle liste della Lega. E’ con noi il direttore Giampiero Timossi. -Direttore: Buongiorno, buongiorno generale allora. Generare perché in questo momento lei è candidato, ma continua ad essere un Generale in forza all’esercito.

Vannacci Roberto: Sì, confermo, anche se sono candidato chiaramente in una posizione che mi consente di partecipare a questa competizione politica.

Direttore: Le chiedo subito una cosa, ma chi gliel’ha fatto fare? perché ha scelto di candidarsi? perché ha scelto di entrare in politica? prima questo, poi le chiedo anche, perché ha scelto di diventare autore di almeno un best seller, e un libro che sta riscuotendo, il suo secondo libro, comunque un notevole successo. Perché Entrare in politica candidarsi all’europea?

Vannacci Roberto: La scelta di entrare a in politica, intanto è stata abbastanza travagliata, perché è stata una scelta alla quale ho voluto pensare in maniera approfondita. Non è una cosa semplice, è un nuovo ambiente e un nuovo settore. Non ho mai fatto politica in vita mia e quindi non volevo passare dall’essere il professionista di un settore al dilettante di un altro. E poi comporta anche un totale cambio di vita familiare dei propri affetti più vicini e quindi ne ho dovuto parlare. Ne ho voluto parlare anche con mia moglie e in parte anche con le mie figlie, per quanto siano ancora molto giovani. E ho scelto di scendere in campo proprio perché ho pensato alle mie figlie e vorrei dar loro un futuro migliore. Un futuro diverso da quello che si prospetta seguendo quella che è attualmente l’Europa, vorrei che l’Europa fosse diversa. Vorrei un’Europa più sicura. Un’Europa dove una donna non debba aver paura di uscire di casa ed andare in un qualsiasi posto senza dover temere di essere aggredita, molestata. Un’Europa più sovrana che difende i propri interessi nazionali e anche che dove si difendono gli interessi nazionali italiani. Un Europa più identitaria che non debba rinunciare a quelle che sono le caratteristiche specifiche peculiari che fanno di noi un popolo, il popolo italiano che ci invidia il mondo intero. Che si coagula intorno a delle specifiche caratteristiche che ci riconosce il mondo, quindi dobbiamo continuare a essere identitari avere la nostra specifica e caratteristica le nostre specifiche peculiarità, un mondo più ricco, più benestante, è che quindi debba riscrivere totalmente il Green deal Europe, che ci porteranno solo povertà senza migliorare nulla, per quanto riguarda l’ambiente ecologia. Un’Europa più meritocratica e libera dove si possono esprimere le proprie opinioni senza aver timore, e dove un giovane possa pensare di potersi realizzare al massimo delle sue possibilità contando sul proprio merito e sulle proprie capacità.

Direttore: Le chiedo ha un’idea? Ci sono molti sondaggi su quelli che potrebbero essere risultati di queste, di queste elezioni europee. Ci sono sondaggi anche sui singoli candidati. Lei potrà ritenersi soddisfatto se raggiungerà che numero di voce di quanti… quanti pensa che possono essere i voti?

Vannacci Roberto: Ma guardi il target non glielo dico, però è molto ambizioso molto bello, estremamente ambizioso.

Direttore: Ci sono sondaggi che parlano di settecentomila preferenze. Lei pensa che siano poche? O Pensa di poter arrivare il milione di preferenza?

Vannacci Roberto: Io punto più alto più alto, del Milione No, più alto più alto del primo riferimento, che è un target molto ambizioso il mio, e poi vedremo se avrò avuto ragione o no.

Direttore: Difesa, difesa Europea è uno dei tre grandi temi. Del prossimo della prossima legislatura Europea, lei lo sa prima di ogni tornata elettorale, C’è un vertice dove si definiscono anche in base, appunto, dei sondaggi, quelli che sono la priorità. Gli europei hanno detto che la difesa è uno di questi di questi temi. Difesa che, probabilmente non si intende, non si intenderà come esercito europeo che è un qualcosa di complicato, ma, questa è più materia sua, me lo sta per dire lei se è complicato, No, ma si intenderà finanziamenti per dotare l’Europa di armamenti dello stesso dello stesso livello per dotare, l’Europa di un arsenale comune. Secondo lei, come si dovrebbero? Si potrebbero finanziare questi armamenti?

Vannacci Roberto: Guardi, riguardo l’esercito europeo la difesa comune Europea, ci sono tante teorie e tante voci in giro, ed è proprio per quello che io sono sempre cauto e prudente, perché dietro questo nome, che è diventato uno slogan, si possono celare tantissime questioni. Allora l’esercito europeo inteso come la messa in comune di forza, penso che sia una cosa irrealizzabile. Anche perché una forza armata rappresenta la sovranità di uno stato e quindi non possiamo cedere ulteriormente sovranità sotto questo aspetto. Il fatto invece di creare delle sinergie, delle collaborazioni a livello industriale, ma anche a livello di determinate capacità per dare una sorta di basket comune agli eserciti europei. Può essere una strada da perseguire, ma questa strada non ci realizzerà, cioè non sarà possibile realizzare delle grandi economie. Quelli che pensano che così fa, così facendo ci costerà di meno. Ritengo che probabilmente debbano analizzare un po’ meglio questa situazione di capacità. Le capacità costano in termini di risorse, in termini disponibili, quindi bisognerà effettivamente vedere Quale sarà la strada da perseguire e soprattutto quali saranno i metodi per finanziare queste capacità e cosa ci verrà chiesto in cambio. Perché ricordo che fino ad adesso, anche nel PNNR, di cui tanto si parla, è una minima parte a fondo perduto, il resto è un prestito che dovremo restituire, quindi bisognerà vedere effettivamente che cosa sia il termine, costo efficace, e quali siano da ricercare, quali sistemi e per quali modalità? Con quali modalità si potrà realizzare questa difesa comune? Sicuramente non dovrà essere una cessione di sovranità perché se oggi questo fantomatico esercito europeo fosse stato alle dipendenze del presidente Macron, probabilmente avremo qualche soldato italiano che combatterebbe oggi stesso in Ucraina e questo mi auguro che non succeda mai.

Moderatore: Dal giorno del suo ingresso sulla scena pubblica, si è verificata una sorta di distruzione del politicamente corretto. L’ideologia dominante è arrivata dall’America. Lei nei confronti di questa contro spinta, denuncia una sorta di contro censura che riguarda la persona, le idee, e anche il suo pubblico e anche un parterre di persone con delle prove da dire nella controversia infinita anche opposta alla pallavolista Egonu. Ultimo a intervenire è stato Gramellini, che citando il suo virgolettato della “non può celare visivamente la sua origine” Gramellini scrive la vita è una questione di abitudini, un giorno Vannacci si accorgerà che il mondo al contrario è semplicemente il mondo, ed è lui che lo sta guardando al contrario. Cosa risponde a Gramellini?

Vannacci Roberto: Ma, Gramellini ha scoperto l’acqua calda, nel senso che il mondo è relativo, questo lo sappiamo tutti quanti, non vi è dubbio, però che il mondo è fatto di fenomeni più frequenti, fenomeni meno frequenti è fatto di maggioranza e di minoranze e fatto di realtà e quindi il mondo è quello che tocchiamo ogni giorno con le mani. Non è il mondo della percezione che invece ci vorrebbero far bere. Quindi Gramellini sa benissimo che qua in Italia abbiamo delle caratteristiche assolutamente indistinguibili e molto specifiche che ci fanno italiani, fra cui ci sono la nostra cultura, le nostre tradizioni, le nostre radici, e guarda caso le etnie che si distinguono anche tramite i tratti somatici. E questo non è una cosa né negativa né positiva, non è né migliore né peggiore. È sempre la diversità. La bellissima ricchezza di questo mondo che fatto di diversità.

Moderatore: Il suo ingresso sulla scena pubblica, data la sua professione che ha svolto e sta svolgendo in regime, cioè in aspettativa, ha ricordato quella vecchia battuta per cui l’avvocato Agnelli, che era stato sondato per presiedere un governo di uno dei tanti governi di unità Nazionale, Dice è meglio di no, perché se fallissi io, dopo di me potrebbe arrivare solo in generale.

Vannacci Roberto: Ma guardi Non lo so. Apprezzo la battuta dell’avvocato Agnelli non credo che si stia avendo una deriva autoritaria nella maniera assoluta. Penso invece che la professionalità che ho acquisito in 37 anni di carriera, militare di esperienza fatta in giro per il mondo, in comandi multinazionali e a contatto con quella che è una realtà internazionale, possa essere estremamente positiva e possa essere messa a frutto in un Parlamento Europeo.

Direttore: Le chiedo. Generale Vannacci, la sua idea di normalità, perché su questo si è un po’ discusso, in questo periodo. Ci siamo incontrati casualmente alla stazione Termini di Roma e anche ascoltandola, Lei risulta una persona anche moderata nelle parole, però non è questa l’impressione, non è questa l’idea che ci si fa, forse anche leggendo alcuni passi del suo, soprattutto, del suo del suo primo libro, o, non lo so, raccogliendo quelle che sono alcune delle sue dichiarazioni. Questo mi sorprende molto. Lei è un uomo che, se non sbaglio, ha due lauree in Italia, una all’estero ha la disciplina perché è un militare. Ha la disciplina nel DNA. E queste, a volte, in certe uscite, mi permetta il termine, sembrano del tutto indisciplinate. Io quindi non riesco, cerco di non avere mai né giudizi né pregiudizi, ma non riesco bene a capire come questa, questa dicotomia. Lei uomo disciplinato e colto, ma a volte … esternazioni o frasi che sembrano indisciplinate e diciamo così non particolarmente sensibili. Quello che scriveva prima il collega e amico Gramellini, e che ha riportato Stefano, in realtà è un aspetto della sua personalità. Il fatto che lei abbia delle definizioni precise per determinate categorie, perché questo? mi spieghi la sua idea.

Vannacci Roberto: Di certo io penso di rappresentare la realtà per quella che è. Una realtà non modificata dal politicamente corretto che tende addirittura a cambiare il significato alle parole, e quindi, la normalità è quella che è definita in tutti i vocabolari della lingua italiana, ma chiunque abbia studiato le basi della statistica, sa che le prime tre caratteristiche della statistica e le prime tre funzioni principali sono la media aritmetica, la mediana e la norma. La norma rappresenta il verificarsi più frequente di un certo avvenimento e quindi ha essenzialmente una funzione unicamente statistica. Quindi quando si parla di normalità si parla di consuetudine. Si parla di prassi, e tutto ciò che non rientra nella consuetudine, nella prassi, è anormale, perché non rientra in quella norma.

Quindi, nessuna significazione, positiva o negativa ne migliore né peggiore. E’ semplicemente una definizione statistica che va applicata per quella che poi, il politicamente corretto, ha dato invece una accezione diversa, che è quella che io non accetto. Così come la definizione di razzista. Oggi basta dire di una persona, è una persona nera, che si viene epitetati di razzista. Il razzismo è un’altra cosa, il razzismo è quella ideologia che sostiene che una etnia sia geneticamente superiore rispetto ad un’altra. Sono due cose totalmente.

Direttore: Lei non è assolutamente razzista?

Vannacci Roberto: Nella maniera più assoluta, ma la mia vita lo testimonia ancora prima da quello.

Direttore: La sua è quindi una battaglia contro politicamente corretto?

Vannacci Roberto: Esattamente, il politicamente corretto, non è che agisce solo sulle parole, ma agendo sulle parole agisce sulle idee. E’ il politicamente corretto che vorrebbe eliminare le differenze, perché ritiene che le differenze siano causa di discriminazione. Invece differenze e discriminazione, sono due cose totalmente differenti. Le differenze sono oggettive e sono caratteristiche diverse che noi notiamo in alcuni elementi. La discriminazione invece si basa sui diritti e sulla dignità e nel mio libro io non ho tolto diritti e dignità nessuno, ho esaltato le differenze che vanno riconosciute perché sono una ricchezza di questo mondo.

Direttore: Perché secondo lei una parte invece di quelle che sono, che lei stesso definisce le minoranze del nostro paese, hanno comunque, le sue parole come obiettivo e criticano pesantemente quello che lei ha detto?

Vannacci Roberto: Certo perché si va verso una omogeneizzazione della società, una società dove tutto viene omogeneizzato. Dove le minoranze vengono confuse con le maggioranze, dove qualsiasi differenza debba essere presa come una sorta di discriminazione e quindi debba essere negata, debba essere limata, diluita, annacquata, per creare una paccottiglia che include tutti e non rappresenta nessuno. Ecco questo è il mondo immobile del mondialismo e del globalismo che io rifuggo, che io rinnego, e che io invece spero che non si realizzi mai, a beneficio, invece, di un mondo identitario dove le differenze continuino a costituire la ricchezza di questo stupendo pianeta.

Direttore: Lei è già non ha risposto, ha preferito non rispondere, ad alcune domande sull’ inchiesta che ha coinvolto in Liguria il presidente di regione Liguria Giovanni Toti. Però lei è uomo che non si sottrae ai giudizi. Allora io cerco di riassumerle una parte dell’inchiesta, poi lei mi dirà se vuole o non vuole rispondere. C’è un servitore dello Stato, esattamente come lei è stato per anni, ed è tuttora, anche se in aspettativa un servitore dello Stato, che, secondo quanto emerge con assoluta chiarezza, dalle intercettazioni, dai riscontri bancari, ha, ne faccio un esempio, ricevuto da un imprenditore privato 42 soggiorni in un hotel di lusso, solo per citare uno degli elementi, donazioni in regalo, che sono, secondo i magistrati, una prova di corruzione e che, secondo comunque, nell’attesa di conoscere quello che sarà il risultato della magistratura, politicamente hanno già un significato. Lei si candida anche in Liguria per le prossime europee. Avrà letto sicuramente, anche se quello che è emerso nelle prime pagine dei giornali nei primi giorni di questa inchiesta e su tutti i giornali. Ora lei ha sostenuto che a volte, alcuni giornalisti o alcuni giornali possono strumentalizzare. Ma questo è una cronaca comune. Lei, credo che un giudizio su questo, quanto sta accadendo, lo abbia.

Vannacci Roberto: Guardi. Io ho un mio giudizio personale, però ripeto, le indagini servono proprio ad appurare i fatti e quindi non credo che sia l’apertura delle indagini che possa condizionare lo svolgimento di quello che è una professione, una missione che un servitore dello Stato sta facendo in quel momento. Lasciamo spazio alla magistratura. Lasciamo che queste indagini vengano maturate, vengono effettuate e poi vengono prese le decisioni. È chiaro che un’immagine se la fa ogni cittadino, però non sarebbe la prima volta che poi invece queste indagini vanno verso direzione diverse. Lasciamolo lavorare la magistratura nella quale io piena fiducia, e atteniamoci a quelle che saranno poi gli esiti di queste indagini.

Direttore: Assolutamente le indagini devono dimostrare se esistono dei comportamenti che sono dei reati penali, ma ci sono dei comportamenti che hanno in qualche modo, già possono, sui quali si può dare un giudizio di moralità o non moralità. Io credo che quel giudizio lei lo abbia.

Vannacci Roberto: Ma è un giudizio che mi tengo per me

Direttore: No.

Vannacci Roberto: Si lo tengo per me. Perché ripeto non voglio che influenzi nessuno e soprattutto che influenzi neanche me stesso.

Direttore: Però non è un vecchio, mi perdoni, non è un modo un po’ superato di fare politica, quello di no? Comunque, lei non si sottrae neanche alle critiche, neanche alle polemiche, perché si vuol filtrare…

Vannacci Roberto: Perché vorrei evitare di esprimere dei giudizi non totalmente informati. In genere non parlo di ciò che non so. Questa è una vicenda che ho seguito solo marginalmente. Ho solo una fonte di informazione, che è quella giornalistica, e quindi preferisco, magari, scavare più in profondità prima di esprimere un giudizio, che sia informato e che sia consapevole.

Direttore: C’è un’ultimissima polemica tra lei e il ministro degli Esteri italiani. Questa polemica sulla bandiera, è stata strumentalizzata anche questa? Non lo so insomma, ma io le chiedo semplicemente lei è europeista?

Vannacci Roberto: Guardi l’Europa è una realtà, io non la rinnego nella maniera più assoluta, anche sotto un aspetto storico, geografico, di tradizione. Quindi l’Europa, secondo me, deve essere cambiata, non deve essere eliminata. Deve essere cambiata. Deve essere un’Europa fatta da stati sovrani indipendenti e forti che costituiscono una comunità che esalta, in questa maniera, in maniera esponenziale, le caratteristiche di ogni stato. Sulla questione della bandiera, mi risulta che siamo l’unico paese che ha per norma l’obbligo di esporre la bandiera europea insieme a quella italiana. Come mai Dovremmo essere gli unici ad attenerci a questa disposizione?

Direttore: Perché la disturba questa cosa?

Vannacci Roberto: Non disturba nella maniera più assoluta, però vorrei dire: secondo me la norma è esporre la bandiera nazionale, poi si lascia la possibilità di esporre quella Europea.

Direttore: Un’ultima cosa, lei se non sbaglio allo scoppio all’invasione della Russia dell’Ucraina era in Russia, ed è stato dopo qualche settimana è stato espulso come persona non gradita, dopo qualche mese, come una persona non gradita. Nel partito dove lei si presenta come indipendente, nella lega, le condizioni su Putin e sulla Russia sono a volte differenti. Qual è la sua posizione?

Vannacci Roberto: La mia posizione è che si faccia una pace. Perché io ritengo che Putin per quanto una persona sicuramente criticabile non sia peggio di Stalin. Ecco rifacendoci a quello che è successo più di 50 anni fa, perché ritengo che probabilmente anche con le elezioni che ci saranno prossimamente a novembre negli Stati Uniti, sia venuto il momento di pregare per una nuova gli Yalta e quindi per avere un patto, una negoziazione che ci consenta, come lo ha fatto Yalta, i prossimi 50-60 anni di pace.

Direttore: Cosa Lei dice che l’Europa è Cristiana da Capo Nord a Malta, quindi Questo significa che lei vuole andare in Europa anche per riscrivere la costituzione dell’Europa che non prevede simboli, né ha parlato… Sì tigre, Aquila No.

Vannacci Roberto: Io ritengo che una delle caratteristiche fondamentali europee sia proprio la cristianità che esula dalla Fede religiosa, ma è una questione di cultura e quindi non possiamo rinnegare una cultura che permea questo continente negli ultimi duemila anni e secondo me è un simbolo di cristianità, così come era stato proposto nella costituzione europea nella prima stesura. Ritengo che sia sicuramente un simbolo identitario che possa contraddistinguere.

Moderatore: Grazie a voi, alle elezioni europee Vannacci Roberto, nativo di La Spezia, 55 anni. Liguria chiama, Europa risponde. E si chiude qui.




Dirigenti esterni nella PA??? Troppe differenze non solo culturali!!!

La mancanza di manager di livello nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato è un argomento complesso che può essere analizzato sotto diversi punti di vista.

Le differenze tra i due settori in termini di gestione, incentivi, struttura organizzativa e cultura del lavoro sono significative e influenzano la qualità e la competenza della leadership.

Anche quando la PA prende dirigenti dall’esterno, non intendiamo da altre PA ma dal settore privato, cosa di cui parleremo bene più avanti, la situazione si rivela fallimentare.

Ecco alcuni dei principali fattori che contribuiscono a questa situazione:

 

Differenze nei Sistemi di Incentivi

 

 Settore Privato:

– Retribuzione: Nel settore privato, i manager ricevono compensi spesso molto alti, compresi stipendi, bonus basati sulle performance e stock options.

– Incentivi basati sulla performance: Gli incentivi finanziari sono strettamente legati ai risultati aziendali. Questo motiva i manager a migliorare costantemente le loro prestazioni e a raggiungere obiettivi specifici.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Retribuzione fissa: I compensi sono generalmente regolati da leggi e regolamenti, con minore flessibilità per premi o bonus basati sulle performance.

– Incentivi limitati: Gli incentivi basati sulla performance sono meno comuni, riducendo la motivazione a eccellere o innovare.

 

Processi di Selezione e Reclutamento

 

 Settore Privato:

– Selezione competitiva: Le aziende private tendono a selezionare i candidati attraverso processi competitivi, cercando i migliori talenti disponibili sul mercato.

– Flessibilità nel reclutamento: Il settore privato può adattare rapidamente i propri processi di assunzione alle esigenze del mercato e delle proprie strategie aziendali.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Burocrazia e rigidità: I processi di selezione nella pubblica amministrazione sono spesso lunghi e burocratici, con rigide procedure e requisiti formali.

– Limitazioni regolamentari: La selezione e il reclutamento sono soggetti a regolamentazioni che possono limitare la capacità di attrarre talenti altamente qualificati.

 

Struttura Organizzativa e Cultura del Lavoro

 

 Settore Privato:

– Organizzazione dinamica: Le aziende private tendono ad avere strutture organizzative più flessibili, che permettono una rapida adattabilità ai cambiamenti del mercato.

– Cultura della performance: C’è una forte enfasi sui risultati e sulla performance, che spinge i manager a innovare e migliorare costantemente.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Struttura gerarchica: La pubblica amministrazione è spesso caratterizzata da strutture gerarchiche rigide, che possono limitare l’innovazione e la rapidità decisionale.

– Stabilità e sicurezza del lavoro: La cultura lavorativa nella pubblica amministrazione può essere più orientata alla stabilità e alla sicurezza del lavoro piuttosto che alla performance e all’innovazione.

 

Formazione e Sviluppo Professionale

 

 Settore Privato:

– Investimenti nella formazione: Le aziende private spesso investono significativamente nella formazione continua dei loro manager per sviluppare competenze specifiche e aggiornate.

– Sviluppo della carriera: Ci sono molte opportunità per la crescita professionale e la progressione di carriera, incentivando i manager a migliorarsi costantemente.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Limitazioni di budget: Gli investimenti nella formazione e nello sviluppo professionale possono essere limitati dai vincoli di bilancio pubblico.

– Percorsi di carriera meno definiti: Le opportunità di crescita professionale possono essere meno definite e meno accessibili, influenzando negativamente la motivazione dei manager a sviluppare nuove competenze.

 

Valutazione delle Performance

 

 Settore Privato:

– Valutazione rigorosa: Le performance dei manager vengono costantemente valutate in base a criteri specifici e misurabili, con un feedback continuo che consente correzioni rapide.

– Accountability: I manager sono strettamente responsabili dei risultati delle loro unità o dipartimenti.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Valutazione limitata: Le valutazioni delle performance possono essere meno rigorose e meno frequenti, riducendo la pressione per migliorare continuamente.

– Minore responsabilità individuale: La responsabilità può essere diffusa, rendendo più difficile attribuire successi o fallimenti a singoli manager.

 

La mancanza di manager di livello nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato è il risultato di una combinazione di fattori che includono sistemi di incentivi, processi di selezione, struttura organizzativa, cultura del lavoro, formazione e valutazione delle performance.

Per migliorare la qualità della leadership nella pubblica amministrazione, sarebbe necessario rivedere questi aspetti, aumentando la flessibilità, gli incentivi basati sulla performance e gli investimenti nella formazione e nello sviluppo professionale dei manager.

L’assunzione di personale dirigenziale dall’esterno nella pubblica amministrazione italiana, come previsto dal comma 6 dell’articolo 19 della legge 165/2001, è un processo che, sebbene pensato per introdurre competenze e know-how del settore privato, spesso si scontra con varie problematiche che portano a fenomeni di mobbing e impediscono ai nuovi dirigenti di lavorare al meglio.

Questa situazione può essere spiegata attraverso diverse cause legate alla cultura organizzativa, alle dinamiche interne e ai conflitti d’interesse esistenti all’interno della pubblica amministrazione.

 

Resistenza al Cambiamento

 

 Cultura Organizzativa Radicata:

– Tradizionalismo: La pubblica amministrazione è spesso caratterizzata da una cultura organizzativa molto radicata e tradizionalista. L’introduzione di dirigenti esterni, che portano nuove idee e metodi di lavoro, può essere percepita come una minaccia allo status quo.

– Resistenza al cambiamento: Il personale interno può manifestare una forte resistenza al cambiamento, vedendo i dirigenti esterni come agenti di cambiamento indesiderato che alterano le pratiche consolidate e i flussi di lavoro esistenti.

 

Conflitti di Interesse e Invidia Professionale

 

 Conflitti con il Personale Interno:

– Invidia: I dirigenti interni possono nutrire sentimenti di invidia verso i nuovi dirigenti esterni, specialmente se percepiscono che questi ultimi sono stati assunti con compensi più elevati o con percorsi di carriera privilegiati.

– Competizione: L’assunzione di dirigenti esterni può creare una competizione interna, alimentando tensioni tra il personale di lungo corso e i nuovi arrivati, che vengono visti come concorrenti piuttosto che come collaboratori.

 

Dinamiche di Potere e Politiche

 

 Ostacoli Politici e Amministrativi:

– Difesa delle posizioni di potere: I dirigenti interni e altri funzionari possono vedere i nuovi arrivati come minacce alle loro posizioni di potere e influenza. Questo può portare a comportamenti di boicottaggio e ostracismo per proteggere i propri interessi.

– Supporto insufficiente: Spesso i dirigenti esterni non ricevono il supporto necessario dai loro superiori o colleghi interni, rendendo difficile l’implementazione delle loro idee e iniziative.

 

Problematiche Legate alla Formazione e all’Inserimento

 

 Mancanza di Adeguata Formazione:

– Inserimento inadeguato: Spesso, i dirigenti esterni non ricevono un’adeguata formazione o orientamento specifico per comprendere le peculiarità della pubblica amministrazione e adattarsi al nuovo contesto lavorativo.

– Isolamento professionale: I nuovi dirigenti possono essere isolati dal resto del personale, non ricevendo il supporto necessario per integrarsi efficacemente e comprendere le dinamiche interne.

 

Burocrazia e Inerzia Amministrativa

 

 Complessità Burocratica:

– Procedure rigide: La pubblica amministrazione è caratterizzata da procedure burocratiche rigide e complesse che possono limitare la capacità dei nuovi dirigenti di apportare cambiamenti significativi e miglioramenti.

– Lentezza decisionale: La lentezza nelle decisioni e nei processi amministrativi può frustrare i dirigenti esterni, abituati a un ambiente più dinamico e orientato ai risultati.

 

Fenomeni di Mobbing

 

 Mobbing Organizzativo:

– Strategie di esclusione: Il personale interno può attuare strategie di esclusione nei confronti dei nuovi dirigenti, come la mancata condivisione di informazioni, l’assegnazione di compiti di scarso valore o l’esclusione dalle decisioni importanti.

– Delegittimazione: I dirigenti esterni possono essere delegittimati attraverso critiche costanti, sabotaggio delle loro iniziative e diffusione di voci negative, con l’obiettivo di farli apparire incompetenti.

 

 

L’inserimento di dirigenti esterni nella pubblica amministrazione italiana attraverso il comma 6 dell’articolo 19 della legge 165/2001, sebbene inteso a portare nuove competenze e dinamiche innovative, si scontra spesso con una resistenza culturale, conflitti di interesse, dinamiche di potere e problematiche burocratiche.

Per migliorare questa situazione, sarebbe necessario adottare misure che favoriscano un’accoglienza più positiva e un’integrazione efficace dei nuovi dirigenti, come programmi di orientamento, politiche di supporto e promozione di una cultura organizzativa più aperta al cambiamento e alla diversità di esperienze professionali, e forse occorrerebbe cacciar via tutti gli attuali vertici, perché non sono i dirigenti il problema vero, e sostituirli con manager proveniente dal privato e dalla consulenza, così magari qualche speranza per questo paese potrebbe esserci.




Tempo di verità, anche scomode

Dopo gli arresti cautelari nella Regione Liguria fra cui quelli dell’imprenditore Spinelli e del Governatore Giovanni Toti, oggi sospeso dalla carica, i partiti tutti si “agitano”.

Poco loro importa l’affermazione che, uscendo dal mancato interrogatorio di garanzia, Aldo Spinelli ha lanciato ai presenti, quel “male non fare, paura non avere” che già era stato usato dalla Ministro Santanchè per commentare le proprie vicissitudini giudiziarie.

La campagna elettorale per le elezioni europee, dopo i fatti di Genova, è diventata uno sorta di uno scontro di parole sul “Toti si deve dimettere” a cui si contrappone il sempre verde “giustizia ad orologeria”.

Campagna elettorale che, a dire il vero, aveva già visto affacciarsi la magistratura sia in Puglia che in Sicilia, ma anche in Piemonte per esempio.

Campagna elettorale che, a prescindere da tutto, non permetteva in alcun modo ai cittadini elettori di comprendere le diverse linee politiche su cui dover scegliere attraverso il voto.

Ci inondano di “votate Giorgia”, votate “Schlein”, “Calenda”, “Capitano Ultimo”, “Salis” a prescindere da quello che pensano.

Agli elettori viene chiesto di votare un “simbolo”, non di esprimersi attraverso il voto su linee politiche, contenuti.

Unica eccezione la possibilità di votare “Vannacci”.

Del generale possiamo leggere, piaccia o non piaccia quel che ha scritto, il suo pensiero in un libro tanto divisivo quanto chiaro ed esaustivo.

In fondo da “paracadutista” non ha paura a combattere per le cose su cui lui crede.

Di questo gli va dato merito.

Sarà questo il motivo per cui i suoi avversari spesso cercano di denigrarlo proprio su una sua, asserita dagli stessi, tendenza a cambiare opinione.

In quei casi facile riportare alla memoria le parole di un altrettanto discusso Presidente Andreotti sulla siderale distanza fra “morale” e “moralismo” allorquando dichiarò “ io distinguerei le persone morali dai moralisti, perché molti di coloro che spendono il loro tempo a parlare di etica, a forza di parlarne non hanno il tempo per praticarla”.

Non so voi, ma questa dichiarazione mi sembra particolarmente adatta ai tempi che viviamo.

Tornando ai fatti di cronaca, nel dover, mio malgrado, seguire questo tsunami di parole vuote, mi tornano alla mente momenti del passato della nostra Repubblica.

Essendo oramai canuto ricordo le immagini di quei giorni del 1992 con Mani Pulite che prendeva abbrivio.

Oggi, nel seguire le dichiarazioni dei singoli parlamentari, addirittura di ministri e capi partito, almeno chi scrive, ha la sensazione di un sistema politico, tutto, terrorizzato che si scoperchi il sistema di lottizzazione, di malagestio, per l’ennesima volta.

Sistema che sta letteralmente distruggendo la nostra Patria.

Forse anche per questo mi tornano alla memoria le parole che il 3 luglio del 1992 l’allora Segretario del Partito socialista italiano ed ex presidente del Consiglio tenne alla Camera dei Deputati con cui definì buona parte del sistema di finanziamento dei partiti politici del tempo “irregolare o illegale”.

In quel celebre discorso Craxi sfidò gli altri deputati a smentirlo e, contemporaneamente, lanciò un messaggio chiaro ai suoi “colleghi”.

Craxi consigliò al Parlamento tutto di non “dividersi”, proponeva di “fare quadrato”.

Il Segretario socialista aveva compreso fra i primi che gli arresti di politici che si stavano susseguendo, avrebbero spazzato via una intera classe politica.

Non troppi giorni dopo subì l’onta delle “monetine” e l’esilio.

L’Italia era agli inizi di quell’insieme di azioni giudiziarie che prese il nome di Tangentopoli, azioni che coinvolsero quasi tutti i principali partiti italiani e un pezzo importante dell’imprenditoria del nostro Paese.

Craxi, già raggiunto dalle inchieste, parlava di un sistema corruttivo e concussivo che riguardava tutto il potere della Nazione, una consorteria diffusa che univa tutti i partiti.

Il teorema di Craxi era che, essendo il metodo corruttivo sistemico, si doveva risolvere politicamente e non per via giudiziaria.

In queste ore le parole di Bettino Craxi del 1992 “d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale” tornano alla mia mente.

Finanziamento dei partiti, solo dei partiti o di un complesso sistema di potere autoreferenziale?

Autarchico si direbbe oggi.

In queste ore il Ministro della Difesa Guido Crosetto, nel commentare i fatti liguri, ha dichiarato “Con la logica usata per Toti, a cui non viene contestato alcun vantaggio personale e privato, possono arrestare la quasi totalità dei Sindaci, dei Presidenti di Regione, dei Dirigenti Pubblici”.

Il ministro, oltretutto, nello stesso messaggio sui social, lancia anche un sasso nello stagno dicendo “Suppongo potrebbero anche arrestare la maggior parte dei Magistrati”.

Messaggio simile, inoltre, arriva anche da Salvini che, parlando con la stampa anche lui dell’arresto di Toti, si esprime così “Mettessimo microspie negli uffici dei magistrati non so quanti continuerebbero a lavorare”.

L’opinione pubblica, a dire il vero, in cuor suo, spesso pensa che di corrotti ve ne siano un certo numero anche in quella categoria di funzionari che hanno giurato sulla Costituzione italiana.

Temo involontariamente i due ministri attraverso le loro esternazioni denunciano il devastante degrado morale che regna sovrano in questa nostra triste Italia, degrado che non riguarda esclusivamente politici, funzionari pubblici ed imprenditori, riguarda la nostra nazione in ogni suo ambito.

Questa la causa che ha portato l’Italia al collasso.

I cittadini sono spaventati per il futuro, i giovani preferiscono vivere l’ora ed adesso, non programmano, hanno paura e conseguentemente preferiscono non procreare, alcuni addirittura decidono di lasciare la loro amata Patria.

Il consociativismo, il cosiddetto comitato d’affari, lo percepiscono tutti senza neanche concentrarsi troppo e lo percepiscono assai ampio e variegato. Assai, direi ostentatamente, pervicace.

Per questo ai magistrati ed alle forze sane del Paese consegno una suggestione utilizzando un noto aforisma di Eraclito da Efeso “Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare”.

Sono, infatti, assai convinto che la nostra amata Italia debba ritrovare “credibilità” e, per raggiungere questo stato, non bisogna avere paura di affondare il coltello fino in fondo alla “piaga”.

Nel 1992 vedemmo solo alcuni partiti, alcune fattispecie di reato, alcune categorie professionali essere coinvolti, quanto sarebbe utile che questa volta la “pulizia delle mani” potesse essere “integrale”.

Quanto sarebbe utile se la nostra amata Patria trovasse il coraggio di scoperchiare tutte le tombe imbiancate, senza “perbenismi” che, tanto per non essere frainteso, il Treccani definisce come “modo di comportarsi di chi vuole apparire persona perbene, seguendo con qualche ostentazione le norme della morale comune o uniformandosi a quelle della classe sociale dominante”.

Cosa di più dominante di un “comitato d’affari” appunto?

Cosa di “morale” nel “fermare la propria azione” allorquando si dovesse prendere atto che la stessa riguarderebbe persone o fatti che non si vorrebbe incontrare nello svolgimento della propria attività?

Tanti i rumori in questa triste Italia, l’apparato giudiziario sarà garante della credibilità del nostro popolo, della nostra Patria, se oserà e scoperchierà tutto.

Raggiungendo tutti e facendo emergere anche i fatti più scabrosi.

Forse in questo modo gli italiani saranno messi nella condizione di affrontare la realtà del loro Paese e reagiranno per ricostruire la nostra Patria.

Ignoto Uno

Significativo video che va visionato, per Vostra conoscenza

https://vm.tiktok.com/ZGeCFoLLu/



Non esistono le gite scolastiche!

la normativa di riferimento in materia di uscite/visite guidate e viaggi di istruzione, in Italia e all’estero è composta dal DPR dell’8/03/1999 n. 275 e del 6/11/2000 n. 347 che hanno dato completa autonomia alle istituzioni scolastiche anche in materia di uscite/visite guidate e viaggi di istruzione, in Italia e all’estero.

Per amore di legge ricordiamo che le gite scolastiche non esistono, ma esistono i viaggi/uscite di istruzione, ma soprattutto  non sono semplicemente “premi” o interruzioni dal curriculum standard, ma componenti fondamentali di un sistema educativo che mira a formare individui ben arrotondati, critici e consapevoli.

Integrando le uscite didattiche con il curriculum regolare, le scuole possono arricchire notevolmente l’esperienza educativa degli studenti, preparandoli meglio a interagire con il mondo in modo informato ed efficace, infatti la norma di riferimento dice che:

L'autonomia delle istituzioni scolastiche e' garanzia di  liberta'
di insegnamento e  di  pluralismo  culturale  e  si  sostanzia  nella
progettazione e nella  realizzazione  di  interventi  di  educazione,
formazione e istruzione mirati allo  sviluppo  della  persona  umana,
adeguati ai diversi contesti, alla  domanda  delle  famiglie  e  alle
caratteristiche  specifiche  dei  soggetti  coinvolti,  al  fine   di
garantire loro il successo formativo, coerentemente con le  finalita'
e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e  con  l'esigenza
di  migliorare  l'efficacia  del  processo  di  insegnamento   e   di
apprendimento.

Da questo ne declina che le uscite didattiche sono interventi formativi integrati nella progettazione degli interventi educativi, a tutti gli effetti fanno parte del programma.

Le gite scolastiche, frequentemente percepite solo come momenti di svago o ricompense per gli studenti, rivestono in realtà un ruolo ben più significativo e sostanziale nel contesto educativo.

Queste esperienze sono parte integrante del processo di apprendimento, poiché contribuiscono allo sviluppo personale e culturale degli studenti in modi che l’ambiente convenzionale di una classe non può sempre offrire.

Le gite scolastiche contribuiscono vieppiù a una visione più olistica dell’educazione, che va oltre la semplice trasmissione di conoscenze.

Esse promuovono una comprensione più completa della realtà, incoraggiando gli studenti a sviluppare una coscienza critica e una migliore comprensione delle diverse sfaccettature sociali, storiche e ambientali.

In questo senso sono inspiegabili le esclusioni degli studenti dalle gite o la scelta di parteciparvi in conseguenza dell’andamento del voto di condotta.

Sarebbe un poco come dire che se un ragazzo ha un voto di condotta basso viene escluso da alcune lezioni, magari dalle più divertenti, per fargli sentire meglio la punizione.

I viaggi di istruzione non devono essere visti come un premio, al contrario sono dei momenti educativi molto importanti che dovrebbero richiedere agli studenti impegno ancora maggiore.

E’ veramente grave dal punto di vista educativo usare uno strumento a tutti gli effetti di programma per dare un contentino o una punizione agli alunni.

Il mondo della scuola dovrebbe fare una seria riflessione sull’argomento, valutandone le conseguenze e gli eventuali messaggi sbagliati che ne derivano.

Io credo che chi parla di certi argomenti dovrebbe conoscerli, ma purtroppo spesso non li conosce nemmeno chi siede al ministero, quindi di cosa ci meravigliamo? 




Politicallllllly Corrrrrect … che freno al confronto!!!

La critica al concetto di “political correctness” (PC), o correttezza politica, può essere articolata da diverse prospettive, che includono questioni linguistiche, socioculturali, e politiche.

Il termine “correttezza politica” è stato utilizzato per la prima volta negli Stati Uniti negli anni ’80 e ’90 per descrivere una serie di norme linguistiche e comportamentali intese a evitare l’esclusione o l’offesa di gruppi sociali minoritari o svantaggiati.

La correttezza politica nasce come uno sforzo per promuovere il rispetto e la dignità di individui e gruppi spesso marginalizzati nella società, come le minoranze etniche, le donne, e le persone LGBTQ+.

In teoria, il concetto si fonda sull’idea che il linguaggio e le pratiche inclusive possano contribuire a una società più equa e giusta.

Uno degli argomenti principali oggi contro la correttezza politica è che essa venga utilizzata come censura indiretta, limitando la libertà di espressione.

I critici sostengono che il timore di contravvenire alle norme di PC possa scoraggiare le persone dal discutere apertamente di questioni sensibili o controversie.

Questo sta portando ad un ambiente in cui le opinioni sincere vengono sopite per evitare conflitti o accuse di insensibilità.

In aggiunta si osservi che si tende a generalizzare eccessivamente le esperienze e le identità di individui e gruppi, ignorando le complessità e le differenze interne a questi gruppi.

Questo può risultare in un approccio paternalistico che assume una vulnerabilità uniforme tra coloro che sono considerati “protetti” da queste norme.

Il PC è spesso visto come uno strumento di divisione politica, specialmente in contesti come gli Stati Uniti, ma ultimamente anche da noi, dove le questioni di correttezza politica hanno spesso diviso l’opinione pubblica lungo linee ideologiche.

La certezza che il PC sia una prerogativa della sinistra politica aliena ulteriormente la destra, contribuendo a una maggiore polarizzazione.

Molti studi suggeriscono che l’imposizione rigida di norme di correttezza politica possa avere effetti controproducenti.

Per esempio, può indurre rancore o resistenza tra coloro che si sentono ingiustamente limitati o accusati di pregiudizi.

Inoltre, può ridurre l’efficacia del dialogo autentico e dell’engagement in questioni di uguaglianza e giustizia sociale.

La PC dovrebbe promuovere una maggiore consapevolezza delle differenze e un rispetto per le esperienze altrui, tuttavia, è proprio la modalità con cui è applicata e percepita che può determinare se diventi un’utile strumento di inclusione sociale o un meccanismo repressivo.

Oggi in realtà il politically correct viene usato per desertificare il confronto politico e sociale, utilizzato soprattutto da chi ritiene necessario che le uguaglianze soffochino le diseguaglianze senza rendersi conto che non è questione di differenze o similitudini, ma di differenti prospettive dialettiche.

La semantica del confronto richiede impegni maggiori rispetto alla uniformità, richiede livelli culturali più alti ma soprattutto richiede un’apertura mentale ormai privilegio di pochi.

Come al solito gli ignoranti che si appropriano di strumenti troppo evoluti li applicano scadendo nel ridicolo; da qui le fin troppo assurde questioni decidere se il presidente se è una donna deve essere presidentessa o presidenta, senza tener conto del senso della parola che invece deriva da un participio asessuato che vuol dire presiedere, o togliere i bagni uomini/donne e fare i bagni unici, o peggio ancora arrivare a cancellare delle fiabe perché contenevano parole come ottentotti.

Qui entra una deriva della politically correct che è la cancel culture, altra fesseria cosmica che non tiene conto dei necessari rapporti esegetici da fare quando ci si confronta con temi soprattutto del passato.

Ma tutto questo avviene perché il livello culturale è drammaticamente calato, perché la curiosità intellettuale è quasi sparita, ma perché soprattutto la volontà di controllo da parte delle oligarchie del potere passa esclusivamente per la massificazione delle menti del popolo.

Infatti la realtà è foriera di verità inoppugnabili: quali sono gli interessi oggi del ministero dell’istruzione?

La copertura delle vacanze estive, ritornare ai voti, creare delle ulteriori figure (tutor dell’orientamento) inutili, le bocciature, meno stranieri nelle classi, e così via.

Niente rispetto a cosa si insegna e come, all’aggiornamento dei programmi, a nuovi percorsi didattici, alla revisione generale del mondo della scuola?

Ma dov’è la riforma della scuola che Valditara aveva promesso a Salvini quando fu nominato ministro? Sembrava tra l’altro che fosse già pronta, a meno che non stiamo parlando dei tutor dell’orientamento …

Come si può vedere quello che conta e su cui tutti noi dovremmo batterci non è la correttezza politica o fesserie simili, ma la strada per ritrovare la cultura ormai persa dalle nuove generazioni, per dare ai nostri figli la capacità di comprendere il mondo che li circonda, quell’empatia necessaria per vivere un sociale differente.

In conclusione, il dibattito sulla correttezza politica riflette tensioni più ampie relative alla cultura delle generazioni, alla libertà di espressione, all’identità sociale, e al cambiamento culturale.

Dibattito che stiamo perdendo alla grande.

 




L’intelligenza Artificiale novello Frankenstein

L’intelligenza artificiale (IA) moderna, spesso vista come un culmine delle aspirazioni tecnologiche umane, rappresenta una metafora contemporanea del classico mostro di Frankenstein di Mary Shelley.

Nel racconto, Victor Frankenstein crea una creatura dalla combinazione di scienza avanzata e ambizioni trascendenti, il che rispecchia il nostro moderno percorso di sviluppo dell’IA.

Questo parallelo si manifesta in diverse dimensioni etiche, sociali e tecnologiche.

Shelley descrive Frankenstein come un individuo ossessionato dall’idea di sfidare le leggi naturali della vita e della morte, creando una creatura vivente da parti di corpi non viventi.

Analogamente, l’IA moderna è spesso il risultato di un insieme eterogeneo di dati e algoritmi, progettata per emulare e talvolta superare le capacità cognitive umane.

In entrambi i casi, il creatore deve confrontarsi con questioni di responsabilità morale per le azioni della propria creazione.

Nel contesto dell’IA, questo solleva interrogativi urgenti sulla responsabilità degli algoritmi che prendono decisioni autonome o semiautonome, influenzando la vita delle persone in modi significativi e talvolta irrevocabili.

Il mostro di Frankenstein è inizialmente ostracizzato e temuto non per le sue azioni, ma per il suo aspetto e l’origine non naturale.

Questo è parallelo alla percezione pubblica dell’IA, spesso vista con sospetto e paura a causa della sua complessità e del potenziale impatto incompreso.

I media e la narrativa popolare tendono ad accentuare queste paure, presentando l’IA come una forza potenzialmente incontrollabile o minacciosa, simile al mostro che si rivolta contro il suo stesso creatore.

Frankenstein si trova a riflettere troppo tardi sugli aspetti etici della sua impresa, specialmente riguardo al benessere della sua creazione e al suo impatto sugli altri.

Allo stesso modo, il rapido sviluppo dell’IA ha superato la riflessione etica su molti aspetti importanti, come la privacy, la sicurezza dei dati e le implicazioni a lungo termine dell’autonomia delle macchine.

La necessità di una regolamentazione etica è diventata evidente, con accademici e regolatori che chiamano a una maggiore attenzione su come le IAs sono progettate, implementate e gestite.

Il mostro di Frankenstein è essenzialmente solo, senza compagni o pari, un destino che riflette un potenziale scenario futuro per l’umanità stessa nell’era dell’IA.

Man mano che le macchine assumono ruoli sempre più complessi esiste il rischio che l’umanità si trovi alienata dalle proprie creazioni o addirittura dipendente da esse.

Questo può portare a una nuova forma di isolamento sociale, dove le interazioni umane sono sempre più mediate dalla tecnologia.

Il racconto di Frankenstein solleva comunque importanti questioni sulla responsabilità dei creatori nel considerare l’impatto delle loro invenzioni sulla società.

L’IA, con le sue capacità di trasformare industrie intere, modi di vita e persino le interazioni interpersonali, rappresenta una sfida molto vicina a quella della creazione.

La sua integrazione nella società deve essere gestita con cura per evitare disuguaglianze amplificate, perdita di posti di lavoro, e altre potenziali crisi sociali.

Paradossalmente, ma forse molto realisticamente, oggi l’intelligenza artificiale può essere vista come il “nuovo mostro di Frankenstein”, non solo per il suo potenziale di sfuggire al controllo umano ma anche per le profonde implicazioni etiche e sociali che comporta.

Come nel romanzo di Shelley, l’IA sfida le nostre concezioni tradizionali di vita e responsabilità, spingendo l’umanità verso nuovi confini morali e tecnologici.

L’imperativo rimane quello di guidare questo progresso con una riflessione etica adeguata, garantendo che le tecnologie che creiamo servano veramente il bene dell’umanità piuttosto che precipitarla verso nuove forme di tragedia, ma per far questo dovremmo essere a monte convinti di quale sia il bene dell’umanità, che non è il benessere economico ma quello spirituale.