Fascismo: fu vera gloria? ai posteri onesti l’ardua sentenza…

Mi scusi Egregio Signor Presidente, ma da Lei proprio non me lo aspettavo…

Esistono i fatti e le opinioni, ma non le invenzioni dei primi o la strumentalizzazione delle seconde, tanto più che siamo in piena campagna elettorale e Lei, Egregio Signor Presidente dovrebbe mantenersi super partes, in nome dell’imparzialità (ahahahah da morir dal ridere N.d.R.) del suo incarico presidenziale…

Durante le celebrazioni al Quirinale per la Giornata della memoria 2018, Ella sul ventennio Fascista ha affermato: “Sorprende sentir dire, ancora oggi, che il fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione”.

Caro Mattarella, Lei sostiene dunque che è un errore affermare che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma io non sono d’accordo, o meglio preferisco sbagliare che vaneggiare…

E voglio sbagliare, in nome della storia, andando a consultare i testi non solo scolastici, ma soprattutto riprendendo i fatti realmente accaduti, così come ha fatto l’illustre Alessandro prof. dott. Tamborini, da cui recupero informazioni significative, ricostruendo in modo impeccabile i fatti veri che oggi sono sparsi nei libri di storia ma mai messi in ordine perché non è interesse di una certa parte raccontare la verità.

Mi permetta anzitutto di proporLe, giusto per rispolverare la memoria Sua e dei nostri lettori, un parziale elenco delle opere fatte in un periodo in cui l’italia era considerata più di oggi.

Accerterà così che è stato fatto più in vent’anni di Fascismo che in settantanni di democrazia.

I meriti del fascismo non sono un’invenzione di qualche nostalgico, ma un dato ormai acquisito nella storiografia e nella coscienza comune, dopo lunghi decenni di rimozioni e demonizzazioni.

Prima di tutto, c’è una bella differenza tra regimi totalitari, come comunismo e nazismo, ed il regime autoritario, con il consenso del popolo, quale fu il Fascismo.

Inoltre, i milioni di esseri umani uccisi nel secolo scorso per mano del comunismo rappresentano lo stesso crimine contro l’umanità a pari merito dell’olocausto.

Sarebbe stato giusto, signor presidente, ricordare anche questo nella giornata della memoria, proprio per essere corretti ed imparziali così come il suo ruolo Le impone.

Basti pensare allo sterminio degli Armeni (1894 e 1915-16) ed a quello dei cinque milioni di contadini ucraini (1932-33) oppure ai quasi due milioni di morti in Cambogia (1975-79) per mano dei Khmer Rossi…

Ritornando al Ventennio, desidero ricordare che le Leggi razziali non erano nel Dna della dottrina fascista, come attesta il gran numero di ebrei che aderirono al fascismo fin dall’inizio.

L’ebraismo italiano era “profondamente integrato nella società plasmata dal regime fascista!” Gli ebrei fascisti non erano un corpo estraneo allo stato e i suoi più alti esponenti proclamavano “l’assoluta fedeltà degli israeliti al fascismo e al suo duce”.

Renzo De Felice, sul suo “Storia degli ebrei italiani”, scrive che gli ebrei furono fondatori, per esempio, dei fasci di combattimento di Milano, ebbero parte attiva nelle squadre di Italo Balbo e furono fra i protagonisti della “marcia su Roma”.

E’ noto che i provvedimenti a favore degli ebrei nel 1930, perfezionati nel 1931, risultarono tanto graditi alla comunità ebraica italiana che i rabbini innalzarono preghiere di ringraziamento nelle sinagoghe. E’ anche noto l’attacco lanciato dal Duce, contro le teorie nazionalsocialiste.

Riguardo alla natura del suo potere, il suo carattere dittatoriale è indubitabile ed è chiaro a partire dalla soppressione delle libertà nel 1925.

Il fascismo però non fu, nella fase del largo consenso (cioè almeno fino alla guerra di Etiopia e all’emanazione delle leggi razziali) un totalitarismo, come giustamente individuato da Hannah Arendt.

Ciò sia per motivi interni, avendo il fascismo nel suo seno anime diverse e differenti che trovavano nel Duce solo un’unità simbolica; sia per motivi esterni, cioè la forza temperante comunque esercitata dalla Chiesa Cattolica e dalla stessa Monarchia.

Quindi, lungi dal voler disconoscere la gravità di ciò che portò alle leggi razziali ed all’evento bellico, insisto nel riconoscere il valore di tutto ciò che di buono è stato all’epoca realizzato.

 Giusto per non dimenticare, le principali opere sociali e sanitarie realizzate durante il fascismo sono l’assicurazione sull’invalidità e vecchiaia, R.D. 30 dicembre 1923, n. 3184, quella contro la disoccupazione, R.D. 30 dicembre 1926 e l’assistenza ospedaliera ai poveri R.D. 30 dicembre 1923 n. 2841.

Con Mussolini nasce la tutela del lavoratore e la difesa dei diritti di donne e fanciulli R.D 26 aprile 1923 n. 653, l’Opera nazionale maternità ed infanzia (O.N.M.I.) R.D. 10 dicembre 1925 n. 2277, l’esenzione tributaria per le famiglie numerose R.D. 14 maggio 1928 n. 1312 e l’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, R.D. 13 maggio 1928 n. 928.

Nasce l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), R.D. 4 ottobre 1935 n. 182713 mentre l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (I.N.A.I.L.), è già in vita da più di due anni…R.D. 23 marzo 1933, n. 264.

La settimana lavorativa diventa di 40 ore, R.D. 29 maggio 1937 n.1768, e nasce il sindacalismo integrale con l’unione delle rappresentanze sindacali dei datori di lavoro (Confindustria e Confagricoltura); 1923.

Sempre sotto il fascismo, vengono istituiti gli Assegni familiari, R.D. 17 giugno 1937, n. 1048, nascono le Case Popolari e si attua la Riforma della scuola “Gentile” del maggio 1923 (l’ultima era del 1859)!!!

Fiorisce l’Opera Nazionale Dopolavoro (nel 1935  essa dispone di 771 cinema, 1227 teatri, 2066 filodrammatiche, 2130 orchestre, 3787 bande, 1032 associazioni professionali e culturali, 6427 biblioteche, 994 scuole corali, 11159 sezioni sportive, 4427 di sport agonistico.)

Ma forse è la lotta contro l’analfabetismo uno dei migliori interventi del Duce: eravamo tra i primi in Europa, per il numero di analfabeti, ma dal 1923 al 1936 siamo passati dai 3.981.000 a 5.187.000 alunni – studenti medi da 326.604 a 674.546 – universitari da 43.235 a 71.512.

Come se non bastasse, Mussolini fonda il doposcuola per il completamento degli alunni ed istituisce l’educazione fisica obbligatoria nelle scuole, inaugura la refezione scolastica ed innalza l’obbligo scolastico fino ai 14 anni, inventa le Scuole professionali e la Magistratura del Lavoro.

Se poi vogliamo ricordare le opere architettoniche e infrastrutture, basti pensare alle Bonifiche delle paludi Pontine, ma anche in Emilia, Sardegna, Bassa Padana, Coltano, Maremma Toscana, alla nascita dei Parchi nazionali del Gran Paradiso, dello Stelvio, dell’Abruzzo e del Circeo, al potenziamento delle Centrali Idroelettriche, all’elettrificazione delle linee Ferroviarie, agli Impianti di illuminazione elettrica nelle città ed alla fondazione di 16 nuove Province.

Con Mussolini si ha Viale della Conciliazione, lo Stadio dei Marmi ed il quartiere dell’EUR a Roma.

Il Duce fonda l’istituto delle ricerche, con a capo Marconi, inventore della radio e dei primi esperimenti del radar, non finiti a causa della sua morte.

Sempre nel ventennio fascista, si ha la costruzione di molte università tra cui la Città università di ROMA, l’inaugurazione della Stazione Centrale di Milano nel 1931 e della Stazione di Santa Maria Novella di Firenze, nonché la costruzione del palazzo della Farnesina di Roma, sede del Ministero degli Affari Esteri.

In ambito politico e diplomatico, Il governo fascista emana il codice penale (1930), il codice di procedura penale (1933, sostituito nel 1989), il codice di procedura civile (1940), il codice della navigazione (1940), il codice civile (1942) e numerose altre disposizioni vigenti ancora oggi (il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, il Codice della Strada, le disposizioni relative a: polizia urbana, rurale, annonaria, edilizia, sanitaria, veterinaria, mortuaria, tributaria, demaniale e metrica).

Ma giusto per non tediare il lettore con quest’overdose di riforme sociali e di conquiste civili, mi voglio soffermare su un particolare emblematico: la gestione della crisi economica conseguente al crollo della Borsa del 1929, in un periodo di crisi finanziaria mondiale.

Nel momento in cui Il mondo del capitalismo è nel caos, il Duce risponde con 37 miliardi di lavori pubblici e in 10 anni vengono costruite 11.000 nuove aule in 277 comuni, 6.000 case popolari che ospitano 215.000 persone, 3131 fabbricati economici popolari, 1.700 alloggi, 94 edifici pubblici, ricostruzione dei paesi terremotati, 6.400 case riparate, acquedotti, ospedali, 10 milioni di abitanti in 2493 comuni hanno avuto l’acqua assicurata, 4.500 km di sistemazione idrauliche e arginature, canale Navicelli; nel 1922 i bacini montani artificiali erano 54, nel 1932 erano arrivati a 184, aumentati 6 milioni e 663 mila k.w. e 17.000 km di linee elettriche; nel 1932 c’erano 2.048 km di ferrovie elettriche per un risparmio di 600.000 tonnellate di carbone; costruiti 6.000 km di strade statali, provinciali e comunali, 436 km di autostrade.

Le prime autostrade in Italia furono la Milano-Laghi e la Serravalle-Genova (al casello di Serravalle Scrivia si trova una scultura commemorativa con scritto ancora “Anno di inizio lavori 1930, ultimato lavori 1933”).

Infine, sempre nello stesso periodo si ha la Riforma bancaria: tra il 1936 e il 1938 la Banca d’Italia passò completamente in mano pubblica (non come oggi che è in mano delle banche che deve controllare N.d.R.) e il suo Governatore assunse il ruolo di Ispettore sull’esercizio del credito e la difesa del risparmio.

Fondazione di Cinecittà, primi esperimenti televisivi nel 1929, Istituzione della Mostra del Cinema di Venezia, prima manifestazione del genere al mondo, nata nel 1932, creazione dell’albo dei giornalisti, della guardia forestale, dell’archivio statale, anno 1928, nonché del Corpo dei Vigili del Fuoco, completano l’opera…

Allora, Egregio Signor Presidente, prima di parlare, non facciamo di tutta un’erba un fascio… per favore.

Antonella Ferrari

http://betapress.it/index.php/2017/12/25/litalia-e-lultradestra/

 




Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.

Mi perdonerà Vasco Rossi se prendo in prestito le parole di due delle sue canzoni per esprimere un concetto che sono sicuro ci troverebbe d’accordo … con l’unica differenza che quando si parla di accordi (musicali) lui è sicuramente migliore di me:

Sarà colpa del whisky? non credo, indubbie sono le rigide temperature invernali nei paesi del Nord Europa ma da lì a ubriacarsi ce ne passa … e non poco;

o sarà colpa del caffè? nemmeno! quest’ultimo è noto per tenere svegli e qui stiamo parlando di una dormita di più di cento anni.

ma non mi ricordo più di te… eh sì, sembra proprio che nessuno si ricordi più di Pierre de Coubertin, dei Giochi Olimpici e del Comitato Olimpico Internazionale, quando si parla di Nobel per la pace!

e, ancora, abbiamo perso un’altra occasione buona!

Forse .. è colpa d’Alfredo, o meglio di Alfred Nobel, che con i suoi discorsio premi, seri e inopportuni fa sciupare tutte le occasioni… Non credo, anzi mi piace fantasticare che, proprio nel suo ultimo anno di vita, Nobel abbia potuto seguire in qualche modo i primi giochi olimpici dell’era moderna e magari conoscere Pierre de Coubertin, chissà …

padre dei giochi olimpici
Pierre De Coubertin

Ovviamente mai mi permetterei di sostenere che i premi Nobel siano inopportuni, magari qualche assegnazione, o non assegnazione in questo caso, lascia perplessi.

Tra le assegnazioni sicuramente c’è quella all’ex Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama verso la cui azione politica non voglio esprimere giudizi, non spetta a me farlo, ma ai cittadini americani e alla storia.

Naturalmente se, in una delle sue prossime visite in Italia, volesse accettare un mio invito per giocare 18 buche su uno degli splendidi percorsi di golf Italiani sarebbe per me un onore poterne parlare con lui.

Ciò detto, il 44esimo Presidente degli USA ha ricevuto il premio nel 2009 e l’ironia della sorte ha voluto che giusto un anno dopo il giornalista d’inchiesta Bob Woodward, già premio Pulitzer, decidesse di pubblicare un libro dal titolo Obama’s War e due anni dopo lo stesso Presidente portò gli Stati Uniti ad essere parte, come tanti altri Paesi, dell’azione bellica per destituire il leader libico Mu’ammar Gheddafi. 

I Giochi Olimpici, invece, le guerre le fermano.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace. Nell’Antica Grecia, in occasione dei giochi, ogni ostilità si sospendeva e per tutto il loro svolgimento vigeva la “tregua olimpica” un periodo nel quale il confronto si trasferiva esclusivamente nella competizione sportiva.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.
Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.

Anche in occasione  dei Giochi Olimpici dell’era moderna, quelli voluti dal Barone De Coubertin, si è sempre cercato di riportare in vigore questa tradizione, divenuta un impegno concreto per i Paesi partecipanti ai Giochi.

Il CIO ha voluto fare anche di più quando, a partire dal 1992 si è adoperato raggiungere quanto inserito nella dichiarazione del millennio delle Nazioni Unite nella quale più di 150 Paesi, arrivati a 192 per Londra 2012, in tutto il mondo hanno sottoscritto tra le varie cose, il riconoscimento della tregua olimpica; nessuna guerra, stop alle ostilità, in occasione dei Giochi Olimpici.

Chiunque abbia aperto un giornale negli ultimi giorni può leggere che persino la tensione, che per molti sembrava in uno stallo granitico, tra Pyongyang e Seul sembra essere allentata in occasione dei giochi Olimpici Invernali che si disputeranno proprio nella Corea del Sud, a Pyeongchang, tra pochi giorni.

Già nel 1953 e nel 1955 arrivarono delle nominations per il Comitato Olimpico Internazionale, così come ne aveva ricevute cinque Pierre de Coubertin nel 1936, ma in tutti questi casi non si è mai arrivati alla assegnazione del premio.

La scelta di Vasco Rossi per raccontare questa storia non è casuale perché si intreccia con quella di Alfred Nobel.

Proprio in Italia, a Sanremo, quella splendida cittadina che con il suo festival musicale di grande successo non è stata particolarmente lungimirante nei confronti del rocker emiliano, è stato ospite Alfred Nobel negli ultimi giorni della sua vita.

“Sanremo è Sanremo” come dice lo slogan, ma Vasco Rossi è stato recentemente capace di fare (Modena Park, 1° luglio 2017) il concerto con più pubblico pagante al mondo, cosi come i Giochi Olimpici sono l’evento sportivo più importante del pianeta.

Qui si aggiunge Obama, che non nasconde il suo amore per l’Italia e, proprio tra gli innegabili successi del già Presidente degli Stati Uniti c’è quel motto “yes, we can!” divenuto famoso in tutto il mondo per indicare che ciò che si vuole è possibile e forse, in questo caso, possiamo davvero farlo.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace. Il sogno di vedere riconosciuto il Nobel per la Pace all’organizzazione che nella storia è sempre stata in grado di fermare davvero le guerre, anche se a volte solo per le settimane di competizione Olimpica, deve diventare realtà con l’aiuto di tutti quelli che come me amano lo sport; siamo sportivi, amiamo la competizione e ci piace vincere!

#OLYMPICPEACE

#OLYMPICNOBEL

#SPORTNOWAR

http://betapress.it/index.php/2017/12/31/il-tempo-dello-sport/

 




Loving Vincent

Dopo lo straordinario successo raggiunto nei tre giorni di proiezione di ottobre (16, 17 e 18) “Loving Vincent” è tornato nelle sale cinematografiche italiane il 20 novembre.

Il film, primo lungometraggio interamente dipinto su tela, racconta la vita e le opere di Vincent Van Gogh ed ha totalizzato 130 mila spettatori, diventando il film evento più visto di sempre in Italia.

 Sono 283 le sale, di cui tantissime in sold out, che hanno decretato un successo oltre le aspettative di “Loving Vincent”.

Il film, scritto e diretto da Dorota Kobiela & Hugh Welchman , già vincitore del Premio del Pubblico all’ultimo Festival d’Annecy, è un lungometraggio poetico.

In esso, arte, tecnologia e pittura si fondono, proponendo allo spettatore un viaggio, di sola andata, nel mistero della vita e della morte, di un folle genio incompreso.

94 i quadri di van Gogh riprodotti in una forma simile a quella originale e più di 31 i dipinti rappresentati parzialmente.

Un team di 125 artisti ha lavorato anni per arrivare ad un risultato originale e di enorme impatto visivo.

Di fronte allo schermo, lo spettatore diviene detective e svolge una sorta di indagine poliziesca alla ricerca della verità, per scoprire chi era il vero Van Gogh.

Così, il vero Vincent, viene improvvisamente svelato dalle sue lettere. Ispirandosi al suo ultimo scritto, quello in cui annotava “Non possiamo che parlare con i nostri dipinti”, gli autori hanno scelto di partire dalle parole dell’artista, lasciando che fossero proprio i suoi quadri a raccontare la storia e l’opera del pittore olandese esposto nei più importanti musei del mondo.

La narrazione, che riporta in vita opere come Caffè di notte, Campo di grano con volo di corvi, Notte stellata, ma anche ritratti ed autoritratti, si apre in Francia, nell’estate del 1891.

Armand Roulin, un giovane inconcludente e privo di aspirazioni, riceve da suo padre, il postino Joseph Roulin, una lettera da consegnare a mano a Parigi. Il destinatario è Théo van Gogh, fratello del pittore che si è da poco tolto la vita.

Armand non è per nulla felice della missione affidatagli: è imbarazzato dall’amicizia che legava suo padre e Vincent, un pittore straniero che si è tagliato l’orecchio ed è stato internato in un manicomio locale.

Ma, a Parigi, non c’è alcuna traccia di Théo.

La ricerca condurrà allora Armand da Père Tanguy, commerciante di colori, e quindi nel tranquillo villaggio di Auvers-sur-Oise, a un’ora da Parigi, dal medico che si occupò di Vincent nelle sue ultime settimane di vita, il dottor Paul Gachet.

Lo spettatore conoscerà così la locanda dei Ravoux, dove Vincent soggiornò per le ultime dieci settimane e dove il 29 luglio 1890 morì.

Nella sua ricerca, Armand, incontrerà la figlia del proprietario, Adeline Ravoux, ma anche la governante e la figlia del dottore, nonchè il barcaiolo del fiume, dove Van Gogh era solito dipingere en plein-air.

Ciascuno di loro darà un indizio, racconterà la sua verità, avvolgendo lo spettatore in un vortice di possibilità, fino all’ultima, la più inquietante, a proposito della morte dell’artista.

Un colpo di pistola nello stomaco, tentativo mal riuscito di suicidio o colpo accidentale di un balordo locale?!?

Quello che sconvolge è l’ineluttabilità di una morte liberatoria, quella di un genio incompreso, disposto a coprire il vero colpevole, per tutte le 29 ore di agonia, perché, finalmente, poteva liberarsi della fatica di vivere e di “non essere come loro”…

 

Antonella Ferrari




Spazio900: serve ancora leggere?

A Roma, presso la Biblioteca Nazionale Centrale, è possibile visitare il primo museo permanente all’interno di una biblioteca pubblica.

Il suo nome è Spazi900 e ospita, oltre a intere biblioteche d’autore, archivi e carte autografe degli scrittori contemporanei più celebri del patrimonio letterario italiano del Novecento: inediti di Italo Svevo, Eugenio Montale, Umberto Saba e del futurista Filippo de Pisis, ma anche la sceneggiatura del film di Roberto Benigni La vita è bella, scritta a quattro mani con Vincenzo Cerami e i Versi intimi, primo volumetto di poesie di Sandro Penna.

Questi, tuttavia, sono solo alcuni dei moltissimi nomi che figurano negli archivi del museo che consta di due Gallerie in cui gli autori vengono smistati in base ad una precisa periodizzazione: nella prima Galleria è possibile imbattersi nei documenti autografi di scrittori che hanno operato nella prima metà del Novecento come Gabriele D’Annunzio, Italo Svevo, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo.

La seconda Galleria, invece, è dedicata alla seconda metà del Novecento: si incontrano dapprima i documenti autografi di Pier Paolo Pasolini e i suoi sodali, Alberto Moravia e Natalia Ginzburg, per poi imbattersi negli autografi di Mario dell’Arco, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni e Sandro Penna e si procede, infine, in direzione del nuovo secolo con Franco Fortini, Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto, Italo Calvino, Vincenzo Cerami, Amelia Rosselli e Dario Bellezza.

Le due Gallerie con le carte autografe degli scrittori rappresentano una novità assoluta nella storica e prestigiosa Biblioteca Nazionale Centrale di Roma che negli ultimi anni, grazie a una mirata politica di incremento dei fondi, ha ampliato con sempre maggior abbondanza il patrimonio di raccolte librarie e archivistiche di autori contemporanei custodito al suo interno, tanto da costituire oggi uno dei poli più significativi e autorevoli per gli studi sulla letteratura italiana del Novecento.

Originalissima e fortemente suggestiva è anche la cosiddetta “Stanza di Elsa”, ovvero una zona del museo Spazi900 in cui, attraverso l’utilizzo di elementi d’arredo originali, viene efficacemente ricreata l’atmosfera presente nello studio in cui la Morante era solita lavorare ai suoi romanzi.

La possibilità di osservare da vicino testi autografi di autori così importanti per il patrimonio letterario italiano, riporta in auge una domanda a cui spesso si tenta di fornire una risposta quanto più possibile in grado di illustrare gli enormi benefici che la diffusione della letteratura offre a ciascuno: a che serve leggere?

O ancora, a che serve la letteratura?

La difficoltà di rispondere brevemente, ma efficacemente, a questo tipo di domande rappresenta, forse, uno degli incubi peggiori di ogni docente o studente di Lettere, di ogni appassionato o addetto ai lavori nel settore della cultura.

Dopo anni di allenamento, sono riuscita a mettere insieme le idee in modo organico e coerente e mi sono accorta che basta poco per rispondere a queste domande con la capacità di persuasione di Giorgio Mastrota: la lettura nutre la mente e la libera dai vincoli strettissimi in cui molto spesso le convenzioni la imprigionano; attraverso le pagine di un buon libro è possibile incontrare culture e lingue diverse e viaggiare con l’immaginazione in territori esotici e lontani, abbattendo la barriera del pregiudizio.

La lettura arricchisce il lessico, accresce la sensibilità, difende la democrazia, innaffia il terreno di un sistema di valori che altrimenti sarebbe arido e pericolosamente scarno per la nostra società.

La lettura rafforza il senso di appartenenza alla comunità umana e fa sì che tutti, a prescindere dall’orientamento politico, dall’etnia, dal credo religioso, possano incontrarsi a metà strada nel territorio apolitico, apolide e laico del sentimento, laddove gli uomini e le donne sono tutti uguali perché l’amore, il dolore, la tristezza, il lutto, lo sconforto, la gioia e la speranza non hanno colore, sesso o religione.

Seppur sospeso in uno spazio senza luogo e senza tempo, la letteratura è uno dei pochissimi luoghi in cui non trionfa la materia, ma lo spirito; la letteratura dà voce alla bellezza, alla passione, al sentimento.

D’altronde, è di questo che siamo fatti: carne, materia corruttibile e mortale, ma anche passione, ambizioni, sogni, pulsioni, amore per la bellezza.

Mi vengono in mente le parole pronunciate dall’indimenticabile Robin Williams ne L’Attimo fuggente, mentre veste i panni dell’agguerrito e appassionato Professor Keating: «non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino. Noi Leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita».

Spesso tendiamo a dimenticarlo, ma parole e idee possono davvero salvare il mondo.




Nasce Alumnimatica, la prima collana editoriale per laureati

e’ nata oggi ALUMNIMATICA, la prima collana editoriale interamente dedicata alla trasformazione delle tesi in libri a disposizione per tutti i laureati.

l’idea è del Presidente dell’Associazione Alumni dell’Università Telematica Pegaso, Corrado Faletti, che ha così ritenuto di realizzare un servizio importante per tutti gli iscritti.

Il Laureato potrà sottoporre la propria tesi ad un comitato editoriale che avrà il compito di valutare il lavoro da un punto di vista editoriale commerciale e deciderne la trasformazione in libro.

Raffaele Falzarano, Vice Presidente dell’Associazione ci racconta “il nostro presidente ci ha lanciato questa sfida importante che abbiamo subito raccolto. L’obiettivo è quello di valorizzare dei contenuti importanti che di solito vengono persi subito dopo la tesi, in quanto oggi difficilmente il lavoro di tesi viene poi evidenziato dopo la laurea. Abbiamo subito costituito il comitato editoriale e siamo già al lavoro sulle prime tesi.”

“L’iniziativa vuole riscoprire un valore perduto – racconta Faletti – che va ben oltre la semplice necessità di realizzare qualche cosa per potersi laureare. Spesso la tesi è frutto di un lavoro di ricerca, di interpretazione, di analisi che non è giusto perdere.”

Marco Giugliano, segretario dell’Associazione, aggiunge “inoltre il laureato unipegaso non avrà nessun costo perché grazie ad accordi con le case editrici sarà possibile realizzare il lavoro interamente a carico dell’Associazione. Stiamo ancora chiudendo qualche accordo, ma per ora siamo riusciti a garantire un primo lotto di libri.”

Domenico Terlizzi, Presidente del Consiglio dei Rappresentanti degli Studenti Unipegaso, ci tiene a raccontare “abbiamo lavorato duramente per due anni ma siamo riusciti a costituire due organismi importanti (l’associazione alumni ed il CRSU, NdR) che stanno dando avvio ad iniziative veramente uniche nel loro genere. E’ il modo per valorizzare un percorso di studi che spesso è molto sottovalutato.”

Insomma appena laureato e già con un libro alle spalle e punti possibili ai concorsi, cosa chiedere di più?

 

LUPO MIGLIACCIO




ANCODIS batte, MIUR non risponde

Pubblichiamo con piacere una lettera pervenuta dall’Associazione Nazionale dei Collaboratori dei DS, in cui viene raccontato l’altro lato della Luna, quello che la gente normale non vede, ma che è uno dei momenti importanti della scuola italiana, fatto da tante persone che dedicano la loro professionalità alla scuola senza chiedere le luci della ribalta, ma solo per essere certi di aver fatto il loro dovere, di aver garantito una scuola migliore a tutti i ragazzi d’Italia.

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E si dimenticano di noi Collaboratori dei DS…

Siamo quasi alla fine di un anno scolastico particolarmente intenso ed impegnativo. Ma ancora c’è tanto da fare dal punto di vista organizzativo: scrutini, esami di fine ciclo, esami di stato, chiamata diretta, valutazione del merito, organico di fatto, collegi finali.

Un lavoro che viene – come ogni anno – affidato dai DS ai propri collaboratori che organizzano tempi, spazi, si relazionano con i colleghi delle altre I.S. per calendarizzare e pianificare gli impegni dei docenti, non pochi, con cattedra oraria.

Ma si è consapevoli di quanto lavoro organizzativo e gestionale? Si potrebbe immaginare tutto questo carico di lavoro svolto soltanto dal DS titolare e magari contemporaneamente con una reggenza?

I Ds hanno manifestato/scioperato il 25 maggio per denunciare “troppi carichi di lavoro, responsabilità aumentate, nuove norme di sicurezza, numero di studenti e lavoratori sempre più alto da gestire” e per rivendicare il riconoscimento economico per la loro professionalità.

E per il prossimo anno scolastico ancora una emergenza nella scuola italiana: l’incremento del numero delle I.S. senza DS titolare o con DS in aspettativa o in esonero. Una condizione insostenibile in termini di efficienza gestionale ed organizzativa per la qualità del servizio scolastico!

Ma in tutto questo impegno professionale, i DS sono soli? Certamente no! Hanno al loro fianco i Collaboratori che con spirito di servizio, competenza e professionalità contribuiscono a rendere meno gravoso l’impegno e più efficiente l’organizzazione e la gestione delle Istituzioni Scolastiche.

Per non parlare dei DS reggenti che trovano nei Collaboratori figure fondamentali per la gestione delle scuole loro affidate!

I Collaboratori sono oggi fondamentali ed insostituibili nella governance della scuola: a loro sono affidati compiti e funzioni che il DS – in autonomia – potrebbe in parte assolvere; sono in gran

 

parte docenti che lavorano senza esonero per almeno altre 8/10 ore per guadagnare una media di 1500/2000 Euro/annue, decisione presa spesso in una iniqua contrattazione!

Ma non si parla di loro in nessun documento ufficiale, in nessuna dichiarazione di categoria, nessun riconoscimento per il loro lavoro e per il senso del dovere dimostrati nell’espletamento della collaborazione.

Ecco, dunque, arrivato il tempo nel quale si rende necessario far sentire il nostro punto di vista, senza reticenza alcuna, con uno spirito costruttivo, consapevoli del ruolo e del lavoro che svolgiamo quotidianamente nelle nostre I.S..

Per questo motivo ci siamo organizzati in rete prima ed in Associazione dopo: ANCODIS. Per rivendicare il diritto all’esistenza riconosciuta per norma di legge, regolamentata nel prossimo CCNL, definita in una carriera di quadro intermedio – Middle Management – tanto rivendicata da più parti ma nei fatti ancora oggi non incanalata in una discussione seria che guarda alla scuola del 2020.

E non ci limitiamo solo all’amara constatazione dello status quo ma abbiamo delle proposte concrete, perseguibili, a costo zero per il bilancio dello Stato, da mettere in atto in brevissimo tempo per le quali chiediamo alle altre organizzazioni ed associazioni di esprimersi nell’esclusivo interesse delle moderne I.S.:

Reggenze: è possibile una soluzione urgente per il prossimo A.S. non gravando sul carico di lavoro e sulla responsabilità dei DS? Certamente, assegnando la reggenza ai collaboratori che abbiano svolto funzioni vicarie per almeno 36 mesi secondo una graduatoria di merito. La differenza rispetto all’O.M. del 2004 sta proprio qui: nell’accesso solo ai collaboratori vicari che si rendessero disponibili per un anno – e comunque fino all’assegnazione del DS titolare – ad assumere questo ruolo!

Riconoscimento del servizio svolto: occorre dare sia un adeguato punteggio nelle graduatorie al servizio reso nella collaborazione ai ds sia un riconoscimento di merito con l’attribuzione della Vicedirigenza; sarebbe, infatti, un modo formale per distinguere chi ha svolto soltanto la carriera docente e chi, invece, ha anche assunto ruoli di collaborazione nell’ambito della gestione di una I.S.. Ricordiamo che svolgiamo di fatto, con l’Istituto della delega, ruoli apicali in molti settori della vita scolastica, sostituendo il Dirigente, con un riconoscimento economico non adeguato e soggetto alla contrattazione di istituto.

Formazione: siamo consapevoli – nella doppia veste di docenti e di collaboratori – che alla base di ogni ruolo deve esserci un percorso di formazione adeguato, moderno, di alto profilo. Per questa ragione, ANCODIS rivendica con forza il diritto ad una formazione specifica di sistema al pari degli altri percorsi formativi, diretti specificatamente a quanti nella scuola assolvono a ruoli di gestione, di organizzazione, di responsabilità. A tal fine, per il prossimo anno scolastico, ANCODIS proporrà un piano di formazione comune a tutti i direttivi su temi specifici e ritenuti necessari al nostro ruolo, nell’auspicio che le finalità e gli obiettivi che ci siamo dati possano essere pienamente conseguiti;

 

Concorso DS: nel prossimo bando deve essere stabilito un adeguato punteggio per gli anni svolti per la collaborazione ed, in caso di esito favorevole, il servizio reso deve avere un riconoscimento di stage formativo certificato dal DS titolare della scuola nella quale il collaboratore ha prestato servizio.

Per quanto riguarda le figure quadro intermedie – il middle management – con esonero totale dall’insegnamento, poiché si tratta di cambiamenti strutturali, chiediamo alle forze politiche di rivedere le vigenti norme in prossimi disegni di legge o emendamenti guardando oltre che al risparmio anche e, diciamo soprattutto, al miglioramento della qualità del servizio scolastico.

Siamo consapevoli delle difficoltà, delle contestazioni che arriveranno da più parti, ma non possiamo non dire con assoluta determinazione che porteremo avanti le nostre posizioni in tutte le sedi, consapevoli che le nostre proposte guardano all’esclusivo interesse ed al buon funzionamento delle nostre scuole.

Prof. Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

Prof. Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa

Prof.ssa Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze

Prof.ssa Mara Degiorgis Coordinamento CoDiS Cuneo




Tullio De Mauro, quando una lingua è a colori

Tullio De Mauro, quando una lingua è a colori…

 

 

Addio, caro Tullio, scusa la confidenza, ma mi sembra di averti sempre conosciuto.

Appena ho saputo della tua morte, ho pensato che veniva a mancare una STELLA della cultura italiana e che, per curioso caso del destino o per paradosso linguistico, ci hai lasciati appena dopo fenomenologie come Maria Stella, Gelmini… ed in piena epoca di una ministra riscaldata e neppure laureata, ma nemmeno esperta di scuola.

 Tutti e tre avete ricoperto il prestigioso ruolo di ministro della Pubblica Istruzione, ma con qualche “piccola differenza”…

Coscritta di tuo figlio, ho studiato linguistica all’università, proprio sulla tua traduzione di Saussure.

Ed allora, ancora non capivo come questa materia scolastica potesse essere scienza sociale e passione civile al contempo.

In quegli anni, tu m’insegnavi che una piena padronanza della lingua italiana è un elemento indispensabile alla vita intera di una società moderna, ma da studentessa non mi era proprio chiaro…

 Poi, sono andata in classe, ed ho capito quanto davvero lo studio della lingua deve concretizzarsi in una missione di civiltà.

Il tuo ideale di lingua della Costituzione italiana, precisa, nitida nella sintassi e trasparente nel lessico, ”Parole di tutti e per tutti”, come tu eri solito ripetere, mi rendeva sempre più consapevole del mio ruolo di insegnante.

Intanto, da vero addetto ai lavori, continuavi ad insegnarmi da linguista, da professore universitario e da ministro dell’istruzione, che tutti gli insegnanti dovrebbero essere concordi nel riconoscere il primato della linguistica nell’educazione scolastica.

Per te le scuole erano, ed avrebbero dovuto essere, il terreno dove occorre far maturare negli allievi una piena consapevolezza dei mezzi linguistici e la capacità di un loro uso appropriato. Per te, solo un’elevata competenza linguistica avrebbe assicurato un’adeguata cultura.

Ed inoltre, lo studio linguistico avrebbe supportato lo sviluppo della società e delle sue forme produttive.

Vale a dire che i livelli di istruzione realmente incidono sullo sviluppo economico di un’area geografica. Dunque, per te, solo riconoscendo la centralità dell’educazione linguistica a livello nazionale si sarebbero potuti raggiungere alti livelli di istruzione individuali e collettivi e rendere un paese produttivo e competitivo.

Ma, come si suol dire…” Dal dire al fare, c’è di mezzo il mare…”.

 In classe, ho misurato sul campo che cosa significa l’analfabetismo funzionale, cioè come i miei alunni, immersi nelle nuove tecnologie informatiche, sono più analfabeti dei loro nonni…

Infatti, essi sono nipoti dei primi alunni obbligati ad andare a scuola.

I loro nonni erano alunni dell’immediato  secondo dopoguerra.

I loro nonni erano studenti negli anni ’50, in cui il 60% degli adulti era privo di ogni istruzione e solo il 18% degli Italiani, compreso i toscani ed i romani, usava l’italiano anziché il dialetto.

Erano alunni che avrebbero scoperto come il sopraggiunto obbligo di istruzione di base assicurasse e confermasse lo sviluppo economico italiano. Infatti, nei favolosi anni ’60, tali alunni avrebbero verificato di persona che il boom economico era intrecciato alla crescita del livello di istruzione delle classi giovanili.

Dunque, la diffusione della conoscenza e dell’uso effettivo della lingua italiana era garanzia di un’affermazione sociale e di un impiego lavorativo.

E così, il “saper leggere, scrivere e far di conto “, era riscatto sociale e vantaggio economico… E fin qui tutto bene.

 Poi, però, è arrivata la scuola dei genitori dei miei alunni, periodo in cui il 95% della popolazione italiana, finalmente, raggiungeva il prezioso traguardo dell’uso dell’italiano nel parlare.

Anni in cui, tra Berlinguer che ti precedeva e Moratti che ti seguiva nel tuo mandato di ministro della pubblica istruzione, qualcosa iniziava a vacillare e tu già parlavi di analfabetismo funzionale.  da vero profeta, già segnalavi che parlare in italiano anziché in dialetto, non corrispondeva ad una sicura ed estesa padronanza lessicale e competenza testuale, che parlare in italiano non vuol dire conoscerlo, e se manca l’abitudine alla lettura, non ci può essere l’abilità di scrittura…

Ed arriviamo all’ epoca della nostra buona scuola, dove il 40% della popolazione è impreparata o si trova in penose difficoltà di fronte al compito di leggere o di produrre un testo articolato sul piano sintattico.

 Sapessi quanto è amaro, verificare ogni giorno, nell’esercizio della mia professione di insegnante, che gli alunni usano google traduttore anziché il vocabolario, che la maggior parte di loro non ama leggere, che le loro famiglie preferiscono acquistare l’ultimo smartphone che un classico della letteratura.

Ho capito che la cultura è libertà, ma che l’orientamento politico italiano degli ultimi trent’anni va in direzione contraria.

Infatti, i tagli degli investimenti nella scuola hanno abbassato la qualità del servizio fornito.

Ho imparato, vivendo dentro la scuola, che il carosello di riforme scolastiche degli ultimi governi, ha portato sempre più le risorse pubbliche e private lontano dall’istruzione.

Insomma, che i miei alunni patiscono per le scelte politiche delle ultime assurde riforme, e che l’orientamento della spesa familiare è riflesso delle scelte politiche in atto.

Dunque, caro Tullio, tu hai sottolineato la centralità dell’educazione linguistica e l’importanza dell’investimento nell’istruzione ai fini dello sviluppo economico di una società.

Tu hai rimarcato il fine prioritario di dotare ogni persona degli strumenti espressivi, conoscitivi ed operativi necessari a muoversi nello spazio sociale.

Tu hai perseguito in tutta la tua vita l’ideale civile di rendere ogni italiano che parla e scrive in italiano, un vero cittadino e non un suddito o un privilegiato.

Peccato che le cose siano andate un po’ diversamente, che la carente alfabetizzazione degli italiani degli anni ’50 –’60 , abbia lasciato il posto all’analfabetizzazione di ritorno della nostra  epoca, periodo in cui le nuove tecnologie rimandano ancor più fortemente alla “necessità di leggere e scrivere molto”…

I miei alunni, abili nella competenze oculo-manuali, giocano con il cellulare, ma  non sanno parlare, scaricano da internet  una valanga di dati che non sanno analizzare, impiegano un gergo tribale svuotato di ogni senso, dove l’unico significato è far parte del gruppo.

E di fronte all’ invito a leggere e studiare seriamente, mi girano un post pieno di strafalcioni semantici dell’ultimo idolo televisivo che , ignorando l’ impiego dei congiuntivi, partecipa con successo ad un reality o grida nei talk-show e soprattutto, “guadagna un pacco di soldi, mica come lei, prof…”

 

 

 

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antonella