“Cambia le tue frequenze e tutto cambierà!”

"Onde Sonore": immagine di Mohammad Usman
Immagine di Mohammad Usman

In principio era il Suono

E se davvero la creazione avesse avuto origine da un suono?

E se la voce umana avesse il potere di “plasmare” il nostro destino, nel male o nel bene?

E se potessimo, grazie ad apposite frequenze, curare o addirittura guarire le malattie?  

È interessante notare come a queste domande si trovi risposta nelle Sacre Scritture, laddove si parla del Verbo per mezzo del quale tutto è stato fatto e, senza di lui, nulla è stato fatto di ciò che esiste.

Riguardo al potere creativo della voce umana, nel libro dei Proverbi è detto che “morte e vita sono in potere della lingua” mentre, sull’argomento salute, è scritto che “C’è chi, parlando senza riflettere, trafigge come spada, ma la lingua dei saggi procura guarigione.”

A quanto pare, nella dimensione spirituale si è sempre saputo che sono le frequenze a creare e trasformare il mondo che esperiamo.

Nel tempo anche la scienza è riuscita a dimostrare l’indissolubile legame tra le frequenze e la realtà che ci circonda. Oggi sappiamo che tutto è frequenza e non soltanto ciò che percepiamo come suono, musica, rumore o parola: immagini, pensieri e simboli hanno una loro propria vibrazione e così gli animali, i minerali, gli esseri umani… Ogni cosa, visibile o invisibile, ha il proprio suono. Insomma: il Creato è una magnifica, immensa Orchestra e noi, ne siamo i più o meno consapevoli strumenti.

 

Nella foto: Krisztina Nemeth

La voce che guarisce

Krisztina Nemeth, laureata all’Università di Musica ed Arti Rappresentative a Graz in Austria, dopo 23 anni di esperienza come cantante lirica internazionale, abbraccia la propria vocazione di “Healing Voice” e di “Intuitive Coach”.

È autrice di tre libri, dei quali il primo porta la prefazione del Dott. Masaru Emoto, lo scopritore della memoria dell’acqua. 

Come “Voce che guarisce”, la studiosa viene invitata a molti congressi internazionali ed è un punto di riferimento in diversi Paesi negli Stati Uniti, in Sud Africa, Svizzera, Austria, Grecia, Italia, Spagna, Tibet, India, Bali, Mauritius, Hawaii. 

Il Frequencies Congress

Affascinata dall’argomento, Krisztina ne promuove la divulgazione ideando e organizzando il “Frequencies Congress”. L’Evento, giunto quest’anno alla sua quarta edizione, riunisce i maggiori esperti di frequenze nei rispettivi campi di applicazione.

All’immancabile appuntamento previsto per domenica 13 aprile ad Ascona interverranno medici, ricercatori, musicisti e musico-terapeuti, operatori olistici, esperti in numerologia, artisti. Alcuni presenteranno i risultati delle loro ricerche, altri terapie e concetti innovativi, altri ancora coinvolgeranno il pubblico con video e immagini suggestive. Al termine dell’Evento si terrà un concerto meditativo per innalzare le frequenze dei partecipanti.

L’obiettivo è evidenziare l’importanza delle frequenze, del suono, delle energie e il loro impatto su tutto ciò che esiste.

I relatori

Sul palcoscenico del Teatro del Gatto si succederanno, nell’arco di un’intera giornata esperienziale: 

Mirto Ferrandino (Italia), specialista in Bio-Cimatica e presidente della International Cymatic Association. Nel corso del suo intervento mostrerà al pubblico come il suono crea forme nella materia. 

Winfried Leipold e Gudrun Wiesinger, maestri del suono terapeutico, ci faranno ascoltare le pietre sonore e l’impiego di altri strumenti musicali terapeutici.

Il Dottor Ulrich G. Randoll (Germania): medico, ricercatore e inventore della terapia “Matrix Rhythm”, ha ottenuto notevoli successi nel trattamento di una grande varietà di malattie e ha formato migliaia di partner “Matrix Health” in tutto il mondo.

Il Dottor Roberto Ostinelli (Svizzera), medico internista e studioso di medicina integrativa, terapie bioenergetiche e frequenziali, dal 2008 cura i suoi pazienti con innovative tecnologie biofisiche e un approccio psicoanalitico emotivo.

Ing. Rasmus Gauss Berghausen (Austria): per quindici anni collaboratore del Dott. Masaru Emoto e ricercatore in idroscienze. Oggi il suo lavoro è legato alla HRV (variabilità della frequenza cardiaca) e alla sua traduzione in suono e colore.

Alessandro Puccia (Italia): artista fotografico di gocce d’acqua congelate e osservate al microscopio, accompagnerà il pubblico in un viaggio nel profondo di un mondo invisibile a occhio nudo.

Niko Caruso e Michela Pivato (Italia): operatori olistici, ricercatori e divulgatori di frequenze a uso terapeutico, usano le frequenze dei Numeri e l’intuizione per supportare e potenziare l’evoluzione delle anime in cammino.  

Beatrice Lafranchi (Svizzera): terapeuta e organizzatrice di workshop ed eventi su argomenti nell’ambito della crescita personale, mindfulness, consapevolezza e connessione del cuore.   

Jasmine Laurenti (Svizzera): giornalista internazionale e scrittrice, nota al grande pubblico come doppiatrice cine televisiva, parlerà dell’impatto delle parole cariche di intenzioni ed emozioni sul livello qualitativo del dialogo interiore.

Come anticipato, a conclusione dell’Evento i partecipanti potranno immergersi nel concerto meditativo dei musicisti e terapeuti Krisztina Nemeth (Svizzera), pianoforte e voce, e Antonio Testa (Italia), artista che innesta la propria espressività su conoscenze approfondite di etnomusicologia e musicoterapia, oltre che autore e produttore musicale di fama internazionale.

Il “Frequencies Congress” avrà luogo ad Ascona, in Svizzera, il 13 aprile prossimo, al Teatro del Gatto in via Muraccio 21. L’evento inizierà alle 09:45 e terminerà alle 18:45.

Gli ultimi biglietti rimasti sono acquistabili entro il 31 marzo a un prezzo scontato (CHF 157) visitando il sito: www.frequenciescongress.com

 




“Nato con la valigia”

Intervista all’Autore del libro “La conquista della lontananza – Viaggi, incontri, scoperte”

 

Ho avuto il piacere di conoscere il Prof. Brevini alla Radio Svizzera, in occasione della registrazione di “Laser”, la rubrica di “cultura e società” da lui condotta e curata.

Gli argomenti trattati, sempre di vibrante attualità, vengono esplorati dal prof. Brevini con l’entusiasmo e l’expertise del colto viaggiatore che, attingendo al suo nutrito archivio di ricordi e conoscenze, riconosce il fil rouge a unire fra loro esperienze dirette, scoperte, opere d’arte, capolavori letterari e dotte conversazioni, in una caleidoscopica multidisciplinarietà.  

“Professore, vorrei intervistarla.” Gli ho confessato un giorno. Ha annuito e sorriso, proponendomi di recensire il suo ultimo libro “La Conquista della Lontananza – Viaggi, incontri, scoperte” pubblicato con “il Mulino”.

Non gli ho detto che sono stata rimandata in geografia a settembre con un quattro secco, alle superiori. Ho accettato la sfida.

Note sull’Autore

Franco Brevini è professore associato di Letteratura italiana all’Università degli Studi di Bergamo. Collabora come scrittore ed editorialista con il Corriere della Sera. È critico letterario di altissimo livello, saggista, commentatore, ricercatore.

Ha partecipato alla realizzazione delle maggiori storie della letteratura degli ultimi anni, fra le quali la “Letteratura italiana” curata da Alberto Asor Rosa, pubblicata da Einaudi (1982-2000). Inoltre è considerato il maggior esperto italiano di poesia dialettale contemporanea. Sua è la collana in tre volumi La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento (Mondadori 1999), ad oggi il contributo più sistematico dedicato alla produzione poetica nei dialetti italiani.  

Nell’ultimo decennio, pur mantenendo un vivo interesse per la letteratura come risorsa interpretativa dei fenomeni sociali e culturali osservati, il prof. Brevini ha privilegiato le scienze umane. 

Una piccola enciclopedia del Viaggio

“La conquista della lontananza” è il frutto maturo di un lavoro di minuziosa analisi del “viaggio” in tutte le sue possibili accezioni, sfumature e implicazioni.

Pagina dopo pagina, Brevini accompagna per mano il suo lettore a scoprire, dei viaggi, i motivi che li hanno ispirati, dagli albori della storia umana al giorno d’oggi, in ogni parte del mondo.

Certo, lasciare il noto per l’ignoto richiede un valido motivo e una visione: così è più facile affrontare l’impervietà dei sentieri montani, la pericolosità degli oceani, il senso di incertezza dovuto alla fragilità e all’inadeguatezza dei mezzi di trasporto… E poi i disagi del pernottamento in luoghi ostili, i climi avversi, gli animali selvatici, i briganti, gli osti truffatori, le popolazioni inospitali… 

Comunque, quale sia l’interesse, l’obiettivo o la fede che li muove, ad accomunare i viaggiatori è il fardello delle proprie origini, il dolore più o meno intenso delle proprie radici. Nei loro cuori, c’è sempre la speranza che ne sia valsa la pena, di lasciare i loro cari e il loro piccolo mondo.

A tutto questo si aggiunge lo struggimento di chi parte e avverte il pericolo più grande, tanto maggiore quanto più è lungo il periodo trascorso lontano da casa: quello di perdere la propria identità. La feroce nostalgia delle persone amate e non raggiungibili, come oggi, con un semplice tocco sullo schermo del device.

I Protagonisti del Viaggio sono gli esploratori, i naturalisti, i meteorologi, i cartografi, gli scienziati, i letterati, i diplomatici, i pellegrini, gli studenti, i rampolli di famiglie aristocratiche, i regnanti, gli artisti, i soldati, i turisti, gli esuli, i politici, i nomadi, i coloni, i mercanti, gli emigranti, gli studiosi, i profughi, i pittori, i religiosi, i geografi…  e i rispettivi domini disciplinari fra i quali la letteratura, la geografia, la storia, l’antropologia, le scienze, la filosofia, la psicologia e la politica.

In ambito specificamente letterario, Brevini giunge alla conclusione che il Viaggio è il fil rouge culturale che attraversa, senza soluzione di continuità, tutte le narrazioni del mondo: ed ecco passare in rassegna i racconti mitici, i poemi eroici e cavallereschi, le descrizioni di viaggi immaginari, i resoconti, i diari, i “travel books”, le cronache, i romanzi avventurosi e fantascientifici, i reportages giornalistici.

In questa piccola enciclopedia del Viaggio non possono mancare i viaggi simbolici, metaforici e spirituali: i viaggi introspettivi dell’Uomo alla scoperta di Se Stesso e della propria vocazione, i viaggi interiori alla ricerca delle Risposte alle grandi domande della vita, i viaggi evolutivi alla conquista dell’età adulta.

Ciliegina sulla torta: al termine di ciascun capitolo, Brevini ci racconta di sé e dei suoi viaggi in giro per il mondo. Sono proprio questi a suscitare in me il desiderio di saperne di più su chi, come lui, è nato con la valigia.

L’intervista

J.L.: Nel prologo Lei accenna al “viaggio” come a qualcosa che il nonno, il papà e gli zii hanno infuso nel suo DNA. Agli illustri precedenti in famiglia si aggiunge un curioso particolare: l’essere stato concepito dai suoi genitori durante un viaggio. A quanto pare lei è nato viaggiatore. Ma… lo si può anche diventare? Se sì, quali sono i fattori che ispirano l’uomo del nostro tempo a voler viaggiare?

F.B.: Credo che la molla sia la stessa di sempre: il desiderio della lontananza. Io l’ho chiamata così, ma si potrebbe dire in molti altri modi: il fascino dell’esotico, la spinta verso la scoperta, l’interesse per tutto ciò che è diverso. Oggi il turismo solo in parte vi corrisponde, perché ci propone ai tropici copie delle confortevoli realtà in cui viviamo a casa. Anche l’incontro con l’altro è molto edulcorato nelle forme del tipico, del caratteristico, del folclorico.

J.L.: Qual è, di tutte le esperienze che ha vissuto, quella che l’ha fatta innamorare del viaggio al punto da farne il leitmotiv della sua vita?

F.B.: Sono i racconti sull’India dello zio salesiano. Mi parlava della tigre che lo aveva inseguito mentre fuggiva in bicicletta nella giungla o dell’apparizione degli ottomila himalayani dai primi contrafforti del subcontinente. Fu lui a deporre un seme, che poi mio padre ha cresciuto con gli infiniti viaggi in cui mi ha coinvolto fino dai primi giorni di vita. Il nomadismo era inscritto fino da subito nella mia vita.

J.L.: Quali sono i momenti più belli trascorsi in viaggio coi suoi genitori?

F.B.: Sono numerosissimi i momenti belli trascorsi con loro in giro per il mondo. Ne posso ricordare uno che menziono anche nella piccola introduzione autobiografica del mio libro. Durante un viaggio con mio padre nel Triangolo d’Oro, su all’estremo confine settentrionale della Thailandia, tra Birmania e Laos, lo vidi trascinare per giorni due scatoloni di cartone. Neppure a me volle rivelare cosa contenessero. Il giorno di Pasqua navigavamo su delle piroghe lungo uno di quei fiumi nella giungla, di cui avevo letto nei romanzi malesi di Salgari. A mezzogiorno la piccola flottiglia approdò a una radura fra altissimi alberi. Mio padre aprì i due scatoloni e ciascuno dei partecipanti ricevette un piccolo uovo di Pasqua.

J.L.: Professore, ho saputo che è padre di tre figli ormai adulti, e marito felice di Tiziana con cui ha avuto altri cinque bellissimi bambini: Elia, Giacomo, Vittorio, Tommaso e l’ultima arrivata, Beatrice, in omaggio alla nonna materna. Quali sono i viaggi che i suoi figli le chiedono più spesso di raccontare?

F.B.: Loro mi chiedono sempre di raccontare i miei incontri con gli animali selvaggi. Sono incantati dall’orso polare giunto fino a pochi metri della motoslitta, che avevo prudentemente tenuto accesa.  O dalla fulminea caccia del ghepardo, che per una trentina di secondi aveva lasciato incustoditi i suoi tre cuccioli. Strabuzzano gli occhi quando mi vedono in una foto sfiorare con la mano una balena in Baja California. Ma nulla vale l’emozione dei video girati durante le interminabili giornate con i cani da slitta su nel nord del Canada. E vorrebbero essere accanto a mia moglie quando nuota nelle acque del Borneo insieme alle grandi tartarughe marine.

J.L.: Di tutti i viaggi che ha intrapreso, quali rifarebbe e perché?

F.B.: Rifarei quelli in cui ho avvertito intorno a me lo sgomento primordiale dell’uomo perduto nel mezzo della natura selvaggia. È una sensazione che per me è associata alla banchisa polare o alla traversata sull’Inlandsis, il ghiacciaio continentale della Groenlandia. Ma ricordo anche la potenza del mare a Capo Horn, sulla punta estrema del Sud America, davanti all’Antartide. O le giornate nella giungla, grondante di sudore, ridotto a uno straccio, tormentato dalle sanguisughe, ma alla fine gratificato dall’apparizione di un branco di elefanti pigmei che avevamo inseguito per ore. E come esprimere l’emozione delle stellate nel cuore del Sahara, mentre il tuareg che mi accompagnava recitava il Corano e il pane stava cuocendo sotto la sabbia?

J.L.: C’è invece un viaggio che non rifarebbe mai più? E perché?

F.B.: Quelli, fortunatamente pochi, che ho fatto con le persone sbagliate, a conferma che il viaggio deve essere condivisione.

J.L.: Di tutte le popolazioni che ha incontrato, qual è la più chiusa e diffidente? E la più ospitale?

F.B.: Dovunque ci sia una vita popolare, c’è gioia di vivere, anche tra infinite durezze. Tornavo dall’India. Avevo lasciato da poche ore i quartieri affollati di quelle città, dove la gente ti guardava quasi sempre con un sorriso. Ero sbarcato per il transito a Francoforte. In quell’aeroporto tutti erano vestiti e nutriti, presumibilmente benestanti, mangiavano cose buonissime e portavano ingombranti sacchetti del duty free. Ma mi colpì un particolare: nessuno rideva.

J.L.: Cos’è la “lontananza” per Franco Brevini Uomo?

F.B.: È quando tutti i tuoi riferimenti sono saltati, quando fai fatica a orientarti, quando sei vigile, preoccupato, incuriosito, quando capisci che potrebbe succederti qualcosa. Per me la frase rivelatrice è: ma sai che non me lo immaginavo così grande? 

J.L.: Quali sono le risorse che potrebbero esserci di aiuto e di conforto, in questi momenti?

F.B.: Umiltà e pazienza, prima di tutto. E poi un po’ di capacità di tenere duro. «To strive, to seek, to find and not to yeld» («Lottare, cercare, trovare e non arrendersi») sono i versi dell’Ulysses di Tennyson scolpiti sulla croce di legno piantata davanti al Mare di Ross, a Capo Evans, nel punto da cui il capitano Scott era partito per la sua disastrosa spedizione verso il Polo Sud. 

J.L.: Nel suo ultimo libro traspare l’idea della Nostalgia della Lontananza che spinge a ritornare nei luoghi già visitati, come ricetta per la felicità. Ha mai sofferto di nostalgia? Se sì, in quale dei numerosissimi luoghi da lei visitati vorrebbe ritornare?

F.B.: Per me la vista dei grandi spazi si è sempre accompagnata a un sentimento di malinconia. È la frustrazione per ciò che ogni giorno perdiamo nelle nostre quotidianità arrese ai loro prudenti orizzonti. C’è quello splendore che rifulge là fuori e noi ci accontentavamo dei nostri torpidi esîli. Talvolta a casa mi sveglio che è ancora notte e penso a quante volte a quell’ora sono partito dai bivacchi con la frontale sul casco. Richiusa la portina, eccoci proiettati in un altro mondo. Sopra la testa ruotano lentamente tutte quelle stelle e il cielo è fosforescente. Davanti si stagliano le masse acquattate delle montagne, che fra poco sfolgoreranno al primo sole. La neve scricchiola, il ghiacciaio è blu come l’acciaio temprato. Un bagliore a oriente annuncia che sta iniziando il più sconvolgente e insieme il più prevedibile degli spettacoli. Si replica da milioni di anni, ma quasi sempre senza testimoni, come il fiore del deserto di Manzoni, che spande la sua corolla per l’imperscrutabile Dio delle solitudini.

J.L.: Di tutti i viaggi che ha fatto, quale ha lasciato in lei il segno più profondo, la lezione più importante?

F.B.: Ogni viaggio mi ha consegnato un insegnamento, ma, se c’è un comune denominatore che li abbraccia tutti, è il senso del limite. Ho capito fin dove potevo arrivare, ho sperimentato dove correva la linea che non avrei dovuto superare. Mi sono fermato in tempo e non mi sono mai pentito. Espressioni come «lanciare il cuore oltre l’ostacolo» o «i limiti sono fatti per essere superati» lasciamole dire a chi sta in poltrona. 

J.L.: Qual è il souvenir più evocativo da lei acquistato?

F.B.: Lo cito nella Conquista della lontananza. È una statua in bronzo della divinità indiana Shiva, che tengo nel mio studio. L’ho acquistata in un negozio di oggetti artistici di una cittadina del Tamil Nadu. Questa rappresentazione della divinità indiana è denominata Shiva Nataraja, che significa «Signore della danza». Il gesto del danzatore cosmico è contemporaneamente di creazione e di distruzione. È quello che i viaggi hanno fatto nel corso della loro storia millenaria: hanno aumentato le nostre conoscenze, ma hanno lasciato una scia di violenza e hanno devastato il Pianeta. La danza cosmica di Shiva Nataraja è anche una delle metafore più felici del best–seller Il Tao della Fisica dello scienziato austriaco Fritjof Capra. E dal 2004 una statua di due metri di altezza di Shiva Nataraja donata dal governo indiano è stata collocata al Cern di Ginevra.

J.L.: Qual è l’incontro più interessante che ha avuto? È ancora in contatto con queste persone?

F.B.: Direi quello con Robert Peroni, un italiano che da alcuni decenni vive nella Groenlandia orientale, promuovendo iniziative a favore delle comunità inuit. È nata una grande amicizia, sono tornato più volte in Groenlandia, siamo andati insieme in villaggi remoti, su ghiacciai e su montagne, abbiamo vagabondato fra gli iceberg, abbiamo incontrato cacciatori e sciamani. Robert mi ha rivelato una dimensione della vita, che senza di lui mi sarebbe stata preclusa.

J.L.: Ha mai intrapreso un viaggio interiore e se sì, quale dei suoi viaggi le ha offerto questa particolare prospettiva?

F.B.: Ogni viaggio inizia dentro di noi. Faccio un solo esempio: la mia passione per il Grande Nord. C’è un nome che fa la guardia all’ingresso: Jack London. Le ore dell’adolescenza passate su Zanna bianca e sul Richiamo della foresta hanno seminato nel mio animo il fascino per gli spazi sconfinati. È stato il mio «sogno di una cosa».

J.L.: Ha mai fatto un pellegrinaggio? Se sì, in che modo ne è stato arricchito?

F.B.: Sono stato ad Allahabad, nello stato indiano dell’Uttar Pradesh, a metà strada fra Calcutta e Delhi. La città sacra sorge alla confluenza di tre fiumi mitologici, il Gange, lo Yamuna e il misterioso Saraswati, citato negli antichi testi in sanscrito del Rigveda. Ogni dodici anni trenta milioni di persone accorrono a Allahabad per celebrare il più grande pellegrinaggio religioso del mondo: il Kumbh Mela. 

Ricordo una coppia di anziani che veniva calata nelle acque limacciose. Sorretti dalle braccia dei barcaioli, vi affondavano per alcuni secondi fino a sparire completamente. Riemersi, riempirono due taniche di plastica di quella torbida acqua color caffelatte, capace di risanare ogni malattia. Evidentemente la fede poteva più della chimica.

J.L.: Ha in programma la pubblicazione di un libro interamente dedicato ai suoi viaggi?

F.B.: L’ho fatto con La conquista della lontananza, in cui il viaggiatore offre le sue esperienze allo studioso, che le ordina nella prospettiva della cultura, cercando di rintracciare un senso nella millenaria avventura del viaggio. Ora sto scrivendo un libro sulla paternità. Anche in questo campo, mi sono detto, qualche esperienza l’ho fatta.

 

 




Elezioni americane 2024: “Di vero dicono il venti per cento.”

A dirlo è il giornalista, scrittore ed esperto di comunicazione Alessandro Nardone, assurto a fama mondiale in occasione delle Presidenziali Americane del 2016.

“Il caso Alex Anderson”

Chi seguì le Elezioni Presidenziali americane otto anni fa, ricorderà certamente il giovane e rampante Alex Anderson che, accanto ai “giganti” Hillary Clinton e Donald Trump, correva per la nomination a Presidente degli Stati Uniti.

Caso volle che anche il protagonista del thriller fantapolitico a stelle e strisce “Il predestinato” di Alessandro Nardone si chiamasse così e che l’Autore, spinto dal desiderio di lanciare il suo romanzo sul mercato anglofono e di promuoverlo in modo originale e divertente, avesse avuto la brillante idea di offrire al suo avatar un’entusiasmante avventura nel mondo “reale”: una vera e propria campagna elettorale.

L’operazione, a dir poco geniale, aveva un altro ambizioso obiettivo: dimostrare al mondo intero la “craccabilità” del sistema dell’informazione. Di questo Nardone avrebbe dissertato nel suo libro “Orwell”, nel cui glossario digital dà delle “fake news” la seguente definizione:  “Contenuti falsi o parzialmente veri diffusi al fine di manipolare la pubblica opinione”.

Il sistema di dis-informazione

“Un tempo la notizia si poteva verificare in modo minuzioso.” Confessa Nardone. “Oggi invece, fare il giornalista è diventato difficilissimo: si è quotidianamente bombardati da una mole enorme di notizie, si viene pagati poco o niente, si ha pochissimo tempo per valutare se la notizia è vera o meno e comunque, in nome del numero dei clic, vince chi arriva per primo”.

E infatti ci vollero ben nove mesi prima che le istituzioni americane, i media e il grande pubblico si accorgessero che Alex Anderson – il cui nome è l’anagramma di Alessandro Nardone – era un “fake”. Proprio come le “fake news” nelle quali, se non stiamo attenti, rischiamo di imbatterci ogni giorno nel web e attraverso i canali tradizionali di informazione.

E veniamo alle Elezioni presidenziali USA 2024

Quanto di vero ci stanno raccontando i media riguardo alle presidenziali americane, previste per il 5 novembre prossimo? 

Non più del venti per cento. Quello che arriva alle nostre latitudini dai cosiddetti “mainstream”, è filtrato dalle lenti della partigianeria a senso unico contro Trump. Utilizzano la tecnica del “framing”, quindi o mentono spudoratamente, o utilizzano solo la parte della notizia che è funzionale alla loro narrazione. 

Qual è il tuo punto di vista su Donald Trump e su ciò che rappresenta, rispettivamente, per i “patrioti” conservatori e per i suoi detrattori?

Per i patrioti Trump è il baluardo che può “salvare l’occidente” dalla deriva woke. Per i suoi detrattori rappresenta il maggiore ostacolo. Tieni conto che, con la sua vittoria elettorale nel 2016, di fatto ha sancito la nascita di questo nuovo bipolarismo: a livello mondiale, quanto meno occidentale, non più destra – sinistra ma popolo contro establishment, patrioti contro globalisti. Chiaramente il ruolo di Trump, per chi come il sottoscritto è conservatore, rappresenta una grande speranza.

… Establishment che ingloba tutto: dai media alle multinazionali, alla sanità, al mondo dello showbusiness…

Comunque, tutti noi conservatori continuiamo a essere la maggioranza silenziosa, perché rappresentiamo quello che è la realtà nei fatti. Non il modello di società che questo insieme di interessi e di lobby vorrebbe costruire, ma un tessuto sociale che è fatto di famiglie, papà, mamme, figli, lavoratori che si rimboccano le maniche per far quadrare i conti. Persone che non vogliono sentirsi dire da nessuno se devono o possono pronunciare il termine “famiglia”; persone che non si vogliono sentire in colpa per il fatto di essere normali. Oggi, infatti, se non sei gay, trans o nero vieni accusato di essere l’archetipo dell’uomo bianco occidentale. E poi il patriarcato…  Tutte queste bestialità. Noi non vogliamo essere accusati di essere “razzisti” o “xenofobi” perché siamo per la difesa della sicurezza dei nostri confini. Non vogliamo essere considerati “fascisti” perché non la pensiamo come i radical chic di sinistra. Questo siamo noi e questo sono le persone che votano Trump negli Stati Uniti, Giorgia Meloni in Italia, Milei in Argentina. Difendiamo i nostri valori e il nostro modo di essere, molto semplicemente. 

Alessandro, vorrei un tuo bilancio sull’amministrazione Biden dal punto di vista politico (guerre, Afghanistan, Ucraina, Medio Oriente, Cina), economico (inflazione), sociale (immigrazione clandestina), culturale (educazione, istruzione).

Un disastro totale, per l’Occidente. Guerre: l’abbandono dell’Afghanistan. Quelle immagini parlano da sole. Una vergogna, un’onta che una potenza come gli Stati Uniti non cancellerà mai dai libri di storia. Ucraina: ricordiamoci le implicazioni di Hunter Biden, il figlio di Joe Biden, con Burisma… E come Biden abbia soffiato sul fuoco fino all’ultimo giorno, spingendo Putin ad attaccare, facendo il contrario di quello che avrebbe fatto Trump, che avrebbe invece messo Putin e Zelensky a un tavolo finché non si fossero messi d’accordo. Dal punto di vista economico c’è, a mio parere, una totale mancanza di strategia. Anche dal punto di vista culturale c’è decadenza totale. E qui mi riferisco all’ideologia gender, che dal mio punto di vista è veramente un qualcosa di criminale, perché fuorviano i bambini sin dalle scuole elementari con la pornografia e con l’idea che possano cambiare sesso anche senza il consenso dei genitori. Sono bestialità che faccio anche fatica a pronunciare, da papà. Un decadimento totale. Oggi, dopo soli tre anni e mezzo di Biden – che valgono per quanti disastri ha fatto per trent’anni – gli Stati Uniti sono una nazione in declino. Basta andare a farsi un giro a New York, a San Francisco, a Los Angeles, le grandi città amministrate dai democratici, per rendersi conto di quanto sto dicendo. È una nazione in declino.  

Se il bilancio “dem” è fortemente in rosso, quante probabilità ritieni ci siano, per i democratici delusi da Biden, di rivolgersi a Trump nella speranza che possa fare di meglio?

Molti democratici hanno già dichiarato che si tureranno il naso e voteranno per Trump. Gli Americani sono molto pragmatici: se tu chiedessi loro se stanno meglio adesso o quattro anni fa… Il problema è quello che si trascina da anni: i democratici non sono stati capaci o non hanno voluto creare le condizioni affinché emergesse qualche leader credibile. Oggi, se i candidati fossero Biden e Trump, molti democratici o voterebbero per Trump, o non andrebbero a votare e comunque favorirebbero Trump. 

Hai un’idea di quanti siano questi dem, in percentuale, rispetto al totale? 

La situazione attuale ricalca quella del 2016, con Hillary Clinton che era molto, molto impopolare anche presso il suo elettorato. Alcuni sostenitori di Bernie Sanders – avversario alle primarie a cui la Clinton ha scippato la candidatura – dichiaratamente hanno votato per Trump, e molti altri si sono astenuti. 

Qual è il programma politico di Trump in risposta all’evidente flop democratico e quali sono, a tuo avviso, i suoi punti deboli e i suoi punti di forza?

Sicuramente Trump ha le idee molto chiare perché è già stato alla Casa Bianca. Dal punto di vista economico, sicuramente il punto di forza è quello di rimuovere le follie e i fanatismi woke, che in questo caso si traducono in fanatismo green. Anche dal punto di vista energetico, quindi, il ritorno ai combustibili fossili. E poi, un’economia che punti a riportare le aziende negli Stati Uniti e a scoraggiarle dall’”esternalizzare”, come aveva già fatto nel suo primo mandato. In questo modo si avvantaggia chi investe e produce negli Stati Uniti, creando ricchezza e posti di lavoro. E ancora, la ripresa del discorso dei dazi con la Cina. Biden quando è arrivato lo ha criticato, ma non li ha rimossi: vuol dire che anche su questo Trump aveva ragione. Continuare quindi sull’America First. Il punto debole, paradossalmente, è anche il punto di forza: la tentazione di un eccessivo isolazionismo. Ma Trump è un uomo d’affari e io credo che saprà coniugare l’America First con una dimensione internazionale, che gli Stati Uniti dovranno continuare ad avere da protagonisti. 

Cos’è l’“Ideologia Woke” fiorita nel periodo democratico e perché, a tuo avviso, non sta funzionando?

L’ideologia Woke è un insieme di dettami che partono dall’assunto del pensiero unico, il “politicamente corretto”: una sostanziale dittatura delle minoranze –  lgbt, razziali  – che applicano una sorta di razzismo al contrario, utilizzando anche la “cancel culture”. Come la cancellazione della storia da parte dei regimi totalitari, ad esempio. I fautori dell’ideologia woke, che troviamo anche nelle Università di Harvard e di Yale, ritengono tutto quello che deriva dalla cultura occidentale dal Rinascimento in poi, il Male. Estremizzo per chiarire e sintetizzare il concetto: la storia è fatta solo da bianchi che sottomettevano i neri e le donne e quindi è tutto “male”, tutto da cancellare. Harvard che cancella il corso sul Rinascimento, statue di Cristoforo Colombo abbattute… Insomma: tutta una serie di nefandezze che fanno parte dell’ideologia woke, di cui fa parte anche l’ideologia gender. Dal mio punto di vista è quest’ideologia a rappresentare il male, ciò che oggi sta portando al declino gli Stati Uniti. Ideologia che si traduce in negativo anche dal punto di vista economico: ad esempio i criteri di sostenibilità energetica e ambientale… Il falso mito della sostenibilità che introduce dei criteri assolutamente inattuabili per aziende “normali”, che magari sono costrette a chiudere perché non si possono adeguare. Alla fine a essere favorite sono sempre le multinazionali. È una partita di giro.

Quali scenari prevedi, negli States, nel caso in cui venga eletto presidente un democratico che dovesse rendersi, ancora una volta, portavoce delle summenzionate culture e ideologie?

Negli Stati Uniti si potrebbe arrivare anche alla guerra civile. Sì perché… Ribadisco, io sto facendo delle constatazioni oggettive, basta ascoltare un qualsiasi comizio di Biden, o anche leggere i suoi tweet, o quelli degli altri esponenti democratici. Accusano Trump per i suoi toni, però andiamo a vedere come parlano loro. Loro sono assolutamente divisivi. Dopo il trionfo di Trump in Iowa, Biden non ha parlato degli “elettori” repubblicani, ma degli “estremisti” repubblicani. E lui, attenzione, dovrebbe essere e parlare da Presidente di tutti. Quindi prevedo uno scenario, nel caso in cui dovessero affermarsi loro… Apocalittico. Per non parlare poi di tutto quello che potrebbe succedere nelle scuole, per via dell’ideologia gender…

Quali scenari potrebbero aprirsi, invece, per effetto dell’elezione di un presidente americano di fede repubblicana?

Di fede repubblicana ce ne sono diversi. Se vincesse Trump, rimetterebbe i valori tradizionali al centro del villaggio. Dal punto di vista geopolitico, gestirebbe il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente aprendo i tavoli delle trattative. Fermo restando che questo sarebbe sicuramente più semplice con Putin e Zelensky, mentre invece Hamas sappiamo che è un’organizzazione terroristica, quindi… Lì sarebbe un po’ più complicato. 

Parliamo un po’ di Robert Kennedy Junior. Aldilà dell’alto consenso trasversale di cui sembra godere, sia fra i globalisti democratici, sia fra i repubblicani conservatori, quali sono i suoi argomenti e fino a che punto possono far breccia nell’elettorato americano sia globalista, sia conservatore di oggi?

Beh, sicuramente la sua totale avversione al concetto di “guerra”. C’è un passaggio molto bello di un suo discorso che è diventato virale online, in cui dice: “Abbiamo imparato a utilizzare la parola ‘guerra’ in tutti i frangenti: la guerra all’immigrazione, la guerra al virus, la guerra all’inquinamento…” Kennedy ha puntato molto su una pacificazione tra i due elettorati: questo è un tema che può fare presa su entrambi i gruppi, soprattutto sulle persone che sono stanche di questo clima da guerra civile permanente, che da qualche anno a questa parte si vive negli Stati Uniti. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo acquisito la forma mentis che ci ha indotto il web. La “polarizzazione”, il fenomeno che caratterizza il nostro tempo, ci induce a considerare chi la pensa diversamente da noi non come qualcuno che ha idee differenti dalle nostre, ma un nemico vero e proprio. Così, ci si allontana sempre di più e ci si capisce sempre di meno. I media mainstream, infatti, parlano di un certo argomento utilizzando una determinata linea. Si stabilisce quindi un frame, una cornice, entro la quale discutere di quel dato argomento. Ed ecco che chiunque esca da quel frame viene aggettivato come “anti sistema”, “omofobo”, “fascista”, eccetera.

Quali sarebbero le sfide che oggi dovrebbe affrontare il personaggio digitale “Alex Anderson”, rispetto alla sua corsa elettorale del 2016? Il sistema dell’informazione è ancora altrettanto craccabile, riguardo all’infiltrazione e alla conseguente diffusione di fake news o qualcosa è cambiato da allora?

Hai sollevato una questione grandissima. La sua candidatura sarebbe irripetibile, come nel 2016. La sfida dell’informazione si è fatta ancora più difficile perché in questi anni abbiamo capito – e il resto dell’intervista in parte lo testimonia – che i veri conduttori di fake news alla fine sono i media tradizionali, non gli pseudo “complottisti”. Quelli sono in certi casi gli “utili idioti” che servono ai media mainstream. Quindi, la vera sfida che si gioca è quella dell’informazione e della comunicazione. 

Quindi in Europa ci arriverebbero delle notizie vere al 20%?

Quando va bene! Questo te lo firmo e te lo sottoscrivo.

Che frecce avrebbe al suo arco Alex Anderson e come convincerebbe i sostenitori di Trump a votare per lui, anziché riconfermare la loro fiducia all’Autore del motto: “Make America Great Again”? 

Sicuramente l’età. Una maggiore contemporaneità e consapevolezza di quelle che sono le necessità delle nuove generazioni, e anche una maggiore garanzia di proiettare gli Stati Uniti nel futuro. Questo potrebbe essere il suo valore competitivo. Con tutto il rispetto per Trump e per la sua agenda, Alex si proporrebbe come un’alternativa più nuova e anche scevra da quello che è il carico da novanta che, nel bene o nel male, si porta sulle spalle Trump. 

C’è qualcosa che vorresti aggiungere, a conclusione di questa nostra bella chiacchierata?

Alla fine, secondo me, il trait d’union di tutto è la coerenza. La coerenza e il rispetto per le idee altrui, sono due elementi che mancano sempre di più nel dibattito pubblico. E questo non avviene a caso, ma perché qualcuno lo vuole… Del resto, ce l’hanno insegnato i romani con “Dividi et impera”…  Dal mio punto di vista, invece, sono molte di più le cose che uniscono gli esseri umani. Se facessimo delle domande tipo: “Sei d’accordo sul fatto che tutti dovremmo vivere nel benessere? … Sul fatto che non ci dovrebbero essere guerre? … Sul fatto che le nostre città dovrebbero essere sicure? … Che la sanità dovrebbe funzionare?” Chi ti potrebbe dire di no? Nessuno. Dipende anche da come le poni, le questioni. Poi, alla fine, si torna sempre lì. È per questo che io insisto sul fatto dell’importanza dell’informazione e della comunicazione. Perché sono loro, alla fine, a determinare il corso della storia.”

 




“San Francesco Marathon 2023”

Nella foto, da sinistra a destra: il Patron dell’Evento Padre Federico Claure e il Brand Ambassador Christian Gaston Illan.

È alla sua prima edizione, all’insegna del motto “I Bless You Life!”, la “San Francesco Marathon”.

“Maratona” come metafora della vita.

In un mondo in cui ciascuno di noi corre dietro ai propri impegni quotidiani c’è chi, fin dal 2017, lavora dietro le quinte per dar vita a un gioioso pretesto per correre insieme: la “San Francesco Marathon”. 

È un Evento di respiro internazionale quello che ci attende domenica 5 novembre 2023 ad Assisi, in cui si incontrano e fondono Sport, Cultura, Valori, Spiritualità e Solidarietà.

Motto dell’Iniziativa è  “I Bless You Life”, “Ti Benedico Vita”.

L’Organizzazione

Alla sua prima edizione, la Corsa è rappresentata da Padre Federico Claure e organizzata dalla SSD Life Running Assisi, società sportiva dilettantistica no profit affiliata al Coni e alla Fidal.

L’Evento è realizzato in collaborazione con la Città di Assisi e Athletica Vaticana, sotto il patrocinio della Diocesi Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, della Conferenza Episcopale Italiana e dell’Università degli Studi di Perugia.

Sport, Valori, Spiritualità e Solidarietà

L’Iniziativa mira a promuovere i valori che ispirano la vita del “runner” che c’è in ognuno di noi: impegno, costanza, disciplina.

Allo stesso tempo, la corsa è uno sport che va al di là della dimensione fisica per abbracciare quella spirituale.

Ed ecco che ai valori francescani dell’amicizia e della fraternità si unisce un gesto solidale nei confronti dei più vulnerabili. Le quote di iscrizione, infatti, verranno devolute alla realizzazione di progetti di valore sociale della Diocesi di Assisi e delle Istituzioni civili del territorio. Le opere di solidarietà verranno via via rese note nel sito ufficiale della manifestazione.

 

Il Messaggio

“La maratona è metafora della vita”, recita il messaggio diramato dagli Organizzatori. “A volte ci sono momenti di avversità, e ci sono anche momenti di bellezza. La bellezza ha la forza di guarire l’anima, di consolarla, accarezzarla, rigenerarla …”

Prosegue: “La San Francesco Marathon è uno spazio di ricerca, incontro e dialogo aperto a credenti e non credenti, a tutti, sulla base della comune umanità, alla ricerca di quello che ci rende umani, alla ricerca di quello che ci mantiene umani.”

E conclude:  “Se le persone tornassero dopo la maratona con un “Che bello”! nel cuore, avremmo adempiuto la nostra missione.”

Il sigillo di Qualità

Madrina della manifestazione è la cantautrice, atleta paraolimpica e modella italiana Annalisa Minetti che, assieme ad altri atleti, parteciperà alla staffetta di solidarietà in seno alla maratona.

Brand Ambassador dell’Iniziativa è l’avvocato e imprenditore di origine argentina naturalizzato a Milano Christian Gaston Illan, appassionato di sociologia e noto al grande pubblico come opinionista calcistico televisivo. 

“È un luogo speciale, la corsa, nella sua capacità umana, formativa e culturale, unita alla bellezza di questa terra” rivela. “Non può che essere un’esperienza indimenticabile per ogni persona che verrà a correre …” 

Padre Federico Claure, patron dell’Evento, parlando di Christian dichiara: “Siamo molto contenti e grati per il suo entusiasmo e presenza nel Progetto. L’incontro con Christian è legato al nome di Francesco in quanto si deve ad un incontro che lui ebbe con Papa Francesco per donargli un poncho argentino. La sua professionalità, serietà e passione sono valori importanti per questo progetto di solidarietà. Vi aspettiamo con gioia ad Assisi!”

 

I tre percorsi

La maratona, che si rivolge a chiunque desideri conciliare l’attività sportiva con il suo profondo significato spirituale, è aperta a dilettanti, amatori e professionisti. 

Tre infatti sono le attività previste: 

• il percorso “famiglia” denominato “Vieni con me!”, lungo 5 km; 

• quello competitivo di 10,2 km; 

• la maratona vera e propria di 42,195 km. 

Quest’ultima si snoderà fra i luoghi più cari a San Francesco d’Assisi: Spenno, Cannara, fino allo scrigno della Porziuncola, la Basilica di Santa Maria degli Angeli.

Ed è proprio qui che nascerà “Il Village”: punto di riferimento per eventi e sponsor, all’insegna dei valori sportivi ed etici che ispirano l’Evento. 

Informazioni e modalità di iscrizione

La partenza è prevista per le 09:15 circa di domenica 5 novembre 2023 dalla piazza della Basilica di Assisi, che custodisce la tomba del Santo.

Per iscrizioni e ulteriori dettagli, c’è la pagina web dedicata all’evento.

 




“Solanina”: quando nel veleno si nasconde la medicina

Nella foto: il regista Massimo Libero Michieletto, la protagonista Carlotta Piraino (Nina) e Jasmine Laurenti (Eva)

 

Ed eccoci al quarto episodio del Diario di Eva, iniziato l’estate scorsa per documentare le varie fasi di lavorazione del film “Sola Nina”.

Finalmente, l’anteprima assoluta.

Sabato dieci giugno 2023, al Cinema Italia Eden di Montebelluna (TV), è stato presentato il secondo lungometraggio firmato dal regista indipendente Massimo Libero Michieletto.

L’evento è riuscito a distogliere l’attenzione di un nutrito pubblico che, snobbando la Finale di Champions League fra Manchester City e Inter, ha preferito raggiungere l’Autore e parte del cast, per godere di questa primizia.

Il ritorno dell’Eroe: un po’ di autobiografia

Questa avventura, per me iniziata il 28 febbraio 2022 con un messaggio di Massimo, ha raggiunto il suo climax sabato scorso, quando ho preso il microfono per dare il benvenuto ai presenti.

Beh … ero così emozionata che la mia voce è andata a farsi un giro altrove, letteralmente.
Sarà perché, tra gli spettatori, c’erano anche miei carissimi amici e parenti … o forse perché il mio debutto cinematografico è avvenuto, guarda caso, a pochi chilometri da dove sono nata.

Sta di fatto che mi sono identificata nell’Eroe che ritorna lì dove tutto è cominciato, condividendo il suo premio con gli astanti. Comunque, l’avventura è tutt’altro che conclusa: a settembre, infatti, si ritorna al Festival del Cinema di Venezia.

Il Film

L’opera è coraggiosa, audace, fuori dagli schemi, proprio come il suo Autore. Narra del viaggio interiore di morte e rinascita di Nina – la splendida Carlotta Piraino – iniziato proprio grazie alla tragica fine del suo matrimonio e all’auto che non ne vuole sapere di ripartire: circostanze apparentemente “negative” che giocano, come avremo modo di scoprire, a suo favore.

Il film si apre con lo stridente contrasto fra la sentenza di sfratto subita da Nina e il suo incontro con la “svalvolata” vagabonda vestita da sposa (Giovanna Digito). Le parole di quest’ultima suonano così vere, da metterci subito il tarlo se sia più reale ciò che riteniamo “normale”, o ciò che etichettiamo come “follia”.

Poi, il ritmico susseguirsi di scene come sogni ricorrenti: le lunghe passeggiate e i momenti di gioco fra Maria – Maria Casamonti – e Nina (due universi apparentemente inconciliabili), le tre marie nel salone di bellezza – Barbra Ann Coverdale, Loni Zanatta, Laura Boschiero – il delirante pranzo nel giardino di Eva, narcisista irrisolta nonché sorella maggiore di Nina, con sua figlia Evita – Selene Demaria – e David – David Ponzi – il fidanzato non si è capito bene di chi.

Il Messaggio

Verso la fine, quando il cerchio sta ormai per chiudersi e la “crisalide” Nina è alla vigilia della sua resurrezione (la svolta come rinascita, rivelazione, riscoperta di sé, rivincita), compare in scena l’ex marito di Nina a ricordarle che lei è “il nulla”. Ma è proprio dal nulla che il Tutto può manifestarsi, alla faccia dell’incredulo detrattore della nostra risorgente Eroina.

Il Messaggio è chiaro, tanto da renderci scomodo il non tenerne conto e far finta di nulla: se impari a fidarti della vita e dei suoi giri pazzeschi scopri che, alla fine, tutto è servito a fare di te la persona migliore che tu potessi diventare, il vero Te.

 

Ogni veleno racchiude una potente medicina

La cosa più assurda ma vera è che la solanina, il veleno nascosto nella patata – il prosecchino degustato prima della proiezione mi ha permesso di dare spazio al mio british humour, altrimenti vittima dell’autocensura – è anche medicina per chi, come la nostra sola Nina, grazie all’uscita dalla sua zona di comfort e a una provvidenziale immobilità fisica, può intraprendere il Viaggio dell’Eroe nei meandri della sua psiche.

Insomma: è solo dando carta bianca all’anima, che la nostra vita può fiorire!

“Sola Nina”, infine, ci permette di realizzare che siamo meravigliosamente perfetti così come siamo. E che tutto accade per renderci consapevoli di questa verità.

E questo è quanto. Per ora.

Alla prossima, dalla vostra reporter …

Jasmine Laurenti

Nella foto: Jasmine Laurenti, attrice e voce fuori campo nel film “Sola Nina”, presentato in anteprima assoluta al Cinema Italia Eden di Montebelluna (TV)

 

 




“Il Minatore che riesce a tirar fuori i brillanti dal fango”

Intervista alla Dottoressa Elena Pagliacci Cipriani sul nesso fra salute mentale, Spiritualità e Valori.

Faccio una sorpresa a un’amica che non vedo da tanto tempo. Dovevamo sentirci alle nove su whatsapp per un’intervista della durata massima di un’ora. In effetti, alle nove la chiamo e le chiedo se è pronta. Mi risponde di sì. Le dico: “Ok. C’è una sorpresa per te. Avvicinati alla porta.” “La mia porta?” “Sì”. Ed eccomi qui, da Lugano a Milano in carne e ossa, complice il portiere che non l’ha avvisata del mio arrivo, sul pianerottolo, davanti alla sua porta.

È pazzesco il nostro “sentirci” a distanza. Perché proprio ‘oggi’ ha deciso di indossare un maglioncino color glicine (uno dei miei colori preferiti) e indossare gli orecchini che le ho regalato al suo compleanno di qualche anno fa. Me lo fa notare, felice della singolare coincidenza che sappiamo non esserlo affatto.

 

Preambolo.

Ho avuto la fortuna, anzi meglio, la benedizione di incontrare Elena ventitré anni fa, grazie a un amico comune che ci ha presentate.

Non è andata proprio così: la verità nuda e cruda è che stavo attraversando uno dei periodi più assurdi della mia vita e piangevo in continuazione. 

Incrocio Franco (l’amico di cui sopra) nel lungo corridoio di una sala di doppiaggio, a Milano. Mi dice: “Ti fisso un appuntamento con una mia amica. È bravissima. Vedrai che ti aiuterà.”

21 marzo 1999: entro e mi siedo sul grande divano del soggiorno della Dottoressa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista e Consigliere nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, oltre a centomila altre bellissime cose. Bando ai convenevoli, le consumo una nutrita scorta di Kleenex. Il mio Viaggio dell’Eroe più importante inizia così. Pochi mesi dopo intraprendo un percorso spirituale. Lei mi vede rifiorire e ne gioisce, vuole sapere, condivido con lei le mie scoperte. Mi raggiunge in chiesa. Il resto è storia che, col suo permesso, racconterò in un capitolo a lei dedicato della mia autobiografia.

Elena ha un’anima meravigliosa e un cuore che può contenere il mondo.

Incontrarla è un grande privilegio, esserle amica un dono divino. L’ho raggiunta per parlare di argomenti scottanti quale il sensibile aumento, soprattutto fra i ragazzi, di depressione, ansia e stress, dopo il triennio più balordo della nostra storia più recente. L’articolo è qui.

Oggi condivido la parte più spirituale e non per questo meno scientifica della nostra chiacchierata. In tre ore di intervista (volate!!!) ho raccolto una miniera di pepite di saggezza, esperienze e informazioni.

 

Gli argomenti della nostra chiacchierata.

Si è parlato della correlazione fra salute mentale e spiritualità, di come funziona la mente di una persona felice, dell’importanza di sapere ciò che si vuole dalla vita, dello pseudonimo che un amico famoso le ha appioppato e perché, della vulnerabilità come superpotere, di cosa siano l’autorevolezza, il successo e il vero amore. Se avrete la grazia di seguirci fino alla fine, vi riempirete le tasche di chicche preziose di cui far tesoro per tutta la vita.

Dopo aver “sbobinato” l’intervista e trascritto la nostra conversazione, ho deciso che non avrei cambiato una virgola o quasi di quanto ci siamo dette.

Ne è uscito, a mio avviso, qualcosa di molto speciale.

Non mi rimane che augurarvi buona lettura!

 

Il nesso fra salute mentale e spiritualità.

J: Un giorno mi hai detto che c’è un nesso fra salute mentale e spiritualità. Se c’è una correlazione tra loro, in che modo si influenzano a vicenda?

E: “Si influenzano tantissimo. Vedi, il senso dell’analisi è la conoscenza. L’ideale sarebbe, come in un matrimonio, che i due coniugi si conoscessero al punto che ciascuno può leggere la vita dell’altro come in un libro e sapere quello che c’è stato, quello che hanno avuto … Questo è ‘conoscere’ l’altro. Il grande conoscitore per eccellenza è Gesù, se ci pensi. Lui cosa ha fatto? Per farsi conoscere ha lasciato un libro di consigli (sono stati chiamati ‘comandamenti’, ma sono consigli) per la nostra vita.

Così è la nostra spiritualità. Ciascuno di noi ha un libro di conoscenze della propria vita, che è collegata con la propria psiche. La psiche è la somma di tutto quello che è il tuo istinto, l’ego, l’es, tutte queste cose messe insieme. Anche chi non ha questa parte (spirituale ndr), la ricerca. Come? Per esempio attraverso la paura della morte, che ti spinge a superarla con la spiritualità, il credere in qualcosa, qualsiasi cosa.

Ebbene: se osservi una persona malata di mente e la paragoni con una persona posseduta, vedi che c’è un nesso. È come se ci fosse un uomo interiore cattivo che prende la tua psiche e la trasforma. Ho avuto tra i miei pazienti molte persone che hanno tentato il suicidio e tutti dicono la stessa frase: ‘C’era qualcuno che mi diceva: Buttati. Perché non lo fai? Buttati!’

È come se la nostra psiche a un certo punto facesse entrare un inquilino indesiderato, che si siede sul divano di casa nostra e non se ne va più via. C’è un miscuglio di quello che potremmo definire ‘demoniaco’ e quello che è la tua psicologia. Io sono assolutamente convinta che c’è un nesso preciso, perché vedo questo inquilino che si impossessa della mente, soprattutto quella dei ragazzi. E non ha nulla a che fare con quello che bevono: è la somma di tutte le cose (abitudini, pensieri, ndr) che fanno sì che l’inquilino prenda il sopravvento. Il nesso è strettissimo, anche se non lo sai riconoscere.”

J: Può una persona con il proprio libero arbitrio scalzare questa presenza?

E: “Potrebbe.” 

J: E allora perché si arriva a certi estremi?

E: “Perché da una parte hai la voce della spiritualità che ti invita a guardare il cielo, e non è quella voce che ti dice: ‘Credi, credi in me’. No no no. È vivere in funzione di questo cielo. Non importa se c’è la prova, la sofferenza. Ti invita a pensare che non sei solo e che puoi contare su una mano che è sempre vicina a te. Anche dall’altra parte c’è una mano, ma è una mano che ti tira giù. È una mano che continua a prometterti sempre e solo cose materiali, ma che ti tira sempre più giù, sempre più giù, sempre più giù. È una lotta quella che devi sostenere, per arrivare a dire: ‘No, grazie. Io non voglio scendere così in basso.’ Ma quando sei così in basso è difficilissimo risalire.”

 

Il punto di contatto fra psicanalisi e spiritualità.

J: Se ho capito bene quindi psicanalisi e spiritualità hanno trovato un punto di contatto?

E: “È un po’ come quando trascuri una pianta per molto tempo. Alla fine questa pianta non fiorirà più. Credo che ci sia una parte della psicanalisi che nega completamente ciò che è spiritualità e fede. Io ti parlo da credente – ‘credente’, non ‘religiosa’ – e ti parlo di quello che vedo. Vedo che c’è questo nesso: questo inquilino indesiderato entra e ti soggioga. Lo vedo soprattutto nei ragazzini, dove c’è un terreno ampio dove puoi scavare. Quando dico ‘alza gli occhi al cielo’ non intendo parlare di religione o di fede, ma di spiritualità, di etica. L’etica è data dai valori interiori e dalla libertà.

Quando vedi una persona e ti dici: ’Non riesco a capire: da una parte mi sembra bella, dall’altra la vedo cinica.’ È perché le radici, l’Etica, erano buone all’inizio. Poi arriva la depressione e ti dici: ‘Caspita, com’è possibile?’ ‘Cosa succede?’ ‘Come funziona questo meccanismo?’ Secondo me c’è proprio un incrocio fra spiritualità e psiche. È come se quell’inquilino indesiderato entrasse, tuo malgrado; gli hai lasciato uno spiraglio, una piccola porta aperta: il non perdono dei tuoi genitori, la rabbia repressa, la tristezza che non hai mai espresso. Una delle regole – per stare bene ndr – è esprimere sempre quello che hai dentro: così chiudi la porta e se la porta è chiusa, l’inquilino non entra. Ma se la lasci socchiusa, il male entra. La mancanza di perdono è la chiave più importante.” 

 

Sulla vera Felicità.

J: Cos’è per te la felicità e come si fa a riconoscere una persona felice?

E: “Gli occhi. Guarda gli occhi. Ho avuto nella mia vita tantissime persone che mi dicevano ‘Io voglio avere gli occhi lucenti come i suoi’. Credo che quando tu mandi via l’inquilino indesiderato e fai entrare il cielo, tutto diventa chiaro, trasparente, arriva la verità ed è la verità che ci rende liberi. Quindi se tu sei libero, la persona che non lo è lo vede, e vuole diventare libero come te.

Per me la vera felicità è l’unione della tua etica personale con la felicità alla quale aspiri. Per tanti è possedere case, macchine … Per me no. La mia felicità è la gioia profondissima che provo quando dò qualcosa a qualcuno senza aspettative e vedo questa luce riflettersi nei miei occhi.”

J: Esiste una correlazione tra salute mentale e felicità? E se sì, come funziona la mente di una persona felice? Te lo chiedo per avere qualche dritta da mettere a disposizione di chi non si sente ancora felice e vuole diventarlo.

 E: “La mente di una persona felice è una mente in cui ‘tutto mi è lecito ma non sono schiavo di niente’: vuol dire che tutto mi è concesso – un bicchiere di vino, una sigaretta … – il veleno sta nella misura. Tanto più esagero, tanto più divento dipendente da una certa cosa, e se sono dipendente da qualcosa, qualsiasi cosa sia … ne sono schiavo. Se qualcuno ti dice: ‘Io sono così buono …’, non credergli. Uno deve essere sempre nella misura. Altrimenti non può essere felice. La felicità è nel non avere rospi in gola, perdonare, avere la misura. Anche Eraclito diceva che quello che diventa malattia è l’eccesso. L’eccesso di freddo, l’eccesso di caldo, non vanno bene. È la misura che fa la differenza. Perfino l’eccesso di amore fa male. Comunque, devo sempre ricordarmi che l’amore non è bisogno ma è scelta. Quindi devo essere felice e contento di me stesso. Poi posso anche avere qualcuno che aggiunge amore, che mi dà amore, che io ricambierò. Altrimenti diventa un bisogno, una schiavitù, una dipendenza.” 

J: Ammesso che la felicità sia il nostro stato naturale, perché al giorno d’oggi è così raro trovare una persona felice? 

E: “Ritorniamo al discorso della conoscenza. Secondo me è importante conoscere te stesso, sapere quello che davvero vuoi, quale sia il tuo obiettivo. Un sacco di persone non centrano il bersaglio. Vanno sempre in tondo, girano su se stesse, vogliono questo, vogliono quello, e mancano il bersaglio, perché mancano quello che davvero vogliono dalla vita.”

J: In questa ricerca, cosa suggeriresti a una persona che disperde le proprie energie e non sa cosa vuole?

E: “Di fermarsi e passare del tempo in solitudine, nella Natura.”

 

Il Minatore che tira fuori i brillanti dal fango.

J: So che tra le persone a te più care ce n’è una che ti ha affibbiato lo pseudonimo di ‘Minatore che riesce a tirar fuori i brillanti dal fango’. Possiamo fare il nome di questo amico?

E: “Certo! (Il famoso cantante italiano Albano ndr). Lui è un amico carissimo, una persona stupenda che si presenta come non è, nel senso che chi lo vede lo percepisce come arrogante, ‘padre padrone’, ma non lo è affatto: è una persona meravigliosa che ha il senso degli altri. Lui mi chiama ‘minatore’ e io lo chiamo ‘contadino’. Quando mi dice che tiro fuori dei brillanti dal fango, lui descrive il mio sogno. Quando vedo persone che rinascono dal fango, sono così felice: questo termine – minatore ndr – mi piace un sacco.”

J: Ti va di regalarci tre piccole storie di tre persone che hai aiutato a risplendere?

E: “Non potendo fare nomi, posso dire che uno è un ragazzo meraviglioso di una famiglia molto importante che per me è stato come un figlio nato nel mio cuore. Lui è una persona che non solo risplende, ma risplenderà e sarà anche il brillante della sua famiglia, che è una famiglia difficile e complicata.

Poi ho una storia fantastica, quella di un signore che aveva avuto un incidente molto grave in cui le è morta fra le braccia la sua bambina, che era accanto a lui in macchina. Questo signore è venuto da me odiando la psicologia, dopo dieci anni di psicologi, e quando è entrato dalla mia porta mi ha detto, in tono di sfida: ‘Avanti! Avanti! Mi dica anche lei perché non sono morto?’ E io non so come mi sia venuta la frase – credimi, è venuta dal cielo, non sono stata io – gli ho risposto: ‘Ma lei È morto’. E lui ha cominciato a piangere, ha pianto per un’ora e mi ha detto: ‘Grazie. Lei ha capito che io ero morto davvero.’ Oggi lui risplende perché sta aiutando tutti quelli che hanno avuto un trauma come il suo.

Un’altra pietra preziosa è un famoso compositore, un signore anziano, un’altra persona meravigliosa, con lunghi capelli bianchi, direttore d’orchestra … Gli era morta la moglie ed era depressissimo, voleva solo morire. Voleva proprio morire. Io gli ho detto che non doveva morire con un amore così grande … A un certo punto gli ho fatto una domanda, pensando tra me e me: ‘Tanto so cosa mi risponderà: questi uomini parlano sempre d’amore ma poi in realtà sono dei traditori … Chissà quanti amori ha avuto.’ Sai, a volte, con i nostri pregiudizi, riusciamo a essere cattivi. ’Mi dica la verità – gli ho chiesto – lei non ha avuto solo quell’amore nella sua vita.’ E lui mi ha detto: ‘No. Io ho avuto due amori nella mia vita. Mia moglie e la mia musica.’ L’ho abbracciato. Lui è un’altra delle pietre che risplendono.” 

 

La vulnerabilità, l’autenticità, la gentilezza e altri valori …

J: Un altro tuo amico fraterno è il Professor Paolo Crepet, che ho avuto modo di intervistare in occasione dell’uscita del suo libro ‘Vulnerabili’. Cosa vuol dire per te essere vulnerabili?

E: “Per me essere vulnerabili è vivere in accordo con la frase ‘Tutto è puro per i puri’. I puri sono vulnerabili. Perché sono puri, non hanno malizia. Paolo è un mio carissimo amico ed è la persona in assoluto che stimo di più fra i miei colleghi. Mi piace perché ha un background meraviglioso: ha lavorato con Basaglia, a stretto contatto con lui. È intelligente ed è un puro, uno che non si fa trafiggere come tanti da mille cose.

Poi, sai, io vedo dei tromboni e dei cialtroni in televisione che sono terribili. Una volta mi avevano invitato all’Isola dei Famosi e gli ho detto che non ci andavo. Ho detto: ‘Avete tanti cialtroni da invitare …’ La giornalista che mi intervistava ha detto: ‘Certo, perché quelli come lei non vengono.’ Non ho dormito per tutta la notte.”

J: Questa cosa come ti ha fatto sentire?

E: “A me è capitato solo una volta di non avere il coraggio di andare avanti in una indagine, perché il signore che era venuto da me, elegantissimo, abusava di bambini neonati, e io non ho avuto il coraggio di continuare. Poi però non ho dormito per tanto tempo e mi sono detta: ‘Devi sforzarti. Devi sforzarti.’ Ma non riesco ad andare oltre alla mia, di etica. Non ce la faccio proprio ad andare all’Isola dei Famosi o al Grande Fratello. Non ce la faccio. Perché poi i miei pazienti vedrebbero che sono quella roba lì.”

J: La vulnerabilità è per te un segno di debolezza o un superpotere?

E: “Un superpotere. Essere fragile è bellissimo.”

J: Chi si rende vulnerabile è più autentico, secondo te? E se sì, basta l’autenticità da sola a difenderci da possibili attacchi esterni?

E: “Se sei autorevole sì. Per me ‘autorevolezza’ vuol dire saper ascoltare e saper rispondere in maniera appropriata, non parlando addosso all’interlocutore. ‘Autorevolezza’ è cercare di comprendere quello che l’altro dice anche se va contro le tue idee e cercare di dare una risposta …

Senti, io racconto sempre ai miei pazienti questo aneddoto, che a me è servito. Uscivo dall’università, avevamo fatto una lezione, io ero con un altro assistente, entriamo al Bar Magenta (storico bar di Milano ndr). Bar pieno. Entriamo. A un certo punto l’assistente che era assieme a me chiede al cameriere un cappuccio senza schiuma. Il barista si capisce che non solo non ha ascoltato, ma che non sta facendo il cappuccio giusto. Per la seconda volta il cliente dice al cameriere: ‘Guardi che io le ho chiesto un cappuccio senza schiuma …’ Il cameriere si volta e fa: ‘E ho capitoooo’. Arriva il cappuccio … come, secondo te? Con la schiuma. L’assistente vicino a me dice al cameriere: ‘Scusi ma io per tre volte le ho chiesto un cappuccio senza schiuma.’ Risposta del cameriere: ‘Ma così è più buono.’ Ascolta bene la risposta dell’assistente, che per me è stata un semaforo nella vita: ‘Sono proprio contento di bere il cappuccio che piace a lei’. L’hanno applaudito nel bar. Perché ha risposto nella maniera adeguata, lasciando l’altro senza parole.

Capisci la differenza? … Tra uno che avesse urlato: ‘Cretino! Ti ho detto che volevo un cappuccio senza schiuma!’ E uno che dice: ‘Sono proprio contento di bere il cappuccio che piace a lei’. Pensalo nella vita di tutti i giorni, nella storia di tutti i giorni. Quando qualcuno ti dice: ‘Stai proprio bene vestita così!’ ‘Sono proprio contenta di aver messo la cosa che piace a te’. ‘Sono proprio contenta di approvare quello che dici tu’. Capisci che cambiamento? Queste io le chiamo le ‘pillole di saggezza’. Dai all’interlocutore la possibilità di capire che ha detto una stupidata. L’hanno applaudito nel bar. E io gli ho detto: ‘Questa è una cosa che farò mia nella vita!’.

Quando sono in coda e c’è quello che ti risponde male, dico: ‘Mi dispiace che oggi sia una brutta giornata per lei.’ Non parlano più. ‘Perché non sei gentile? Perché mi rispondi così?’ Io da quel giorno ti posso dire che ogni volta … vedo quello che, non so, in auto tira sotto la vecchietta e poi urla come un pazzo … Picchietto il vetro e dico: ‘Scusi, perché lei non è gentile?’ Non riescono a replicare.

Un giorno in un bar un signore entra con due telefonini. Subito quelli del bar gli dicono: ‘Ah, due telefonini … uno per la moglie e l’altro per l’amante!’ ‘Eh sì, l’ho preso apposta!’ Io osservo in silenzio. Poi dico: ‘Che brutto …’ Uscendo questo tipo viene da me e mi chiede: ‘Perché ha detto che brutto?’ ‘Che brutto! – gli rispondo – Come sarebbe stato bello se lei avesse detto: ‘In realtà uso un telefonino solo, perché è una la persona che amo. Non ho bisogno di due telefonini.’ E lui: ‘Ma non è vero che io ho l’amante’. ‘Peggio!’ gli dico ‘Perché lei ha detto una bugia in un discorso banale, da bar. Pensi che bello se lei avesse detto invece: Ma no, io non ho bisogno di due telefonini! Lei si è messo nel gruppo dei corvi e delle cornacchie – perché l’aquila vola alto – Non ha bisogno di dire quello che fa o non fa, o delle amanti che ha.’ È rimasto sconvolto (ride)”.

 

Il vero successo.

J: Cos’è per te il vero successo? Differisce di molto dal successo che ci viene ogni giorno propinato dalla pubblicità e dai social media?

E: “Assolutamente sì. Quello che i media o comunque la televisione ti mostrano, è un successo effimero perché tu … guarda i grandi cantanti, quelli che vincono ad Amici e in tutte le trasmissioni di quel genere. Ce n’è uno magari, uno, che ha l’umanità dentro … Ricordo un aspirante coreografo ballerino ad Amici, che faceva delle cose bellissime e infatti poi è diventato un vero coreografo e ballerino. Uno. Su centomila. Perché? Perché ‘dentro’ andava contro gli schemi che gli venivano imposti. Andava per la sua strada. Quella era la sua strada. Quelli che rincorrono il successo ma non hanno dentro quel fuoco, invece …

Vedi, il vero successo non è fatto di soldi, di gloria, di apparire. Siamo sempre lì. Il vero successo è un successo che ti rende felice. Se osservi i personaggi che si sono succeduti alla televisione … Chi erano i personaggi più amati? Quelli che apparivano? No! Era il Frizzi della situazione che era buono, gentile, educato. Perché quelli come lui rimangono. Gli altri spariscono nel nulla.” 

J: Se il successo è l’espressione di chi siamo davvero – l’espressione di quel fuoco interiore – qual è la ricetta per scoprire chi siamo, secondo te, e trovare il nostro posto nel mondo?

E: “Devi trasmettere quell’etica di cui parlavamo prima, un’etica profonda, fondata sui valori di chi ha vissuto nella sofferenza. Tu le vedi le persone che hanno lottato nella vita e quindi hanno raggiunto un risultato … Non so se ti ricordi quel fantastico pianista che aveva la sclerosi e poi è morto (Ezio Bosso ndr). Lui era fantastico, quello che diceva, quello che faceva …

Ultimamente ho letto un libro di Mencarelli, che ha scritto ‘Tutto chiede salvezza’ e ha fatto una cosa in televisione meravigliosa, dove lui parte proprio dal concetto che non c’entra il papà, la mamma o quello che hai sofferto. Se tu hai dentro un disagio esistenziale, che è una forma di malessere per cui devi assolutamente soddisfare tutto e tutti, altrimenti ti senti colpevole di non avere aiutato quello o quell’altro … è questa forma di disagio – che lui è stato bravissimo a tirar fuori – il vero senso. L’etica per cui tu, dando agli altri, dai a te stesso. Ti ripaghi.”

J: Non è una forma di egoismo anche questa?

E: “No, perché dare senza aspettative non è egoismo. Se dai con l’aspettativa del ritorno, allora sì. Se dai con un senso di vittimismo, lamentandoti … pure. Basta. Tu puoi anche aver avuto una vita da disastro. Poi però ti dici: ‘Adesso devo farcela. Da solo. E andare avanti.’ Mencarelli è così: nei suoi libri, che sono autobiografie, dice proprio questo. Cosa fa lui per uscire dalla droga, dall’alcol? Va nell’ospedale Bambin Gesù a pulire la cacca di tutti quelli che ci sono lì. E da lì risale. Non c’è nessuno che ti può aiutare se tu per primo non fai un lavoro di questo tipo. E lui parla proprio di questo suo malessere, nel suo ultimo libro che è meraviglioso: fa tutto un percorso in cui va in varie case e vorrebbe aiutare tutti, perché il suo bisogno è quello …” 

 

L’amore con la “A”.

J: Che cos’è per te l’amore?

E: “L’amore deve essere puro e deve essere una scelta, non deve essere un bisogno. Vedi un sacco di persone che stanno insieme per bisogno. Bisogno del papà, della mamma, dei soldi, dell’appartenenza, bisogno di una donna che ti fa da mangiare. No. L’amore deve essere una cosa del tipo: ‘Ho voglia di vedere il tramonto con quella persona lì che, in silenzio, lo vede con me. Questo è l’amore. Il senso dell’amore. Poi, non confondiamo la passione del primo momento con l’amore.

C’è stata un’intervista che aveva fatto Costanzo. Io non lo amavo tanto, ma ne rispettavo l’intelligenza così come della De Filippi rispetto i valori profondi e non magari le trasmissioni che fa. Però mi piace come persona quando ha dei valori e si sentono. E lui ha detto una frase: ‘Il vero amore è l’affetto che viene nei lunghi anni in cui stai con una persona e la rispetti.’ Secondo me è questo l’amore. Non è quello che vediamo, tutto patinato. No, è l’amore di due persone che stanno insieme, si vogliono bene e si rispettano. Reciprocamente.”

 

Sul cambiare il mondo o fondarne uno nuovo.

J: Ha senso adoperarsi per cambiare il mondo in cui viviamo o ha senso piuttosto costruirne uno nuovo?  

E: “Nel mio lavoro penso sempre: ‘Se anche una sola delle persone che ho visto ha aperto il suo cuore, ha imparato a dare di più agli altri, ha imparato ad ascoltare, nel mio piccolo ho già cambiato il mondo. Penso che stia a noi mettere un piccolo seme. E sono sicura che quel seme lì, se l’ho messo bene, col mio cuore pulito, puro, un giorno darà il suo fiore.

Sai, io piango quando vedo l’orso che devono abbattere … E penso: ‘Caspita, ha ucciso una persona, ma che colpa ne ha? Non lo pensava in quel momento, non aveva la cognizione di ucciderlo. Oppure quando vedo la mafia, e penso: ‘Ma non ci sarà mai, mai una ragione per cui questa … scomparirà? In America buttano bombe, sparano ai bambini … e la mafia è ancora lì. E io mi dico: ‘Come facciamo a cambiare il mondo?’

Allora mi torna in mente una frase che diceva Borsellino, che mi piaceva tanto … che quando gli chiedevano: ‘Ma tu hai paura?’ Lui rispondeva: ‘Ho un sacco di paura. Ma vorrei che anche gli altri avessero più coraggio.’ Penso che sia questa la chiave. La vera chiave per vincere la paura è il coraggio.”

J: … e la speranza!

E: “… di andare avanti e di dire: Io, con coraggio e speranza, ho piantato un piccolissimo seme!”

J: Quali sono i tre valori che illuminano il tuo cammino?

E: “L’ascolto lo metto tra i primi perché è il valore dato dal rispetto dell’altro. Quindi è importantissimo. Io ti rispetto e quindi ti ascolto, perché così ti conosco. Poi sai ce ne sarebbero tanti da dire. L’onestà …

Ma uno dei valori che a me piacciono di più è la purezza. Purezza vuol dire che cerco di non giudicare mai. Faccio di tutto per non giudicare mai, perché chi giudica, giudica sempre. Chi non giudica invece, non giudica mai. Però ci vene facile, a volte, dire: ‘Quello lì, quello là …’ Per me quindi il valore della purezza è restare fermo nella mia etica e nella mia onestà, in quello che sono io: la purezza del mio sentimento. Non fermarmi alle apparenze. Guardare dentro.

A questo valore fa capo la sincerità. Nell’onestà c’è dentro anche la sincerità … Personalmente odio i bugiardi. Perché dico che la conoscenza è importante? Perché dico che in fondo Gesù ci ha lasciato quel libro bellissimo, che contiene dei consigli? Perché quando cominci a costruire una bugia, lo vedi anche nelle telenovelas, una, due, tre, cinque, dieci … tutte queste bugie fanno sì che la tua vita non vada avanti. Mai. Perché le bugie sono sempre una dietro l’altra. E quindi la tua vita non procede … Mai.”

 

Arrivederci a presto, Elena.

Ben, il barboncino nero toy della mia amica, abbaia festoso. Sembra voler dire: “È arrivata l’ora della mia passeggiata”. Prometto a Elena di pubblicare l’intervista nel mio blog su Betapress.it., nella speranza di raggiungere il maggior numero possibile di inconsapevoli brillanti, pronti a uscire dal “fango” di una vita – solo in apparenza – priva di senso. 

 

Foto: Giuseppe Pino.




“Spegni la TV, riaccendi la speranza”

Triennio 2020-2022: responsabilità di istituzioni e media nel sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A quanto pare, le restrizioni adottate e una cattiva gestione dell’informazione hanno influito in modo significativo sul benessere mentale delle persone più fragili, specialmente se intolleranti all’incertezza, o con disagio mentale preesistente.

In Italia, si assiste tuttora a un sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A confermarlo sono i risultati di ricerche scientifiche e studi condotti dall’ISS e dall’OMS, di cui condivido i link per chi volesse approfondire l’argomento.

Il fattore determinante è la paura

Raggiungo a Milano la dott.ssa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista dal 1982 e Consigliere Nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, per fare il punto della situazione.

Le chiedo quale sia, a suo avviso, il fattore determinante. “Nel 90% dei casi è la paura. Prima eravamo abituati all’idea di poter fare qualsiasi cosa, come se la morte non esistesse o fosse una lontanissima probabilità, che comunque non accade mai a noi. Improvvisamente siamo stati colti dalla paura di morire. Ed è questa paura ad aver schierato le persone in fazioni, alimentando divisioni e discriminazione.”

 

Le categorie più fragili

In base all’esperienza dell’intervistata, ad essere più colpiti sono gli adolescenti, molti dei quali manifestano forme di fobia patologica a tutto.

“La paura della morte è primordiale e ne siamo tutti più o meno toccati. Da ragazzi ci crediamo immortali. Col passar del tempo, si fa sempre più vicina. Il grande dramma al quale assisto nel mio lavoro è che il 90% dei miei giovani pazienti, alla domanda ‘Come va?’, risponde ‘Boh’. In generale sembra non abbiano più parole per ‘documentare’ ciò che provano, chi sono. L’unica parola che riescono a dire è ‘Boh’. I giovani d’oggi crescono senza conoscere se stessi” prosegue “E questo vale per tutti noi: non ci conosciamo più. ‘Grazie’ al computer e più in generale alla tecnologia, è come se viaggiassimo con un bigino in tasca della vita. Non abbiamo più una vita ‘vera’ dove incontrare le persone, conoscerle, capirle, confrontarci con loro sui fatti della vita. Molti di noi  – continua – tendono a chiudersi in ‘bolle’ in cui tutto va bene, tutto è perfetto …  Ma non è vero: sembrano ‘cadaveri’ che camminano. Non c’è la voglia di conoscersi, di ascoltarsi: ci si interrompe continuamente. Gli ascoltatori sono circa il 10%. Troppo pochi.” 

Riguardo alla donna, la Dott.ssa Pagliacci Cipriani non concorda con i risultati degli studi che ne evidenzierebbero una maggiore vulnerabilità. Pur essendo più sensibile al cambiamento, infatti, la donna ha sempre dimostrato una maggiore forza e resistenza rispetto all’uomo. Quest’ultimo, per sua natura, tenderebbe all’ipocondria, sottoponendosi a mille esami e analisi per accertare l’eventuale presenza di una malattia. Comunque l’uomo, più abitudinario rispetto alla donna, farebbe più fatica ad accettare e gestire il cambiamento.  

Per quanto attiene alla categoria sociale più colpita, la dott.ssa Pagliacci individua nella classe più abbiente una maggiore vulnerabilità alla sofferenza provocata dall’idea della morte, non più vista come lontanissima probabilità ma come qualcosa che può accadere da un momento all’altro. Di qui la corsa al vaccino vissuto come qualcosa di taumaturgico, in grado di salvarti la vita. Senza tener conto del fatto che, essendo in fase sperimentale, le conseguenze del suo utilizzo non erano e non sono tuttora pienamente prevedibili. 

Le fasce sociali media e bassa invece, più abituate alla “sofferenza”, hanno a suo avviso reagito molto meglio rispetto alla classe “alta”.

 

Il ruolo delle Istituzioni

Alla mia domanda sul modo in cui le restrizioni imposte abbiano influito sull’aumento degli individui colpiti da ansia, depressione e stress, la Psicanalista risponde che a tutt’oggi, nonostante non sia più obbligatorio, in ambiente ospedaliero rimane l’imprinting di indossare le mascherine. Questo, ovviamente, mantiene vivo il ricordo dei peggiori momenti del triennio trascorso, alimentando ulteriormente l’ansia.

E qui la dottoressa, che premette di odiare le etichette “pro vax” / “no vax” e i protocolli*, racconta un episodio della sua vita personale. Il fratello aveva avuto un tumore al polmone. Era stato operato e l’intervento era andato benissimo. Stava bene. Tuttavia il protocollo esigeva per lui la somministrazione di più dosi di vaccino. “È morto in ospedale in seguito a questi protocolli” conclude la Dottoressa Pagliacci Cipriani, convinta che se fosse rimasto a casa, curato da un medico “come quelli di una volta” che ti guardavano e capivano subito quello che avevi, e avesse preso le sue medicine, molto probabilmente oggi sarebbe ancora in vita.  

 

Il ruolo dei giornalisti e dei Media

Su quale sia la responsabilità dei giornalisti e dei media riguardo alla diffusione della paura, l’intervistata non ha dubbi: “È immensa: l’informazione trasmessa da radio e televisione nell’arco del triennio è tutta all’insegna della paura. Rare sono le persone che si azzardano a dire: ‘Tranquilli …’ e quei pochi vengono additati come quelli della contro informazione. 

“Quando muore qualcuno – prosegue –  tu stai bene al momento. È dopo che viene fuori il lutto. La stessa cosa è successa con il Covid. All’inizio si sono avuti dei drammi reali. È in un secondo tempo che sono emersi tutto l’immaginario e una scenografia deleteria: l’informazione aveva minato alla base tutto ciò in cui credevi. Accendevi la tv e sentivi, una dopo l’altra, centomila cose deleterie. In meno di un anno si è arrivati a non avere più fiducia in niente, soprattutto nei riguardi dei media e delle istituzioni. Dal patriottismo sanitario del ‘volemose bene’ – bandiera alla finestra, ‘Evviva l’Italia’, ‘Siamo tutti uniti’, ‘Che bello, siamo insieme’ – si è passati, nel giro di pochi mesi, a ‘Basta (cattive notizie ndr), non ce la faccio più’. Alla stanchezza e a un generale senso di impotenza si sono aggiunte, nel tempo, le fazioni. Senza ahimè comprendere che nelle guerre non ci sono mai né vinti, né vincitori. Gli schieramenti hanno generato incomprensioni, che hanno messo fine a rapporti di amicizia e di amore. Da un giorno all’altro, persone che credono di conoscersi da una vita si ritrovano improvvisamente ‘nemiche’. Anche quando dici di conoscere qualcuno, infatti, in realtà non lo conosci affatto. È solo nei momenti più drammatici che puoi conoscere davvero una persona: nelle malattie, nella lotta per la vita, nelle difficoltà economiche. Allora ti rendi conto che l’altro è simile a te non perché ne condividi per forza le idee, ma perché le manifesta con la stessa libertà con cui tu esprimi le tue.”

 

L’elaborazione del lutto

Affrontiamo ora il tema del dolore emotivo e della sua metabolizzazione.

“Nel primo periodo si sono avute molte morti in terapia intensiva, causate dal sovradosaggio di ossigeno che ha distrutto i polmoni dei pazienti”, dice l’intervistata, che entra nel merito del tipo di dolore affrontato. “Il dolore causato dal dramma vissuto dai parenti è quello di chi perde un proprio caro non in seguito a una lunga malattia, ma da un momento all’altro, a causa di un incidente. Nel primo caso c’è tutto il tempo per abituarsi all’idea della morte. Nel secondo si vive un ‘dramma’, e si cerca un colpevole da accusare. L’informazione, diffondendo un minestrone di idee contrastanti, non ha certo aiutato le persone a reggere il dolore per l’improvvisa, inaspettata perdita dei propri cari. A tutto questo si aggiunge la scarsità o l’assenza addirittura di iniziative, da parte delle istituzioni, tese a offrire un sostegno di carattere psicologico al maggior numero possibile di persone.”

 

La nuova normalità

Oggi si parla tanto di “nuova normalità”. Ma che cos’è e quanto ci costa, a livello mentale, accettare e adattarci a questa nuova normalità?

“Non è una nuova normalità – risponde la Dott.ssa Pagliacci Cipriani – è convivere con il pensiero che, dietro alla porta, possa sempre capitare qualcosa. Guarda caso, subito dopo il Covid c’è stata la guerra: è un continuum. E questo pensiero è comune in tutte le fasce d’età. Anche i giovani, interrogati sui loro progetti e sul loro futuro, non sanno più cosa rispondere. È forse questa la ‘nuova normalità’ di cui tanto si parla? Certamente no. È una ‘sopravvivenza’ aspettando qualcosa che magari non arriverà mai più e che se arriva, è un qualcosa che stavi comunque aspettando. È bruttissimo.”

 

Il miglior antidoto alla paura

Per concludere chiedo alla Psicanalista quale sia, a suo parere, il miglior antidoto alla paura. “La speranza. Se nutri speranza, per esempio riguardo a un progetto, puoi ancora pensare che ogni cosa si risolverà. Ma se la speranza viene a mancare, soggiogata dai ‘Boh’, c’è poco da fare. Dovrebbe però, a mio parere, rinascere in una forma nuova, all’insegna del ‘basta con l’apparenza’. Non ne possiamo più dell’apparenza!”

 

Il modus operandi

“La scuola americana cognitivo comportamentista dice: ‘Cosa hai fatto? Ti spiego’. Io sono assolutamente certa che se tu non hai capito cosa precede il cosa è successo e poi vediamo cosa fare, non potrai mai guarire davvero. Perché sarà un cerotto. Quello che vedo, tra molti dei miei colleghi, è una superficialità ormai così forte per cui ciò che interessa è innanzitutto il guadagnare … Sono pochissimi i colleghi che si rendono conto che il paziente non ha neanche gli occhi per piangere. Oggi c’è: quanto ti deve dare, cosa deve fare … Anche qui parliamo di protocollo. Non parliamo di umanità, è come se l’umanità fosse scomparsa. Perché? Perché non si guarda oltre all’apparenza: quello che è ricco, quello che conta … ma chi se ne frega? Io devo guardare quello che c’è dentro. Devo aiutare questi ragazzi che urlano in silenzio.”

 

Le fonti

Dai risultati di uno studio condotto dall’ISS e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Padova, pubblicata dalla rivista accademica Bmj Open, si apprende che in Italia, durante il lockdown, l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio.  

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6898844

https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2022-04-26/covid-iss-il-lockdown-e-aumentata-depressione-soprattutto-giovani-160507.php?uuid=AE6GUTUB

L’OMS, nel testo della sua Costituzione firmata a New York il 22 luglio 1946, dà della salute questa definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Eppure, nel Survey pubblicato il 5 ottobre 2020, il Direttore Generale Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, ammette che il “COVID-19 ha interrotto i servizi essenziali di salute mentale in tutto il mondo proprio quando erano più necessari. I leader mondiali – continua – devono muoversi in modo rapido e deciso per investire di più in programmi di salute mentale salvavita, durante la pandemia e oltre”. 

https://www.who.int/news/item/05-10-2020-covid-19-disrupting-mental-health-services-in-most-countries-who-survey#:~:text=Bereavement%2C%20isolation%2C%20loss,outcomes%20and%20even%20death

Sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite si legge un riassunto del documento emesso dall’OMS il 10 marzo 2022: “Covid-19 aumenta del 25% i casi di ansia e depressione”. L’articolo mette in evidenza chi è stato maggiormente colpito e riassume l’effetto che la pandemia ha avuto sulla disponibilità dei servizi di salute mentale e su come questi siano cambiati durante il triennio.

https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/

 

 




Il coraggio eroico di Ornella Vanoni

 

Il 3 febbraio prossimo, al Palazzo dei Congressi di Lugano, farà tappa l’imperdibile show di Ornella Vanoni: “Le Donne e la Musica”.

Ad accompagnare la Signora della canzone d’Autore italiana, una piccola orchestra di cinque musiciste d’eccellenza: Sade Mangiaracina (pianoforte e arrangiamenti), Eleonora Strino (chitarra), Federica Michisanti (contrabbasso), Laura Klain (batteria), Leila Shirvani (violoncello).

Il concerto è un’ottima occasione per riascoltare – oltre ai più recenti – i motivi che ne hanno decretato il successo nel mondo godendo, tra un brano e l’altro, del suo schietto modo di raccontarsi.

“Unica”

Ornella Vanoni, oggi, è limpida espressione e compendio di una vita vissuta con audacia alla scoperta di se stessa e dei suoi straordinari, multiformi Talenti. Il suo percorso umano e artistico, eccezionalmente ricco e longevo, è costellato di mete riservate a pochi. Comunque, in quasi settant’anni di carriera, di lei è stato scritto e detto tutto. Mi chiedo come sia possibile renderle omaggio, tenendo desti i lettori fino all’ultima riga dell’ennesimo articolo a lei dedicato. 

Ebbene: rivisitando alcuni momenti della sua vita alla luce del “Viaggio dell’Eroe” di Vogleriana memoria, ho individuato tre degli ingredienti del suo Successo: il Coraggio, l’Amore e l’Autoironia. Valori tutt’altro che scontati, che possono ispirare anche noi a trarre il meglio dall’esperienza che chiamiamo “vita”.

“Il Coraggio”

In ogni Viaggio dell’Eroe che si rispetti, non è facile all’inizio. Timidissima, insicura, ignara del proprio potenziale, O. non sa che fare di sé. Parla cinque lingue ma si sente “ignorante”. Eppure è già dotata di tutte le risorse necessarie per realizzarsi in pieno nella sua Identità più vera. C’è già tutto! Deve solo prenderne atto. “Non avevo nessun fuoco – racconta in un’intervista – ero inconsapevole di qualsiasi talento … Ero una ragazza da inventare.” 

“Hai una bella voce, perché non fai l’attrice?” le dice un giorno un’amica della madre. Se la vita è un groviglio di strade tutte virtualmente praticabili, a ogni incrocio c’è un segnale e sta a noi interpretarlo e prendere la giusta direzione. Ornella prepara la poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese e un pezzo dell’Elettra di Sofocle. Quindi si presenta all’esame di ammissione alla scuola del Piccolo Teatro. Davanti a sé ha dei “giganti”: oltre al regista Giorgio Strehler, ci sono l’impresario teatrale Paolo Grassi e l’attrice Sarah Ferrati che, dietro all’impaccio e alle interruzioni dell’aspirante allieva, percepisce “qualcosa”. Infatti, viene presa.   

È con Strehler che Ornella intraprende il Viaggio alla scoperta di se stessa. “Ragazza da inventare”, in lui trova un maestro, un mentore, un uomo nel cui abbraccio sentirsi al sicuro. Per usare una metafora a lei cara, è un pezzo di legno che, nelle mani del suo Geppetto, si lascia trasformare in Pinocchio.

Il Piccolo Teatro è una ventata di cultura per la giovane Ornella. Parla pochissimo. Ascolta. Osserva. Assiste alle prove dei “grandi”, rubandone gesti e intonazioni. Impara. Cresce in fretta.

Ma la prova più grande da affrontare è il dissidio interiore fra la sua timidezza e una “missione” che la vuole sotto i riflettori, esposta all’attenzione, alla curiosità e al giudizio del pubblico.

Di questo Strehler è consapevole fin dall’inizio: “Amore hai un grande talento ma se sali sul palco è un miracolo, perché non hai i nervi per fare questo mestiere.” Il regista ha un’idea geniale: creare per lei un personaggio su misura. Nasce la “ragazza della mala” e un repertorio di finti traditional, in uno dei più famosi falsi storici della canzone italiana.

L’immagine della cantante intellettuale, dai modi scostanti e dall’aria un po’ snob è costruita, certo, ma funzionale a coprire la sua insicurezza. D’altra parte il pubblico, incuriosito, si lascia ammaliare dal suo fascino naturale, da questa sua moderna bellezza e soprattutto, da un timbro di voce unico al mondo. (A me ricorda tanto il sax soprano). 

Negli anni a seguire il cliché della cantante della malavita le sta stretto. La nostra eroina lascia il porto sicuro del Piccolo Teatro, il suo “creatore” e i suoi eccessi. Ha paura? Probabilmente sì. Ma è più forte in lei il desiderio di cimentarsi in cose nuove: la canzone d’autore, il jazz, il Brasile …

Seguono anni d’ansia, notti insonni, tre crisi depressive. Alla fine, la Vanoni si arrende al suo destino di eclettica Artista. “A un certo punto mi sono detta: ‘Magari sono brava’”. È la resa essenziale alla vittoria. 

Gli strepitosi risultati da lei ottenuti in campo teatrale, musicale, televisivo e cinematografico, sono tutti in rete.   

Ciò che di lei qui mi preme evidenziare è l’aver risolto, nel tempo, l’interiore incoerenza fra essere e apparire. Il duello fra paura e coraggio che assorbiva così tanta energia, ormai è un lontano ricordo. Basta ansia, insonnia, depressione! Non ce n’è più motivo.

“L’Amore”

Probabilmente è stato il padre a ispirare, in lei, la sua prima idea di Amore.

Di lui conserva, indelebile, il ricordo dell’eroe che, nel suo cappotto grigio, la prende per la vita e porta in salvo facendole scudo con il corpo, in una Milano sotto i bombardamenti. 

Quella del padre per la figlia è la forma d’amore più puro. Esistono, tuttavia, varie forme d’amore, come vari sono i personaggi che lo interpretano.

Strehler è il mentore, la guida, il faro nella nebbia. “Hai vent’anni, arriva il tuo maestro che è un genio assoluto e ti dichiara il suo amore. Che fai, non ti innamori?” Alzi la mano chi non si è mai innamorata del proprio professore, a scuola! 

Gino Paoli è l’amore irraggiungibile per cui lottare. “È stato un casino, un amore molto travagliato e forse ho amato Paoli così tanto proprio per questo. Non lo possedevo, non lo avevo” – confessa Ornella al giornalista  Malcom Pagani per Vanity Fair – “Quando non hai una persona sei portato a credere che l’amore più grande sia quello che ti fa soffrire di più. E invece, caxxo, dovrebbe essere il contrario. Dovresti amare chi ti rende felice». Qualcuno di noi ci è già passato? 

Lucio Ardenzi è l’errore di percorso che però ti fa un regalo, anzi, due: il debutto in teatro e un figlio. Nel 1960 Ornella si sposa in giallo (a quei tempi il suo colore preferito). Ha ventisei anni, l’età giusta per metter su famiglia. Ma non è vero amore. La verità è che è ancora innamorata di Paoli. Alla nascita di Cristiano, lei e il marito sono già separati. 

Hugo Pratt è l’amore platonico. Anche se tra loro non c’è stato mai nulla a livello fisico, la Cantante lo ricorda come l’uomo più affascinante che abbia mai incontrato. Quando ne parla le si illuminano gli occhi. “Avrei voluto seguire tutta la vita lui e morire vicino a lui” racconta in un’intervista. “E poi quando parlava, quando scriveva, quando raccontava … era un po’ come Borges … non capivi mai quale era la verità, quale era la finzione, quale era l’invenzione … Poi questa sua curiosità … Tu ti sedevi davanti a lui e il mondo era lì.”

Pino Roveredo (scrittore recentemente scomparso) è l’amore intellettuale, poetico, virtuale. “Un amico vero – ha confessato ad Alex Pessotto per “Il Piccolo” – ma quante litigate! La sua era un’intelligenza creativa. Parlare con lui era un piacere”.

Francesco Leto è l’amore non convenzionale. Nonostante i quasi quarant’anni di differenza d’età i due hanno trascorso, nello stesso letto, notti intere a chiacchierare.

Negli anni della maturità, l’amore acquista sfumature bellissime. È l’Amore che abbraccia il Tutto e si fa dolce come un frutto maturo. È l’amore incondizionato che Ornella prova per suo figlio Cristiano e i suoi nipoti Matteo e Camilla. È a loro che è dedicato il suo cinquantesimo disco: “Unica”.

Gesù è l’Amore che sposa, dell’Artista, la parte animica. Riempie, mitigandoli, i momenti di solitudine e malinconia. Riaccende nel suo cuore la speranza. A Ornella piace immaginarlo stanco, la sera, per il tanto camminare. Lei lo accoglie e lo rincorre per casa. Gli lecca i piedi nella certezza che non potrà ammalarsi: dopotutto, per quanto sporchi e impolverati, sono i Suoi piedi!

E poi c’è l’amore per gli amici, pochi ma veri. L’amore per gli ultimi, i vulnerabili, i sofferenti. L’amore che si esprime nell’abbraccio di qualcuno che ti stringe forte. “Perché l’abbraccio scioglie tutti i nodi. Ed è la cosa più bella che esista.”

L’amore per Ondina – il suo barboncino nero – inseparabile compagna di serate da “ragazze sole” trascorse giocando, mangiando, guardando la TV.

E poi c’è l’amore per l’Arte, per la Bellezza in tutte le sue forme e modalità espressive, per la Cultura, la Poesia, la Musica. Riguardo a quest’ultima, la Vanoni non è innamorata di un genere specifico: ama la musica di qualità. E ama il Talento, soprattutto quando è raro e straordinario.

L’Autoironia

Ornella si autodefinisce “spudorata”. Certo, un po’ lo è sempre stata, ma è finito il tempo in cui l’eccesso di franchezza serviva a mascherare il terrore del giudizio o di non essere all’altezza. Oggi Ornella si racconta senza tabù, mettendo in luce le sue umane debolezze, le idiosincrasie, le delusioni … soffermandosi a volte sugli episodi più buffi, o imbarazzanti, che la vedono protagonista. E qui l’autoironia, che è frutto di una piena accettazione di se stessa e del proprio intrinseco valore, la fa da padrona. 

Chi ha avuto la fortuna di conoscerla, di frequentarla per un periodo o anche soltanto di imbattersi in lei in centro a Milano a spasso con Ondina, sa benissimo che è “unica”: unica nella sua coerenza, perché è la stessa persona in pubblico e in privato. 

Oggi è tranquilla, serena, pienamente soddisfatta di sé e delle cose che ha fatto. Non ha alcun rimpianto. “Sono libera, sono lieve. Mi occupo più degli altri che di me stessa”. Meno egotica, più generosa, l’Artista si sente molto più felice di quand’era giovane. Anzi, la sua “vecchiaia” le piace tantissimo!

Il segreto della sua (invidiabile!) libertà di oggi, forse, è nell’aver trovato il coraggio di essere se stessa e, soprattutto, nel non prendersi troppo sul serio. Indubbiamente, basta un pizzico di autoironia per rendere la vita un’esperienza più “leggera” – che non vuol dire superficiale! – divertente e sopportabile, anche nei momenti più delicati. 

Non ci rimane che raggiungerla il 3 febbraio alle 20:30 al Palazzo dei Congressi di Lugano, in occasione dell’ultima tappa del suo concerto “Le Donne e la Musica”. Ascolteremo dalla sua viva voce le canzoni e i momenti che hanno costellato la sua lunga storia di Donna e Artista, rendendola “Unica”. 

 




Un “Aspern” che passerà alla storia

Prologo

“Strano, certamente, oltre ogni stranezza / che nell’inseguire tracce su tracce / ci fossimo imbattuti in fantasmi e polvere / meri echi di echi …”

Con queste parole, pronunciate dal narratore al microfono che rende la voce solenne come quella di un prete durante l’omelia, prende l’abbrivio uno spettacolo mai visto né sentito prima in questo modo: “Aspern”, “Singspiel” in due atti di Giorgio Marini e Salvatore Sciarrino, tratto dal racconto di Henry James “Il carteggio di Aspern”. Musica di Salvatore Sciarrino.

 

 

Una geniale Edizione

L’idea della giovane regista Sara Flaadt consiste nel celebrare il felice connubio fra prosa e musica contemporanea in uno degli auditorium più apprezzati d’Europa, quello della sede di Lugano della Radio Svizzera Italiana.

Accanto al fondale c’è l’Ensemble900, diretto dal Maestro Arturo Tamayo, costituito da due flauti (Benedetta Ballardini e Ilaria Torricelli), viola (Charlotta Westerback), violoncello (Elide Sulsenti), clavicembalo (Marco Borghetto) e percussioni (Igor Tiozzo Netti).

Nel proscenio si muovono e alternano gli attori a impersonare, rispettivamente: il poeta e narratore Henry Jarvis (Daniele Ornatelli), Giuliana (Giuseppe Palasciano), Titta (Jasmine Laurenti) e l’ermafrodito (Diego Pitruzzella).

A fare da contrappunto, fuori campo e in campo, è lo “spirito” impersonato dalla cantante soprano Elisa Prosperi.

Per consentire al pubblico di immergersi nell’atmosfera intessuta da strumenti e voci – grazie a sette microfoni collocati in quattro differenti postazioni, due intorno alla “testa”, due nell’area del “dialogo”, uno sul proscenio a mo’ di pulpito, due in cabina per gli ambienti esterni – ogni spettatore è dotato di un paio di cuffie stereo.

 

 

Note dell’Autore: Salvatore Sciarrino

A differenziarlo dal teatro realizzato fino a quel momento è “la scelta di un taglio stilizzato e ironico, al limite del paradossale: l’opera ‘a numeri’… È un singspiel deformato dalla lontananza dai suoi modelli: l’ouverture, le arie, i parlati, i ‘melodrammi’, i brani solo strumentali, si stemperano gli uni negli altri … Nell’insieme lo spettacolo mantiene nettissimi rigore e precisione pur nell’originalità dell’espressione … Abbastanza insolito, almeno per il teatro musicale contemporaneo, è il fatto che una situazione in taluni punti fin mortuaria, possa crescere e svilupparsi ai confini del riso … Altra anomalia è il fatto che l’unico personaggio cantante non abiti la scena – come del resto non alloggia in buca l’orchestrina – ma anzi la diserti d’abitudine. Infine, i testi musicati sono ‘altro’ da ciò che si sarebbe definito il libretto vero e proprio; essi, che pur garbatamente s’attagliano allo svolgersi dell’azione, la mettono in realtà quasi in discussione, offrendosi talvolta persino, più che come commenti, come il senso riposto dei fatti (‘la morale’), con ironia e malizia settecentesche, senza dubbio: tutto diviene finzione”.

Salvatore Sciarrino, dalla nota illustrativa redatta in occasione della première di Aspern, composta su commissione del Maggio Musicale Fiorentino, presso il Teatro della Pergola l’8 giugno 1978.

 

Trentaquattro anni dopo, a Lugano …

… prende il testimone Sara Flaadt, autrice e regista per il settore fiction della RSI. Nonostante la sua giovane età Sara ha un curriculum costellato di radiodrammi, pièces teatrali, opere musicali e il suo primo film, “Rivivendo Baudelaire”, presentato in anteprima al Lux Art House di  Massagno-Lugano lo scorso 9 aprile.

È sua l’idea di fare di “Aspern” un evento sonoro in cui musica e voci, sovrapponendosi e avvicendandosi, accompagnino lo spettatore-ascoltatore a vivere un’esperienza unica e memorabile.

Lo stesso Sciarrino, presente alle prove generali la sera prima del debutto, esprime parole di encomio per ogni singolo membro dello staff tecnico e artistico: un premio prezioso per l’impegno profuso!

Al termine della performance gli spettatori – alcuni di loro estimatori del genere, altri curiosi di provare un’esperienza di questo tipo – condividono il loro apprezzamento per l’originalità e la “fruibilità” dello “singspiel”. Qualcuno di loro mi omaggia con brevi riprese fatte col telefonino. Realizzo allora che, a “orecchio nudo” – senza cuffie – sarebbe impossibile godere di questa meraviglia: la magia, infatti, è frutto della perizia di un team di tecnici audio che, dal mixer in regia, “dosano” musica e prosa con la stessa maestria di un pittore che gioca coi suoi colori.

 

 

La storia, in breve

Uno scrittore – il narratore, che assume di volta in volta anche le voci di Giuliana e di Titta – rievoca la sua ricerca del carteggio del poeta americano Geoffrey Aspern, in possesso dell’ormai decrepita Giuliana Bordereau, un tempo amica – o forse amante – dell’ormai defunto poeta.

Così, con la scusa di doversi trattenere a Venezia per un lavoro letterario, riesce a prendere in affitto a un prezzo esoso alcune stanze della spettrale dimora delle due donne. La sua speranza è quella di potersi impadronire delle carte di Aspern, alla morte della vecchia signora.

In una rara conversazione con Titta, lo scrittore ne conquista il favore ottenendo conferma dell’esistenza delle lettere di Aspern a Giuliana. Quest’ultima le legge nottetempo, se ne prende cura e preferirebbe vederle distrutte piuttosto che cederle ad altri.

Approfittando dell’oscurità e della porta stranamente spalancata, il narratore si introduce nella camera dell’anziana signora nella speranza di trovare il prezioso carteggio.

Purtroppo non riesce nel suo intento: Giuliana si accorge della sua presenza e, in preda alla furia, cade all’indietro, morta, tra le braccia della nipote.

Il giorno dopo lo scrittore chiede a Titta delle fatidiche lettere e lei gli fa capire che, sposandola, potrebbe entrarne in possesso. Il narratore farfuglia un rifiuto e se ne va. Ci ripensa e torna il giorno seguente, ma è troppo tardi. Titta già ha bruciato le lettere, una ad una.

(una sintesi dell’argomento, dal libretto di sala).

 

 

Applausi

Dedico la mia standing ovation, oltre che allo scrittore Henry James, agli Autori Giorgio Marini e Salvatore Sciarrino, alla regia (Sara Flaadt), alla produzione (Francesca Giorzi), ai tecnici audio (Thomas Chiesa, Yuri Ruspini, Lara Persia), al Maestro Arturo Tamayo, ai musicisti dell’Ensemble900 (Benedetta Ballardini, Ilaria Torricelli, Charlotta Westerback, Elide Sulsenti, Marco Borghetto, Igor Tiozzo Netti), alla soprano Elisa Prosperi, agli attori Daniele Ornatelli (narratore), Giuseppe Palasciano (Giuliana), Diego Pitruzzella (ermafrodito), e anche a me nei panni della nipote di Giuliana, Titta.

Dallo spettacolo, andato in scena domenica 27 novembre 2022, verrà estratto un radiodramma. Il video verrà trasmesso dalla Tv Svizzera in data da stabilire.

Per ora è tutto. Alla prossima Pagina di Diario!

Jasmine Laurenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Diario di Eva alla 79ma Mostra del Cinema di Venezia – Terza Parte

Julianne and Me

La cronistoria di un sogno che si avvera

Mi ero ripromessa di scriverne al mio ritorno a Lugano ma, colta di sorpresa da un vortice di novità al mio rientro, riesco a farlo solo ora.

L’esperienza veneziana è stata un momento di gloria, un vero e proprio tatuaggio nella memoria.

A cominciare dai preparativi, come la scelta dell’abito e degli accessori.

Il meteo dava pioggia, per l’otto di settembre. Eppure, continuavo a “vedermi” nel mio lungo abito di seta damascata in nuances avorio e champagne con spalline sottili, con sandali d’oro e una micro borsetta dai cangianti riflessi argento e oro. Una chicca.

Si riaffaccia alla mia mente un’antica domanda: “Come potrei sentirmi a Venezia – città che, per me, non ha pari al mondo per carisma, fascino e mistero – passeggiando lungo il Lido brulicante di folla variopinta, in occasione della Biennale del Cinema?”

Quest’anno ho avuto l’ebbrezza di essere Eva in “Sola Nina”, secondo lungometraggio a firma del regista indipendente Massimo Libero Michieletto – il suo esordio alla macchina da presa è avvenuto con “Desiderie”, docufilm di cui abbiamo già parlato – interpretato fra gli altri dalle attrici Carlotta Piraino (Nina) e Maria Casamonti (Maria), coprotagoniste di una storia intrisa d’amore, imprevedibilità e speranza.

Il film, che mentre scrivo è in post produzione, è stato presentato lo scorso otto settembre alla conferenza stampa indetta dalla Treviso Film Commission assieme ad altre nove opere: un altro lungometraggio – “72 ore e …” di Luciano Luminelli – tre format e serie tv – “48 ore” di A_LAB Produttore, “Bottega Reato” di Restera Produzioni, “Drive Up” di Silvia Chiodini – un documentario – “I Colli Asolani” di Piero Cannizzaro – tre cortometraggi – “Until The Last Breath” di Eddy Colucci, “Bianco” di Elena Carnio, “Valdo Hills Meet” di Riccardo Della Vedova – un video promo – “Golfer’s Wide To Italy, GOLF TV Web Channel” IMG Produzione.

A Treviso, la città dei miei felici albori …

Ho scelto di pernottare a Treviso – città dove ho trascorso i miei primi, spensierati anni come “voce” alla radio – così che, a una ventina di minuti di viaggio da Venezia, avrei potuto immergermi nell’atmosfera festivaliera in modo dolce, graduale.

Senonché, sveglia di primo mattino, mi affaccio alla finestra e vedo, sul tetto del palazzo accanto al mio hotel, pozzanghere d’acqua e sopra, piccoli cerchi concentrici. Nell’arco di pochi minuti, è pioggia torrenziale.

Il cielo è bianco e il palazzo di fronte sembra giocare a nascondino in una nube di vapore. A un certo punto, sul davanzale, chicchi di grandine cadono con gran fragore.

Getto uno sguardo sul letto, sui jeans da abbinare a un maglioncino di cotone bianco e poi sul lungo abito, appeso alla specchiera dell’armadio, miracolosamente sopravvissuto al trasporto in valigia.

Mando un messaggio all’amica più cara – la mia “Fata Madrina” – e le chiedo un parere sul da farsi.

La risposta arriva, inequivocabile: “Non cambiare programmi. Comprati un impermeabile lungo, di nylon, da uomo e un paio di ballerine d’oro. Poi magari non piove …”.

Così, mentre fuori continua a diluviare, indosso il mio abito da diva e i sandali d’oro. In un morbido zainetto ripongo jeans e maglioncino, sperando di non dovermi cambiare.

 

A Venezia, la città dei gloriosi approdi …

C’è una canzone che mi piace moltissimo: “Destinazione Paradiso” di Gianluca Grignani. Decido di farne la colonna sonora del mio breve viaggio verso Venezia, di prima mattina, avvolta nel mio abito da sera. “Come se” il sole mi fosse garantito per tutto il giorno; “come se” mi attendesse l’Oscar come migliore attrice non protagonista; “come se” fosse tutto meravigliosamente già scritto, nel libro d’oro del mio Destino.

Mi siedo accanto a Massimo – il regista – e a Eliana – Segretaria di Produzione. Insieme pregustiamo la giornata che ci attende. Al capolinea, Venezia S. Lucia, ci raggiunge Carlotta – “Nina”, l’attrice protagonista. Dopo aver acquistato impermeabili in nylon tascabili, prendiamo il bus navetta che ci porta al Tronchetto e lì, a mezzogiorno, partiamo in battello per il Lido.

 

Un magico incontro

La memoria corre all’ormai lontano 2014, nel piccolo appartamento nel West Village, con la mia compagna di viaggio Lisa. Squilla il mio cellulare italiano. È la casa di doppiaggio che mi chiede la disponibilità per settembre. In direzione, l’attore Claudio Moneta. L’attrice da doppiare è Julianne Moore nella riedizione italiana di “An Ideal Husband”, film del 1999 diretto da Oliver Parker, tratto dall’omonima commedia di Oscar Wilde.

Beh, non capita tutti i giorni di essere scelti come voce senza passare per un provino. Claudio aveva fatto la sua scelta, bontà sua. Non mi restava che dire “sì, ci sono” e quando avrei potuto recarmi in sala di doppiaggio.

Ecco: il mio pensiero va a quel momento, in quel piccolo appartamento condiviso con Lisa a Manhattan. Quale onore poter dare la mia voce all’attrice – e che attrice! – Julianne Moore, nei panni della spregiudicata, elegantissima Mrs Laura Cheveley!

Ma torniamo a noi e alla nostra gloriosa gita veneziana …

Al Lido, sotto un timido sole, ci mettiamo in posa per la foto di rito. Oltre al regista Massimo Libero Michieletto c’è Eliana Boschiero (Segretaria di Produzione) e le attrici Carlotta Piraino (Nina), Giovanna Digito (la ragazza vestita da sposa) e la sottoscritta (Eva, sorella maggiore di Nina). Con noi c’è anche una distinta signora, Lisa, uno degli sponsor del Progetto.

Manca qualche minuto all’inizio della conferenza che si terrà in una delle sale dell’Hotel Excelsior. Temporeggiamo, chiacchierando del più e del meno.

A un certo punto, passa davanti a noi un gruppetto di persone e in mezzo a loro, l’esile figura di una donna in tee shirt e pantaloni blu scuro, un berretto con frontino in tinta ben calcato sulla fronte, e un paio di occhiali neri. Sarà la chioma rossa … sarà l’elegante andatura … ha un’aria familiare. Incrocio il suo sguardo, le sorrido e, per un istante, ho l’impressione che mi stia ricambiando!!!

Ma certo! È Julianne Moore! Condivido felice la mia scoperta con il resto del gruppo, aggiungendo di averle dato la mia voce nella riedizione italiana dell’home video di “Un Marito Ideale”.

Sono contenta e paga di averla vista passare, a pochi metri da me.

 

Se puoi avere di più dalla vita, perché accontentarti?

Alle mie parole, la reazione di Eliana è immediata: “Ma come, le hai dato la tua voce e non glielo dici???!!! Ma quando si ripresenta un’occasione come questa?!?” Eli è un fuoco d’artificio in pieno giorno. Si offre di accompagnarmi. Ci dirigiamo a passo spedito verso l’ingresso principale. A un certo punto dobbiamo correre, perché il gruppetto è a pochi metri dall’entrata e gli basta un attimo per scomparire alla nostra vista, scortato da una guardia del corpo.

Non mi resta che portare la voce, sollevarla come si fa a teatro affinché lo spettatore dell’ultima fila possa udirla: “Hello Mrs Moore, I’m Jasmine Laurenti, your Italian Voice in the Italian re-edition of ‘An Ideal Husband’!!!”.

Silenzio. Nel venticello veneziano, quell’esile creatura si gira verso di me, a un passo dalla porta d’ingresso … scosta con la mano la guardia del corpo pronta a impedire il nostro incontro e mi sorride, come una bambina che scarta il suo regalo di compleanno.

“Really????” “Really”. Segue un abbraccio e un gioioso, reciproco apprezzamento. Penso alla bravissima doppiatrice che le ha dato la sua voce nella prima edizione italiana, la bravissima Roberta Greganti. Col pensiero condivido la mia gioia con lei, sperando che abbia il dono della telepatia.

 

Morale di questa breve, felice storia.

La vita è costellata di felici, inaspettati avvenimenti. Per tutti, nessuno escluso. Anche per te, che stai leggendo queste righe proprio ora. È che pensiamo spesso, ed è questo il nostro errore, di aver già ricevuto “abbastanza”.

Ma la vita ha sempre un asso nella manica e, quando meno te lo aspetti, ti presenta un Regalo.

Io sono stata benedetta doppiamente. Anzi. Triplamente.

Nell’aver colto l’opportunità di fare la mia parte in un Progetto di valore non mio, come se fosse stato un po’ anche mio.

Nell’aver riconosciuto in un’esile figura di passaggio, una delle attrici a cui ho dato la mia voce. Una delle mie preferite.

Nell’aver ricevuto, al momento giusto, una dose di scoppiettante entusiasmo per la Vita: l’entusiasmo bambino di chi in Essa si abbandona e si fida. Grazie Massimo. Grazie Eliana. E grazie Julianne!

Alla prossima,

Jasmine

Incontro Julianne Moore