Il DPO: logiche e costo

  1. Il DPO non è un consulente: FALSO. Il DPO svolge principalmente un ruolo di informazione e sorveglianza  che è sostanzialmente affine alle attività tipiche della consulenza specialistica.
  2. Il DPO effettua le Valutazioni d’Impatto sulla Protezione dei Dati / PIA / DPIA (ex art. 35): FALSO. Il suo compito è quello di informare il Titolare della necessità di farle – o farle fare dal Privacy Officer – e poi eventualmente di controllarle, su richiesta, al fine di verificare che siano state fatte nel modo opportuno (il parere di cui al comma c di cui sopra).
  3. Il DPO compila il Registro dei Trattamenti (ex art. 30): FALSO. Vedi quanto detto sopra per le Valutazioni d’Impatto (punto 2).
  4. Il DPO è il principale punto di riferimento normativo dell’azienda in tema di Privacy. FALSO. Quel ruolo spetta in prima battuta al Privacy Officer, ovvero all’ufficio privacy e/o compliance aziendale. Il compito del DPO è semmai quello di fornire consulenza in merito ai punti non già adeguatamente coperti dalle procedure esistenti, con l’obiettivo di rendere queste ultime sempre più adeguate alle tipologie di dati trattati (e relativi oneri). Il DPO non è un tappabuchi: il suo compito è spingere l’azienda a imparare a tapparli da sola.
  5. Il DPO deve occuparsi di formazione dei dipendenti o del personale: FALSO. Vale lo stesso discorso fatto per il punto 4: al DPO non spettano le attività di formazione, il suo compito è assicurarsi che l’azienda provveda a organizzare i percorsi di formazione adeguati alle tipologie di dati trattati (e relativi oneri).
  6. Il DPO ha la responsabilità di come l’azienda opera e agisce in ambito Privacy: FALSO. La responsabilità ricade sempre e comunque in carico al Titolare del trattamento e, limitatamente al loro incarico, ai Responsabili da lui nominati; il DPO non ha responsabilità ulteriori a quelle direttamente connesse alle sue mansioni – come ad es. la comunicazione obbligatoria al garante in caso di Data Breach rilevante, anch’essa peraltro su impulso dell’azienda.

ma cosa può chiedere un DPO?

Una ipotesi verosimile da cui partire potrebbe essere la seguente:

  • Attività svolte in azienda 100 € + IVA / ora. Audit, sopralluoghi, controlli e verifiche on-site, interviste, riunioni et al.
  • Attività svolte da remoto : 50 € + IVA / ora. Revisione della documentazione, consulenza off-site, controlli delle informative, ricerche normative, comunicazioni al garante, conference-call et al.
  • spese di trasferta al pari di quelle pagate per i revisori

E’ superfluo sottolineare che il criterio di cui sopra è pensato per DPO esterni o per collaboratori assunti con partita IVA: del resto esiste un general consensus sul fatto che nominare un dipendente non sia una buona idea, stante l’oggettiva difficoltà di dimostrare i requisiti di indipendenza, autonomia e libertà previsti e richiesti dal GDPR.

Questo semplice metodo di calcolo non è ovviamente sufficiente per formulare un’offerta, ma può costituire una buona base di partenza se coadiuvato da un piano di audit adeguato e da una stima di un certo numero di attività standard, che è possibile pre-programmare e pre-calcolare: il tutto al netto di possibili attività ulteriori – rigorosamente da concordare e autorizzare nel corso dell’anno – che si renderanno eventualmente necessarie a seguito di eventi imprevedibili ovvero emergenziali, anche in conseguenza del possibile cambio delle normative o di nuovi provvedimenti attuativi emanati dal Garante: si pensi ad esempio al tanto atteso decreto di armonizzazione, previsto per agosto 2018, e alle novità che potrebbe introdurre – in positivo o in negativo – in merito agli oneri connessi alla figura del Titolare ovvero del DPO.

Volendo fare un esempio pratico, utilizzando i numeri di cui sopra sarebbe possibile ipotizzare un preventivo di questo tipo:

  • Analisi documentale (16 ore off-site): 800 €
  • 1 Audit annuali (4 ore on-site ciascuno): 400 €
  • Consulenza remota (8 ore off-site): 400 €

Per un totale di 1600 € / anno, al netto di ulteriori esigenze o necessità da valutare in corso d’opera: si tratta senz’altro di un compenso adeguato all’effort sostenuto in termini di servizio reso.

In linea generale, chiunque lavori o abbia lavorato nel ramo della consulenza sa perfettamente che l’adozione di un criterio di determinazione del pricing basato sulle ore di impiego effettivo ha l’enorme vantaggio di tutelare sia il committente (l’azienda) che il professionista (il DPO): il primo eviterà il rischio di pagare costi eccessivi rispetto ai servizi ricevuti, mentre il secondo non correrà mai il rischio di dover lavorare al di sotto del margine di guadagno previsto. Non serve una risk analysis per comprendere che si tratta di una riduzione considerevole del rischio di impresa per entrambe le parti, a tutto vantaggio della valorizzazione (e quindi, si spera, della qualità) del lavoro effettivamente svolto.

Al tempo stesso, non dubitiamo che ci saranno molti Titolari (e non pochi DPO) che non potranno fare a meno di storcere il naso di fronte a queste tariffe: i primi, perché si tratta di prendere seriamente in considerazione una “seccatura” che speravano di risolvere con una cifra modesta, nonché interamente stanziabile in sede di pre-consuntivo; i secondi, perché il pricing su base oraria e calcolato sulle attività effettivamente svolte è una doccia fredda per chi sogna compensi milionari a fronte di un lavoro che, per quanto specializzato e tutt’altro che semplice, non va sopravvalutato né a livello di complessità né tanto meno a livello di assunzioni di responsabilità, come abbiamo ampiamente dimostrato.

Ricordiamoci sempre che il compito principale del DPO è quello di aumentare il livello di consapevolezza del Titolare e della sua azienda in materia di Privacy, non certo quello di porsi come un misterioso, ineffabile e strapagato azzeccagarbugli: ne va della credibilità della sua stessa professione.




Il riflesso condizionato ai tempi di facebook

“Se mi ami, mettiti nudo”

Il riflesso condizionato ai tempi di facebook: siamo partiti dalla campanella di Pavlov e ora scriviamo Amen sotto ai post.

 

Non so se chi legge ricorda ancora quel vecchio slogan:

“se mi ami, mettiti nudo”.

Era la pubblicità di una marca di preservativi.

Al di là del prodotto reclamizzato, la frase imprimeva nella mente di chi ascoltava uno dei capi saldi della logica occidentale: il principio di causa ed effetto.

Se vuoi che una cosa avvenga, fanne un’altra in qualche modo ad essa collegata.

Erano gli anni ’80.

Non c’erano gli smartphone, non c’erano i social e i reality sembravano ancora una aberrazione della morbosità umana.

A guardarli così potrebbero sembrare anni innocenti dal punto di vista della manipolazione mediatica adesso così di moda e inflazionata.

In realtà, però, già gli inizi del ‘900 avevano dato lustro agli esperimenti di Ivan Petrovič Pavlov famoso per l’induzione del riflesso incondizionato sui suoi cani.

E Pavlov non era certo il solo.

Fate pure un giro su internet per vedere cosa combinavano John Watson, Stanley Milgram, Bibb Latané e John Darley, Harry Harlow o il più recente Philip Zimbardo…

Durante il ‘900 una delle grande domande di chi per dritto o per traverso studiava la mente umana, era perché le persone si comportassero in determinato modo e se fosse possibile riprogrammarle.

Che la risposta fosse è stato subito chiaro.

Le uniche variabili erano il tempo e l’etica.

Persino di strumenti ce n’erano a bizzeffe e, successivamente, lo svilupparsi e capillarizzarsi dei media ha dato una mano in più.

Di certo ci si ricorda degli studi e delle riflessioni sulla propaganda di regime.

In quegli anni, l’arrivo massiccio dei media aveva concentrato molto l’attenzione sui comportamenti umani, il modo di manipolarli e sulle tecniche di propaganda.

Il ‘900 è stato il secolo durante il quale l’uomo si è chiesto come dominare la mente degli uomini.

È stato il secolo durante il quale gli studi sulla mente umana sono nati e fioriti.

Nel ‘900 nasce la psicologia (per noi normalissima ma allora rivoluzionaria).

Più la comunicazione entrava nella vita quotidiana delle persone, più i comunicatori hanno sentito il bisogno di affermare il loro potere a proprio vantaggio.

La propaganda (diventato argomento delicato) si trasformava in pubblicità dicendoci cosa comprare e cosa desiderare.

Poi, col XXI secolo ecco la nuova sfida: insegnarci come pensare e – meglio ancora – insegnarci come reagire agli stimoli emotivi (come osserva spesso il filosofo Umberto Galimberti).

Siamo tutti sotto esperimento, a volte li facciamo noi, altre li subiamo.

Siamo tutti dei cagnolini di Pavlov che reagiscono sincronicamente al suono della campanella; oppure siamo Pavlov che misura l’aumento della salivazione della cavia dopo aver lanciato lo stimolo.

Affascinante a guardarlo da fuori, annichilente se si riuscisse a guardarlo dal di dentro.

E noi che possiamo fare?

Innanzitutto accorgercene è un gran passo avanti.

Questo ci permette di guardare le cose da un passo di distanza.


Fatto questo, prese il possibile le distanze, proviamo a recuperare la più antica delle domande filosofiche: “perché?” e assolviamola dalle paure da benpensanti ben educati ben adattati che negli anni ci hanno impedito di usarla.

Senza cadere nella trappola psicologica del complottismo, proviamo a guardare le cose chiedendoci: “perché?”

Perché penso questo?

Perché desidero quello?

Perché reagisco così?

Perché faccio cosà?
Perché…?

E non sarebbe male neppure condividere queste domande con qualcuno che vuole fare lo stesso esperimento.

Non so se ci si salva del tutto però in compenso di passa il tempo molto gradevolmente e si può anche stare lontani dagli stimoli induttori che, bisogna dirlo, sono naturalmente molto ben fatti.

La prima volta che abbiamo risposto a uno stimolo, è stato perché ci è sembrato molto utile e innocuo.

I social, sotto questo punto di vista, sono un interessantissimo campo di addestramento umano.

Chi sui propri profili social non ha mai fatto degli esperimenti per vedere cosa portava maggiore approvazione?
Chi non si è naturalmente adattato alle regole non scritte che portano ad attirare più “like” o cuoricini?

Fa parte del nostro essere animali social – i 

Proprio sui social ci sono decine di campanelli attivi che ci fanno piegare al volere del nostro Pavlov di turno, che non deve necessariamente essere il sistema, a volte basta anche liberarsi da quello che una sola persona vuole indurci a fare.

Non si chiamano più “campanelli”, si chiamano “call to action” “chiamate all’azione”; ed effettivamente il nome è onesto perché si capisce che, checché se ne dica, non si tratta dell’azione che vorremmo che il nostro interlocutore facesse spontaneamente ma è proprio l’azione che vorremmo che facesse quasi a qualunque costo.

Ovviamente alla call to action reale tipo “compra adesso (anche se non ti serve adesso)” ci si arriva perché ci si è prima allenati.

E come ci si allena?

Con le buone cause: il vantaggio comune.

Chi non ha mai visto (condividendoli o meno) post del tipo “preghiamo per questa povera anima, scrivi amen nei commenti”; oppure “questa cosa è vergognosa, condividila affinché tutti lo sappiano”.

Il passo sucessivo è il vantaggio personale:

Selezioni per fantomatici posti di lavoro (la leva più forte in questo periodo sociale):

“se vuoi essere selezionato fai la giravolta, la riverenza e la scappellenza e sbagli una sola cosa sei escluso”

“compila il seguente form: qualunque candidatura giunta diversamente non verrà tenuta in considerazione”

“se vuoi ottenere del materiale esclusivo scrivi SCEMOCHILEGGE nei commenti”

Abbiamo visto tante volte tutto questo in giro.

Abbiamo fatto anche noi azioni induttive di questo tipo.

Ed è normale.

Il terreno dei social è il campo nel quale siamo più disposti a seguire le indicazioni.

Ma adesso, provando a guardare tutto questo (che è normale, che fa parte della nostra quotidianità e che, comunque, non possiamo del tutto rinnegare), ci viene da pensare “ma PERCHÉ devo fare come dicono loro?
Perché devo abituarmi a parlare, scrivere, procedere come gli altri?

Perché non posso avere un tipo di comunicazione eterogenea e imprevedibile fatta da modi diversi di rapportarsi e reagire?”

Scegliere di uscire dai social per non essere manipolati è quasi come non uscire di casa per paura di essere investiti.

Non dobbiamo orientarci alla sospensione delle attività (a meno che non abbiamo animi da eremita) ma dobbiamo abituarci a chiederci cosa davvero vogliamo fare.

 

Crediti: ?

 

Link Esperimento di Pavlov sui cani: scheda

John Watson: scheda

Stanley Milgram: scheda

Bibb Latané: scheda

John Darley: scheda

Harry Harlow: scheda

Philip Zimbardo: scheda e ancora il mio articolo La bellezza salverà il mondo

 

 

 




il contratto del DPO

quando si sottoscrive un contratto con un DPO solitamente si ricevono immediatamente due servizi: la tutela presso il garante della funzione di DPO, che si esprime con la registrazione sul sito del garante della nomina stessa, e l’accesso ad una serie di documenti e prodotti (sito web dedicato, modelli, ecc.), che definiscono una prima erogazione di servizi in fase di sottoscrizione.

Per questi due servizi sarebbe opportuno che la pubblica amministrazione prevedesse un pagamento alla sottoscrizione del contratto a fronte dei servizi erogati, ed in ogni caso potrebbe sembrare che vincolare il pagamento di tutto il contratto alla fine del periodo di servizi configuri un’anomala posizione di dipendenza del DPO dalla pubblica amministrazione, cosa fortemente sconsigliata dal garante stesso.

il contratto infatti ha uno svolgimento continuo che si estrinseca poi nella continua consulenza e nel continuo aggiornamento che il DPO deve effettuare, questo dovrebbe far si che il pagamento avvenga in forma mensile ad erogazione di servizio.

calcolando l’esiguo valore dei contratti sarebbe quantomeno poco opportuno caricare l’amministrazione di fatture da 80 euro mese circa, quindi la soluzione migliore sembra proprio essere la formula del 50% subito e 50% fine contratto.




Smart TV: smart mica tanto …

Le smart tv sono i nuovi computer?

forse si ma di certo non sono così smart come vorrebbero farci credere.

Nel mondo vi sono diversi competitors che si stanno sfidando dal punto di vista tecnologico nel campo delle Smart Television, oggi analizziamo le Piattaforme Smart che utilizzano.

Vi è da Dire che tutte utilizzano della App dedicate, fatte da sviluppatori interni, per le principali e più comuni e delle altre “costruite” appositamente da società esterne personalizzate per un tipo di piattaforma facendo si che potremmo trovare una App di nostro interesse solo per una marca di Tv e non in un’altra creando molta confusione nel Consumatore.

Come negli Smartphone, anche nei sistemi operativi delle televisioni abbiamo delle App preinstallate dal produttore e delle App che possiamo scegliere a nostro piacimento che varieranno a seconda dello Store che abbiamo a disposizione e della nazione in cui viviamo…

Infatti a seconda della Nazione/Regione del mondo in cui viviamo avremo a disposizione più o meno App a secondo della marca della Tv che andremo a comprare, quindi accade che per l’Italia una determinata marca di Tv abbia poche App a disposizione mentre in un’altra ne abbia tantissime di più, creando molta confusione a chi deve scegliere un prodotto.

Le principali piattaforme Smart legate ad ogni marchio di produzione Tv sono

Samsung con l’eco sistema Tizen

Lg con la piattaforma Smart WebOs 3.0

Philips, Sony e Sharp con l’Ecosistema Android Tv

Panasonic con My Home Screen 2.0 sviluppo Firefox OS

HiSense con la piattaforma Vidaa U

 

Partiamo quindi ora ad analizzare la piattaforma Tizen di Samsung, produttore coreano sempre sul podio nella vendita in tutto al mondo la sua Smart TV con l’adozione di Tizen, ha dato modernità al suo sistema operativo basato su Linux rispondendo alle richieste più importanti dei suoi utenti: mettere a disposizione di tutti gli sviluppatori un ecosistema che consenta di creare applicazioni ricche di funzionalità e di facile utilizzo, per garantire un’esperienza di utilizzo Fluida e veloce.

Il sistema operativo Tizen è stato pensato per moltissimi di dispositivi come smartphone, tablet, PC, elettrodomestici, fotocamere fino alle automobili. Samsung è stata la prima nell’adozione di Tizen, avendolo utilizzato nella sua gamma di smart watch Samsung Gear.

Si tratta di un ecosistema talmente avanzato che è in grado di offrire strumenti di sviluppo tali che i programmatori riescono a realizzare applicazioni con la stessa qualità che si trova su smartphone e tablet.

Con il tempo Tizen quindi verrà utilizzato sempre più dispositivi, creando un vero e proprio ecosistema in cui diverse tipologie di  elettrodomestici e macchine potranno dialogare in modo diretto tra loro e noi potremo controllarle comodamente dal nostro divano difronte al Televisore vero e proprio centro di controllo Domotico.

Lg invece utilizza l’ecosistema Smart WebOs arrivato alla versione 3.0 per risolvere tutti i problemi avuto in passato e migliorare l’esperienza interattiva sulle sue Televisioni. 

Lg principale concorrente della sua conterranea Samsung è sicuramente Numero 1 al mondo nella produzione di Pannelli Lcd e OLED il cui acronimo è Organic Light Emitting Diode, ovvero diodo organico a emissione di luce la cui principale caratteristica è quella di permettere la realizzazione di display a colori capaci di emettere luce propria dando un Nero profondo paragonabile a quello dei vecchi Plasma e quindi senza bisogno di retroilluminazione.  

Questi Oled sono delicati e molto costosi da produrre tant’è che Lg è il Leader indiscusso e quasi unico fornitore al mondo di pannelli OLED per tutte le marche di TV e telefonini, tra cui Samsung WebOs 3.0 ha apportato al sistema operativo Coreano delle novità per avvicinarlo al concorrente Tizen infatti LG ha migliorato i sui punti deboli, migliorando soprattutto la reattività del suo sistema, poco veloce sui modelli del 2014.

Il nuovo 3.0 è ora il 40% più veloce all’avvio ed anche il passaggio da un’app all’altra è migliorato: si parla di un tempo inferiore del 60%.

L’interfaccia è la stessa presente dalla prima versione: le icone si sviluppano in orizzontale, lungo il bordo inferiore della TV, sfruttando icone di semplice consultazione e lettura.

Abbiamo poi ovviamente una serie di App preinstallate e subito fruibili come i vari servizi di streming on demand come Netflix, Amazon Prime Video, Youtube che potranno essere integrate da altre scelte a nostro piacimento scelte nel LG Content Store.

Philips, Sony e Sharp utilizzano l’Ecosistema Android Tv di Google, un sistema molto versatile e in grado di offrire, molto probabilmente, la più ampia disponibilità di applicazioni. 

Adottano come interfaccia grafica uno stile molto simile a quello di Tizen e WebOS trovando icone colorate e piatte, facilmente identificabili e semplici da scorrere.

Le versioni di Philips e Sony sono praticamente identiche se non fosse per qualche funzione proprietaria presente nei modelli Top di Gamma come la ricerca tramite assistente Vocale.

I punti di forza di Android TV sono chiaramente nell’offerta di applicazioni e servizi, infatti avendo all’accesso al Google Play Store abbiamo una quantità di App non paragonabile a quella dei competitors e la possibilità di dare alla Tv il controllo degli apparati Domotici con a bordo il sistema operativo di Google

Panasonic utilizza My Home Screen 2.0 derivato dallo sviluppo del defunto Firefox OS che venne utilizzato per non uniformarsi ai suoi concorrenti; scelta coraggiosa intrapresa per emergere in un mercato molto piatto ed uniformato.

Dopo l’abbandono di Mozilla Panasonic  ha continuato da sola lo sviluppo della App in formato HTML 5 dando la possibilità a tutti di creare nuove App in modo molto semplice e rapido, anche qui ci sono le app di base come Netflix e YouTube in 4K e HDR. Le novità migliori della nuova interfaccia sono comunque il media player compatibile con contenuti 4K e HLG.

Infine il più grande produttore cinese HiSense con la piattaforma Vidaa U la quale ora è molto più veloce e ci da la possibilità di crearci la nostra interfaccia grafica, impostando ad esempio l’accesso diretto alle varie sorgenti connesse agli ingressi HDMI(come anche in Tizen).

Dispone di un browser Internet, web store con oltre 200 applicazioni, supporto ai codec HEVC/VP9 per contenuti 4K di Amazon, YouTube, Netflix e Amazon Prime Video.

La navigazione tra i vari menù infine è stata totalmente rivista per garantire l’accesso diretto ai vari settaggi premendo i tasti del telecomando al massimo tre volte.

 

 




Il Futuro della Televisione, non il nostro …

 

L’intento di questo e dei prossimi articoli non è quello di spiegarvi quale saranno i programmi televisivi della prossima estate ma quali saranno le tendenze Televisive dei prossimi anni.

Dal punto di vista tecnologico infatti siamo di fronte ad una nuova era che ci porterà realmente a vedere ciò che vogliamo, quando vogliamo e dove vogliamo, Tv generalista compresa.

La Rivoluzione digitale ha portato a digitalizzare tutti i contenuti Televisivi, per poterne usufruire e rendere la Televisione simile ad un Pc e ad uno Smartphone.

Diventa infatti sempre più difficile riuscire a comprare una Tv priva della Funzioni Smart poiché tutti i contenuti sono diventati Digitali e sempre più spesso, quando la sera ci addormentiamo sul divano e non riusciamo a terminare un programma, il giorno seguente in metrò o su qualunque mezzo pubblico possiamo rivederlo, tramite apposita App, sul nostro Smartphone.

La Televisione è diventata il nostro Terminale casalingo, il principale, ma pur sempre uno dei tanti, Terminali di cui oggi siamo in possesso.

Essendo la principale e la più grande ha delle caratteristiche tecniche tali che difficilmente chi li vende sa cosa ha esposto in negozio.

Oggi infatti si parla di televisori con

  • Edge LED Advanced Local Dimming

  • Supporto formati HDR-10, Dolby Vision, HLG e Advanced HDR Technicolor

    • Nano Cell Black Treatment

    • ConversioneSDR-HDR

    • Magic Remote con microfono per controllo vocale

    • Supporto Miracast/WiDi

    • Moduli Bluetooth e Wi-Fi ac

    • Tre ingressi HDMI 2.0b HDCP 2.2

    • Media gateway DLNA

    • DVR via USB con Time Shifting

    • Sistema App WebOs 3.5

Che quasi nessuno sa cosa sono o a che servono e che quindi difficilmente li utilizzerà perlomeno tra noi adulti… infatti solo i nostri ragazzi, che sono realmente la generazione SMART, ci possono spiegare come accendere la nostra nuova Televisione!

Ad Maiora

 




Responsabile del trattamento: interno od esterno?

OSSERVAZIONI RISPETTO A RESPONSABILE DEL TRATTAMENTO NOMINA INTERNA OD ESTERNA

In nessuno degli articoli e considerando PRESENTI NEL REGOLAMENTO viene definito il RTD come esterno all’azienda del titolare.

Il regolamento non prende posizione sulla scelta interna o esterna, ma definisce solo come ingaggiare l’rtd e cosa esso debba fare.

Ad oggi vi sono indicazioni che propendono per entrambe le scelte.

In considerazione della precedente indicazione legislativa in Italia l responsabile del trattamento era sempre identificato con interno, anche perché è necessaria la specifica conoscenza dei processi interni dell’ente pubblico e la loro gestione.

il Garante della Privacy, alla luce della disciplina aveva precisato che: “è necessario precisare chi svolgerà l’eventuale ruolo di “responsabile del trattamento”. Conseguentemente, l’Amministrazione deve decidere se prevedere tale figura ed attribuirne la responsabilità o alla struttura esterna cui è affidata l’attività in concessione, oppure ad un dipendente di quest’ultima, o a un proprio ufficio o dipendente dell’Amministrazione stessa (quest’ultima opzione presuppone che l’ufficio o il funzionario pubblico abbiano poteri effettivi di ingerenza sulle attività e sull’organizzazione dell’impresa concessionaria: cosa, in realtà, poco frequente). In concreto, la nomina del responsabile, che deve essere effettuata in forma scritta, potrebbe essere inserita in un apposito articolo della convenzione, oppure essere oggetto di un distinto provvedimento amministrativo o atto di diritto privato”.

Appare quindi evidente che la scelta di internalizzare o meno la figura è di pura pertinenza del titolare del trattamento.

Certamente per ora qualsiasi scelta appare conforme a quanto indicato dal garante, nel prosieguo si verificheranno ulteriori indicazioni.

Mentre per le aziende la scelta di nominare un responsabile esterno sembra prevalere, per le pubbliche amministrazioni la tendenza si inverte anche per ridurre i costi che altrimenti sarebbero da sostenere.

A parere di chi scrive in considerazione della giovinezza della materia e della consolidata esperienza precedente è opportuno provvedere a nomine che siano efficaci nell’immediato e non carichino di costi l’amministrazione in attesa di vedere le prossime linee guida del garante, PERTANTO è OPPORTUNO CHE LE SCUOLE IDENTIFICHINO UN RESPONSABILE INTERNO OVE POSSIBILE..